RAGIONERIA
. Storia. - Derivato dal latino ratio (ragione, conto) il termine italiano, identico al francese comptabilité, corrisponde a quello che Tedeschi e Inglesi designano con l'espressione "tenuta dei libri" (Buchhaltung, Buchführung; bookkeeping), e si differenzia invece da quella disciplina che in italiano si designa col nome di computisteria, e che assai più propriamente dovrebbe chiamarsi "aritmetica commerciale".
Trattandosi di un complesso di norme che disciplinano una attività pratica, e che solo in epoca assai recente sono state costituite in un sistema organico e razionale, è naturale che nella storia di questa disciplina la pratica abbia di lunga mano preceduto la teoria. Perciò, se è stato vano il tentativo di determinare, con criterî moderni, quale fosse la forma di contabilità adottata dagli antichi, se non ci è rimasto alcun ricordo di norme che fossero allora state dettate per disciplinare la tenuta dei conti, non vi ha dubbio che presso tutti quei popoli in cui si è sviluppata una notevole attività di scambî, in cui esistono dei banchieri, in cui lo stato ha un sistema finanziario abbastanza complesso, non può essere mancata un'organizzazione contabile, di cui del resto ci hanno conservato memoria sicura sia gli accenni di alcuni scrittori classici, come Demostene, Aristotele e Cicerone, sia i monumenti epigrafici e soprattutto i papiri. Demostene ricorda che i "trapeziti" solevano scrivere i ricordi dei danari che essi pagavano, del fine per cui li pagavano e delle persone che riscuotevano; e sembra che essi tenessero diversi libri, fra cui sono ricordate le ἐϕημέριδες, gli ὑπομνήματα, i τραπεζιτικὰ γράμματα. Aristotele ricorda numerosi registri che dovevano far tenere i magistrati che vegliavano all'appalto delle miniere, all'esazione dei tributi e di altre rendite pubbliche o al pagamento delle pubbliche spese. Cicerone parla degli adversaria, i quali sono stati, con buoni argomenti, identificati con la prima nota, da cui i conti erano trasportati di mese in mese, in ordine cronologico, in un registro principale, designato col nome di tabulae o di codex accepti et expensi. In questo registro, nel quale in una pagina si segnavano le riscossioni e nella pagina opposta le spese, e in cui per ogni partita si dovevano indicare la data, il nome, la causa, si è voluto dagli uni ravvisare il giornale, dagli altri il mastro; ma F. Besta, con piena ragione, ritiene che esso debba identificarsi col libro di cassa. Maggior luce potrà venire per il periodo di Roma imperiale dallo studio dei papiri, i quali fin d'ora hanno dato prove numerose e sicure di una tecnica commerciale assai sviluppata e di metodi di contabilità molto perfezionati. Ma la storia della ragioneria, in quanto voglia fondarsi non su qualche frammento o su qualche notizia indiretta o incidentale, ma su veri e proprî libri contabili o su manuali composti a scopo didattico, non può iniziarsi che dal tardo Medioevo, e da quei popoli i quali per primi si sono affermati per la loro grande attività negli scambî internazionali e nel commercio del denaro: Siriaci, Arabi ed Ebrei primi di ogni altro, e poi soprattutto i mercanti delle maggiori città del Mediterraneo occidentale, in modo particolarissimo dell'Italia.
È vero bensì che i più antichi esempî, rimasti fino ai tempi moderni, di una tenuta regolare dei conti, ci sono offerti dai rotuli annuales, conosciuti col nome di pipe rolls, in cui, a cominciare dal 1130, la tesoreria della Corona inglese registrava il canone totale dovuto dai contribuenti, le riscossioni fatte, le spese sostenute e la somma residua versata al tesoro. È pure vero che ad amministrazioni pubbliche, e in questo caso per la maggior parte italiane, si riferiscono quasi tutti i libri di entrata e uscita, che si son conservati per il sec. XIII, e che a questo stesso secolo appartengono molte disposizioni statutarie, che fissano norme precise per l'amministrazione e la contabilità delle finanze comunali. È vero infine che il più antico esempio di registro a scrittura doppia è offerto dal "cartulario del massaro del comune di Genova (1340), nel quale i conti degli ufficiali finanziarî sono seguiti dai conti merci, dai conti debitori, dai conti intestati agli armigeri, ai castellani, a entrate e uscite, al comune, al quale si riferiscono i saldi degli altri conti; e che ogni scritturazione è fatta regolarmente due volte, una in un conto (ad es., al "comune di Genova") e l'altra, equivalente e opposta, in un conto diverso (p. es., a "introiti ed esiti", ecc.).
Ma non si può arrivare per questo alla conclusione che la contabilità pubblica abbia preceduto nei suoi progressi quella privata, dato che gli archivî dei singoli mercanti riuscirono assai più difficilmente degli archivî pubblici a salvarsi dalla distruzione. Tutt'al contrario, l'esempio dei cartularî del massaro di Genova e quello della tesoreria viscontea di Piacenza, per la quale si conservarono, dal 1356, i conti tenuti con metodo non meno perfetto dal banchiere milanese Giussano, indurrebbero ad affermare che nella contabilità dello stato si fossero adottati metodi che erano già largamente usati dalle maggiori aziende commerciali e bancarie. Purtroppo in questa materia gli studî di storia della ragioneria italiana si fondano sopra un materiale documentario assai meno ricco di quel che si potrebbe sperare: per il sec. XIII, tolta una sola eccezione per una compagnia di mercanti senesi, non si conosce alcun libro contabile vero e proprio, ma soltanto dei frammenti; e anche per i secoli successivi, fino alla recentissima e splendida edizione dei libri dei Peruzzi, non si erano pubblicate che alcune pagine, a titolo di esempio, dei registri sempre più numerosi a Firenze, a Prato, a Venezia e in altre città.
Ma se per l'Italia i documenti contabili offerti al pubblico sono meno ricchi che per la Germania o per altri paesi di Europa, dove da molti anni i più antichi libri di commercio sono stati dati integralmente alle stampe, basta anche il poco che se ne conosce per dimostrare la grande superiorità - del resto universalmente riconosciuta - delle grandi città mercantili italiane per tutto ciò che riguarda la tenuta dei libri. "I libri di commercio tedeschi dei secoli XIV e XV - scrive W. Sombart - erano dei memoriali nel senso primitivo della parola, dove si mettevano insieme le registrazioni più svariate al solo scopo di richiamare alla memoria dei dirigenti dell'azienda determinati fatti e circostanze della loro amministrazione". Progressi un po' maggiori si erano fatti, prima della fine del Trecento, in alcune città francesi e fiamminghe, dove però, almeno nei libri che si sono pubblicati, mancano del tutto i riferimenti da libro a libro e i valori sono registrati in monete diverse, in modo da rendere estremamente difficili le somme e i confronti.
