SANGRO, Raimondo di
SANGRO, Raimondo di. – Nacque il 30 gennaio 1710 da Antonio e da Cecilia Gaetani di Laurenzana, a Torremaggiore, nella Capitanata, uno dei feudi della famiglia paterna.
La madre morì pochi mesi dopo. Raimondo visse in pratica anche senza padre, giacché Antonio di Sangro, feudatario violento, fu accusato di omicidio di un suo vassallo, che ne impediva la relazione con la propria figlia, e fuggì due volte a Vienna (v. Croce, 1942). A provvedere all’educazione del giovane Raimondo furono i nonni paterni, Paolo e Geronima Loffredo, dei principi di Cardito. Anche Paolo di Sangro all’arrivo a Napoli degli austriaci (1707) si era schierato con loro. Fu reggente del Collaterale e prefetto dell’Annona napoletana. Fedele agli Asburgo era pure la famiglia materna dei Gaetani, nel cui entourage si mosse Giambattista Vico.
Nel 1720 Raimondo fu mandato a studiare presso il Seminario romano diretto dai gesuiti. A Roma rimase dieci anni. Gli allievi del Seminario seguivano anche i corsi del gesuita Collegio romano. Il ricordo dell’enciclopedismo secentesco di Athanasius Kircher sollecitava curiosità, che si rivolgevano alle scienze (si pensi, per esempio, al gesuita Ruggero Giuseppe Boscovich) e al sapere storico-geografico. In questa cultura di edificazione e curiosità, di Sangro trovò spazio soprattutto per la seconda. Studiò le lingue, anche l’ebraico, la storia antica, la chimica. Rivelò talento nella meccanica. Il lungo soggiorno ne formò quindi la cultura e gli interessi, ma non ne cambiò la mentalità, che era quella di un aristocratico meridionale.
Nel 1730 rientrò a Napoli. Aveva ereditato i feudi nel 1726, e un enorme carico di debiti. Era un patrimonio ingente, tra i maggiori della Puglia, che aveva origini cinquecentesche. I feudi principali erano quelli di Sansevero, Torremaggiore, Castelluccio (adesso Castelnuovo), Casalvecchio e Dragonara, Castelfranco in Principato Ultra; c’erano importanti quote di fiscali sulla dogana di Foggia. Carlo V aveva riconosciuto il titolo, poi ducale, sul feudo di Torremaggiore, e Filippo II aveva riconosciuto a Giovan Francesco di Sangro il titolo di principe su Sansevero. La famiglia si gloriava di derivare dai duchi di Borgogna e addirittura dalla famiglia carolingia.
Nel 1730 il capofamiglia, il duca Niccolò Gaetani dell’Aquila d’Aragona, decise le nozze di Raimondo, suo nipote ex filia Cecilia, con la propria nipote ex fratre Tommaso, Carlotta Gaetani dell’Aquila d’Aragona, che per parte di madre discendeva da una importante famiglia fiamminga, i Merode. Il matrimonio fu celebrato nel dicembre del 1735, a Torremaggiore, quando Carlotta Gaetani arrivò a Napoli dall’Olanda.
Per le nozze Vico scrisse un sonetto (Alta stirpe d’eroi, onde famoso) e Giovanni Battista Pergolesi musicò un preludio scenico su testo di Giuseppe Antonio Macrì, Il tempo felice, del quale scrisse la sola prima parte perché malato (morì nel marzo 1736). La scelta di Pergolesi è segno del gusto per un linguaggio musicale moderno, ma attento ai valori della nobiltà e dell’eroismo.
In quegli anni di Sangro si dedicò alla gestione dei propri feudi. L’arrivo dei Borbone aveva reso più debole la sua situazione ed egli preferì restare nelle sue terre dopo aver chiesto al sovrano la dispensa per non risiedere in città. Alla fine del decennio rientrò nell’area del favore sovrano. La moglie fu nominata dama di corte, e lui gentiluomo di camera e colonnello del reggimento provinciale di Capitanata. Nella guerra di successione austriaca e nella battaglia di Velletri, nella quale fu in gioco il Regno borbonico appena costituitosi, si mostrò valoroso e conquistò la fiducia di Carlo III. Nel 1751, nel pieno dell’offensiva contro la massoneria, madrina e padrino della primogenita Carlotta furono infatti i sovrani. La descrizione del cerimoniale (Cerimoniale 1490, 2017, p. 310) mostra la compiuta integrazione della famiglia nella corte. Altri figli furono Vincenzo, che ereditò i feudi; Paolo, cavaliere del Toson d’oro e Grande di Spagna; Francesco, militare e appassionato di teatro; Rosalia. La famiglia si era allineata politicamente nella fedeltà ai Borbone. Con la partenza del sovrano per la Spagna (1759), di Sangro riuscì a conservare una posizione preminente, nonostante l’evidente avversione di Bernardo Tanucci. Questi continuò a tenere in sospetto entrambi i coniugi, sia per l’antica fedeltà imperiale, sia per la condotta eccentrica del principe (esiliato per alcuni mesi per aver aperto un illegale casino di azzardo).
