CALDORA (Candola), Raimondo
Figlio di Giovan Antonio e di Rita Cantelmo e fratello del più noto Giacomo, dovette essere minore di quest'ultimo e quindi nascere dopo il 1369. Sposò, in data a noi sconosciuta, Maria Caldora, probabilmente una sua parente, vedova di Berlingiero Cantelmo, conte d'Archi, e figlia di Luigi Caldora. Alla morte del padre Maria ne ereditò i numerosi feudi siti in Abruzzo Citra e comprendenti Civita Luparella, Quadri, Pizzoferrato, Montemiglio, Fallo, Pilo, Rosello, Civita Borrella, Pesco Pignataro e Santangelo. Il C. entrava così in possesso di un ampio stato feudale che lo collocava fra i primi baroni della regione (la data della morte di Luigi Caldora è da porsi nel secondo decennio del secolo XV, se si può prestar fede ad un passo del Repertorio dei Quinternioni d'Abruzzo Citra, riportato dal Faraglia, Storia, pp. 257 s., nota 1, secondo il quale il C. possedette quei feudi per trent'anni).
Durante il regno di Giovanna Il il C. non dovette acquistare mai una posizione politica di rilievo. L'unica notizia che lo riguarda sembra essere quella del 1417 quando, in seguito al tradimento di Giacomo, che aveva aderito ad una congiura contro Giovanna Il promossa da altri baroni abruzzesi, la regina espropriò non solo i feudi di Giacomo, ma anche quelli del C. e della madre. È probabile che il C. rientrasse in possesso delle sue terre in seguito al ritorno di Giacomo nel partito angioino.
Sembra potersi dire, comunque, che nel corso del regno di Giovanna II il C. dovette mantenere salda la sua fedeltà alla causa angioina, senza seguire il fratello nei passaggi da un partito all'altro. Tale fedeltà potrebbe spiegare i motivi per i quali Renato d'Angiò si rivolse proprio al C. per la guida del Regno assegnandogli una posizione politica di primaria importanza, pari, se non maggiore, a quella di cui Giacomo aveva goduto negli anni di Giovanna II. Nominato governatore del Regno il C. appare infatti, a partire dall'inizio del 1436, uno dei principali collaboratori della regina Isabella e di Renato. Nel gennaio si recò a Firenze per incontrarvi il pontefice Eugenio IV; a lui nello stesso anno si rivolsero i Genovesi per iniziare le trattative per una alleanza antiaragonese; con lui, infine, sempre nel 1436 si accordò il condottiero Luigi da Sanseverino dopo aver lasciato il servizio di Venezia per mettersi agli ordini del re Renato. Nell'inverno 1438-39 il C. consegnò al fratello i denari che questi doveva prestare al monarca napoletano.
Alla morte di Giacomo (seconda metà del 1439) crebbe l'importanza politica del C. per il governo napoletano, in quanto il re pensò di valersene per conservare la fedeltà alla causa angioina dell'irrequieto Antonio Caldora, figlio di Giacomo ed erede del potente Stato feudale che quest'ultimo aveva costruito in Abruzzo e in Puglia. Alla fine del 1439 il C. fu nominato gran camerlengo e quindi inviato in Abruzzo per controllare - si può supporre - le mosse di Antonio. Quando, però, in seguito alla conquista aragonese di Aversa, re Renato si rivolse ad Antonio perché intervenisse con le sue truppe contro Alfonso, fu solidale con il nipote. Questo rispose, anche a nome dello zio, di non essere in grado di muoversi per mancanza di denaro; chiese quindi una forte sovvenzione, minacciando altrimenti di passare al nemico insieme con lo zio. Il monarca si recò allora in Abruzzo ove fu accolto dal C. e da Antonio. Il dissidio parve appiana si in seguito alla concessione ad Antonio di Sulmona: la città però rifiutò l'ordine del sovrano e passò agli Aragonesi.