Ben diverso è il caso delle città mercantili italiane, dove le maggiori case commerciali avevano fin dal Duecento un'organizzazione contabile ispirata a criterî razionali e mirante non solo allo scopo di tener desta la memoria del capo dell'azienda, ma di permettere anche ad altri, per lo meno ai soci e ai magistrati della giurisdizione mercantile, di esercitare un'opera efficace di controllo. I libri che si son conservati sono generalmente quelli che più interessavano la vita della compagnia e i rapporti sociali, o il libro riassuntivo dell'entrata e dell'uscita, oppure, com'è il caso più frequente, i cosiddetti libri segreti, i quali nel frequente rinnovarsi della compagnia avevano un'importanza fondamentale, in quanto che registravano i rapporti di debito e credito fra la compagnia preesistente e quella che le era succeduta, l'apporto di capitale dei singoli soci, le spese sostenute da essi nell'interesse della società o le somme prelevate da ciascuno per proprio uso. In quei libri però si trova, per ogni singola registrazione, il riferimento ad altri libri, che dovevano essere in numero rilevante, e tanto maggiore quanto più varia e complessa era la mole degli affari. Per la compagnia senese sono richiamati i libri dei creditori e debitori, dei corrispondenti fuori piazza, delle vendite, del rame, dei capitali, delle mandate (spedizioni di merci), dei provesnegini (relativo al movimento di cassa in valuta di Provins); per le compagnie fiorentine del Trecento il numero e la varietà dei libri ricordati sono anche maggiori: così, ad esempio, per la compagnia dei Del Bene, oltre al libro nero, nel quale accanto ai conti dei soci e del personale dipendente si riassumono le risultanze degli altri libri, troviamo conservati o ricordati varî quaderni di ricordanze, il libro delle compravendite, il libro dell'entrata e uscita di cassa in contanti, quello delle "recate" (spedizioni di panni), i quaderni delle spese minute, di Francesco del Bene proprio (conto privato), del fondaco; e finalmente i quaderni dei tintori e degli assettatori, che fanno pensare a un principio di contabilitâ industriale, distinta da quella commerciale.
Per questi libri delle grandi compagnie fiorentine del Trecento si è discusso e si discute se la contabilità fosse tenuta a scrittura semplice o a scrittura doppia, giungendo, almeno da parte degli studiosi più prudenti e autorevoli, alla conclusione che in essi comincino ad apparire alcune delle caratteristiche della scrittura doppia, con la ripetizione della stessa scrittura in due o più conti diversi, e con l'impianto di conti intestati non solo a persone, ma anche a cose; ma che manchi ancora quella che è la caratteristica fondamentale della scrittura doppia, la perfetta corrispondenza cioè dei conti accesi a due serie di oggetti equivalenti nella loro somma, in modo che nella registrazione delle mutazioni attive e passive sia costante l'uguaglianza fra addebitamenti e accreditamenti.
Esempî indiscutibili di scrittura doppia, dopo il già ricordato libro genovese del massaro del 1340 e forse dopo il libro piacentino del 1356, non s'incontrano, nella forma più completa di sviluppo, che nei libri commerciali veneziani della prima metà del Quattrocento. Ma sarebbe assurdo il voler impostare per questo una questione di priorità fra l'una o l'altra delle maggiori città mercantili italiane. I metodi di contabilità non possono considerarsi come la creazione di un inventore geniale; ma devono essere andati perfezionandosi a poco a poco sotto la spinta delle necessità economiche. Il mercante o la compagnia mercantile, che agli affari in proprio univano quelli esercitati con danaro o con merci affidate loro da accomandanti o da partecipanti, dovevano tenere, accanto ai loro conti particolari, tanti altri conti intestati ad altre persone, o a merci, a navi, a viaggi e così via. Dalla molteplicità crescente di questi conti, molti dei quali erano collegati fra loro, dev'essere derivata la necessità di creare fra di essi una concatenazione per cui ciascuno servisse di controllo agli altri. Furono soprattutto le maggiori compagnie commerciali che, per la complessità dei loro affari per il grande numero di fattori e corrispondenti, dovettero assegnare grande importanza alla scelta dei loro contabili, stimolandoli ad affinare il loro ingegno alla scoperta di perfezionamenti, che facessero dei loro libri un sicuro strumento di controllo. Perciò appunto è probabile che uno studio sistematico e completo dei libri di commercio di Francesco di Marco da Prato, i quali costituiscono la serie più ricca e completa che si sia conservata per gli ultimi del Trecento e i primi del Quattrocento, permetta di seguire nei suoi passi successivi quest'opera di perfezionamento, per cui da una forma di scrittura semplice, con frequenti richiami a conti particolari, si passa alla vera e propria scrittura doppia.
A Venezia spettò forse il merito di aver portato il metodo alla sua massima perfezione, non solo dopo il Quattrocento, quando vi s'incontrano i primi mastri e i primi giornali in partita doppia, ma fin dalla metà del Trecento, com'è attestato da numerosi conti isolati, che ci sono rimasti; e ad essa toccò certamente la fortuna per la grande forza di attrazione che il suo mercato esercitava sui mercanti dell'Europa centrale, di essere appunto considerata come la creatrice e la maestra del nuovo sistema, al quale fu dato universalmente alla fine del Quattrocento il nome di "metodo veneziano".
Non vi era mercante di qualche considerazione della Germania meridionale il quale non avesse compiuto in gioventù il suo periodo di tirocinio in Italia, e preferibilmente a Venezia, dove andava per imparare la lingua, gli usi commerciali, il calcolo aritmetico e la tenuta dei libri. Giacomo Fugger, il Ricco, che portò alla sua massima altezza la potenza e l'espansione della grande casa di Augusta, aveva fatto in gioventù un lungo soggiorno a Venezia; e si deve probabilmente a questa sua esperienza l'adozione, nella contabilità della casa madre, del metodo veneziano. Infatti Matteo Schwarz, che fu poi per lunghissimo tempo capocontabile dei Fugger e che lasciò un importante "modello di tenuta dei libri", inviato nel 1514 a scopo d'istruzione in Italia, dopo essersi trattenuto a Milano e a Genova, soltanto a Venezia aveva trovato un mercante, certo Antonio Maria Fior, che si prestasse a insegnargli la contabilità. Ma ritornato nel 1517 ad Augusta, ed entrato al servizio dei Fugger, trova che in quest'azienda il metodo veneziano era già perfettamente applicato, e che egli poteva impararvi molto di più.
Il caso dei Fugger non doveva però essere molto frequente presso le case commerciali tedesche del Cinquecento: così i 38 libri che si sono conservati della "Grande compagnia" di Ravensburg, per gli anni 1474-1517, son tenuti tutti a scrittura semplice. E anche due secoli dopo si manteneva assai diffusa in Germania la contrarietà dei commercianti ad adottare la scrittura doppia.
Veri eredi e continuatori dell'Italia per tutto ciò che riguarda la tecnica commerciale sono invece i Paesi Bassi: Anversa dapprima e poi l'Olanda, dove il sistema italiano si adatta a forme più varie e progredite di attività, e in modo particolare alle operazioni di cambio; e attraverso l'Olanda, oppure direttamente dall'Italia, il nuovo metodo si diffonde nel Seicento anche in Inghilterra e in Francia, dove, per ispirazione dell'autore del Parfait négociant, l'obbligo di una regolare tenuta dei libri trova, prima che in altri paesi, la sua sanzione nella "Ordonnance du commerce" del 1673.
Di pari passo con lo sviluppo e il perfezionamento dell'attività pratica, ma quasi a rimorchio di questa, comincia a farsi strada, dopo il secolo XIII, lo studio teorico della ragioneria, o meglio, per esser più esatti, l'esposizione metodica dei sistemi già entrati nell'uso, per la tenuta dei libri. Per lungo tempo lo studio della contabilità è considerato come una parte o un'applicazione dello studio dell'aritmetica. La lunga serie delle opere di questo genere s'iniziò col famoso Liber abaci di Leonardo Pisano (1202), considerato come il padre della computisteria, al quale seguono, nei secoli successivi, numerosi trattatelli di aritmetica, algebra e geometria, in molti dei quali è dedicata una particolare attenzione all'aritmetica commerciale e si offrono esempî tratti evidentemente dalla pratica contabile.
