Abstract
La ragionevolezza è criterio di valutazione delle decisioni umane alla stregua di principi comunemente consentiti e di una metodologia pur essa condivisa. Nel diritto i principi sono sovente inclusi in costituzioni rigide mentre la metodologia è data da procedimenti sovente normativamente regolati. Un insieme di ragioni ha condotto a considerare la sede privilegiata delle decisioni quella politica e sede privilegiata del controllo di ragionevolezza quella giudiziaria, pur essendo vero che entrambi i fattori ricorrono in ciascuna di esse. Il controllo si svolge attraverso criteri complessi che, senza comprometterne l’effettività, salvaguardino la sovranità della politica nel suo ambito.
Il termine “razionale” si riferisce ad una conoscenza esatta e certa che ha in sé le radici della propria validità. Secondo un’opinione diffusa una tale conoscenza è solo quella analitica, quale che sia l’origine dei concetti analizzati (cfr. diversamente, ad es., Frege, F.L.G., Die Grundlagen der Aritmetik, Breslau, 1884, § 9, 10; Ayer, A.J., Language, Truth and Logik, London, 1946, ch. I, II). L’idea kantiana di una sintesi a priori riaffiora in settori limitati (ad. es., con riguardo alla dimostrazione matematica per “induzione completa”: Poincaré, H., Sur la nature du raisonnement mathématique, in La science et l’hypothèse, Paris, 1968, ch. I), mentre per lo più sembra riassorbita nella problematica dei criteri di controllo di un’ipotesi.
Il termine “ragionevole” si riferisce al punto d’incontro fra un comportamento umano ed una base cognitiva certa o incerta. E, allora, fin dall’inizio ha che fare con la morale e con il diritto, che continuamente valutano il proprio agire presente e passato e quello altrui (Esposito, C., Lineamenti di una dottrina del diritto, 1930, ora in Scritti giuridici scelti, Napoli, 1999, spec. 191 ss.).
Il comportamento umano può essere quello quotidiano ma può anche essere quello del ricercatore scientifico. Non è nuova la notazione per cui qualcosa di giuridico si insinua fin anche nell’epistemologia (cfr. Dewey, J., Metodo logico e diritto, 1924-25; S. Toulmin, The uses of Argument, Cambridge, 1958, p. 7-8, 255; Peczenik, A., On Law and Reason, Dordrecht – Boston – London, 1989, p. 138 ss.; Marinelli, V., Ermeneutica giudiziaria e nomofilachia, in Riv. int. di fil. del dir., 1998, spec. 555). Fa parte, del resto, dei protocolli di una corretta ricerca, un aperto confronto e dialogo, secondo regole “para giuridiche” (cfr. Cantù, P.-Testa, I., Teorie dell’argomentazione – Un’introduzione alle logiche del dialogo, Milano, 2006, p. 97 ss., sul pensiero non solo di Habermas; ma ricordo anche, ad es., Calogero, Calamandrei), che somigliano non poco a quelle del processo.
E, comunque, ove la base cognitiva di un qualsiasi prodotto sia irragionevolmente inaccurata e questo risulti dannoso, sorgono responsabilità giuridiche (Cerri, A., Diritto e scienza: indifferenza, interferenza, protezione, promozione, limitazione, in Comandé, G.-Ponzanelli, G., a cura di, Scienza e diritto nel prisma del diritto comparato, Torino, 2004, p. 365 ss., 3).
La possibilità/probabilità (Pinelli, C., Gli interpreti della Costituzione e le funzioni della teoria costituzionale, in Cerri, A., a cura di, La ragionevolezza nel sapere scientifico ed il suo ruolo specifico nel sapere giuridico, III, Roma, 2007, 167 ss., spec. 176 ss.), che costituisce, in genere, la base cognitiva di una condotta ragionevole, può essere di varia natura. La probabilità “oltre ogni ragionevole dubbio” (beyond a reasonable doubt) è quella delle leggi scientifiche (sui criteri per poterla affermare cfr., ad es., Keynes, J.M., Treatise on probability, 1921, rist. London, 1952; Russell, B., Human Knowledge. Its Scope and Limits, London: George Allen and Unwin; New York, 1948, Chap VII, C), oltreché della prova giudiziaria più esigente, quale si richiede, ad es., ai fini di una condanna penale. Essa esclude solo il dubbio scettico, il dubbio iperbolico (Cartesio). Fuori di queste ipotesi, la prova (non solo) giuridica può esser data anche da una probabilità ampia o prevalente (convincing clarity, preponderance of evidence: cfr. Besso Marcheis, C., Probabilità e prova: considerazioni sulla struttura del giudizio di fatto, in Riv. trim. dir. e proc. civ. 1991, 1119). La prova delle scienze naturali, ovviamente, attiene a proposizioni aperte, quella giudiziaria a proposizioni chiuse (simili a quelle dello storico): ma il rigore è analogo.
