RAI-RADIOTELEVISIONE ITALIANA
. In questo articolo sono trattati particolarmente l'organizzazione amministrativa e nella seconda parte il diritto, mentre per notizie di carattere più specificamente tecnico v. radiodiffusione; televisione, in questa Appendice.
La RAI-Radiotelevisione Italiana è una società per azioni, definita d'interesse nazionale dalla l. 14 apr. 1975, n. 103 (v. oltre: Diritto), che ha in concessione dallo stato il servizio radiotelevisivo nazionale; il capitale della società è di 40 miliardi di lire, quasi per intero (99,55%) di proprietà dell'IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale), al quale fanno capo tutte le partecipazioni dello stato nelle attività economiche. La quota di minoranza del capitale sociale (0,45%) appartiene alla SIAE (Società Italiana Autori Editori). A differenza tielle altre società del gruppo IRI la sua attività è regolata da una legge speciale, la n. 103 già citata, e il suo Consiglio di amministrazione viene nominato solo in parte, e di minoranza (6 consiglieri su 16), dagli azionisti, mentre gli altri 10 vengono eletti dai 20 deputati e 20 senatori della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi.
Nonostante una presenza così rilevante e significativa del Parlamento nella sua gestione, la legge non ha attribuito alla RAI la qualità di ente pubblico, conservandole la possibilità di operare in modi privatistici per perseguire finalità di pubblico interesse.
Le entrate della RAI provengono dagli abbonamenti pagati dagli utenti, dai proventi della pubblicità radiofonica e televisiva gestita dalla SIPRA, Società Italiana Pubblicità, il cui capitale sociale è per intero proprietà della RAI, e da rimborsi da parte dello stato per servizi speciali richiesti in aggiunta a quelli in concessione. Gli abbonati alla televisione erano 12.867.809 al 31 dic. 1978 e quelli alla sola radio 532.800, per un totale di 13.400.609. Nel 1978 il gettito degli abbonamenti è stato di 305.300.452.038 lire e quello della pubblicità di 123.972.601.240 lire. L'andamento dei bilanci della società indica negli anni un costante equilibrio senza perdite, con un aumento costante delle ore di trasmissione a fronte di un incremento del numero e del gettito complessivo degli abbonamenti. L'introito della pubblicità è limitato dalla legge che fissa l'obbligo per la RAI di contenere le trasmissioni pubblicitarie entro il 5% della durata totale delle trasmissioni; il limite massimo degl'introiti da pubblicità viene stabilito periodicamente dalla Commissione parlamentare di vigilanza in relazione ai ricavi pubblicitari dei giornali.
Le ore di trasmissione radiofonica, 28.377 nel 1953 e 46.296 nel 1972, sono state 50.928 nel 1978, con una durata media giornaliera di 139 ore e 13 minuti. Le ore di trasmissione televisiva, 1497 nel 1954, all'inizio del servizio regolare televisivo, 5912 nel 1972, sono state 7516 nel 1978 con una durata media giornaliera di 20 ore e 35 minuti. I programmi trasmessi in colore sono l'80% del totale.
Nel 1978 gl'impianti trasmittenti televisivi erano 1404, inclusi i ripetitori; quelli radiofonici erano: 128 trasmettitori a onda media, i trasmettitore a onda lunga, 10 trasmettitori a onda corta, 390 trasmettitori e 1443 ripetitori a modulazione di frequenza. Gl'impianti trasmittenti sono collegati tra loro da collegamenti su cavo e in ponte radio. Alla ripresa e alla registrazione sono destinate apparecchiature fisse negli studi (28 televisivi e 132 radiofonici nel 1978) e mobili, queste ultime montate su automezzi attrezzati per le riprese e i collegamenti.
La RAI gestisce 3 reti radiofoniche e 3 reti televisive; infatti il 15 dicembre 1979 è entrata in funzione la terza rete televisiva, progettata in modo da consentire la trasmissione di programmi nazionali e programmi regionali differenziati.