A questa categoria di opere appartiene appunto la Summa de arithmetica, geometria, proportioni et proportionalità di fra Luca Pacioli di Borgo S. Sepolcro, stampata per la prima volta a Venezia nel 1494, la quale in una delle sue parti (Distinctio IX, Tractatus XI: De computis et scripturis) espone appunto, in forma sistematica el modo de Vinegia. Questa parte della sua opera, che assicurò al Pacioli la gloria di essere stato "il primo scrittore di ragioneria" (poiché non risulta documentata l'ipotesi che l'opera del Cotrugli, raguseo, stampata nel 1573, risalga a un secolo innanzi), fu ristampata molte volte a Venezia nel sec. XVI, offrì occasione a rifacimenti, e, tradotta in molte lingue, fu diffusa in tutta Europa.
Anche in Olanda e in Francia la nuova dottrina entrò dapprima per mezzo di una traduzione di Luca Pacioli, fatta nel 1543 quasi letteralmente da Jan Ympyn, in francese e in fiammingo, e corredata di nuovi esempî che son desunti dalla pratica dei mercanti di Anversa (quasi esclusivamente, dai libri della ditta italiana degli Affaitati). Ma in Olanda si sviluppò subito una vita propria rigogliosa nel campo della ragioneria, non solo pratica, ma anche teorica. L'opera che apre la strada è quella di Nicolaus Petri van Deventei, pubblicata nel 1588; ma il più noto dei maestri olandesi è Simon Stevin, di cui sono famosi gli Hypomneumata Mathematica, pubblicati nel 1605-1608, come sussidio alle lezioni date al principe di Nassau, e che fu il primo a prescrivere che i libri dovessero essere chiusi ogni anno, e non soltanto alla liquidazione dell'azienda come si era fatto fino allora. Nel corso del XVII secolo furono stampate in lingua olandese più di 60 opere di ragioneria, in modo che gli Olandesi furono presi dovunque come modello di esattezza contabile. In Francia invece si moltiplicano, a opera specialmente dei due Savary e dei due Ricard, le pubblicazioni di "manuali del commerciante", in cui le norme di pratica commerciale prevalgono su quelle di ragioneria pura e semplice.
Estendendosi in tal modo a tutti i paesi, che a mano a mano vanno mettendosi in prima linea nella vita degli affari, dall'Olanda alla Francia e all'Inghilterra, dove una traduzione del Pacioli era stata pubblicata già nel 1543, gli studî di ragioneria, i quali conservano un carattere descrittivo e precettistico, seguitano a muoversi sulle tracce del Pacioli stesso e della pratica italiana del Quattrocento, che essi si limitano a completare e perfezionare.
Le opere di ragioneria comparse nel sec. XVIII in Italia e all'estero non si discostano molto, in genere - se si bada all'ampiezza e al grado di elaborazione della materia trattata - da quelle, già numerose, pubblicate nei due secoli anteriori, dopo il primo notevole scritto conosciuto che va ancora sotto il nome del Pacioli. Esse mirano generalmente a insegnare il modo di comporre le scritture e in specie le scritture doppie, secondo l'uso veneziano o italiano. Spesso offrono pure nozioni brevi ed elementari sugl'inventarî e sui preventivi. Gli autori non si propongono intenti di sistemazione dottrinale, sebbene qualche primo limitato tentativo in questo senso si manifesti in taluni di essi. La materia è quasi interamente svolta per esempî e mediante concrete applicazioni all'amministrazione di aziende commerciali, di conventi o di aziende patrimoniali civili. Le nozioni teoriche, se non esulano completamente dalle trattazioni, sono costrette, di solito, in limiti angusti. La ragioneria, in quelle opere, è soprattutto l'arte di tenere i conti.
Fin da prima del sec. XVIII la vita economica delle aziende aveva raggiunto manifestazioni vaste e complesse: basti pensare alle grandi imprese, italiane e straniere, che, divise in numerose sezioni o fattorie distribuite nei più lontani paesi, anche fuori d'Europa, si svolgevano spesso nel combinato esercizio di affari di banca, d'industria e di commercio, per somme cospicue; basti ricordare le compagnie inglesi, olandesi e francesi che esercitavano il commercio con i paesi dell'Estremo Oriente.
L'organizzazione e il governo di queste aziende avranno, per certo, richiesto lavoro amministrativo non semplice né ristretto: ma di questo lavoro non si ritrovano che pallidi riflessi nelle opere di ragioneria di quei secoli, volte quasi esclusivamente - come si è detto - a insegnare il modo di comporre le scritture contabili.
La scrittura doppia, ormai diffusamente usata nelle amministrazioni private e in qualche amministrazione pubblica, era, più di ogni altra scrittura contabile, trattata nelle opere che durante il sec. XVIII venivano pubblicandosi in Francia, in Inghilterra, in Germania e in altri paesi. Ma non mancava di essere illustrata anche la scrittura semplice, già spiegata da Giovanni Antonio Tagliente, veneziano, nel suo Luminario di aritmetica: scrittura semplice (s. l. 1515 circa). Parla di detta scrittura Giacomo Della Gatta, nel volume Nuova pratica di aritmetica mercantile pubblicato a Napoli nel 1774. Verso la fine del sec. XVIII, e precisamente nel 1796, Edward T. Jones pubblicò in Inghilterra il suo libro English system of bookkeeping, nel quale è esposto uno speciale metodo di scrittura semplice che, se divenne presto noto all'estero, grazie alle traduzioni in italiano, in francese e in tedesco, non riuscì ad affermarsi nella pratica. Le scritture camerali, già usate sin da epoca anteriore al sec. XVIII, specialmente in Austria, presso le aziende pubbliche, vennero primamente illustrate in una notevole opera comparsa a Vienna nel 1762 e dovuta a Mathias Püchberg (Einleitung zu einem verbesserten Kameral-Rechnungsfusse, auf die Verwaltung einer Kameral-Herrschaft angewandt).
I tipici caratteri più sopra brevemente rilevati e comuni - come abbiamo detto - a quasi tutte le pubblicazioni comparse fino al termine del sec. XVIII, si ritrovano pure nella maggior parte delle opere stampate nei primi decennî del sec. XIX. La tenuta delle scritture contabili forma ancora l'unico o il principale oggetto delle trattazioni. Meno limitata, tuttavia, e sempre più notevole si fa la tendenza ad ascendere verso costruzioni teoriche; oltre lo scopo strettamente pedagogico o professionale, si rivela, con crescente chiarezza, lo scopo scientifico, come appare in opere quali quelle di N. D'Anastasio (La scrittura doppia ridotta a scienza, Venezia 1803), di E. Degranges figlio (La tenue des livres ou nouveau traité de comptabilité générale, Parigi 1818, e successive edizioni), di L. G. Crippa (La scienza dei conti, voll. 2, Milano 1838-40), di H. Vannier (La tenue des livres, Parigi 1844) e di altri autori. La teorica del conto, che in rudimento può ravvisarsi in qualche opera dei secoli passati, forma oggetto di trattazione non ristretta e di discussione fra autori di tendenze discordanti. Particolarmente notevole è l'opera del Crippa che, in un'epoca nella quale la personificazione dei conti era generalmente accolta nella dottrina, affermava che nei conti "l'oggetto prevalente in vista è sempre quello della quantità e del valore materiale delle cose".