La legge scientifica può essere, inoltre, una legge statistica, la quale afferma la probabilità limitata di un evento. Anche una legge statistica è certa, oltre ogni ragionevole dubbio, in questa sua affermazione (Russell, B., Human Knowledge cit., Part V; Mackje, J.L., Truth, Probability and Paradox, London, 1973, 154 ss.), ma non garantisce, nei singoli casi, il risultato che si desidera. Una certezza statistica è la base, ad es., di ogni sistema assicurativo che avvalora sul piano giuridico, quali che sia la relazione (vantaggiosa o svantaggiosa) per ciascuno fra “monte premi” corrisposto ed erogazioni in concreto ricevute. È assai meno una base accettabile di condanne penali, nel cui ambito può avvalorare singoli indizi (Catalano, M., Prova indiziaria, probabilistic evidence e modelli matematici di valutazione, in Riv. dir. proc., 514 ss.), non la prova, che richiede una concordanza singolare di questi (cfr. art. 2729, co. 2, c.c.). La coerenza consolida gli elementi di cui si compone (Peczenik, A., On Law and Reason , Dordrecht-Boston-London, 1989, 4.1.3.) e può avvalorarli tutti insieme, appunto, al di là di ogni ragionevole dubbio.
Il termine “probabile” può esprimere, peraltro, anche solo il grado di convincimento, pur in difetto di una legge statistica che lo convalidi (Russell, B., op. loc. ultt. citt.; Mackje, J.L., op. loc. ultt. citt.). Il mondo delle “scommesse” si muove in questo ambito, che cerca anche, per vie non rigorosamente controllabili, di quantificare (ricordo gli allibratori).
Può esprimere solo una possibilità astratta non convalidata dall’esperienza, come nel lancio della moneta, dei dadi, nell’estrazione delle carte, etc. (Mackje, J.L., op. loc. ultt. citt.).
Non è senza significato la circostanza che solo una probabilità statistica del primo tipo può essere oggetto di rapporto assicurativo (cfr., ad es., Savona, P., Il governo del rischio, etc., Napoli, 2013, 32).
L’uomo, inoltre, deve muoversi ed operare (è ragionevole che operi) anche in un contesto di certezze/incertezze fra loro equivalenti (pur solo al fine di fare esperimenti che consentano di uscire dall’assoluta incertezza), od anche al fine di evitare i danni più gravi dell’inerzia (ricordo l’asino di Buridano, su cui cfr. Abbagnano, N., Storia della filosofia, I, Bari, 1963, 648-49).
La ragionevolezza comprende due componenti essenziali, fra loro interattive. Un nucleo di idee, valori su cui cade il comune consenso, sovente un “consenso per intersezione” (infra, § 2.3) ed una metodologia (Cerri, A., Spunti e riflessioni sulla ragionevolezza nel diritto, in Dir. pubbl. 2016, 2, 625), essa medesima frutto di esperienze consentite e suscettibile di sempre ulteriori sviluppi (Ayer, A.J., Language, cit., Ch. V), che tien luogo del sapere puramente analitico. La metodologia può essere quella del buon senso comune che conduce a prevedere le conseguenze più accessibili di qualsiasi evento o può essere quella più profonda delle discipline scientifiche, che conduce a prevedere conseguenze nascoste. La scienza, del resto, è buon senso raffinato, è stato detto (Schumpeter, J., Capitalismo, socialismo, democrazia, passim).
Oserei dire che, nell’ambito della nostra attuale cultura, per quel che attiene alle proposizioni assertive, la componente valoriale diviene insostenibile ove risulti in contrasto con esiti cognitivi metodologicamente controllati. La componente metodologica, dunque, pur essendo, essa stessa, prodotto di una evoluzione storica, controlla la componente valoriale. Nel campo di proposizioni deonticamente connotate, sembrerebbe invece che sia la componente valoriale a controllare quella metodologica (Cerri, A., op. cit.).
La ragionevolezza, essendo all’incrocio fra conoscenza e prassi, immancabilmente si confronta con qualcosa che appartiene alla volontà, con una decisione. Ciò accade anche nell’atto (responsabile) con cui si enuncia una proposizione assertiva (proposizione deriva da propono; statment ha la medesima radice di statute, di statuo), sia essa di comune esperienza o di livello scientifico. Nella scienza, peraltro, i tempi di decisione sembrano interamente dipendere dalla ragionevolezza: e, cioè, si acquisiscono nuove esperienze e si discute senza limiti di tempo, in un dialogo quasi socratico, fino ad una conclusione condivisa.
Nel diritto non è così: i tempi di decisione, pur dovendo essere ragionevoli, assumono una consistenza più autonoma se non indipendente. Non possiamo discutere in eterno se il “fondo corneliano” appartiene a Tizio o a Caio, pur se persiste il dubbio, altrimenti non appartiene più a nessuno ed è sottratto alla sua funzione produttiva. Non possiamo discutere in eterno se Tizio è colpevole o innocente, altrimenti lo abbiamo già condannato alla pena più atroce, senza averne accertato la colpevolezza. Di qui nascono le regole, prettamente giuridiche, sull’onere della prova.