L'organizzazione regionale si articola in 21 sedi nei capoluoghi di regione: a quelle di Milano, Napoli e Torino è aggregato un centro di produzione radiotelevisivo; alla sede di Roma, due centri di produzione, uno radiofonico e uno televisivo. Nei centri si trovano gli studi in cui si realizzano i programmi radiofonici e quelli televisivi.
Il servizio radiofonico ebbe inizio in Italia il 6 ottobre 1924 con le trasmissioni quotidiane della stazione di Roma della URI (Unione Radiofonica Italiana) costituita nello stesso anno e che nel 1927 sarebbe stata trasformata in EIAR (Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche); al nuovo ente venne data dallo stato la concessione del servizio nazionale radiofonico fino al 1952. In Inghilterra le prime trasmissioni si ebbero nel 1922; nel 1925 iniziò a trasmettere la stazione di Daventry che irradiava programmi su gran parte dell'Inghilterra e sul continente; nel 1927 venne concesso alla BBC (British Broadcasting Corporation, società a capitale pubblico) l'esercizio in regime di monopolio del servizio radiofonico che a tal fine venne finanziato da una tassa sull'apparecchio ricevente. Negli Stati Uniti le prime emissioni per il pubblico andarono in onda nel 1920; in quell'anno venne trasmesso un notiziario sul risultato delle elezioni presidenziali che videro candidati W. G. Harding e J. M. Cox. Nel 1922 gli Stati Uniti avevano già un'intensa attività di stazioni radiofoniche che si finanziavano con la pubblicità; nel 1926 la NBC (National Broadcasting Company) organizzò la prima rete di stazioni trasmittenti collegate.
Nel 1933 la maggioranza assoluta delle azioni dell'EIAR passò alla SIP (Società Idroelettrica Piemonte); nel 1944 l'EIAR prese il nome di RAI-Radioaudizioni Italiane e nel 1952 la maggioranza delle azioni della RAI fu trasferita all'IRI, mentre veniva rinnovata per 20 anni la concessione del servizio. Il 3 gennaio del 1954 cominciò il servizio regolare televisivo e il nome della società divenne quello attuale. Il servizio regolare di televisione a colori si è iniziato il 10 febbraio 1977.
Fino alla legge di riforma del 1975 la società si è sviluppata secondo un modello di azienda accentrata e gerarchica con il potere decisionale e direttivo esercitato da un amministratore delegato e un direttore generale la cui nomina, insieme con quella del presidente, doveva essere approvata dal ministro delle Poste, sentito il Consiglio dei ministri. Inoltre, secondo la Convenzione con lo stato del 1952, sette rappresentanti di diversi ministeri dovevano far parte del Consiglio di amministrazione e il presidente del collegio sindacale doveva essere un funzionario della ragioneria generale dello stato. Il governo era quindi la fonte dei poteri nella radiotelevisione e l'organizzazione produttiva e di gestione era finalizzata all'attuazione delle direttive adottate al vertice.
Tutti i programmi radio, musicali e di fiction, dipendevano da un direttore dei programmi radiofonici. Lo schema si ripeteva nella televisione con alcuni aggiustamenti: i programmi televisivi erano divisi in programmi di spettacolo e culturali e facevano capo a due direzioni distinte. I programmi d'informazione erano diretti da un direttore del giornale radio e da un direttore del telegiornale ai quali era preposto, con funzioni di coordinamento amministrativo e di gestione del personale, un direttore centrale dei servizi giornalistici.
Il progresso tecnologico rendeva via via più agevole la registrazione dei programmi non soltanto radiofonici ma anche televisivi; ciò consentiva la soluzione di molti problemi organizzativi, e l'ascolto e la visione, prima della trasmissione, di quei programmi, la grande maggioranza, che non andavano direttamente in onda.
In questo schema organizzativo, impostato su direzioni centrali che si articolavano in direzioni, strutturate a loro volta in servizi, i centri televisivo e radiofonico di Roma e i centri radiotelevisivi di Torino, Milano e Napoli avevano la funzione di stabilimenti di produzione.