All'inizio dell'estate del 1440, comunque, il C. lasciò l'Abruzzo con il nipote e con il re e tornò alla corte napoletana. Il mancato intervento di Antonio nella battaglia svoltasi il 30 giugno ad Apollosa presso Benevento irritò il sovrano, accrescendone i timori di un accordo segreto tra il potente feudatario e l'Aragonese. Il 6 luglio Renato dette nel suo campo della Palude un banchetto cui fece intervenire il C. ed Antonio: al termine accusò Antonio di tradimento e lo fece imprigionare. La reazione delle truppe caldoresche, che minacciarono di passare al nemico, costrinse però subito dopo il re a tentare una composizione pacifica del dissidio. Il C. funse da intermediario tra le due parti e in poco tempo ottenne la liberazione del nipote, che ricevette, insieme con il pagamento del soldo arretrato, anche il titolo di viceré d'Abruzzo e che si impegnò a lasciare Napoli e a ritirarsi nelle sue terre. Antonio, tuttavia, non rispettò l'accordo: appena liberato concentrò le sue truppe presso il ponte della Maddalena e si rifiutò di ritornare in Abruzzo. Il C. tentò di convincerlo a desistere dalla sua ribellione al re, ma non ebbe successo. Rientrato a corte, stando al racconto dei contemporanei, si sarebbe offerto in ostaggio al monarca per costringere il nipote a rispettare gli accordi precedenti; ma Renato avrebbe rifiutato (Leçoy de la Marche, p. 196).
Le scarse notizie che abbiamo sulla vita del C. non fanno alcuna luce sulle ragioni del suo mutamento politico avvenuto, dopo tanto tempo di salda fedeltà a Renato, nel 1441. Dai Diurnali del duca di Monteleone e dalla cronaca del Simonetta sappiamo che nel giugno del 1441 il C. - che il Simonetta dice passato da poco al servizio di Alfonso - fu inviato dall'Aragonese a recuperare le terre abruzzesi occupate da Francesco Sforza, alleato di Renato. A Ortona si scontrò con Alessandro Sforza: fu sconfitto e fatto prigioniero. Venne allora condotto nel castello di Fermo e qui rimase fino al marzo 1442: il 16di questo mese stipulò un accordo con lo Sforza in virtù del quale si impegnava a passare al servizio della Chiesa e a versare una notevole somma per il suo riscatto; il 18 marzo venne liberato.
Questa sembra essere l'ultima notizia su di lui. Oltre ai feudi della moglie, il C. aveva occupato altre terre abruzzesi quali Villa Santa Maria, Monte Lapiane, Colle di Mezzo, Castel del Giudice, Asinella, Rocca d'Alvo, Rocca Lisberco, Pietrabbondante e Castel Piano, oltre ad alcuni casali presso Aversa. Tutti i suoi feudi passarono alla Corona nel 1449 alla morte della moglie Maria.
Fonti e Bibl.: Diaria Neapolitana, in L. A. Muratori, Rer. Ital. Script., XXI, Mediolani 1732, coll. 1111, 1118, 1120, 1122; Johannis Simonetae Rerum gestarum Francisci Sfortiae, in Rer. Italic. Script, 2 ediz., XXI, 2, a cura di G. Soranzo, pp. 112 s., 503; Diurnali del duca di Monteleone, ibid., XXI, s, a cura di M. Manfredi, pp. 158 s., 167-170, 172; Delizie degli erud. toscani, XIX, Firenze 1785, p. 142; L. Osio, Doc. dipl. tratti dagli arch. milanesi, III, Milano 1872, pp. 252-263; A. Leçoy de la Marche, Le roi René…, Paris 1875, I, pp. 147, 178, 186, 193-196, 206; II, p.417; N. F. Faraglia, Il sepolcro di casa Caldora…, in Atti della Accademia Pontaniana, XXI(1891), pp. 208, 216 s.; P. M. Perret, Histoire des relations de la France avec Venise, Paris 1896, I, p. 161; N. F. Faraglia, Storia della regina Giovanna II d'Angiò, Lanciano 1904, pp. 95 n. 2, 257-258 n. 1; F. Cognasso, Il ducato visconteo da Gian Galeazzo a Filippo Maria, in Storia di Milano, II, Milano 1955, p. 316; G. Peyronnet, I Durazzo e Renato d'Angiò 1281-1442, in Storia di Napoli, III, Napoli 1969, pp. 421, 425; B. Croce, Storia del Regno di Napoli, Bari 1972, ad Indicem.