La convivenza sociale affonda le sue radici nell’utile, oltre che nella giustizia (ad es., Rousseau, J.J., Contratto sociale, Premessa, 2.3., 2.4., 2.6.) e questo si commisura a «lo cammin corto/di quella vita ch’al termine vola».
Nel diritto privato, il fondamento della decisione risiede nell’autonomia e nell’auto-responsabilità della persona.
Il rilievo della ragionevolezza affiora non solo quando difettano le basi di questa autonomia ma anche nella relazione con altre persone o con il contesto sociale complessivo.
Istituti come l’amministrazione di sostegno, l’inabilitazione, l’interdizione, l’annullamento per incapacità naturale (art. 428 c.c.) rispecchiano in prevalenza il primo profilo. E così anche la forma solenne di alcuni atti sollecita un’adeguata ponderazione di persone pur in genere attente nella gestione del proprio patrimonio.
Istituti come la tutela del ragionevole affidamento, l’interpretazione oggettiva del contratto, l’annullamento per dolo od errore, le regole di decisione di entità collegiali, etc. rispecchiano in prevalenza il secondo profilo. La medesima figura del bonus pater familias è carica di questi valori sociali condivisi, al tempo stesso, sostanziali e procedurali (cfr. Betti, E., Interpretazione della legge e degli atti giuridici, Milano, 1949, 62 ss.).
L’operatore economico accorto segue, di certo, una metodologia adeguata nelle scelte produttive ed in quelle conseguenti. Ma tutto ciò è irrilevante per il diritto, ritenendosi strumenti idonei a garantire l’interesse pubblico il medesimo suo interesse privato ed il regime di concorrenza. Questo regime, tuttavia, una volta inteso non come mera virtualità ma come stato effettivo del mercato, va oltre tutto ciò. Significativamente, allora, sono previste procedure di controllo sul corretto svolgersi delle dinamiche di mercato.
In definitiva, il principio di autonomia ed auto responsabilità della persona, largamente condiviso, riassorbe, nel diritto privato, solo in parte quello di ragionevolezza.
Il valore di autonomia si traduce nel diritto pubblico, al tempo stesso, in quello della sovranità popolare e nei suoi limiti (diritti fondamentali).
La sovranità popolare si esercita attraverso procedimenti (legislativo, amministrativo, giudiziario) che veicolano, accanto a valori di partecipazione e di garanzia, anche (immancabili) fattori metodologici.
Se la decisione è adottata a maggioranza, quasi per definizione, si potrebbe dire, non sussiste un consenso universale che possa supportarla; ma neppure sussiste, a fortiori, un consenso universale che possa infirmarla.
Si potrebbe argomentare, allora, nel senso di un generale riassorbimento della ragionevolezza sostanziale in quella procedurale, posto che il principio di maggioranza è, a sua volta, fondato su un comune e ragionevole consenso. Questo sarebbe l’esatto contrario di quel che si era ipotizzato (supra, § 1.2).
In realtà le cose sono non poco più complesse. Esistono limiti al principio di maggioranza, che sono dati non solo da orientamenti giusnaturalistici (de Nitto, A., Le leggi erano ingiuste e Socrate aveva ragione. Divagazioni sulla giustizia costituzionale, in Liber amicorum in onore di Carlo Amirante, Napoli, 2013, 283), ma anche dal rispetto delle regole di valida formazione della delibera collettiva, dal medesimo criterio di saggezza umana per cui una decisione presa prima di conoscerne le ricadute sulla propria persona è più affidabile di decisioni prese per impulso del proprio immediato interesse (Holmes, Rawls), dalla “intensità” delle preferenze non suscettibile di esser misurata con il loro numero (Buchanan, J.-Tullock, G., The calcolus of consent, Ann Arbor Mi., 1962-65), etc. In relazione a ciò si giustificano le “costituzioni rigide”, altrimenti sfida quasi temeraria al tempo ed alla storia.
Ed, inoltre, il medesimo “processo politico”, pur essendo metodologicamente controllato, veicola interessi di apparati pubblici, oltre quelli dei consociati, che ne sono l’argomento. Gli studiosi di “public choice” hanno individuato non poche conseguenti distorsioni: scarsa attenzione alle “minoranze emarginate”, scarsa attenzione per le “maggioranze silenziose”, a vantaggio delle “minoranze intense”, scarsa attenzione alle conseguenze di lungo periodo, rispetto a quelle valutabili nelle scadenze elettorali prossime, distorsioni del cd. “bureaucratic behaviour”, etc. (cfr. Müller, C., Public Choice, II, Cambridge, 1989, trad. it. Napoli, 1997, ed. a curi di G. Gnocchi).
E, infine, nel momento in cui si adotta una decisione, non sempre se ne prevedono tutte le conseguenze e le ricadute nel complesso sistema giuridico e sociale.