Questa organizzazione aziendale, che si è andata formando negli anni di sviluppo e di affermazione della radiofonia prima e della televisione poi, è stata profondamente trasformata dalla legge di riforme che trasferisce il potere d'indirizzo e di controllo dal governo al Parlamento. Nella ristrutturazione della RAI si è inteso sostituire alla dipendenza gerarchica il rapporto funzionale e si è realizzata l'autonomia delle reti e delle testate giornalistiche. Da una direzione centrale per la radio si passa così a tre reti radiofoniche, scompaiono le direzioni centrali dello spettacolo TV e dei programmi TV culturali e scolastici e nascono tre reti televisive e un dipartimento per le trasmissioni scolastiche ed educative; da un giornale radio nascono tre giornali radio, uno per rete, e il telegiornale si sdoppia.
L'azienda radiotelevisiva accentrata aveva il suo modello in due organismi: la BBC inglese e l'ORTF (Office di Radiodiffusion-Télévision Française) francese, trasformatisi in seguito anch'essi, ma in direzioni diverse. La BBC perdeva il monopolio totale e, tra il 1955 e il 1968, quindici società private finanziate dalla pubblicità e operanti in quattordici separate aree territoriali trasmettevano programmi televisivi; ad esse si aggiungevano tra il 1973 e il 1976 diciannove società radiofoniche private a diffusione locale mentre, sempre nel 1973, veniva costituita la IBA (Indipendent Broadcasting Authority), alla quale veniva attribuita la scelta delle società concessionarie, la vigilanza sui programmi e la pubblicità, la proprietà e la gestione di tutti i trasmettitori al servizio delle società concessionarie. Tali trasformazioni avevano influenza sui programmi della BBC, all'inizio modificati in modo molto marcato, in seguito in misura assai più ridotta, con l'intento di contenere la concorrenza e quindi di offrire un prodotto gradito al grande pubblico; queste trasformazioni non influirono invece sul'organizzazione che conservò la ripartizione delle responsabilità per genere e tipo di programmi, su schema centralizzato.
Nel sistema francese, la riforma del 1974 manteneva il regime di monopolio ma sostituiva all'ORTF sei distinte "societá nazionali" tra le quali si ripartisce il gettito degli abbonamenti: tre società televisive (Télévision Française, Antenne 2, France Regions 3); una società radiofonica incaricata di realizzare quattro programmi differenti (culturale, musicali, di musica continua e di programmi regionali), una società per la gestione delle reti trasmittenti; una per la ricerca e la documentazione (l'Institut National de l'Audiovisuel).
L'organizzazione attuale della RAI mantiene l'unità dell'azienda concessionaria articolandola all'interno, senza costituire società separate, in un sistema di autonomie delle reti radiofoniche e televisive, dei giornali radio e dei telegiornali e, in prospettiva, delle sedi regionali.
Una singolarità della situazione italiana, senza confronto in nessun altro paese, è l'esplosione, nel 1976 - in seguito a una sentenza della Corte costituzionale (n. 202 del 1976, v. oltre: Diritto) che dichiarava illegittimo il monopolio delle trasmissioni radiofoniche e televisive in ambito locale delimitato - di centinaia di televisioni e di radio private regionali e cittadine non disciplinate da specifici provvedimenti di legge.
I programmi. - La programmazione radiotelevisiva deve ispirarsi ai principi stabiliti dalla legge di riforma: indipendenza, obiettività, apertura alle diverse tendenze politiche, sociali e culturali con garanzia d'imparzialità dei servizi d'informazione e rispetto della professionalità.
La divisione tradizionale della programmazione radiofonica in programmi parlati e musicali vede, nella RAI, quelli musicali oscillare intorno alla metà delle ore trasmesse, con un 15% delle ore dedicate al parlato occupate dai giornali radio. I programmi di carattere ricreativo e culturale, compresi quelli musicali, occupano circa tre quarti delle ore trasmesse contro un quarto di programmi informativi (notiziari, servizi parlamentari, tribune politiche e servizi sportivi). Complessivamente si registra dopo la riforma un aumento nei tempi del parlato.