Accanto alla scrittura doppia italiana, esposta da numerosi autori, specialmente in Italia e in Francia, si studiano nuovi metodi di scrittura doppia, che non incontrano però larghi e durevoli consensi nella pratica e neanche nella dottrina, si trattano le scritture semplici e quelle camerali: queste ultime sono sempre particolarmente coltivate in Austria e in Germania. Nel principio del secolo, Degranges, padre, parla per la prima volta della scrittura doppia a giornale-mastro (nota sotto il nome improprio di scrittura a metodo americano) nel Supplément à la Tenue des Livres rendue facile, pubblicato a Parigi nel 1804. Fra i metodi speciali di scrittura doppia, propugnati in opere comparse all'estero, nella prima metà del sec. XIX e anche più tardi, ricordiamo, in Francia, i metodi Battaille (1834), Quiney (1839), Besson e Raspail (1849), Monginot (1867) e Larmigny (1877); in Germania, il metodo Meisner (1805); in Svizzera, il metodo Hugli (1887); in Inghilterra, il metodo Morrison (1862). Un metodo speciale di scrittura doppia può considerarsi la "statmografia" ideata, in Italia, dal Pisani (1886).
Specialmente nella seconda metà del sec. XIX si ha un fiorire di opere che portano, verso la fine dello stesso secolo, gli studî di ragioneria a un notevole grado di elaborazione scientifica; il progresso appare tanto più considerevole se si pensa al lento procedere di quegli studî, negli ultimi tre secoli anteriori al XIX. La materia delle trattazioni di ragioneria non si limita più alle scritture contabili, pur facendo a queste posto relativamente largo. F. Villa, nei suoi due lavori assai apprezzati: La contabilità applicata alle amministrazioni private e pubbliche e Elementi di amministrazione e di contabilità, comparse in prima edizione rispettivamente nel 1840 a Milano e nel 1850 a Pavia, e riprodotte successivamente in più edizioni, dedica non poche pagine agl'inventarî e ai preventivi e svolge, in connessione alle scritture contabili, nozioni attinenti alla gestione delle aziende d'ordine vario, delle quali si occupa. Anche A. Tonzig nel suo Trattato della scienza di amministrazione e di contabilità privata e dello stato (Venezia 1857), se s'intrattiene a lungo sulle scritture contabili, scrive pure non brevemente sugli inventarî, sui bilanci di previsione e sulle svariate forme del controllo economico nelle aziende. Impulso singolarmente vigoroso è però impresso al progredire degli studî di ragioneria, nell'ultimo quarto del secolo XIX, dalle ricerche di G. Cerboni, di G. Rossi, di F. Besta e dei loro seguaci. Grazie a queste ricerche e al dibattito anche vivace che si accende fra gli studiosi delle diverse scuole, la ragioneria s'avvia decisamente verso una prima sistemazione scientifica.
Il Cerboni, distingueva (aderendo a concetti già espressi fin dal 1880 dal Besta, nella sua prolusione La ragioneria, letta presso la R. Scuola superiore di commercio in Venezia, e nel suo Corso di ragioneria generale, pubblicato in litografia a Venezia tra il 1881 e il 1883) l'amministrazione dalla ragioneria: "ufficio caratteristico dell'amministrazione - scriveva appunto il Cerboni (La ragioneria scientifica e le sue relazioni con le discipline amministrative e sociali, Roma 1886, I, p. 59) - è quello di operare, ufficio caratteristico della ragioneria è quello di illuminare l'amministrazione acciò essa operi nel miglior modo possibile, l'una essendo volta all'azione, l'altra al ragionamento". In particolare, il Cerboni assegnava alla ragioneria, come oggetto teoretico, "lo studio delle leggi che governano le aziende, sia considerate in sé medesime, sia riguardate in relazione con tutte le altre e come scopo pratico, le norme con cui le aziende debbono essere organizzate, governate e dirette perché raggiungano il loro fine" (op. cit., p. 76).
Secondo il vasto disegno di questa definizione, potrebbe rientrare nel campo della ragioneria lo studio dell'organizzazione, della gestione e delle rilevazioni contabili e statistiche di azienda. Ma nello svolgimento della materia il Cerboni riconduce lo studio delle funzioni dell'amministrazione economico-aziendale, volto alla determinazione delle leggi che governano le aziende, allo studio di dodici funzioni divise in tre gruppi riguardanti, rispettivamente, le funzioni iniziative, le funzioni di gestione esecutiva e le funzioni conclusionali. Le funzioni di gestione sono ridotte all'accertamento, alla riscossione e alla destinazione dei redditi e all'impegno, alla liquidazione e preparazione al pagamento e al pagamento delle spese. Lo studio della gestione e delle relative leggi che governerebbero le aziende o secondo le quali le aziende si esplicherebbero e si regolerebbero, non potrebbe esaurirsi e neanche in notevole parte effettuarsi con l'esame delle enumerate funzioni.
I problemi di organizzazione riguarderebbero - secondo la classificazione del Cerboni - le funzioni iniziative: nella realtà essi possono presentarsi in qualunque momento della vita dell'azienda intimamente connessi, in genere, ai problemi di gestione. Nell'opera del Cerboni e della sua scuola, in ogni modo, i detti problemi non appaiono trattati e nemmeno validamente impostati.
Per quanto riguarda la rilevazione, il Cerboni fu il principale propugnatore della cosiddetta "teoria personalistica" dei conti, secondo la quale tutti i conti dovrebbero intendersi accesi a persone. La personificazione dei conti era stata accolta - ma più che altro come espediente didattico e come utile finzione - dalla maggioranza degli autori anteriori al Cerboni. Questi però - e prima di lui altri minori rappresentanti della teoria personalistica, fra i quali F. Marchi (I cinquecontisti, Prato 1867) - vollero riconoscere fondamento scientifico alla suddetta personificazione.
Nel campo dei metodi scritturali, il Cerboni ideò la logismografia (v.), la quale non si discosta dai principî fondamentali della vecchia scrittura doppia, ma classifica simultaneamente i "fatti amministrativi" in diverse coppie di aspetti, anziché in una sola coppia, nell'intento - raggiunto però solo nominalmente - di rilevare gli effetti specifici, giuridici ed economici dei fatti stessi. La logismografia trovò qualche applicazione nel passato; ma da tempo ormai non è più usata nella pratica.
Fra i seguaci della scuola cerboniana è particolarmente notevole G. Rossi anche per la sua elaborazione della "teoria matematica" del conto (Trattato dell'unità teoretica dei metodi di scrittura in partita doppia, Reggio Emilia 1895). Questa teoria, che si risolve in infeconde applicazioni di operazioni matematiche ai conti, considerati come grandezze astratte, senza alcun riguardo alla varia natura economica dei valori in essi accolti, non ha, giustamente, trovato fortuna tra gli studiosi. Né il Cerboni né i suoi seguaci parlarono delle rilevazioni statistiche di azienda.