È innegabile che il processo politico, per la selezione dei protagonisti, per le procedure attraverso cui si svolge, garantisce, per sé, un elevato livello di ragionevolezza. Ed è probabile che il processo giudiziario non sia privo di opzioni, pur se ciò anche di recente è stato negato ma in modo quasi paradossale, ipotizzando una capacità sovrumana (Hercules) di individuare la «sola soluzione giusta» (Dworkin, R., Taking rights seriously, Cambridge (Massachussetts), 1978; Id., A matter of principle, Cambridge Ma., 1985).
Si può osservare in contrario che il principio di maggioranza significativamente opera anche nei collegi giudiziari (Waldron, J., The Dignity of Legislation, Cambridge, 1999, 143 ss., 152) ed opzioni del giudice sono ammesse (implicitamente) dalla nostra Corte, nella giurisprudenza che concerne, ad es., le leggi interpretative (cfr. anche Cervati, A.A., Il diritto costituzionale europeo e la crisi della dogmatica statualistica, in Diritto romano attuale, 2001, 21 ss.). Lo stesso positivismo, nei suoi sviluppi più attenti, non lo ha mai negato (Kelsen, H., Reine Rechtslehre, Wien, 1960, § 35).
E, del resto, sembra anche innegabile l’osmosi fra elaborazione giurisprudenziale e dottrinale, da un lato, e produzione legislativa, dall’altro, nel senso che questa, oltre ad effettuare scelte a lei riservate, anche consolida le acquisizioni di quella e, dunque, i criteri di ragionevolezza (infra o praeter legem: cfr. Mc Cormick, N., Legal reasoning and legal theory, Oxford, 1978; Rhetoric and the Rule of Law. A Theory of Legal Reasoning. Oxford Un. Press, 2005) facilmente trapassano in requisiti di legalità (Betti, E., L’interpretazione, cit., 131 ss.). Ciò è avvenuto di recente, ad es., con la legge sul procedimento amministrativo che ha codificato non pochi criteri di ragionevole esercizio della funzione la cui inosservanza, secondo la tradizione giurisprudenziale francese ed anche nostra, integrava un vizio di “sviamento, eccesso di potere” (Sala, G., L'eccesso di potere dopo la legge n. 241 del 1990, in Dir. amm. 1993; si veda anche Ragionevolezza [dir. amm.]). L’aequitas rudis precipita nel rigor.
E, peraltro, nel complessivo sistema, si riconosce al processo politico “l’ultima parola” nelle decisioni di pubblico interesse, mentre si riconosce al processo giudiziario “l’ultima parola” sui loro limiti e sulla ragionevolezza medesima (Morrone, A., Il custode della ragionevolezza, Milano, 2001).
La diversità delle procedure di selezione delle persone, il diverso regime giuridico del loro incardinamento negli uffici, i diversi modi di funzionamento degli organi, il diverso modo della partecipazione sociale, la diversa formazione del carattere di chi opera in questi diversi contesti ed altro ancora hanno finito con lo stabilizzare tali ruoli.
Segno visibile di ciò è dato dalla giurisprudenza delle Corti in tema di inammissibilità o di radicale infondatezza di questioni che sottintendano valutazioni politiche proprie del legislatore (cfr., tra le altre, C. cost., 2.6.1977, n. 102; 7.7.2015, n.131, 2.2.2016, n. 19, etc.; Tribe, L.H., American constitutional law, New York, 2000, 365 ss.) o di leggi interpretative, la cui naturale retroattività diviene insindacabile solo quando corrispondano ad effettivi margini di indeterminazione nella normativa previgente, senza esser volte ad interferire con l’esercizio della giurisdizione (cfr., ad es., C. cost., 10.6.2016, n. 132; 12.4.2017, n. 73, etc.; C. eur. dir. uomo, 19.12.1994, Raffinerie greche Stran e Stratis Andreadis c. Grecia, p. 49, serie A n. 301-B; 9.12.1994, Zielinski e Pradal & Gonzalez ed altri c. Francia, p. 57, etc.).
Quando una norma fissa una linea di confine tra due entità indipendenti, resta sempre da stabilire a chi spetti la “competenza delle competenze” nella interpretazione / manutenzione di essa (cfr. Crisafulli, V., Giustizia costituzionale e potere legislativo, ora in Stato, popolo, governo, Milano 1985, 227). Ciò che nel nostro paese avviene in modo misto, attraverso decisioni dei giudici e revisioni costituzionali “mirate” (cfr. Pinelli, C., Il dibattito sull’interpretazione costituzionale fra teoria e giurisprudenza, in Scritti in memoria di L. Paladin, Padova, 2004, III, spec. 1666).
La ragionevolezza è data, come sempre, da criteri di metodo e da un “consolidato” di opinioni condivise, da un “consenso per intersezione” su modelli di comportamento (Rawls, J., Political liberalism, New York, 1993; Peczenik, A., On Law, cit., § 3.3.4., 3.3.5., 5.4.1.), a prescindere dalle diverse premesse da cui sono desunti (Sunstein, C., Designing Democracy, Oxford, 2001; sulle diverse idee di giustizia cfr., ad es., Rae, D., et al., Equalities, Harward Un. Press, Cambridge, Mass., and London, England, 1981; Sen, A., The Idea of Justice, London, 2009, 12, 194 ss.: «plurality of competing impartial reasons»).