Nei programmi televisivi, quelli informativi si sono sviluppati fino a occupare il 38,1% delle ore trasmesse nel 1978, mentre il 46% circa delle ore trasmesse era occupato da programmi di spettacolo e culturali, e un altro 6,1% dai programmi scolastici ed educativi per adulti.
I programmi trasmessi dalla RAI non sono prodotti tutti direttamente dalle sue strutture: vengono noleggiati film e telefilm, si commissionano a ditte produttrici grandi e piccole e a cooperative intere produzioni o singole lavorazioni, come, per es., l'edizione e il doppiaggio.
Quasi nella totalità con personale e mezzi della RAI sono prodotti i servizi giornalistici, a parte una piccola quantità di film d'attualità o di repertorio che vengono acquistati.
Per i programmi televisivi di spettacolo la percentuale di produzione esterna si è andata negli ultimi anni a collocare sulla metà circa delle ore di spettacolo trasmesse.
I programmi di maggior costo vengono realizzati per mezzo di coproduzioni internazionali, con la partecipazione finanziaria e organizzativa di altri organismi radiotelevisivi o produttori privati. In questo caso si opera come per la produzione di un film, e talvolta si realizza anche un'edizione destinata alle sale cinematografiche, che è un fatto di grande rilievo nel programma del cinema italiano contemporaneo.
Le reti radiofoniche e televisive sono articolate in strutture di programmazione; le loro proposte, che raccolgono anche quelle delle sedi regionali, vengono portate all'esame del Consiglio di amministrazione, come proposte allo studio, come piano annuale e pluriennale e come schemi di programmazione trimestrale delle reti. Tra gli scopi dichiarati della nuova organizzazione aziendale c'è quello di ricostituire l'unità tra ideazione e realizzazione e quello di mirare a un decentramento ideativo-produttivo fino a realizzare un'azienda policentrica vicina e più aperta alle diversità culturali e socio-economiche del paese.
Il pubblico. - È stato calcolato che in Italia i programmi radiotelevisivi siano visti o ascoltati in media ogni giorno da 32 milioni di persone (in 12 milioni si calcolano coloro che leggono ogni giorno un quotidiano). L'ascolto medio dei programmi serali televisivi della RAI nel 1978 è stato calcolato in circa 14 milioni e in circa 22 milioni tra le 20 e le 22, ore di trasmissione dei telegiornali e degli spettacoli più seguiti. Per i programmi radio, il numero medio di ascoltatori per quarto d'ora è stato calcolato sempre per il 1978 in circa 2 milioni, e in poco più di 3 milioni tra le sette e le nove del mattino. Le statistiche sull'ascolto e il calcolo degl'indici di gradimento sono affidate a un settore specializzato, e così la ricerca e la sperimentazione sui programmi.
Pubblicazioni. - Sono il Radiocorriere TV, settimanale di informazioni sui programmi della RAI, l'Approdo letterario (che tuttavia ha cessato le pubblicazioni nel 1978) e la Rivista musicale, trimestrali, la Rivista del diritto della radiodiffusione e delle telecomunicazioni, quadrimestrale, edite dalla ERI (Edizioni Rai-Radiotelevisione Italiana). La ERI ha pubblicato diverse collane tra le quali Classe unica, che si compone di testi scritti per trasmissioni di carattere divulgativo, destinate alla scuola e realizzate per una serie radiofonica che aveva lo stesso titolo. Nelle edizioni ERI sono apparse opere di notevole valore culturale: per es. nel 1969 il Dizionario ortografico e di pronunzia di B. Migliorini, C. Tagliavini e P. Fiorelli.
