VANNI, Raffaello
VANNI, Raffaello. – Figlio del pittore Francesco (v. la voce in questo Dizionario) e di Caterina Rossetti, venne battezzato a Siena il 3 settembre 1595 (Galli, 1995, p. 261), quarto di almeno cinque figli della coppia, come si deduce dalla lista compilata dal capofamiglia nel 1609 per accedere alla nobiltà cittadina («Raffaello, il quale al presente studia, ha anni 13»: p. 264 nota 19).
Da quest’ultimo già avviato alla professione insieme al primogenito Michelangelo (nato nel 1585) – e insieme a lui erede universale del testamento paterno depositato nel 1596 con il veto di alienare «le stampe, i disegni, i modelli e qualunque altro instrumento appartenente all’arte del pittore» (Fallani, 2000, p. 114) –, partì nel 1610, in seguito alla morte del genitore, alla volta di Roma. Nei primi soggiorni documentati nella città pontificia (1610-13; 1614-17 circa), le fonti a stampa concittadine e contemporanee (Ugurgieri Azzolini, 1649, p. 386) lo ricordano nello «studio» di Guido Reni prima e nella «casa» di Antonio Carracci poi. Qui (1615) si condusse «molto bene» (Maccherini, 1997), e fu così propenso verso la pittura da «dover passar il padre» (Mancini, 1617-21, 1956), predizione di fama auspicata persino da Giovan Battista Marino nella Galeria (Bianchi Bandinelli, 1942, che associa invece l’elogio al fratello Michelangelo).
Nell’Annunciazione di S. Agostino conservata nella chiesa del Carmine – unica testimonianza senese ricordata da Fabio Chigi (1625-26, 1939) contro le cinque del fratello Michelangelo – la didattica carraccesca assimilata a Roma (Galli, 1995, p. 261) s’inserisce su quella paterna e sulla speciale tradizione pittorica cittadina (Alessandro Casolani e Francesco Rustici), un attaccamento, quest’ultimo, che si manifesta ancora dominante nelle due redazioni (Siena, duomo e arciconfraternita di Misericordia) della Visione del beato Pier Pettinaio (A. Leoncini, in Le pitture..., 2008, p. 32), da considerarsi tra le sue prime prove conosciute.
Registrato a Siena nel 1617 – dove avrebbe invitato il proprio maestro Antonio Carracci (Angelini, 2018, p. 200), e forse per lui intervenuto nell’Assunzione per la cappella di Loreto in S. Vigilio (p. 205) –, realizzò dal 1618 al 1622 un approfondito soggiorno di studio a Venezia. Gli effetti di questa lunga permanenza si riflettono sia nelle numerose copie tratte da Tiziano e da Veronese (Fumagalli, 1989, pp. 139, 140; Fallani, 2000, p. 116) – che insieme alle future documentate da Guido Reni e Correggio (ibid.) costituiscono una parte rilevante della sua attività di esperto copista –, sia sul suo profilo di intenditore del Rinascimento lagunare (non casualmente richiesto anche nell’intervento sull’Assunta di Salvatore Fontana nel duomo di Siena: cfr. Romagnoli, ante 1835, 1976, p. 189; L. Galli, in Le pitture..., 2008, pp. 134 s.), riconoscimento che il 27 gennaio e il 21 giugno 1660 venne implicitamente assegnato da Alessandro VII anche al fratello maggiore di Raffaello, Michelangelo (cfr. Krautheimer - Jones, 1975, p. 213, nn. 384, 411), quale prodotto di una strettissima consuetudine tra i due.
Nel 1622 inviò da Venezia all’oratorio senese di S. Rocco in Vallerozzi la tela con Giobbe rimproverato dalla moglie, attualizzata su un cangiante pittoricismo e su esperienze prossime ad Alessandro Varotari, detto il Padovanino (Bagnoli, 1988) e a Carlo Saraceni (A. Angelini, in L’officina dei colori, 2012), ma con ancora evidenti reminiscenze carraccesche (L. Galli, in Bernardino Mei, 1987, p. 85), un polo di attrazione che sarebbe mutato sensibilmente nel corso del successivo soggiorno romano alla luce delle novità sulla prospettiva aerea introdotte da Giovanni Lanfranco.