Negli anni napoletani, le rendite aumentarono e Raimondo di Sangro se non riuscì a tacitare i creditori, poté almeno evitare la frantumazione dell’immenso patrimonio. Come ha mostrato Domenico Cecere (in corso di stampa), la composizione della sua rendita consisteva per oltre 2/3 dell’affitto di terre e masserie, per il 22% di terraggi e censi su terre date in lavorazione a vassalli, e appena per il 5% derivava dall’esercizio dei poteri giurisdizionali. Pur con cautela, si può credere che abbia cercato di accrescere le proprie rendite migliorando la gestione delle terre, senza attivare conflitti con le varie università sottoposte al potere feudale. Tale tattica non fu quella dominante nell’alta nobiltà napoletana. In questo mondo Raimondo di Sangro fu profondamente integrato, consapevole di esserne figura di prestigio; però ne fu anche giudicato estraneo per comportamenti e idee. Fu un uomo di frontiera, politicamente e intellettualmente.
Fin dalla fine degli anni Trenta aveva preso contatti con il mondo delle accademie. Fu iscritto all’Accademia dei Ravvivati di Roma, alla Sacra Accademia fiorentina, e a quella della Crusca, dove fu eletto il 30 marzo 1743 insieme a Ferdinando Carlo Capponi. Il motto della sua ‘pala’ fu «esercitar mi sole». Resta un nutrito carteggio con gli accademici Andrea Alamanni e con l’arciconsolo Giovanni Giraldi, con il quale scambiò lettere di argomento scientifico. Altro corrispondente fiorentino fu Giovanni Lami, l’editore delle Novelle letterarie.
Le prime sue opere furono dedicate al mondo militare. Redasse un Dizionario dell’arte militare, compilato fino alla lettera O, il cui manoscritto è perduto. Nel 1747 pubblicò la Pratica più agevole, e più utile di Esercizj militari per l’infanteria, nella quale presenta con chiarezza quali siano le principali funzioni militari e i modi della loro esecuzione. L’opera gli valse considerazione fuori di Napoli (Federico II di Prussia si congratulò con lui), e soprattutto a corte. Pur se aveva deciso di far «rinunzia agli studi militari» (Borrelli, 2006, p. 270), nel 1751 ricevette dal sovrano «una grave incombenza sul proposito della tactica», che lo impegnò «senza respiro». Forse, poiché, come è stato notato da Rosanna Cioffi (1994, p. 99), di Sangro utilizzò l’immagine dell’arte militare come allegoria della sapienza massonica, qui indicò la volontà di continuare la pratica massonica, pur dopo la crisi del 1750-51.
Tra il 1744 e il 1751 si erano create a Napoli quattro logge. Di Sangro divenne il gran maestro di tutte le logge napoletane. Probabilmente aveva già avuto contatti massoni con Firenze. A inizio 1751 la Curia napoletana promosse un attacco contro la massoneria e di Sangro, poi condiviso da Benedetto XIV. Il 28 maggio fu pubblicata la Providas Romanorum Pontificum, bolla di scomunica che confermò la bolla In eminenti di Clemente XII, del 1738. Il 2 luglio Carlo III mise al bando le logge. Di Sangro ebbe un atteggiamento all’apparenza remissivo. Il 1° agosto scrisse una Epistola a Benedetto XIV nella quale difese la sostanziale correttezza ideologica e la fedeltà sia al papa sia al re di tutti i massoni. Per di Sangro la massoneria era uno spazio nel quale le due élites del Regno, «nobili e giureconsulti», avrebbero trovato possibilità di dialogo e di confronto per un «grandissimo benefizio della patria» (in Origlia Paolino, 1753-1754, II, p. 358). Del resto, già nel 1745 aveva detto cosa pensava della massoneria: «Nous sommes tous égaux; la naissance, les rangs et la fortune ne nous sortent point de ce juste niveaux, qui devroit, à ce qui je crois, réduire tous les hommes à leur valeur intrinsèque; la vertu seule et les seuls talents nous distinguent plus ou moins» (Discours prononcé à la loge du prince de S. S., à Naples, in Ferrone, 2000, p. 403).