Confini meno ampî di quelli assegnati dal Cerboni, attribuiva alla ragioneria F. Besta. Non tutta l'amministrazione economica ma solo una parte di essa potrebbe - secondo il Besta - essere utilmente studiata dalla ragioneria. Il sistema dei fatti della gestione è tanto vario - secondo il suo pensiero (La ragioneria, I, p. 41) - da non poter essere convenientemente studiato da un'unica scienza. La ragioneria, supponendo "noti i modi in cui la gestione nelle innumerevoli aziende procede", dovrebbe occuparsi unicamente del controllo economico, ossia di "quella parte dell'amministrazione per cui tutto il lavoro economico si rileva e si studia nelle sue cause e nei suoi effetti, al fine di poterlo con fondata conoscenza dirigere e si stimola e vincola di guisa che abbia in tutto a procedere in quei modi i quali o dall'autorità eminente o da altri per delegazione sua diretta o indiretta, furono riconosciuti più vantaggiosi e come tali preferiti" (op. cit., I, p. 114). Secondo la concezione del Besta, dunque, rientrerebbe nel campo della ragioneria, ossia del controllo economico, lo studio delle registrature, degl'inventarî, dei rendiconti, dei preventivi e in parte lo studio dell'organizzazione, in quanto questa miri a stimolare e a frenare il lavoro economico. Resterebbe interamente fuori, invece, lo studio della gestione.
Nella sua opera magistrale, il Besta delineò lucidamente la teorica del conto, dei metodi e dei sistemi di scritture, pervenendo, in questa materia, a una costruzione che può considerarsi la più rigorosa, la più sistematica e la più aderente alla realtà economica fra le elaborazioni dottrinali della stessa materia da parte di autori anteriori o contemporanei al Besta, sia in Italia sia all'estero. Il Besta criticò acutamente la teoria dei conti tutti personali e la logismografia ideata dal Cerboni, liberando definitivamente la teorica delle scritture di conto dalle mal resistenti sovrastrutture pseudo-giuridiche che concorrevano, per certo, ad allontanare l'indagine scientifica dallo studio del contenuto economico dei conti.
La teorica della scrittura doppia formulata dal Besta non si discosta, per quanto concerne la determinazione e la classificazione dei valori di conto, dalla teorica della scrittura doppia fondata sulla personificazione di tutti i conti: se si abbandona - vogliamo dire - l'artifizioso riferimento di ogni conto a persone fisiche o giuridiche, il sistema delle scritture si presenta, con l'una o l'altra teorica, identico. Il Besta, tuttavia, ebbe il merito non piccolo di orientare particolarmente lo studio delle scritture verso il campo economico a esso appropriato e di richiamare l'attenzione sullo studio dei valori, troppo trascurato, invero, dalle teoriche "personalistiche" o "matematiche" del conto. Le pagine riguardanti la determinazione dei valori di conto sono tra le più feconde che il Besta abbia scritto, sebbene nella dottrina che doveva continuare l'opera del Besta abbiano, per lungo tempo, trovato svolgimento relativamente ristretto.
Il Besta e il Cerboni, pur nel confronto con gli stranieri, possono considerarsi fra i primi autori che portarono negli studî di ragioneria, il metodo scientifico.
Oggetto diverso da quello assegnato dal Cerboni e dal Besta, attribuiva alla ragioneria L. Gomberg (russo di nascita, già professore nella scuola superiore di studî commerciali di San Gallo in Svizzera) in diversi suoi scritti comparsi verso la fine del sec. XIX e in questo stesso secolo. Secondo il Gomberg, la ragioneria (Verrechnungslehre) costituirebbe una parte dell'economia privata (Einzelwirtschaftslehre); essa non studierebbe, quindi, tutta l'amministrazione economica né le norme secondo le quali le aziende dovrebbero essere organizzate, governate e dirette. Ma neanche si occuperebbe precipuamente dell'attività volta al controllo economico o della rilevazione del patrimonio e delle sue variazioni o della tenuta dei conti, in generale. La ragioneria mirerebbe a studiare, nelle sue cause e nei suoi effetti, i mutamenti valutabili in moneta, che si producono nella sfera dell'attività economica di una persona fisica o giuridica e a controllare questa attività. Essa si proporrebbe di illuminare - come si esprime il Gomberg - con i giudizî di valore (Werturteil) lo svolgimento dell'economia privata, nella sua coerenza causale. Solo con i lumi della ragioneria potrebbero risolversi i problemi di convenienza economica nell'azienda. I giudizî di causa, di effetto e di convenienza economica verrebbero formati e rappresentati - secondo quanto gli scritti del Gomberg lasciano intendere - mercé la rilevazione contabile nelle sue comuni forme [v. La science de la comptabilité et son système scientifique, Ginevra 1897; Grundlegung der Verrechnungswissenschaft, Lipsia 1908; L'économologique (science comptable) et son histoire Ginevra 1912]. Che la contabilità possa cogliere le cause e gli effetti dei fenomeni rilevati, non sembra credibile se si pensa all'interdipendenza e ai complessi e molteplici rapporti immediati e mediati che avvincono, nel sistema dell'azienda, operazioni simultanee e successive. Alla formazione dei giudizî di convenienza economica, la rilevazione contabile, da sola, offre poi di solito fondamento del tutto insufficiente. A ben guardare, il Gomberg, pur assegnando nominalmente alla ragioneria, oggetto diverso da quello pensato dal Besta, non si discosta poi, almeno sensibilmente, da questo autore nello svolgimento della materia.
L'opinione che l'amministrazione economica dell'azienda, nella sua vitale unità, non potesse costituire oggetto di una disciplina sola e unitaria, concorse a determinare la limitazione della ragioneria alla materia del controllo economico, nel senso dato dal Besta, e la quasi generale trascuranza, da parte dei cultori delle discipline economico-aziendali, dello studio della gestione intesa come attività coordinata e organica diretta al raggiungimento dei fini dell'azienda. Accanto a quello della ragioneria venne coltivandosi, è vero, lo studio della tecnica commerciale: ma questo, piuttosto che all'esame dell'economia della gestione, si volgeva alla descrizione di tipiche operazioni o condizioni o parti di operazioni, inerenti specialmente all'esercizio del commercio e della banca, considerate al di fuori di particolari coordinazioni di gestione. Questa descrizione, pur tanto utile per chi si approssimi allo studio della gestione, non poteva, certo, lasciar intendere, da sé, lo svolgimento della gestione stessa, la vita dell'impresa.
Così, la ragioneria che doveva svolgersi - secondo il pensiero del Besta - supponendo "noti i modi in cui la gestione procede" nelle aziende e quindi sul fondamento di una non superficiale conoscenza di questa, andò elaborandosi indipendentemente dallo studio della gestione; la quale, poi, nella sua unità, non era neanche studiata dalla tecnica. Nel campo della rilevazione contabile, l'elaborazione dottrinale dissociata dallo studio dei sistemi di conti e della gestione, tendeva a cadere nel simbolismo vuoto di ogni specifico contenuto; faceva trascurare l'indagine sulla materia varia e complessa dei conti e portava talora a strane elucubrazioni pseudo-scientifiche intorno ai fondamenti della contabilità, come quelle - per citare un tipico esempio recente - di E. De Fages (Les concepts fondamentaux de la comptabilité, Parigi 1924, 1933) a ragione condannate da Ch. Panglaou (Introduction à la technique comptable, Parigi 1929) e da altri autori francesi che negli ultimi anni hanno portato contributi di acuta critica alla teoria delle scritture contabili.
Ma il bisogno di studiare l'azienda nel suo svolgimento economico unitario non poteva mancare di farsi sentire, nel progredire di ricerche che miravano, in definitiva, a illuminare la vita dell'azienda, nel suo vario e mutevole divenire. Col progredire della tecnica, intanto, e con l'intensificarsi dei traffici nazionali e internazionali, la vita dell'azienda diveniva sempre più complessa. Le imprese accrescevano le proprie dimensioni e molte si riunivano in potenti gruppi. Sempre più vivo si faceva il bisogno di abbandonare l'empirismo e di studiare razionalmente i problemi economici che l'organizzazione e la gestione delle aziende andavano presentando. La rilevazione contabile, pur affinata nelle molteplici applicazioni, si rivelava insufficiente a dare gli svariati lumi necessarî all'amministrazione economica consapevole. Nelle aziende più vaste la rilevazione statistica andava affermandosi accanto a quella contabile.
