RONCIONI, Raffaello
– Nacque a Pisa nel 1553 da Ranieri di Girolamo e da Ippolita di Piero Marracci.
La famiglia apparteneva alla più antica nobiltà pisana, anche se la discendenza rivendicata dai nobili di Ripafratta è frutto di falsificazioni di documenti compiute tra la fine del Quattrocento e i primi del secolo successivo (Luzzati, 1966-1968, pp. 62 s.). La famiglia in cui nacque Roncioni era numerosa. Dei sei fratelli (Orazio, Girolamo, Adriano, Antonio, Camillo e Cesare), Girolamo e Adriano vestirono l’abito di cavaliere dell’Ordine di S. Stefano, mentre Antonio quello dell’Ordine dei Cavalieri di Malta; delle sei femmine, due, Olimpia e Faustina, si monacarono, le altre, Laura, Lucrezia, Lucia e Maria, sposarono membri di antiche casate pisane.
Fu destinato alla carriera ecclesiastica e ben presto insignito di numerosi benefici; nel 1573 divenne canonico del duomo di Pisa (Greco, 1985, p. 34) e nel 1610 arciprete. Ebbe una formazione umanistica, estesa allo studio del greco. Frequentò l’ateneo pisano sotto la guida di Giuseppe Bocca, Pietro Calefati, Geronimo Papponi e si laureò in utroque iure nel dicembre 1578. A dimostrazione del ruolo ricoperto dalla famiglia, fra i testimoni alla laurea figuravano membri del patriziato pisano e alti funzionari granducali (Acta graduum, 1980, p. 178).
Nel 1580 si trovava a Roma, come mostrano alcune sue lettere inviate ai familiari e conservate nell’archivio Roncioni, ma nel 1581 era di nuovo a Pisa. Tornò a Roma nel 1585, agli inizi del pontificato di Sisto V, al seguito del cardinale Giovan Gerolamo Albani, ma alla morte di quest’ultimo, nel 1591 rientrò a Pisa, dove rimase per tutto il resto della sua esistenza. Qui curò l’amministrazione dei beni propri e, come tutore, di quelli dei figli del fratello Orazio, morto nel 1599. Il patrimonio fondiario della famiglia era notevole e la divisione tra i fratelli alla morte del padre lasciò comunque ai singoli eredi quote sostanziose. Ma l’attività che assorbì maggiormente Roncioni fu quella dello studio della storia pisana. Come narra nel prologo del nono libro delle sue Istorie pisane (1844, p. 448), egli si accinse alla scrittura della storia di Pisa su incitamento dell’arcivescovo Carlo Antonio Dal Pozzo e di Giuseppe Bocca, suo maestro di diritto canonico e vicario di Dal Pozzo.
La stesura dell’opera lo impegnò a lungo e, sebbene conclusa e approvata dalla censura ecclesiastica nel 1605, rimase inedita; fu pubblicata soltanto nel 1844, da Francesco Bonaini. Suddivisa in sedici libri, è dedicata al granduca Ferdinando I; inizia con le mitiche origini della città e termina nel 1509, con la riconquista di Pisa da parte di Firenze. In realtà, come tutte le storie pisane coeve, la narrazione si dilunga nell’esporre le vicende della Pisa repubblicana e termina con la prima conquista di Pisa nel 1406. Gli anni fino alla discesa di Carlo VIII sono passati sotto silenzio e le ultime due pagine dell’opera, dopo poche righe dedicate alla seconda infausta guerra di Pisa contro Firenze, sono dedicate alla celebrazione di casa Medici e soprattutto al plauso per le opere intraprese da Cosimo I e da Ferdinando I a favore della città. L’elogio non è meramente formale ed encomiastico. Durante la guerra di Pisa un ramo della famiglia Roncioni era passato apertamente dalla parte di Firenze, stabilendosi poi a Prato, mentre il ramo rimasto a Pisa, dal quale discendeva Raffaello, si era schierato solo tiepidamente contro Firenze e si era inserito ben presto nel nuovo governo fiorentino. Ciò non toglie che l’autore mostri il suo interessamento soprattutto alla narrazione delle glorie repubblicane. La cultura classica di Roncioni traspare evidente, sia, per esempio, quando discute sulle origini della città, sia quando descrive il camposanto di Pisa (libro XI).