Dopo un altro intervallo senese in cui eseguì gli affreschi di S. Sebastiano in Vallepiatta (1627; Romagnoli, ante 1835, 1976, p. 185), dal 1628 al 1630 fu nuovamente nell’Urbe, ma nessuna opera nota è a tutt’oggi riconducile alla committenza del cardinale Giulio Cesare Sacchetti (Ugurgieri Azzolini, 1649, p. 386; Romagnoli, ante 1835, 1976, pp. 185 s.), a quella di Cassiano dal Pozzo (del quale «i due Vanni» furono «amorevoli», come risulta da una lettera del 1659, cfr. Solinas, 1995, pur non potendosi ancora dimostrare un avvicinamento di Raffaello alla cultura antiquaria romana), o alla duchessa di Gravina, Felice Maria Orsini (Ugurgieri Azzolini, 1649, p. 386; Romagnoli, ante 1835, 1976, pp. 185 s.), che potrebbero collocarsi in questo periodo, durante il quale, sempre insieme a Michelangelo, cominciò verosimilmente a diffondersi la sua reputazione di virtuoso (Baglione, 1642, 1935). Ritornato a Siena (1631-35 circa), ma poi ancora a Roma, nel 1636 (Romagnoli, ante 1835, 1976, p. 183) Raffaello inviò nella propria città natale una serie di quindici dipinti destinati alla decorazione dei lacunari del soffitto della chiesa di S. Vigilio (L. Galli, in Bernardino Mei..., 1987, p. 87; Ead., 2009; Angelini, 2018, pp. 205-211), un’impresa concepita con tele di vario formato e dimensione, ma accomunate da un’unica fuga prospettica convergente verso l’ingresso della chiesa.
Verosimilmente ispirata al modello di S. Vitale a Roma, con richiami a Tintoretto per le figure viste dal basso verso l’alto, e probabilmente al concittadino Domenico Beccafumi per le scene apocalittiche (pp. 208 s.), venne soprattutto suggestionata dalle innovazioni barocche di Lanfranco: la decorazione è suddivisa in tre scene maggiori centrali (La caduta degli angeli ribelli), in quattro riquadri collocati lungo la fascia longitudinale del soffitto (Adamo ed Eva cacciati dal Paradiso, L’annuncio del Giudizio universale a s. Giovanni Gualberto, L’annuncio del Giudizio universale a s. Benedetto e una Gloria d’angeli) e in otto tele di dimensioni minori posizionate presso i lati corti del soffitto ligneo (Profeti con cartiglio), nelle quali sono state individuate (p. 209) le figure più riuscite dell’intera serie (Gioele, Malachia, Amos e Sofonia).
Documentato come testimone di nozze a Siena nel 1637 (Romagnoli, ante 1835, 1976, p. 187) – e qui operoso almeno in S. Desiderio (I ss. Cosma e Damiano, ora Museo dell’Opera del Duomo di Siena; cfr. L. Galli, in Bernardino Mei..., 1987, p. 87) e in S. Niccolò in Sasso (Giudizio universale; cfr. F. Bisogni, in Mostra di opere d’arte restaurate..., 1981, pp. 222-224 n. 82) – si stabilì nuovamente nella città pontificia, avvicinandosi alle tendenze classicistiche promosse da Andrea Sacchi e dal fuoriuscito cortonesco Giovan Francesco Romanelli, il cui carisma (già evidente in alcune figure del Giudizio appena citato) si manifestò ancora diffusamente nel 1638 nella Maria Maddalena che ascolta la predica di Cristo nell’omonima chiesa senese (F. Bisogni, in Bernardino Mei..., 1987, p. 20) e nella Visione di s. Zaccaria in S. Giovannino in Pantaneto (ibid.).
Prima del 1640 collaborò con Giovan Battista Ruggeri nella serie di Virtù dipinte con raffinata policromia nella volta della galleria del palazzo Santacroce ai Giubbonari (sua almeno l’Immaginazione; cfr. Negro, 1989, pp. 113 s.) – e fu attivo anche in una delle sale al piano nobile della stessa residenza (p. 114) –, mentre il 26 novembre 1638 venne identificato in una lettera di Monanno Monanni inviata da Roma al cardinale Carlo de’ Medici come «pittore del signor marchese [Mariano] Patriti» (Fumagalli, 1989, p. 132), per il quale dipinse «molti e diversi quadri a olio» (Ugurgieri Azzolini, 1649, p. 387), puntualmente citati e parzialmente recuperati nell’inventario della sua eredità (Fumagalli, 1989, pp. 139 s. nota 26; Pedrocchi, 2000), e nel cui palazzo in piazza S. Maria in Campitelli (o dépendances di esso) egli risultava abitare almeno tra il 1638 e il 1643 insieme al fratello Michelangelo (Minozzi, 2000, p. 28).