I programmi radiotelevisivi della RAI hanno esercitato una grande influenza sulla società italiana diffondendo conoscenze e proponendo in modo diretto e indiretto, consapevole e inconsapevole, termini di riferimento e modelli di comportamento. Con la radio si sono raggiunti per la prima volta in misura rilevante ceti meno istruiti, con bassi redditi, e la grande massa di coloro, stimati nel 1951 in circa 27 milioni, quasi due terzi della popolazione italiana, che usavano quasi esclusivamente il dialetto. Dall'inizio, e fino al 1960 circa, le radiotrasmissioni, soprattutto i notiziari e le conversazioni, hanno usato una lingua molto controllata e prevalentemente di modello colto; la pronuncia richiesta agli attori doveva essere priva di inflessioni dialettali. Con il diffondersi della televisione, gli esempi di lingua corrente e informale sono diventati sempre più frequenti e vicini al linguaggio familiare di ogni giorno. Opinione concorde degli studiosi è che le trasmissioni radiotelevisive siano state, insieme con la scuola e l'urbanizzazione, un fattore decisivo nel ridurre l'uso del dialetto e nell'estendere l'uso della lingua italiana viva.
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Diritto.
Oggetto di vasto e approfondito dibattito, la disciplina della radiotelediffusione ha trovato un primo nuovo assetto con la l. 14 apr. 1975, n. 103, informata nella sua sostanza ai principi enunciati dalla Corte costituzionale nelle due sentenze n. 225 e 226 del 1974. Già la Corte era intervenuta nella delicata materia. In particolare nella sentenza n. 59 del 1960 era stata dichiarata la legittimità della riserva allo stato dei servizi di radiotelediffusione circolare (o via etere).
Secondo la Corte era da escludere infatti un contrasto tra l'art. 21 Cost. (che tutela la libertà di manifestazione del pensiero con ogni mezzo di diffusione) e il principio del monopolio pubblico dei servizi radiotelevisivi. Ciò in quanto, posta la limitatezza di fatto della possibilità di utilizzare il mezzo radiotelevisivo, lo stato monopolista - affermava la Corte medesima - si trova istituzionalmente nelle condizioni di obiettività e imparzialità più favorevoli per conseguire il superamento delle difficoltà frapposte da tale limitatezza alla realizzazione del precetto dell'art. 21 della Costituzione.
L'accentuarsi delle polemiche e del dibattito era tuttavia segno evidente che tali enunciati non bastavano a coprire i margini d'insoddisfazione indubbiamente esistenti. Situazione, questa, assai grave data l'importanza vitale della materia in questione per le sorti medesime del sistema costituzionale italiano, che nella libertà di manifestazione del pensiero trova uno dei cardini fondamentali. Proprio in questa prospettiva dovevano inserirsi le due ricordate sentenze del 1974.
Nella sentenza n. 225 la Corte, confermando i precedenti enunciati, affermava che se la ratio della disposizione dell'art. 43 risiede nella ragionevole previsione che laddove non è possibile libera concorrenza e configurandosi quanto meno un inammissibile oligopolio di fatto, il monopolio statale meglio garantisce l'interesse della collettività, ciò vale a maggior ragione quando "si tratta di attività che, ben al di là della sua rilevanza economica, tocca da vicino fondamentali aspetti della vita democratica".
A questo punto tuttavia la Corte si chiedeva se il monopolio, in via di principio del tutto legittimo, risultasse però costituzionalmente giustificato in relazione all'ambito di operatività ad esso concretamente riservato e alla disciplina positivamente dettata.
Per quanto concerne il primo punto, nella sentenza n. 225 si affermava che la riserva allo stato, la quale trova il presupposto nel limitato numero di bande di trasmissioni assegnate all'Italia, "non può abbracciare anche attività, come quelle inerenti ai cosiddetti ripetitori di stazioni trasmittenti estere, che non operano sulle bande anzidette. E evidente che in questo particolare settore, senza apprezzabili ragioni, l'esclusiva statale sbarra la via alla libera circolazione delle idee, compromette un bene essenziale della vita democratica, finisce col realizzare una specie di autarchia nazionale delle fonti di informazione".
In merito poi alla disciplina positiva del monopolio radiotelevisivo, la Corte precisava che questo poteva essere considerato legittimo solo se preordinato nel suo esercizio a due fondamentali obiettivi: "a trasmissioni che rispondano alla esigenza di offrire al pubblico una gamma di servizi caratterizzati da obiettività e completezza di informazione, da ampia apertura a tutte le correnti culturali, da imparziale rappresentazione delle idee che si esprimono nella società; a favorire, a rendere effettivo ed a garantire il diritto di accesso nella misura massima consentita dai mezzi tecnici".