La medesima Curia napoletana prese di mira pure la maggiore delle sue opere, la Lettera apologetica, contenente la difesa del libro intitolato Lettere d’una Peruana per rispetto alla supposizione de’ Quipu, apparsa nel 1750. Vi era la stessa massonica fiducia in una società guidata in concordia da nobili e togati, distinti con sguardo aristocratico ma avvicinati con sensibilità politica; a loro volta, le élites dovevano rinnovare la propria cultura scientifica e umanistica. La Lettera ne suggerì le direzioni.
Di Sangro dopo il 1751 «pensò di darsi tutto allo studio della fisica sperimentale come la più profittevole per l’umana società» (Origlia Paolino, 1753-1754, II, p. 374). Le esperienze scientifiche che fece furono molte, e molto bizzarre: risurrezione di granchi con sangue di bue; produzione di sangue con letame, cibi masticati e acidi. Come disse l’anonima Breve nota di quel che si vede in casa del Principe di Sansevero, d. Raimondo di Sangro nella città di Napoli (Napoli 1767, 1967, p. 37), moltissime erano state le scoperte del principe, «alcune delle quali sembrano fuori dell’ordine della Natura», in particolare «per rispetto alla Palingenesìa naturale [...] e artifiziale». Di tutte queste esperienze sottopose al pubblico soltanto quella del lume ‘eterno’, che aveva ritrovato «facendo una chimica esperienza», ma che durò per soli tre mesi. Discusse questa esperienza con Giraldi. Nel campo umanistico, il rinnovamento sarebbe venuto dalla sua Lettera apologetica.
La Lettera apologetica ha un andamento apparentemente caotico. Come in una Wunderkammer, l’intersezione tra note e testo crea una molteplicità di prospettive, alcune di ricerca, altre di artificio. È una riflessione sulla storia dell’umanità, intrecciata con le vicende politiche e con la dimensione morale cosmopolita della socialità massonica. Le sue tre dimensioni – filosofia della storia, storia politica, vita morale – danno all’opera una fisionomia di storia filosofica. Non certo nel senso di Edward Gibbon. Di Sangro vuole trovare i miti, le vicende, gli individui, le istituzioni (per esempio, il linguaggio) attraverso cui decifrare l’energia del mondo umano. È l’eco dell’enciclopedismo secentesco, di Kircher ma anche di Pierre Bayle ed Ephraim Chambers; per l’assenza di consapevolezza di metodo, ci appare previchiana, oltre che ovviamente pre-Encyclopédie. Si incrociano riflessioni sulla storia sacra, conosciuta attraverso l’erudizione secentesca; analisi della storia patria, che conduce di Sangro a ritrovare nell’aristocrazia cittadina il motore della dinamica del Regno, più che a intravedere forme di monarchia amministrativa; ricerche di filosofia morale, che poggiano soprattutto sulla tradizione inglese, a lui ben nota, da Shaftesbury ad Anthony Collins, a John Toland, a Jonathan Swift. Dietro il disordine dell’esposizione, si delinea un discorso culturale ed etico, che fu critico dell’ordine politico, e che costruì una visione del cosmo e della religione incompatibile con quella cattolica. Le ricerche di storia sacra, storia cosmologica e storia dell’umanità parevano infatti trovare sistemazione nella categoria di panteismo, che a sua volta offriva la base per un orizzonte di tolleranza e socievolezza. Diceva «già compiute» opere che non pubblicò: sulla necessità per il «più ostinato Ateista» di osservare la morale cristiana, dunque la confutazione di Bayle; una vita di Maometto; una confutazione di Spinoza; una dissertazione sulla luce; un confronto tra impero Inca e impero romano (Origlia Paolino, 1753-1754, II, pp. 384 s.). La Lettera apologetica si appoggia su larghe letture (il catalogo della biblioteca in Lettera..., 1750, 2014, pp. 262-294), confermate da un’attività editoriale singolare. Di Sangro stampò infatti oltre alle proprie opere, almeno l’Adeisidaemon di Toland, il Comte de Gabalis di Nicolas de Montfaucon de Villars, The rape of the Lock di Alexander Pope, Le Costituzioni della Società dei Liberi Muratori.