Ampiamente attivo anche nei fregi dell’Antico Testamento eseguiti tra il 1642 (Fumagalli, 1989, p. 130, e Minozzi, 2000, p. 27 nota 52) e il 1649 (Ugurgieri Azzolini, 1649, p. 387) in sette ambienti del piano nobile del palazzo Patrizi prospiciente S. Luigi dei Francesi (Minozzi, 2000, pp. 28-31) – dove alcune figure delle cornici sembrano manifestare una netta simpatia anche per il savonese Raffaello Bottalla –, venne verosimilmente introdotto dallo stesso Patrizi presso il cardinale Carlo de’ Medici, e da questi retribuito nel marzo del 1641 e nell’agosto del 1642 (Fumagalli, 1997, pp. 345 s.) per la decorazione della camera dell’Udienza (attuale sala Mazzini) nel piano nobile di palazzo Madama, dove in un lungo fregio in tela Raffaello raffigurò l’Incontro e l’incoronazione di Carlo V (Ead., 1989, p. 139 n. 22, e 1997, p. 329).
Nel 1643 eseguì l’Annunciazione per la cattedrale di S. Cerbone a Massa Marittima (Galli, 1995, p. 263) – e a lui spettano ancora nello stesso luogo l’Assunzione con santi e l’Incoronazione della Madonna del Carmine (Ciampolini, 2010) –, mentre nell’anno successivo (Negro, 1989, p. 115) dipinse due tele commissionate da Marcello Santacroce per S. Maria in Publicolis a Roma (Nascita della Vergine e S. Elena che ritrova la croce, oltre a un disperso e più avanzato S. Andrea Corsini), che, pur nella comune suggestione reniana, rinforzano l’avvenuto contatto con Romanelli. In questo stesso 1644 dipinse anche un’Immacolata Concezione commissionata dal teologo mariano Ippolito Marracci per l’altar maggiore di S. Maria in Campitelli, e una distrutta Assunzione realizzata a fresco entro il 1649 nel centro della volta della stessa chiesa (Ugurgeri Azzolini, 1649, p. 387; Pierguidi, 2014), oltre ai disegni preparatori forniti per le incisioni dei volumi del medesimo Marracci (ibid.).
Ricordato a Siena nell’estate del 1648 tra gli assidui frequentatori dell’Accademia del disegno in casa del suo profondo estimatore Volumnio Bandinelli (F. Bisogni, in Bernardino Mei..., 1987, pp. 22 s.; Fileti Mazza, 2000, p. 30), e attraverso questi operoso per i cardinali Leopoldo de’ Medici (pp. 29 s.) e Giovan Carlo (Barocchi - Gaeta Bertelà, 2007, pp. 70 s. nota 234), compì dal maggio (p. 487) e per l’intera estate del 1652 un viaggio di studio in «tutta la Lombardia» come guida di Livio Mehus (Baldinucci, 1681-1728, 1847), protetto del principe Matthias e nel 1652 suo incisore del frontespizio delle Collocutiones di Giovan Battista Ferrari (Siena, Bonatti; in Romagnoli, ante 1835, 1976, p. 192). Con il pittore fiammingo condivise l’amicizia (Barocchi - Gaeta Bertelà, 2007, p. 313 nota 1077) e la sensibile corrispondenza con la più trascinante esperienza barocca di Pietro da Cortona, in un evidente crescendo che dall’Apparizione di s. Filippo Neri a padre Matteo Guerra (Siena, S. Giorgio; Ugurgieri Azzolini, 1649, p. 387) – toccando la Crocifissione già nel monastero di S. Eugenio e oggi in S. Domenico a Siena (1649) e l’Assunta dell’Archivio di Stato (1650) – culminò nel vero e proprio manifesto del cortonismo in terra senese, la Vittoria di Clodoveo su Alarico, dipinta nel 1653 nella controfacciata dell’oratorio della SS. Trinità (F. Bisogni, in Bernardino Mei..., 1987, p. 25; L. Galli, ibid., pp. 89 s.). La composta armonia della maturità cede qui il posto a composizioni popolose e movimentate, alla moltiplicazione dei piani prospettici e alla disposizione su più livelli delle figure, perennemente mosse da insistenti turbinii e da un’accentuata espressività.
