raggiare (raiare, solo al pres. indic. III singol., in rima; radiare)
Significa " mandar raggi ", " riplendere ", e ricorre per lo più come intransitivo, con usi analoghi a quelli di ‛ raggio ' (v.). Il senso figurato si alterna a quello proprio, di cui si hanno esempi in Pg XXVIII 33 (l'ombra perpetüa della foresta del Paradiso terrestre mai / raggiar non lascia sole... né luna); XXVI 5, detto ancora del sole (in Cv III VII 4 si parla di corpi tanto vincenti ne la purità del diafano che, illuminati dal sole, divengono sì raggianti, che vincono l'armonia de l'occhio: v. DIAFANO. È questo l'unico esempio di participio); Pg XXVII 95 (Ne l'ora... che de l'orïente / prima raggiò nel monte Citerea, " cioè lo pianeto che si chiama Venus... che alcuno tempo dell'anno va inanti al Sole la mattina ", Buti); XXXII 54, detto della costellazione dell'Ariete; Pd XXI 15 (Saturno sotto 'l petto del Leone ardente / raggia mo misto giù del suo valore, " irradia in Terra la sua influenza mista con quella del Leone ", Porena. Un'occorrenza analoga in Pd VIII 3, con costrutto transitivo).
Al senso proprio di " mandar lume " vanno ricondotti altri luoghi: Pg XVI 142 Vedi l'albor che per lo fummo raia, " idest resplende e razzeggia " (Landino. " E' forma provenzale-sicula ", come afferma il Parodi [Lingua 226], che ricorre, sempre in rima, anche in Pd XV 56 e XXIX 136); Pd VIII 53, dove Carlo Martello parla della letizia che gli raggia dintorno; XIV 39, con riferimento alla vesta luminosa che l'amore / si raggerà dintorno dopo la resurrezione dei corpi (cfr. raggio, al v. 51). E si veda ancora l'immagine del grifone, che raggiava negli occhi di Beatrice come in lo specchio il sol (Pg XXXI 122: " è come dire che gli occhi di Beatrice, avendo in sé l'imagine luminosa della doppia fera, parevan proprio due specchi percossi dal sole ", Torraca. Per la similitudine, i commentatori rimandano a Ovidio Met. IV 347 ss.). In Pg XXV 89 si parla della virtù formativa che raggia intorno / così e quanto ne le membra vive, " s'irradia, esercitando la sua attività nell'aria, nella medesima forma e misura che già nella materia corporea " (Scartazzini-Vandelli).
Alcune occorrenze (con uso transitivo di r.) si riferiscono a Dio, il Sol che raggia tutto... [lo] stuolo dei beati (Pd XXV 54), il punto... che raggiava lume / acuto (XXVIII 16; così anche VII 74 e XXIX 136). Ancora come intransitivo: XVIII 17 'l piacere etterno, che diretto / raggiava in Bëatrice, dal bel viso / mi contentava col secondo aspetto: " l'eterna bellezza... di Dio, che raggiava direttamente in Beatrice, mi riempiva di beatitudine con la sua visione riflessa (secondo aspetto: cfr. ‛ secondo raggio ', Par. I, 49), raggiando in me dai begli occhi (viso) di Beatrice ", Chimenz. Altrove il verbo è adoperato in relazione a ‛ raggio ', in una similitudine: come in vetro, in ambra o in cristallo / raggio resplende si, che dal venire / a l'esser tutto non è intervallo, / così 'l triforme effetto del suo sire / ne l'esser suo raggiò insieme tutto / sanza distinzïone in essordire (XXIX 29): 'l triforme effetto (" forma, materia, e forma congiunta con la materia ") creato da Dio " risplendette tutto insieme nella sua esistenza, senza differenza di principio: cioè, le tre sostanze furono create istantaneamente e simultaneamente " (Chimenz).
Se l'anima umana... con la nobilitade de la potenza ultima, cioè ragione, participa de la divina natura, è perché la divina luce, come in angelo, raggia in quella (Cv III II 14, e cfr. VII 8; per le fonti bibliche e tomistiche, v. le note ad l. di Busnelli-Vandelli); analogamente III XIV 4 lo primo agente, cioè Dio, pinge la sua virtù in cose per modo di diritto raggio, e in cose per modo di splendore reverberato; onde ne le Intelligenze raggia la divina luce sanza mezzo.