In Germania, specialmente nel dopoguerra, si diffuse, sotto il nome di Betriebswirtschaftslehre e con particolare indirizzo, lo studio della gestione, soprattutto delle imprese industriali. Ma più che dell'impresa, come unità economica operante a fine di lucro, la Betriebswirtschaftslehre sembra occuparsi - almeno secondo il pensiero e l'interpretazione di noti autori tedeschi, come E. Schmalenbach (Dinamische Bilanz, Lipsa 1931), A. Hoffmann (Wirtschaftslehre der kaufmännischen Unternehmung, Lipsia 1932), W. Rieger (Einführung in die Privatwirtschaftslehre, Norimberga 1928), ecc. - dell'esercizio o degli esercizî tecnici, mercé i quali l'impresa si realizza e pare studiarne l'efficienza tecnica o la convenienza rispetto all'economia collettiva, più che l'efficienza economica rispetto all'imprenditore. L'economicità (Wirtschaftlichkeit) che la Betriebswirtschaflslehre ricerca nell'impresa, sembra identificarsi con la "razionalità tecnica" o, almeno nominalmente, con la convenienza economico-sociale, piuttosto che con la convenienza economico-privata. In ogni modo, la rilevazione contabile, secondo le consuete forme, da tempo note nella dottrina, sarebbe per gli studiosi tedeschi, cultori della Betriebswirtschaftslehre, strumento sufficiente per la formazione dei giudizî di "economicità" da essi ricercati.
L'indirizzo della Betriebswirtschaftsiehre è criticato, anche in Germania, da varî autori che pongono in rilievo come esso non porti verso la conoscenza dell'economia dell'impresa. Alla Betriebswirtschaftslehre viene contrapposta da autori tedeschi e svizzeri la Privatwirtschaftslehre (economia privata) la quale, relativamente alle imprese, studierebbe non tanto l'esercizio tecnico, quanto la complessa economia della gestione.
Ma l'opportunità di studiare l'azienda, quale essa si presenta all'indagine scientifica, come "coordinazione unitaria di elementi transitorî", e di non arrestarsi all'analisi dei fenomeni aziendali astratti dal complesso nel quale essi hanno vita, lasciando nell'ombra i rapporti e le coerenze che pur fanno parte della realtà economica e dànno individualità ai fenomeni stessi, è stata acutamente percepita ed è ormai da anni affermata con successo, negli scritti e nell'insegnamento superiore, da G. Zappa in Italia (Tendenze nuove negli studi di ragioneria, Venezia 1926; La determinazione del reddito nelle imprese commerciali, Roma 1920-1929).
L'economia delle aziende costituisce il comune oggetto delle ricerche iniziate dallo Zappa e dalla scuola che a lui fa capo: rientra nel vasto campo d'indagini lo studio della gestione e della organizzazione dell'azienda e quello delle molteplici rilevazioni che sotto particolari aspetti illuminano la vita dell'azienda stessa. In un certo senso può dirsi che la materia formante oggetto della "economia aziendale" sia la stessa che già era studiata dalla ragioneria e dalla tecnica commerciale. Ma non deve credersi che l'economia aziendale, com'è intesa dallo Zappa, si risolva nel semplice accostamento delle ricerche coltivate in passato dalle due ricordate discipline; accostamento, del resto, che non potrebbe precludere la via alla specializzazione, nello studio dei problemi riguardanti particolarmente la gestione, l'organizzazione o la rilevazione. Occorre ricordare che la tecnica commerciale - come più sopra si è detto - non studiava propriamente la gestione dell'azienda, ma descriveva gli elementi delle coordinazioni aziendali, considerati al di fuori delle coordinazioni stesse; essa non entrava, di solito, nelle indagini riguardanti la composizione di quegli elementi in sistema e concernenti l'economia del complesso, sebbene questo offra fenomeni - come osserva lo Zappa (La determinazione del reddito, p. 332) - "non percettibili alla sola analisi degli elementi". Analoga considerazione può farsi relativamente allo studio dell'organizzazione.
Per quanto riguarda, infine, la rilevazione, il suo studio, in aderenza a quello della gestione e dell'organizzazione dell'azienda, fa comprendere come le scritture di conto, e in specie quelle sistematiche, non possano in ogni aspetto rilevare la gestione nel suo mutevole divenire né possano adeguatamente offrire le troppo svariate conoscenze a esse spesso vanamente richieste, se non altro in quanto sfuggono alla rilevazione di conto molteplici relazioni non suscettibili di espressione quantitativa; allontana dalla fallace attribuzione a risultati palesati dalle scritture contabili di significazioni che nella realtà non hanno; conduce a ricollegare la teoria del conto a quella dei sistemi, sottraendola così al simbolismo e alle formali costruzioni che la materia del conto non lasciano percepire; schiude finalmente, all'indagine, il ricco campo delle rilevazioni statistiche d'azienda, atte a integrare efficacemente le scritture contabili, come strumento di controllo economico.
Come disciplina, l'economia aziendale - secondo il contenuto a essa attribuito dallo Zappa e dalla sua scuola - si differenzia dalla ragioneria cerboniana e gomberghiana, dalla ragioneria come scienza del controllo economico e dalla tecnica commerciale a carattere descrittivo e infine dalle Betriebswirtschaftslehre dei Tedeschi, non tanto nella materia oggetto di studio, quanto nell'indirizzo dello studio stesso. Se si bada, però, che il nuovo indirizzo porta a considerare la materia anche sotto nuovi particolari aspetti e se si ritiene che col mutare dell'aspetto nel quale dati fenomeni si contemplano muta l'oggetto della disciplina che di quei fenomeni si occupa, può pure dirsi che l'economia aziendale abbia oggetto proprio, diverso da quello delle discipline sopra menzionate. Essa rappresenta, il naturale sbocco o una fase della naturale evoluzione degli studî di ragioneria e di tecnica commerciale.
Bibl.: Per la storia della ragioneria in generale: P. Bariola, Storia della ragioneria italiana, Milano 1897; C. Brambilla, Storia della ragioneria italiana, Milano 1901; R. Brown, A history of accounting and accountants, Edimburgo 1905; F. Besta, La ragioneria, 2ª ed., con la collaborazione di V. Alfieri, C. Ghidiglia, P. Rigobon, Milano s. a. (I, 1ª ed., 1891, 2ª ed., con aggiunte e correzioni, 1909; questo e i due volumi successivi ebbero parecchie ristampe fino al 1921); E. Lucchini, Storia della ragioneria italiana, in G. Massa, Trattato completo di ragioneria, XII; Storia e bibliografia, Milano 1907 (in appendice alla Storia del Lucchini, rifacimento delle opere del Bariola e del Brambilla, è ristampato l'importante Elenco cronologico degli scrittori di ragioneria con le rispettive loro opere dal 1202 sino al 1860, già pubblicato a Roma nel 1889 per cura del Ministero del tesoro, sotto la direzione di G Cerboni); B. Penndorf, Die Geschichte der Buchhaltung in Deutschland, Lipsia 1913; W. Sombart, Il capitalismo moderno (capitolo dedicato allo sviluppo teorico della ragioneria sistematica), ed. italiana, Firenze 1925, pp. 251-71.