La Lettera apologetica creò a di Sangro difficoltà non soltanto con il mondo ecclesiastico, dove suscitò numerose, poco acute confutazioni e fu messa all’Indice (Lettera..., cit., pp. 53-56); gli procurò anche incomprensioni tra i nobili. Queste furono originate dalla polemica che di Sangro ebbe con Jean-Baptiste de Boyer d’Argens che, a proposito dell’opposizione che nel Cinquecento Napoli fece all’introduzione del tribunale dell’Inquisizione, aveva parlato dei napoletani come «bacchettoni, subordinati ai frati, e servidori zelanti del santo Ufizio» (p. 104), e, sul culto di s. Gennaro, di cittadini superstiziosi e preti impostori. Alla vicenda cinquecentesca, di Sangro sovrappose quella contemporanea. Alla fine degli anni Quaranta, il cardinale Giuseppe Spinelli aveva mostrato l’intenzione di introdurre il tribunale dell’inquisizione a Napoli. Non vi riuscì, ma creò forti tensioni. «I Napoletani avendo sempre per giusti motivi protestata, siccome ora protestano, una naturale avversione per suddetto Tribunale, n’han pur sempre ricusata l’introduzione» (p. 105): e nel 1564 e 1565 a un nuovo tentativo di Filippo II, «ci si opposero vigorosamente i Napoletani, e congregatesi le Piazze de’ Nobili, e quella del Popolo» presero decisioni comuni (p. 107). Per il miracolo di s. Gennaro, di Sangro parlò di un fenomeno del quale non si conoscevano le cause. Questa affermazione gli fu rinfacciata dal gesuita Innocenzo Molinari, stretto collaboratore del cardinale Spinelli, bibliotecario di S. Angelo a Nido poi rifugiatosi a Roma, in un violento Parere intorno alla Vera Idea contenuta nella Lettera apologetica (Napoli 1752). Le falsità di Molinari furono confutate da Nicola Fraggianni nella consulta del 29 novembre 1752, che invitò il sovrano a bruciare l’opera del gesuita. Ma il 27 dicembre 1752 i nobili riunitisi al Sedile di Nido su istigazione di Ferdinando Carafa di Belvedere non rinnovarono a di Sangro la carica ch’egli aveva della Deputazione della Cappella di s. Gennaro, per la sua «miscredenza» (v. Schipa, 1901).
Chi fosse di Sangro, lo disse Antonio Genovesi, che lo conobbe bene (e gli indirizzò l’ultima propria lettera, il 12 settembre 1767, pochi giorni prima della morte). Genovesi caldeggiò la pubblicazione della Lettera apologetica «per onore dell’ingegno e della diligenza della Napoletana nobiltà». E nella sua Autobiografia (1962), ribadì: «Questo signore è di corta statura, di gran capo, di bello e gioviale aspetto: filosofo di spirito, molto dedito alle meccaniche: di amabilissimo e dolcissimo costume: studioso e ritirato: amante la conversazione d’uomini di lettere. Se egli non avesse il difetto di aver forte fantasia, per cui è portato qualche volta a credere cose poco verisimili, potrebbe passare per uno de’ perfetti filosofi» (p. 36). Un analogo ricordo diede Fortunato Bartolomeo De Felice nell’Encyclopédie detta d’Yverdon (sui rapporti tra De Felice e di Sangro, v. Ferrari, 2010, p. 88). Per Genovesi, di Sangro fu aristocratico, massone, naturalista, filosofo, ma non illuminista. Diremmo che fu un antiquario, nel senso settecentesco di studioso di storia naturale, di filosofia della natura, di storia, di miti e di storia delle religioni, di iconologia e di arti.
Questa leonardesca autorappresentazione (Ferrone, 2000, p. 222) si allargò al culto della propria casata nella ricostruzione della cappella di famiglia di S. Maria della Pietà, detta la Pietatella, di fronte al lato nord del palazzo di famiglia, cui era collegata da un arco sul quale di Sangro aveva fatto costruire un orologio à carillons, scomparso alla fine dell’Ottocento per il crollo di un’ala dell’edificio. La vena massonica ne ispirò il progetto artistico, alla cui realizzazione di Sangro dedicò l’ultima parte della sua vita. Chiamò gli scultori Giuseppe Sanmartino per la statua del Cristo velato, Antonio Corradini (massone) e Francesco Maria Queirolo, che eseguirono la sua volontà di mantenersi fedele allo stile sublime. Al centro del suo progetto artistico stette l’«esaltazione della sua casata, della quale egli vuole sottolineare la nobiltà di spada rappresentata dalla genealogia maschile e la nobiltà di animo esemplata dalla stirpe femminile» (Cioffi, 1994, p. 105), come nelle due statue della Pudicizia, di Corradini e del Disinganno, di Queirolo (dedicate alla madre e al padre).
Morì il 22 marzo 1771 a Napoli.