L’influsso di Pietro Berrettini emerge più cauto dal substrato classicheggiante che caratterizza alcune opere di formato minore e di destinazione privata, nelle quali l’occhio è attratto maggiormente dai preziosi cangiantismi delle vesti, dalle improvvise accensioni dei rossi, dei gialli e dei blu, e dai cieli di un colorismo intenso: ciò emerge nettamente nel Martirio di s. Paolo di collezione privata (R. Spinelli, in Pitture senesi..., 1989, pp. 66-69), nell’incantevole (ancorché incompiuta) serie di putti formanti l’Allegoria dei quattro elementi (L. Galli, ibid., pp. 70-76), nel Trionfo di David (1648; F. Bisogni, in Mostra di opere d’arte restaurate..., 1981, pp. 236 s.; L. Galli, in Bernardino Mei..., 1987, pp. 99 s.) e nella Carità (1656), questi due ultimi della collezione Chigi Saracini (pp. 102 s.).
L’elezione del cardinale Fabio Chigi al soglio pontificio (7 aprile 1655) con il nome di Alessandro VII (già figlioccio di Francesco Vanni, verosimile mentore dei suoi figli fin dalle loro prime permanenze romane, e già committente di Raffaello per le due lunette della cappella di famiglia in S. Maria del Popolo; cfr. in ultimo Pedrocchi, 2009, pp. 621-624) fornì all’ormai sessantenne pittore nuove e prestigiose occasioni di lavoro a Roma e in terra d’origine. Terminata nel 1656 la Caduta di Cristo sotto la croce (Siena, S. Giorgio) – ritenuta da Ettore Romagnoli (ante 1835, 1976, pp. 197 s.) il suo capolavoro in tela –, tra il giugno di quest’anno e il gennaio del 1658 Raffaello fu attivo nei pennacchi e nella cupola (la Vergine Immacolata nella gloria del Paradiso) di S. Maria del Popolo (cfr. in ultimo Pedrocchi, 2009, pp. 624-637), supervisionata da Gian Lorenzo Bernini ma non pienamente apprezzata dal pontefice, e che tuttavia – per collocazione e ampiezza – favorì all’autore l’elezione biennale al principato dell’Accademia di S. Luca (1658-60) quale successore di Nicolas Poussin (Missirini, 1823). Esecutore dei cartoni preparatori (1659-63) per i mosaici di sei lunette della cappella del Sacramento in S. Pietro (Di Federico, 1983), ma da Berrettini clamorosamente escluso dal gruppo di decoratori attivi nella galleria di Alessandro VII al Quirinale (laddove nelle note manoscritte del pontefice egli avrebbe dovuto ottenere il numero maggiore di riquadri rispetto agli artisti da lui indicati; cfr. Krautheimer - Jones, 1975, p. 206, n. 116), dipinse inoltre in S. Maria della Pace (Nascita della Vergine), dove Carlo Maratti, in segno di rispetto, avrebbe ceduto al «vecchio pittore» la posizione migliore (Bellori, 1672, 1976). Ancora attraverso l’alto concittadino Vanni ottenne la committenza dell’Estasi di s. Francesco di Sales per l’altare da lui dedicato al santo nel duomo di Siena, verosimilmente inviata da Roma tra il 1668 e il 1670 (Ingendaay Rodio, 1983; L. Galli, in Le pitture..., 2008, p. 24), che presenta consonanze stilistiche con l’affresco raffigurante S. Francesco di Sales e s. Gregorio ai piedi della Vergine nella cappella del palazzo Chigi all’Ariccia. La stesura pittorica comincia a indurirsi sensibilmente, e diventa più sintetica e pungente, come si evince anche dalla Morte di s. Tommaso da Villanova eseguita nel 1665 per la collegiata di S. Maria Assunta nella stessa Ariccia (Waterhouse, 1976), e poi replicata nel 1667 per il cardinale Scipione di Orso Pannocchieschi d’Elci (Siena, S. Agostino; cfr. L. Galli, in Bernardino Mei..., 1987, p. 97).
Vanni morì nel 1673 a Siena all’età di settantotto anni (Romagnoli, ante 1835, 1976, p. 202) e all’apice degli onori cittadini, venti mesi dopo il fratello Michelangelo (p. 66): i loro beni, consistenti in centoventidue dipinti, vennero ereditati dall’unica figlia di Michelangelo, Maria Francesca (Fallani, 2000, pp. 113, 115).
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