In questa prospettiva la Corte riteneva, sempre nella sentenza n. 225, che la legge disciplinante la materia dovesse almeno prevedere:
a) che gli organi direttivi dell'ente gestore (si tratti di ente pubblico o di concessionario privato purché appartenente alla mano pubblica) non siano costituiti in modo da rappresentare direttamente o indirettamente espressione, esclusiva o preponderante, del potere esecutivo e che la loro struttura sia tale da garantirne l'obiettività;
b) che vi siano direttive idonee a garantire che i programmi d'informazione siano ispirati a criteri d'imparzialità e che i programmi culturali, nel rispetto dei valori fondamentali della Costituzione, rispettino la ricchezza e la molteplicità delle correnti di pensiero;
c) che per la concretizzazione di siffatte direttive e per il relativo controllo siano riconosciuti adeguati poteri al Parlamento, che istituzionalmente rappresenta l'intera collettività nazionale;
d) che i giornalisti preposti ai servizi d'informazione siano tenuti alla maggiore obiettività e posti in grado di adempiere ai loro doveri nel rispetto dei canoni della deontologia professionale;
e) che, attraverso un'adeguata limitazione della pubblicità, si eviti il pericolo che la r., inaridendo una tradizionale fonte di finanziamento della libera stampa, rechi grave pregiudizio a una libertà che la Costituzione fa oggetto di energica tutela;
f) che, in attuazione di un'esigenza che discende dall'articolo 21 della Costituzione, l'accesso alla r. sia aperto, nei limiti massimi consentiti, imparzialmente ai gruppi politici, religiosi, culturali, nei quali si esprimono le varie ideologie presenti nella società;
g) che venga riconosciuto e garantito - come imposto dal rispetto dei fondamentali diritti dell'uomo - il diritto anche del singolo alla rettifica.
Da ciò la Corte traeva la dichiarazione d'illegittimità di una parte fondamentale della disciplina al tempo vigente in materia di servizi di radiotelediffusione circolare, ai principi sopraelencati appunto non informata.
Nella seconda sentenza, la n. 226, si affrontava la questione della televisione via cavo, di cui allora andavano realizzandosi i primi impianti anche in Italia sull'esempio degli SUA e del Giappone. In proposito la Corte osservava che indubbiamente per la televisione via cavo non era configurabile quella limitatezza di canali su cui si fonda l'affermazione del monopolio statale per le radiotelediffusioni circolari. Nondimeno, affermava la Corte, il costo di un impianto via cavo comprendente il territorio nazionale o gran parte di esso "potrebbe essere talmente elevato da dar luogo a gravi pericoli d'insorgenza di situazioni monopolistiche od oligopolistiche qualora la sua realizzazione non resti riservata allo Stato".
Ne derivava che le stesse ragioni giustificatrici del monopolio statale della r. via etere erano considerate valide per la riserva allo stato degli analoghi servizi via cavo delle vaste dimensioni territoriali sopra indicate. Riserva alla quale erano da accompagnare naturalmente tutte quelle garanzie indicate nella sentenza n. 225 per le trasmissioni radiotelevisive via etere. Diverso discorso faceva la sentenza n. 226 per le reti radiotelevisive via cavo di raggio limitato o locali. Avendo tali impianti un costo modesto, appariva evidente l'insussistenza di quelle ragioni di utilità generale necessarie per giustificare la riserva allo stato. La Corte aggiungeva comunque che ciò non significava che il legislatore non potesse disciplinare con legge l'installazione e l'esercizio di tali reti private via cavo "in modo da assicurare che nel rispetto della libertà di manifestazione del pensiero e d'iniziativa economica, siano salvaguardati gli interessi pubblici, che, in varia guisa, possono entrare in giuoco".