I criteri di metodo, nella misura in cui non sono consumati ed assorbiti dalle norme che regolano i procedimenti di formazione (divenendo, così, canone di legalità), consistono nella necessaria ratio di ogni decisione pubblica (Moscarini, A., Ratio legis e valutazioni di ragionevolezza della legge, Torino, 1996), nella corrispondenza fra detta ratio e suo contenuto (cfr. Principio di uguaglianza), nell’adeguata istruttoria e nell’adeguato contraddittorio che deve precederla, etc.
Aree di consenso, norme sostenute da preferenze di particolare intensità, come pure regole procedurali di base sovente si traducono in un testo normativo superiore alla legge ordinaria, pur se, anche ad un livello costituzionale, persiste una circolarità fra testo, coscienza sociale, interpretazione (Corasaniti, A., Note in tema di diritti fondamentali, in, Dir. soc., 1990).
Tutto ciò può, inoltre, conferire a norme esplicite o implicite, costituzionali o legislative un particolare valore espansivo o di resistenza alle deroghe, pur all’interno di un sistema di pari livello formale. Cfr., sul tema, Betti, E., L’interpretazione cit., 316; Dworkin, R., op. cit., 24 ss., 71 ss..; Giannini, M.S., L’interpretazione e l’integrazione delle norme tributarie, in Riv. dir. fin., 1941, II, 99 ss., 103 ss.; Modugno, F., Interpretazione giuridica, Padova, 2012, 433 ss.; Cervati, A., Per uno studio comparativo del diritto costituzionale, Torino, 2009, 171 ss., 181 ss., etc.; Amirante, C., Ragionevolezza e “commercio dei giudici” fra dialogo intersistemico e legittimazione di un’egemonia globale?, in La ragionevolezza cit., II, 215; Cerri, A., Riflessioni aperte sull’origine e sul ruolo dei principi, etc. in Riv. it. sc. giur. 2014, 193; de Nitto, A., Disposizioni sulle legge in generale, in La giurisprudenza sul codice civile, a cura di C. Ruperto, Milano, 2012, 150 ss.).
Si afferma una sorta di gerarchia per valore, in cui affiora la “costituzione materiale” (Bartole, S., Principi del diritto (dir. cost.), in Enc. dir. XXXV, Milano, 1986, 494. ss., spec. 531), che non contraddice, tuttavia, quella formale, dato che ogni fonte può adottare norme che assume derogabili e, dunque, anche avvalorarne alcune rispetto ad altre (Esposito, C., La validità delle leggi, Milano, 1934-1964, 54; Böckenpförde, E.W., Gesetz und Gesetzgebende Gewalt, Berlin, 1981, 321).
In questo contesto può assumere rilievo anche il criterio del cd. “ottimo paretiano” (cfr. Alexy, R., Theorie der Grundrechte, Frankfurt am Main, 1986, 100), per cui una decisione è sicuramente positiva quando accresce il benessere di alcuni senza diminuire quello di altri, badando però a non essere più paretiani di Pareto stesso, come pure sovente è avvenuto. L’illustre economista, di fronte alla nota difficoltà delle “comparazioni interpersonali”, intendeva fissare un sicuro criterio scientifico, non un criterio deontologico (e, del resto, sarebbe assurdo, ad es., non spegnere l’incendio di Roma perché Nerone gode nel contemplarlo: Sen, A., Collective choice e social welfare, San Francisco, 1970, 22). Le comparazioni in effetti avvengono ma sono valutabili solo in sede politica, storica, morale (Hare, R.M., Moral thinking, Oxford, 1981, 87, 117 ss.) non scientifica. Accanto alla massima utilità “di” una collettività, esiste, dunque, una massima utilità “per” una collettività, di cui Pareto stesso si occupa come sociologo (cfr. Cosciani, C., Principi di scienza delle finanze, Roma, 1968, 76 ss.). Oltre a ciò si deve considerare che le soluzioni “pareto ottimali”, anche nel senso più ristretto, sono innumerevoli: vengono rappresentate con una curva, che configura una sorta di frontiera (cfr. Müller, C., op. cit., 43 ss.). E, dunque, detto criterio, comunque, non esclude una scelta pubblica. Però esclude scelte che siano nocive a tutti i consociati (in sede di riparto di competenze fra enti pubblici, ad es., quale che siano i valori di sovranità/autonomia sottesi). Esclude scelte che diminuiscono una qualità del servizio considerato senza accrescerne altre o consiglia il minimo sacrificio dell’una per il massimo accrescimento dell’altra, etc.
Si tratta di un possibile modo di sviluppo dell’argomento dalle conseguenze, per cui deve essere esclusa la soluzione che conduca ad esiti insostenibili (Giuliani, A., Logica (teoria dell'argomentazione), in Enc. dir. XXV, Milano 1975).