In Pd XIII 58 si registra un infinito sostantivato, riferito alla viva luce, il Figlio, che il suo raggiare aduna / ... in nove sussistenze, i cori angelici: " çoè lo so splendor, çoè vertù informativa ", dice il Lana.
L'uso di r. associa dunque al senso di " illuminare " quello di " esercitare un influsso ": cfr. Pd XXI 15, già citato, cui va aggiunto XXVII 144 raggeran... questi cerchi superni, che è verso assai disputato tra gli editori e commentatori per la duplice uscita della tradizione manoscritta: raggeran, preferita dalla '21 e ora dal Petrocchi, di cui vedi anche Introduzione 247-248, e ruggeran e affini (rughieran, rugiran, ruggiran) inteso nel senso di " ruggiranno " in rapporto col ruggito di Dio di Ierem. Prof. 25, 30; Os. 11, 110, ecc., ma forse è da intendere " rosseggeranno " (in tal caso da mettere anche in relazione con ‛ raggio '), variante prescelta dal Casella e alla quale è tornato ora il Pézard. Quest'uso è attestato anche in Pd XIX 90 (nullo creato bene attira a sé la prima volontà, Dio, ma essa, radïando, lui cagiona, " cioè gittando e spargendo li raggi della sua bontà ... quel creato ben produce, siccome prima cagione d'ogni cosa ", Buti; v. anche RAGGIO, e per la forma del verbo, usato solo in questo luogo, cfr. il latino radiare.
Nell'uso figurato si ha un riferimento al fatto intellettivo in Cv III IV 2 a me conviene lasciare per povertà d'intelletto molto di quello che è vero di lei [la donna-Filosofia], e che quasi ne la mia mente raggia, la quale come corpo diafano riceve quello, non terminando: v. ancora DIAFANO e la spiegazione di Busnelli-Vandelli: " Dante con tal similitudine vuol dire che il suo intelletto non fermava in sé, non lasciava passar oltre il raggio del vero della donna, epperò .non si colorava [cfr. VII 4] del vero di lei ".
L'identità riso-luce stabilita nel Convivio (che è ridere se non una corruscazione de la dilettazione de l'anima, cioè uno lume apparente di fuori secondo sta dentro?, III VIII 11; e si ricordi il lampeggiar di riso di D. [Pg XXI 114], che tuttavia vuol mettere in rilievo anche la fugacità di quel sorriso) è alla base dell'immagine di Beatrice, che riversa sul poeta la luce del suo sorriso: raggiandomi d'un riso / tal, che nel foco faria l'uom felice (Pd VII 17), " scintillando a me con un riso ", dice il Cesari, " se l'affisso mi prendiamo per ‛ a me '... Se poi questo mi è me, significa come attivo, illuminandomi ".
L'espressione di Pd XV 56 Tu credi che a me tuo pensier mei / da quel ch'è primo, così come raia / da l'un, se si conosce, il cinque e 'l sei, significa " radiat ab uno, quasi dicat, sicut omnis numerus derivatur ab unitate " (Benvenuto; " come nasce ", Daniello; Chimenz); ma alcuni commentatori mettono in evidenza il senso proprio di r., sia pur nel contesto figurato: così il Buti, il Landino (" da uno, che è principio d'ogni numero, riluce cinque e sei "), il Tommaseo (" Anco ne' numeri è Iuce, se in essi è armonia "); e altri fra i più recenti: r. " è in genere detto di luce, e qui vorrà significare la luce che si fa, ben riflettendo, sul processo formativo dei numeri quando si parte dall'uno, loro radice e misura; con aggiunto, forse, richiamo analogico al Dio-luce che ‛ raggia ' per l'universo ", dice il Mattalia; e il Torraca ricorda che " M. Capella descrisse l'Aritmetica come una donna bellissima, la cui fronte era illuminata da un raggio a pena visibile, dal quale fluiva un altro, onde un terzo, e così via via innumerevoli altri, che poi di nuovo si riducevano a uno ". Il Porena trova invece " strana " la similitudine, " che pareggia, o almeno ravvicina, una derivazione quantitativa per moltiplicazione, con una derivazione essenziale per riflesso: cose assolutamente imparagonabili ".