Le indicazioni della Corte costituzionale, che d'altra parte rappresentavano il punto di aggregazione delle diverse posizioni registrate nel dibattito intervenuto nella delicata materia, dovevano essere recepite dalla l. 14 apr. 1975, n. 103 (nuove norme in materia di diffusione radiofonica e televisiva). Con tale legge si stabilisce che la diffusione circolare di programmi radiofonici e televisivi via etere di portata eccedente l'ambito locale (modifica introdotta dalla sentenza n. 202 del 1976 che ha dichiarato illegittimo il divieto, prima emergente dalla citata legge, d'installare ed esercitare, previa naturalmente autorizzazione statale, impianti di diffusione radiotelevisiva via etere di portata non eccedente l'ambito locale) nonché la diffusione su scala nazionale di programmi radiofonici e televisivi via cavo e con qualsiasi altro mezzo sono un servizio pubblico essenziale e a carattere di preminente interesse generale, essendo tale diffusione volta ad ampliare la partecipazione dei cittadini e a concorrere allo sviluppo sociale e culturale del paese in conformità ai princìpi sanciti dalla Costituzione. Il servizio è pertanto riservato allo stato, il quale può provvedere ad esso mediante atto di concessione a una società per azioni a totale partecipazione pubblica (il che è avvenuto con l'attribuzione della concessione alla RAI-TV). L'indipendenza, l'obiettività e l'apertura alle diverse tendenze politiche, sociali e culturali, nel rispetto delle libertà garantite dalla Costituzione, sono - secondo l'art. 1 della l. n. 103 - principi fondamentali della disciplina del servizio pubblico radiotelevisivo.
Ai fini dell'attuazione di tale finalità, la determinazione dell'indirizzo generale e l'esercizio della vigilanza dei servizi radiotelevisivi sono attribuiti alla Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, composta di quaranta membri designati pariteticamente dai presidenti delle Camere tra i rappresentanti di tutti i gruppi parlamentari. Un'articolazione di tale commissione, la sottocommissione permanente per l'accesso, è competente per l'esame delle richieste di accesso, che possono essere avanzate, a norma dell'art. 6 della l. n. 103, da tutti i gruppi di rilevante interesse sociale.
L'accoglimento della richiesta di accesso comporta la possibilità per chi fruisce così dell'accesso di organizzare in radio o in televisione nelle reti nazionali, in maniera autonoma, un proprio programma, avvalendosi eventualmente della collaborazione tecnica gratuita della concessionaria secondo i limiti e le modalità indicate dalla commissione parlamentare. È anche previsto un accesso alle trasmissioni regionali, regolato dai comitati regionali per il servizio radiotelevisivo, i quali rivestono altresì un importante ruolo nel decentramento regionale dei servizi radiotelevisivi previsti dalla legge di riforma. Le trasmissioni dell'accesso hanno avuto inizio nel febbraio 1977. Sull'accesso la dottrina giuridica non ha ancora dato risposte sufficientemente consolidate, specie in relazione al problema se l'accesso costituisca o meno un diritto o dia luogo solo al configurarsi di interessi legittimi o di un mero interesse di fatto. Nella costruzione delineata nella l. n. 103 l'accesso è visto nella prospettiva di un meccanismo essenzialmente riequilibratore. Questa prospettiva, d'altronde, è stata ripresa ancor più chiaramente dal Regolamento per l'accesso affidato dalla Commissione parlamentare (30 apr. 1976), dove si delinea, in relazione alle richieste, un procedimento di comparazione delle medesime da parte della sottocommissione permanente in cui si dà la preferenza alle richieste che non sono oggetto delle "tribune" o dell'informazione complessivamente resa dalla concessionaria. L'art. 4 della l. 103 elenca le principali attribuzioni della commissione parlamentare: "formula gli indirizzi generali per l'attuazione dei principi di cui all'art. 1, per la predisposizione dei programmi e per la loro equilibrata distribuzione nei tempi disponibili; controlla