Ogni Corte costituzionale ha il suo stilus iudicandi e non è possibile dar conto degli svolgimenti giurisprudenziali di tutte.
La Corte USA muove dall’ipotesi che, all’interno del dato costituzionale, sia possibile individuare almeno due o tre livelli di protezione. Al vertice (preferred positions) sono le norme che tutelano i presupposti di un legittimo processo democratico (libertà di parola, eguaglianza, etc.) che le maggioranze di volta in volta al potere possono regolare con esigua discrezionalità. In ordine a queste fattispecie si afferma uno strict scrutiny, che esige un compelling public interest, la sicura adeguatezza del mezzo e la sua necessità (nel senso il medesimo risultato non potrebbe esser conseguito senza incidere nella detta fattispecie), un restringimento, in questo contesto, delle presunzioni favorevoli alle valutazioni legislative (famosa footnote del giudice Stone, in Un. St. v. Carolene Products Co., 304 U.S., 144, spec. 1522-53, 1938), quando non anche un heavy burden of proof a carico del government (sul free speech: New Yok Times Co. v. Un. St., 403 U.S. 713, 1971; Bentan Books v. Sullivan, 372 U.S. 58, 70, del 1973; sulla razza: Loving v. Virginia, 388 U.S. 1, 1967; Mc Laughin v. Florida, 379 U.S. 184, 1964, etc.).
Si sviluppano, collateralmente, anche ulteriori tests come quello del mezzo meno restrittivo (least restrictive means test) o quello del sovra dimensionamento del mezzo restrittivo rispetto alla sua base legittima (overbreadth test), per cui la norma è censurabile nella sua interezza per ricadute ultronee sul diritto gelosamente protetto, da cui deriva un qualche ampliamento of standing to sue (cfr. Horwitz, M.J., The Warren Court and the pursuit of justice, New York, 1998, 68 ss.).
All’estremo opposto è il generale controllo di ragionevolezza (rational basis test) che esige solo un legittimo scopo e un collegamento non manifestamente incongruo (sufficiently related, substantial relation) fra mezzi e fini, che non sussiste ove lo strumento sia too ineffective: Michael v. Superior Court of California, 450 U.S. 464 del 1981).
Talvolta si accenna ad un livello intermedio di controllo (in tema, ad es., di distinzioni di genere), per cui occorre un important public interest.
Si ricordano anche tests che evidenziano la minimalità o la non pretestuosità del mezzo: properly, narrow tailored, bona fide, fairly related (Powell, in Craig v. Boren, 429, U. S. 190, spec. 197, del 1976; closely related: Michael v. Superior Court of California, 450 U. S. 464 del 1981; Rostker v. Goldberg, 453, U. S., 54, del 1981).
Il quadro delineato sottintende un certo bilanciamento fra principi costituzionali, secondo criteri dati una volta per tutte (definitional balancing: Aleinikoff, Constitutional law in the age of balancing, in Yale law journal, 96, n. 5, apr. 1987, 943). Un bilanciamento ad hoc è, invece, valutato con diffidenza (lochnering, si dice, ricordando criticamente una decisione dei primi del novecento: cfr. Gunther, G., Constitutional law, New York, 1985, 441, ad es.; destructive nihilism: Brennan, in New Yersey v. T.L.O., 469 U.S. 325, 1985; emptiness as methology: Aleinikoff, Constitutional law cit.; can hardly be described as a rule of law: Emerson, T., The system of freedom of expression, New York 1970, 16) ma, di fatto, anche praticato (Pinelli, C., Il dibattito sulla legittimazione della Corte Suprema, in La circolazione dei modelli e delle tecniche del giudizio di costituzionalità in Europa, Napoli, 2006, spec. 36 ss.).
La Costituzione, nella giurisprudenza tedesca, è concepita come tavola di valori (ciò ricorda il filosofo Georg Simmel) gradualmente ordinati, al cui vertice (art. 1, Grundgesetz) è la dignità dell’uomo (Menschenwürde) ed il diritto al pieno sviluppo delle persona (art. 2). Si è discusso se la dignità dell’uomo sia un “assoluto” oppure possa essa stessa subire limitazioni. La legge sull’abbattimento degli arei in mano a terroristi (BVerfGE, 115 Band, 118, 155 ss.), ma anche “provocazioni” dottrinali (come quella delle bomba atomica con timer predisposto per una imminente detonazione) hanno alimentato un dibattito di estremo interesse, che, peraltro, trascende i limiti della presente voce (Luther, J., Ragionevolezza e dignità umana, in La ragionevolezza cit., II, 185).