Sulle edizioni di libri o frammenti di libri commerciali italiani, francesi e tedeschi dei secoli XIII-XV, v. la bibliografia in P. Huvelin, Droit commercial (Les travaux d'ensemble et les sources), in Revue de synthèse historique, VII, dicembre 1903, e in A. Sapori, I libri di commercio dei Peruzzi, Milano 1934, pp. lxv-lxxvii. V. inoltre A. Weitnauer, Venezianischer Handel der Fugger nach der Musterbuchhaltung des Matthaeus Schwarz, Monaco e Lipsia 1934, e G. Astuti, Il libro dell'entrata e dell'uscita di una compagnia mercantile senese del sec. XIII, (1277-1282), Torino 1934 (in Documenti e studi per la storia del commercio e del diritto commerciale, pubbl. da F. Patetta e M. Chiaudano, V).
Fra gli studî di storia della ragioneria fondati sull'esame di questi libri di commercio, v. G. Lanfranchi, Le origini della partita doppia, Ferrara 1891; V. Alfieri, La partita doppia applicata alle scritture delle antiche aziende mercantili veneziane, Torino 1891; P. Rigobon, La contabilità di stato nella repubblica di Firenze e nel granducato di Toscana, Girgenti 1892; H. Sieveking, Aus venetianischen Handlungsbücher, in Schmoller's Jahrbuch, XXV e XXVI, 1901-02; id., Die Handlungsbücher der Medici, ibid. 1906; Aus genueser Rechsungs- und Steuerbüchern, in Sitzungsberichte der R. Akademie der Wissenschaften in Wien (Phil. Hist. Kl.), 1909; A. Ceccherelli, Le scritture commerciali nelle antiche aziende fiorentine, Firenze 1910; id., I libri di mercatura della Banca Medici e l'applicazione della partita doppia a Firenze nel sec. XIV, Firenze 1913; G. Bagliano, Sulla contabilità di stato in Genova, Genova 1911; A. Schulte, Geschichte der grossen ravensburger Handelsgesellschaft, Monaco e Lipsia 1923; C. Leyerer, Aus den ältesten Handlungsbücher der Republik Ragusa, in Zeitschrift für Betriebswissenschaft, 1929; G. Corsani, I fondaci e i banchi di un mercato pratese del Trecento, Contributo alla storia della ragioneria e del commercio, Prato 1922; A. Sapori, La crisi delle compagnie mercantili dei Bardi e dei Peruzzi, Firenze 1926; id., Una compagnia di Calimala ai primi del Trecento, Firenze 1932.
Sugli scrittori di ragioneria dal sec. XIII in poi, oltre all'Elenco cronologico sopra citato, v. bibliografia in G. Reymondin, Bibliographie méthodique des ouvrages en langue française parues de 1543 à 1908 sur la science des comptes, Parigi 1909; C. Calmes, Zur Bibliographie der Buchhaltung, in Zeitschrift für Handelswissenchaften, 1909-1910. V. poi in particolare, E. Jäger, Luca Pacioli und Simon Stevin, Stoccarda 1876; id., Beiträge zur Geschichte der Doppelbuchhaltung, Stoccarda 1874; id., Altes und Neues aus der Buchhaltung, Stoccarda 1899; P. Rigobon, Di G. A. Tagliente veneziano e delle sue opere di ragioneria, in Il ragioniere, 1894; id., Alcuni appunti storico-bibliografici intorno alla partita doppia applicata alle aziende mercantili, in Monografie edite in onore di F. Besta, Milano s. a.; V. Vianello, Luca Paciolo nella storia della ragioneria, Messina 1896; R. Brown, A history of accounting and accountants, Edimburgo 1905; K. P. Kheil, Benedetto Cotrugli Raugeo. Ein Beitrag zur Geschichte der Buchhaltung, Vienna 1906 (trad. it., in Riv. it. di ragioneria, 1906); A. Woolf, A short history of accountants and accounting, Londra 1912; H. Nicklisch, Handwörterbuch der Betriebswirtschaft, Stoccarda 1926-28; L. Gomberg, Histoire critique de la théorie des comptes, Ginevra 1929; D. Murray, Chapters in the history of bookkepeing and accountancy, Glasgow 1930; H. J. Eldridge, The evolution of the science of bookkeeping, Londra 1931; A. C. Littleton, Accounting evolution to 1900, New York 1933; B. Penndorf, Luca Pacioli (trad. dall'ediz. originale italiana del 1494 con una Introduzione sulla Ragioneria italiana nei secoli XIV e XV e sulla vita e le opere di Luca Pacioli), Stoccarda 1933 (vol. II di Quellen und Studien zur Geschichte der Betriebswirtschaftslehre, pubbl. sotto la direzione di R. Seyffert).
Ragioneria generale dello stato.
È organo centrale dell'amministrazione finanziaria dello stato italiano. Fu creata con legge 22 aprile 1869, n. 5026, per iniziativa del ministro Cambray-Digny e posta alla diretta dipendenza del ministro delle Finanze. Il suo compito venne così definito: "descrivere e tenere in evidenza, pure in via riassuntiva, tutti i fatti economici e finanziari che si vanno svolgendo nella grande azienda dello Stato, tanto per ciò che riguarda il movimento del patrimonio demaniale e delle sue rendite, quanto per ciò che riguarda l'esazione delle imposte e il pagamento delle pubbliche spese, per offrire in modo sicuro e pronto al ministro delle finanze di conoscere, direbbesi quasi di giorno in giorno, la situazione finanziaria dello Stato, cioè quanto fu esatto e pagato nei diversi rami delle pubbliche entrate e delle pubbliche spese e quanto rimane a riscuotere e pagare in relazione alle previsioni di bilancio" (relazione Restelli sul disegno di legge). L'istituzione della Ragioneria generale dello stato colmò una lacuna degli ordinamenti preesistenti e rese possibile una distinzione logica e necessaria tra le attribuzioni proprie della Corte dei conti a cui (in sede di controllo preventivo) spetta sindacare e giudicare gli atti predisposti, e quelle dell'amministrazione che li dispone e li attua sotto la propria responsabilità.
La riassunzione metodica e sistematica dei dati relativi alla gestione finanziaria e patrimoniale dello stato ha due aspetti e due fini: uno formale e uno sostanziale. Il primo riflette la necessità di un'ordinata tenuta dei conti dello stato, per la gestione finanziaria e per quella del patrimonio, con un complesso di scritture analitiche e cronologiche presso gli uffici contabili e di scritture riassuntive presso le ragionerie provinciali e centrali e presso la ragioneria generale. Questa stabilisce le forme di scritture da tenersi presso le ragionerie centrali, alle quali spetta, a lor volta, di trasmettere alla ragioneria generale i conti periodici e tutti gli elementi e le notizie che le possano occorrere per i suoi compiti. Per tali scritture, una lunga esperienza ha dimostrato che i metodi più noti e più sperimentati presso le aziende private male si addicono ai conti dello stato e, per la complessità della materia amministrativa, rendono complicata e tardiva la resa dei conti. Così si dimostrarono di scarsa utilità sia il sistema di conti col metodo della partita doppia, più volte modificato, sia il metodo logismografico (v. logismografia), ideato dal Cerboni. In sostanza, tali metodi scritturali, pure presentando non scarsi pregi teorici, non rendevano tuttavia possibile di rilevare e riassumere speditamente gli elementi necessarî per la preparazione del rendiconto annuale. Il sistema attuale, basato su scritture elementari tenute dai varî uffici, è, invece, risultato idoneo anche di fronte a eccezionali esigenze, e corrisponde agevolmente all'ampliarsi della materia amministrativa per il progressivo espandersi dell'attività dello stato; consente, poi, quella sollecita resa dei conti che fa annoverare l'Italia fra i paesi che con maggiore speditezza sono in grado di documentare i risultati della gestione statale.