L’archivio Roncioni, oggi depositato presso l’Archivio di Stato di Pisa, ne è uno dei fondi di famiglia più ricchi e consente di ricostruire il metodo di lavoro del letterato; vi sono infatti raccolti i manoscritti di cronache pisane del XIII e XIV secolo e di cronache genovesi, per lo più copie cinquecentesche, alcune ricopiate dallo stesso Roncioni, estratti di documenti tratti dall’archivio capitolare, elenchi di magistrature, appunti vari. Ma il bagaglio documentario dello storico non si ferma alla tradizione pisana, come mostra già nel discutere sulle origini della città: Roncioni si avvale di scrittori quali Fazio degli Uberti, Giovanni Villani, Leandro Alberti, ai quali aggiunge la conoscenza dei testi di Plinio, Cicerone, Strabone.
L’attaccamento alla storia pisana emerge anche in un’altra opera di Roncioni – anch’essa rimasta inedita –, alla quale si dedicò a lungo, come mostrano le carte conservate nell’archivio di famiglia, e cioè le Memorie di uomini illustri pisani. Pubblicata anch’essa, ma solo in parte, da Francesco Bonaini (1848), enumera in ordine alfabetico le famiglie pisane più note, inserendo succintamente all’interno di ogni famiglia i nomi dei membri più illustri, le cariche pubbliche da loro ricoperte e gli episodi salienti della loro esistenza. Probabilmente iniziata in parallelo alle Istorie, fu continuata sicuramente fino al 1616. Come evidenziato dal carteggio di Roncioni, egli si documentò chiedendo informazioni alle famiglie ancora esistenti, o agli uffici delle magistrature pisane e fiorentine. L’attenzione per le fonti e i documenti non arrivò tuttavia a riconoscere la manipolazione della documentazione relativa alla sua famiglia, che viene fatta risalire ai nobili da Ripafratta (Istorie, libro XII), discendenza peraltro accettata dallo stesso Bonaini, ma inesistente.
Roncioni scrisse anche sonetti, canzoni e madrigali e iniziò un poema sugli Orsini, tutte opere inedite e conservate nell’archivio Roncioni. Durante il suo soggiorno a Pisa Thomas Dempster ebbe modo di frequentarlo, uniti dall’interesse per le antichità romane, e nel De Etruria regali lo elogiò per la sua erudizione. A testimonianza degli stretti rapporti che li legarono, Dempster figura come primo testimone dell’ultimo testamento di Roncioni, redatto il 18 maggio 1618, a pochi giorni dalla morte, sopravvenuta a Pisa il 25 maggio di quell’anno.
Fonti e Bibl.: L’archivio della famiglia Roncioni è stato depositato all’Archivio di Stato di Pisa in due date diverse, 1915 e 1999, ed è quindi suddiviso in due inventari: il primo Acquisto Roncioni reca il n. 62 ed è disponibile anche on-line nel sito dell’Archivio, l’altro reca il n. 135. I manoscritti delle Historie pisane e delle Memorie di uomini illustri pisani sono nel primo deposito (rispettivamente nn. 347 e 351). Manoscritti delle Historie si ritrovano in numerose biblioteche toscane, ma secondo Bonaini sono spesso mutili o non corretti. Una biografia settecentesca anonima non molto attendibile è in Firenze, Biblioteca nazionale centrale, Ms. Pal. 837. Un inventario dei codici presenti nell’archivio privato Roncioni prima del deposito presso l’Archivio di Stato, con l’indicazione dei codici ricopiati dalla mano di Roncioni, è in C. Vitelli, Catalogo dei codici che si conservano nell’archivio Roncioni di Pisa, in Studi storici, XI (1902), pp. 121-176.
R. Roncioni, Delle Istorie pisane libri XVI, a cura di F. Bonaini, in Archivio storico italiano, 1844, t. 6, parte 1; Id., Delle famiglie pisane, a cura di F. Bonaini, ibid., 1848, t. 6, parte 2, suppl. 2, pp. 813-980 (testo incompleto, con aggiunte e integrazioni di Bonaini); P.M. Lonardo, Intorno all’anno di nascita del R. e al tempo in cui scrisse le Storie, in Studi storici, IV (1895), pp. 323-328; M. Luzzati, Le origini di una famiglia nobile pisana: i Roncioni nei secoli XII e XIII, in Bullettino senese di storia patria, s. 3, XXV-XXVII (1966-1968), 73-75, pp. 60-118; E. Cristiani, I manoscritti delle «Famiglie pisane» di R. R., in Bollettino storico pisano, XLIX (1980), pp. 137-143; Acta graduum Academiae Pisanae, I, 1543-1599, a cura di R. Del Gratta, Pisa 1980, p. 178; G. Greco, Paolo Tronci, chierico e funzionario della Chiesa pisana nella prima metà del Seicento, in E. Cristiani et al., Paolo Tronci, storico ed erudito pisano, Pisa 1985, pp. 21-54.