Si finisce, in genere, con l’individuare tre gradi di protezione dei diritti, a seconda se siano inerenti alla dignità umana, utili al sistema complessivo o semplice espressione di interessi individuali. Ciò vale per la libertà di opinione (Meinungsfreiheit), a seconda che attenga alla religione (compenetrata con la dignità umana), alla scienza o all’arte (garantite oltre la fedeltà alla Costituzione), alla vita politica, alla curiosità umana, come la cronaca rosa, etc.); vale anche per la riservatezza (Intimsphäre, Geheimnissphäre, Privatsphäre). Si ammette talvolta un’incisione lieve in un diritto elevato: cfr., ad es., BVerfGE, 68 Band, 226 (cd. Postkarte Urteil); BVerfGE, 119 Band, 1, 29 ss. (conflitto fra libertà di arte e riservatezza).
Il controllo di costituzionalità, ai livelli più elevati, è stretto, mentre risulta meno esigente ai livelli inferiori. Per quel che attiene all’adeguatezza del mezzo, si distingue, ad es., un Evidenz Kontrolle (BVerfGE, 36 Band, 1, spec. 17; 37 Band, 1, spec. 20; 40 Band, 196, spec. 223, etc.), che censura solo la palese inadeguatezza, un Vertretbarkeitkontrolle (cfr., ad es., BVerfGE, 7 Band, 410), ai livelli intermedi, e Intersievierte Inhaltliche Kontrolle, ai livelli più elevati (BVerfGE, 7 Band, 377 ss., 415; 11 Band, 30 ss., 45; 17 Band 269 ss., 276 ss.; 39 Band, 1 ss., 46, 51 ss.; 57 Band, 139 ss., 152 ss., sull'aborto; 45 Band, 187 ss., 238, etc.). Per quel che riguarda la necessità si distingue un mezzo alternativo all’evidenza (eindeutig) praticabile (ad es.: BVerfGE, 40 Band, 223) o, invece, la prova di una non surrogabilità (zwingend erfordert, geboten): BVerfGE, 34 Band, 239; 50 Band, 290 ss., spec. 331 ss., etc., nell’ottica di una presunzione (Vermutung) ormai non più favorevole per il legislatore (68 Band, 231-32).
Tutto ciò è riassunto e superato nel criterio di proporzionalità (Verhaltnissmässigkeit), che implica adeguatezza, necessità (minimalità), tollerabilità del mezzo e, talvolta, una comparazione quasi continua fra sacrificio di un diritto e protezione di altro (Verhaltnissmässigkeit in engeren Sinne): cfr. Heintzen, M., Il principio di proporzionalità, Modena 2015; Luther, J., Ragionevolezza (delle leggi), in Dig. disc. pubbl., XII, Torino, 1997, 341 ss.; Schefold, D., Porte di entrata della ragionevolezza nella giurisprudenza tedesca, in A. Cerri, a cura di, La ragionevolezza nella ricerca scientifica ed il suo ruolo specifico nel sapere giuridico, cit.; Scaccia, G., Gli «strumenti» della ragionevolezza nel giudizio costituzionale, Milano, 2000, 270 ss.; Sandulli, A., La proporzionalità dell'azione amministrativa, Padova, 1998).
Secondo la giurisprudenza delle nostra Corte costituzionale sussistono “principi supremi dell’ordinamento, non suscettibili di revisione (29.12.1988, n.1146, 23.7.1991, n. 366, 13.1.2004, n. 2) e resistenti anche alla osmosi, pur costituzionalmente consentita, con ordinamenti altri (27.12.1965, n. 98; 1.3.1971, nn. 30 e 31; 27.12.1973, n. 183, 2.2.1982, n. 18, 27.6.1984, n. 180, 21.4.1989, n. 232, etc.).
L’incisione in un diritto costituzionale è possibile solo in base ad altro principio di pari livello (Esposito, C., La libertà di manifestazione del pensiero nell’ordinamento italiano, del 1958, ora in Esposito, C., Diritto costituzionale vivente, Milano, 1992, 109 ss.), nella salvaguardia, comunque, del suo “nucleo essenziale” (15.7.1984, n. 304).
L’incisione deve essere la minima possibile per conseguire lo scopo perseguito e deve essere proporzionale ad esso (tra le altre, 26.3.1969, n. 46; 29.3.1972, n. 59; 21.10.2011, n. 277, etc.).
Il criterio della proporzionalità, nelle sue varie dimensioni, si è affermato anche nella giurisprudenza della Corte UE, mentre il requisito del compelling public interest è stato tradotto, nella giurisprudenza europea, in quello dell’interesse pubblico imperativo (cfr., ad es., C. eur. dir. uomo, 20.2.2003, Forrer-Niederthal c. Germania; C. giust., 16.12.2010, C-89/09).
La ricchezza delle giurisprudenze cui si accennava risulta sacrificata in queste scarne notazioni e, d’altra parte, molte ulteriori esperienze giuridiche potrebbero essere considerate. Ma ciò esulerebbe dai limiti della presente voce.