Alla tenuta formale dei conti si unisce poi la vigilanza sostanziale e di merito. Questa si attua essenzialmente: a) con la preparazione del bilancio di previsione per ogni esercizio finanziario; b) con il riscontro, durante l'esercizio, per ottenere che la gestione finanziaria e patrimoniale, sia condotta nei modi più economici e proficui; c) con l'esame preventivo di progetti, proposte e iniziative che comunque determinino, o possano determinare, effetti finanziarî non previsti o regolati da norme precedenti; d) con l'esame dei provvedimenti riguardanti il personale dipendente dallo stato, per sorvegliarne la consistenza numerica e per mantenere la necessaria uniformità nei trattamenti relativi con le diversità inerenti alle diverse categorie, tanto in attività di servizio, quanto in quiescenza; e) con l'esercizio della facoltà ispettiva, in base alla quale sono eseguite verifiche e indagini presso tutti gli uffici o servizî che abbiano gestione finanziaria o attribuzioni contabili, per assicurare che la gestione sia condotta regolarmente e che i compiti prescritti abbiano esatto adempimento; f) con l'intervento nell'emanazione di tutte le norme che disciplinano presso le varie amministrazioni il funzionamento dei rispettivi servizî per quanto riguarda la gestione amministrativa, l'ordinamento dei conti e i riscontri necessarî.
La creazione e lo sviluppo crescente di organi o enti autonomi, comunque estranei alle amministrazioni statali propriamente dette, per finalità di pubblico interesse, e con riflessi finanziarî per lo stato, dà luogo - per la ragioneria generale - a nuove attribuzioni, informate sostanzialmente ai criterî indicati, ma che si svolgono con modalità appropriate all'ordinamento particolare con cui i detti organi ed enti sono costituiti.
I provvedimenti che rientrano negli obiettivi sopra elencati e che abbiano carattere generale sono predisposti direttamente a cura della Ragioneria generale dello stato. Sono tipici esempî al riguardo: la legge sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello stato, e il regolamento generale relativo; l'ordinamento gerarchico del personale delle amministrazioni dello stato; il testo unico di legge e il regolamento concernenti lo stato giuridico e il trattamento economico dei salariati dello stato.
La preparazione annuale del bilancio di previsione offre occasione a un completo esame della situazione finanziaria dello stato, all'analisi delle esigenze dei servizî, alla valutazione del rendimento dei cespiti di entrata, allo studio delle basi e dei modi più opportuni con cui la gestione debba essere condotta, tenuti presenti i bisogni della nazione. Dopo l'inizio dell'esercizio, la Ragioneria generale dello stato segue lo svolgimento della gestione, in relazione al bilancio di previsione approvato per legge e agli eventuali successivi provvedimenti, e le risultanze sono ogni mese regolarmente pubblicate in apposita situazione.
Oltre alla preparazione dei provvedimenti che rientrano nella sua competenza, e a pubblicazioni riassuntive e di studio concernenti i proprî servizî, la Ragioneria generale dello stato cura la formazione dei seguenti documenti finanziarî per ogni esercizio (dal 1° luglio al 30 giugno successivo): bilancio di previsione; situazioni mensili di bilancio; rendiconto generale consuntivo, il quale comprende i risultati, tanto della gestione finanziaria, quanto di quella patrimoniale.
Nell'adempimento di tutti i compiti accennati la Ragioneria generale dello stato segue e applica le direttive e le determinazioni del ministro delle Finanze. La ragioneria generale ha dal 1° febbraio 1923 alla sua diretta dipendenza le ragionerie centrali di tutti i ministeri che, prima dell'avvento del fascismo, formavano parte organica dei ministeri rispettivi.
Fondamentale riforma questa (proposta sin dal 1904 da L. Luzzatti), con cui, affermando l'indipendenza dagli organi controllati degli uffici chiamati ad esercitare il riscontro, è stata efficacemente assicurata la vigilanza costante e metodica, da parte della finanza, e per i fini di sua competenza, del funzionamento dei servizî dello stato.
Diritto comparato. - L'organizzazione propria della Ragioneria generale dello stato in Italia non può trovare che scarsi raffronti in altri paesi, per la diversità dei sistemi finanziarî e amministrativi.
In Francia le attribuzioni della ragioneria generale si trovano, prevalentemente, nella Direction du budget et du control financier costituita nel ministero delle Finanze, con mansioni in precedenza attribuite alla Direction de la comptabilité publique. Detta direzione è incaricata della preparazione delle leggi finanziarie, dell'esame delle domande di stanziamenti trasmesse dai singoli ministeri, della preparazione dei disegni di legge per nuove o maggiori spese, del conto generale dell'amministrazione delle finanze, dello studio delle proposte da sottoporre alle camere e che rechino oneri finanziarî. In Inghilterra talune di quelle attribuzioni possono riscontrarsi nella Treasury alla dipendenza del Chancellor of the Exchequer: alla Treasury, difatti, compete, fra l'altro, il controllo finanziario sugli altri dipartimenti e l'accertamento delle responsabilità relative; la forma delle scritture, la natura e l'estensione dei procedimenti di revisione. Nei riguardi del conto consuntivo, la Treasury ha solo diritto di chiedere al Comptroller and auditor general di procedere a un esame dettagliato di taluni pagamenti o di talune categorie di pagamenti. In Germania non esiste un istituto del genere: lo schema del bilancio di previsione è esaminato dal ministro delle Finanze, a mezzo di apposito comitato; decentrato il controllo preventivo, deferita alla corte dei conti la materia dei conti consuntivi. L'amministrazione finanziaria del Reich ha, peraltro, iniziato un controllo sulle spese impegnate nei singoli ministeri a mezzo di relatori del bilancio (Haushaltsreferenten) ai quali spetta il compito di tutelare gl'interessi finanziarî del Reich e di ottenere l'osservanza delle norme emanate in materia finanziaria dal consiglio dei ministri. Per decisione del gabinetto, in data 13 ottobre 1923, venne concessa al ministro delle Finanze del Reich l'autorizzazione a delegare temporaneamente, presso i diversi ministeri, dei mandatarî ai quali devono essere date su loro domanda, a mezzo dei relatori del bilancio, tutte le informazioni che ritengono necessarie: essi possono ugualmente domandare che tutti i provvedimenti di carattere finanziario non siano presi che col loro consenso e dopo intesa del ministro competente col ministro delle Finanze. Negli Stati Uniti d'America, con la riforma del 1921, venne creato il Bureau of the Budget che fa parte del Ministero del tesoro e il cui direttore è nominato dal presidente della repubblica verso il quale è direttamente responsabile. Alla dipendenza del segretario di stato al Tesoro vi sono due uffici: 1. l'ufficio dei conti e dei mandati (bookkeeping and warrants) che tiene i conti dettagliati e controllati delle entrate e delle spese di tutti i dipartimenti e di tutti gli stabilimenti autonomi ed è incaricato anche della pubblicazione delle situazioni giornaliere e trimestrali del tesoro, delle situazioni mensili del debito pubblico e della situazione annuale delle entrate e delle spese erariali; 2. l'ufficio generale di contabilità (General Accounting Office) che esercita il controllo sull'erogazione dei fondi di bilancio.