il rispetto degli indirizzi e adotta tempestivamente le deliberazioni necessarie per la loro osservanza; stabilisce, tenuto conto delle esigenze dell'organizzazione e dell'equilibrio dei programmi, le norme per garantire l'accesso al mezzo radiotelevisivo e decide sui ricorsi presentati contro le deliberazioni adottate dalla Sottocommissione parlamentare di cui al successivo articolo 6 sulle richieste di accesso; disciplina direttamente le rubriche di "Tribuna politica", "Tribuna elettorale", "Tribuna sindacale" e "Tribuna stampa"; indica i criteri generali per la formazione dei piani annuali e pluriennali di spesa e di investimento facendo riferimento alle prescrizioni dell'atto di concessione; approva i piani di massima della programmazione annuale e pluriennale e vigila sulla loro attuazione; riceve dal Consiglio di amministrazione della società concessionaria le relazioni sui programmi trasmessi e ne accerta la rispondenza agli indirizzi generali formulati; formula indirizzi generali relativamente ai messaggi pubblicitari, allo scopo di assicurare la tutela del consumatore e la compatibilità delle esigenze delle attività produttive con la finalità di pubblico interesse e le responsabilità del servizio pubblico radiotelevisivo; analizza, anche avvalendosi dell'opera di istituti specializzati, il contenuto dei messaggi radiofonici e televisivi, accertando i dati di ascolto e di gradimento dei programmi trasmessi; riferisce con relazione annuale al Parlamento sulle attività e sui programmi della Commissione; elegge 10 consiglieri di amministrazione della società concessionaria secondo le modalità previste dall'articolo 8; esercita le altre funzioni ad essa demandate dalla legge".
Sempre la l. n. 103 ammette all'art. 21 la pubblicità nella percentuale massima del 5% della durata delle trasmissioni nel servizio radiotelevisivo, assoggettandola ai limiti derivanti dagl'indirizzi generali relativi ai messaggi pubblicitari stabiliti dalla commissione parlamentare ai sensi dell'art. 4 della citata legge e dalle esigenze di tutela degli altri settori dell'informazione e delle comunicazioni di massa. Disposizioni sono poi dettate al fine di garantire l'imparzialità e l'obiettività dell'informazione sancendo in particolare il rispetto, da parte di quanti operano nel settore della r., dei principi della professionalità nonché la divisione dell'apparato radiotelevisivo in reti, tra loro autonome dal punto di vista organizzativo e produttivo. Altre norme ancora disciplinano l'autorizzazione all'esercizio da parte di privati degl'impianti di diffusione sonora e televisiva via cavo di ambito locale e l'installazione e l'esercizio, sempre da parte di privati, degl'impianti ripetitori via etere di programmi sonori e televisivi esteri e nazionali.
La nuova normativa così realizzata non intende naturalmente risolvere tutti i problemi esistenti. Che essa sia perfettibile o comunque suscettibile di modifiche e integrazioni è dimostrato dal dibattito tuttora aperto nonché dal successivo intervento della Corte costituzionale.
Così è quanto accaduto con la sentenza n. 202 del 1976 - già sopra richiamata - che rimuovendo il divieto per i privati, prima contemplato dalla l. n. 103, d'installare impianti di diffusione radiotelevisiva via etere di portata non eccedente l'ambito locale, ha determinato la necessità di un nuovo intervento del Parlamento per disciplinare questa parte della materia delle radiotelediffusioni.
Bibl.: S. Fois, Libertà di diffusione del pensiero e monopolio televisivo, in Giurisprudenza Costituzionale, 1960, p. 1127 segg.; Autori vari, Libertà di espressione e organizzazione radiotelevisiva, I, Milano 1970; Regioni e Riforma RAI-TV, Atti del Convegno di Napoli organizzato dal Consiglio nazionale della Campania 20-21 ottobre, Napoli 1972; F. D'Onofrio, Riforma della RAI e Libertà d'informazione, in Studi Cattolici, 1973, p. 1482 segg.; P. Barile, in Autori vari, La nuova RAI-TV, Bologna 1975; R. Zaccaria, Radiotelevisione e Costituzione, Milano 1977.