In questo contesto si è sviluppata una ricostruzione che forse va oltre i suddetti dati giurisprudenziali e vorrebbe essere onnicomprensiva. Essa considera tre fattori (livello del diritto, probabilità di sacrificio, grado di incisione) articolati tutti in tre gradini, convenzionalmente quantificati come 20 (=1), 21, 22. Indicando nel dividendo il diritto inciso (misurato come segue: livello x probabilità x grado di incisione) e nel divisore il diritto fatto valere (analogamente misurato), si può giuridicamente valutare la decisione. Una discrezionalità politica sussiste solo ove il quoziente sia eguale ad uno (cfr. Alexy, R., The Weight Formula, in Stemach, J.-Brosek, B.- Zaluski, W., (eds.), Studies in Philosophy of Law: Frontiers of Economic Analysis of Law, Krakau, 2007, 9 ss.; Klatt, M.-Meister, M., The Constitutional Structure of Proportionality, Oxford Un. Press, 2012).
La tesi è stata radicalmente contestata, come distruttiva del costituzionalismo (Tsakyrakis, S., Proportionality: an Assault on Human Rights?, in International Journal of Constitutinal Law, 2010, 468; Vignudelli, A., Interpretazione e Costituzione, Torino, 2011).
Altri ha proposto critiche delimitate (cfr. Cerri, A., Spunti e riflessioni sulla ragionevolezza nel diritto, in Riv. dir. pubbl., 2016, 625).
Non tutte le prescrizioni costituzionali sono norme di scopo, senza fattispecie (Bin, R., Atti normativi e norme programmatiche, Milano, 1988; Id., Diritti e argomenti. Il bilanciamento degli interessi nella giurisprudenza costituzionale, Milano, 1992), non essendo suscettibile di bilanciamento una prescrizione completa.
Le posizioni più elevate, eccetto il caso di probabilità minima di incisione (anche oltre il principio di precauzione del diritto europeo: cfr. Follieri, F., Decisioni precauzionali e Stato di diritto. La prospettiva della sicurezza alimentare, in Riv. it. dir. pubbl. com.. 2016, 1495) potrebbero essere contemperate solo con altri valori di pari livello.
La tesi unificherebbe forzatamente nello schema di tre gradi la probabilità “epistemica” (supra, 1.) e quella statistica, misurata, secondo una consolidata disciplina, attraverso una scala continua da 0 ad 1. Trascurerebbe il problema della presunzione favorevole alle valutazioni legislative e dell’onere della prova. La prova meno esigente implicherebbe, comunque, una preponderance of evidence e, cioè una probabilità superiore al 50%, non omogenea al riparto in tre gradini, etc.
Fonti normative
Art. 3, Cost.
Bibliografia essenziale
AA.VV., Il principio di ragionevolezza nella giurisprudenza della Corte cost., Atti del seminario tenutosi al Palazzo della Consulta, il 13-14 ottobre 1992, Milano, 1994; AA.VV., La ragionevolezza nel diritto, Torino, 2002; AA.VV., Ars interpretandi - ragionevolezza e interpretazione, Padova, 2002; AA.VV., La ragionevolezza nella ricerca scientifica e nel sapere giuridico, 3 voll., Roma, 2007; Aarnio, A., The Rational as Reasonable, Dordrecht-Boston-Lancaster-Tokyo, 1987; Alexy, R., Legal argumentation and rational discourse, in Riv. int. fil. dir., 1993, 165 ss.; Bin, R., Diritti e argomenti. Il bilanciamento degli interessi nella giurisprudenza costituzionale, Milano, 1992; Cerri, A., Spunti e riflessioni sulla ragionevolezza nel diritto, in Dir. pubbl. 2016, 2, 625; Gianformaggio, L., Logica ed argomentazione nell'interpretazione giurisprudenziale - ovvero i giuristi presi sul serio, in Gentile, G., a cura di, Interpretazione e decisione. Diritto ed economia, Torino, 1989, 29; Giuliani, A., Logica (teoria dell'argomentazione), in Enc. dir., XXV, Milano, 1975, 13 ss.; Lavagna, C., Ragionevolezza e legittimità costituzionale, ora in Ricerche sul sistema normativo, Milano, 1984, 637 ss.; Morrone, A., Il custode della ragionevolezza, Milano, 2001; Moscarini, A., Ratio legis e valutazioni di ragionevolezza della legge, Torino, 1996; Paladin, L., Ragionevolezza (principio di), in Enc. dir. Agg., Milano, 1997, 899 ss.; Peczenik, A., On law and reason, Dordrecht/Boston/London, 1989; Perelman, C.-Olbrechts-Tyteca, L., Trattato dell'argomentazione, trad. it., Torino, 1966; Pizzorusso, A., Il controllo della Corte cost. sull'uso della discrezionalità legislativa, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1986, 797 ss.; Sandulli, A., La proporzionalità dell'azione amministrativa, Padova, 1998; Sandulli, A.M., Il principio di ragionevolezza nella giurisprudenza costituzionale, del 1975, ora in Scritti giuridici, I, Napoli, 1990, 663; Scaccia, G., Gli “strumenti” della ragionevolezza nel giudizio costituzionale, Milano, 2000.