Opere. Pratica più agevole, e più utile di esercizj militari per l’infanteria..., Napoli 1747; Lettera apologetica dell’Esercitato Accademico della Crusca, contenente la difesa del libro intitolato Lettere d’una Peruana per rispetto alla supposizione de’ Quipu, scritta dalla duchessa di S***, Napoli 1750, a cura di L. Spruit, Napoli 2014; Epistola a Benedetto XIV, del 1° agosto 1751, in G. Origlia Paolino, Istoria dello Studio di Napoli, I-II, Napoli 1753-1754, Napoli 1983, II, pp. 354-360; Dissertation sur une lampe antique trouvée à Munich en l’année 1753. Ecrite par M.r le prince de S.t Severe pour servir de suite à la première partie de ses Lettres à M.r l’Abbe Nollet à Paris, sur une découverte qu’il a faite dans la chimie avec l’explication physique de ses circonstances, Naples 1756.
Fonti e Bibl.: La documentazione sui feudi dei di Sangro è in Archivio di Stato di Napoli; le lettere con Giovanni Giraldi in Novelle letterarie, Firenze 1753, nn. 18, 19, 21, 22, 34, 35, 44, e 1754, nn. 1, 2, nonché in Lettere sopra alcune scoperte chimiche indirizzate al signore cavaliere Giovanni Giraldi fiorentino (1753), a cura di A. Crocco, Napoli 1969; in trad. francese, Lettres écrites à Mons.r l’abbé Nollet, Naples 1753; il carteggio con Andrea Alamanni è on-line: www.accademiadellacrusca.it; Cerimoniale 1490, in Cerimoniale dei Borbone di Napoli, 1734-1801, a cura di A. Antonelli, Napoli 2017, pp. 310-311.
J.B. de Boyer, marquis d’ Argens, Lettres juives, Amsterdam 1736-1739, pp. 249-252; G. Origlia Paolino, cit., II, pp. 320-389 (il testo è in larghissima parte non di Origlia ma dello stesso di Sangro); F.A. Zaccaria, Storia letteraria d’Italia, III, Venezia 1752, pp. 525 s.; F.B. De Felice, Severo, Raimond De Sangro, San-, in Encyclopédie, ou, Dictionnare universel..., I-LVIII, Yverdon 1770-1780, XXXVIII, pp. 482-485; P. Napoli Signorelli, Vicende della coltura nelle Due Sicilie, V, Napoli 1786, p. 487; M. Schipa, R. di S. castigato nel 1752 dal Consiglio comunale di Napoli, in Napoli nobilissima, 1901, vol. 10, n. 10, pp. 157 s.; B. Croce, Prepotenze e delitti baronali a Napoli nel tempo austriaco, in Id., Aneddoti di varia letteratura, II, Napoli 1942, pp. 164-178; A. Genovesi, Autobiografia, a cura di G. Savarese, Milano 1962, p. 36; F. Venturi, Settecento riformatore. Da Muratori a Beccaria, Torino 1969, pp. 538-543; C. Francovich, Storia della massoneria in Italia dalle origini alla rivoluzione francese, Firenze 1974, pp. 87-131, 187-212; E. Del Curatolo, Tra inquisizione e massoneria nella Napoli del ’700. La “Lettera apologetica” del principe di Sansevero, in Clio, XVIII (1982), pp. 35-56; R. Colapietra, R. di S. e il Templum Sepulchrale della Cappella Sansevero, in Napoli nobilissima, 1986, vol. 25, n. 1-2, pp. 62-79 n. 3-4, pp. 142-154; R. Cioffi, R. di S. grafico. Esoterismo e innovazione, in Grafica, V (1988), pp. 35-53; E. Chiosi, Nobiltà e massoneria a Napoli, in Dimenticare Croce?, a cura di A. Musi, Napoli 1991, pp. 151-165; Ead., Lo spirito del secolo. Politica e religione a Napoli nell’età dell’illuminismo, Napoli 1992, pp. 47-75; L. Sansone Vagni, R. di S., principe di San Severo, Foggia 1992; R. Cioffi, La Cappella Sansevero, Salerno 1994; G. Giarrizzo, Illuminismo e massoneria nell’Europa del Settecento, Venezia 1994, pp. 115, 176-179; V. Ferrone, I profeti dell’Illuminismo, Roma-Bari 2000, pp. 209-237; E. Catello, Giuseppe Sanmartino (1720-1793), Milano 2004, ad nomen; A. Massafra, Note sulla geografia feudale della Capitanata in età moderna, in La Capitanata in Età moderna. Ricerche, a cura di S. Russo, Foggia 2004, pp. 17-47; A. Borrelli, Giovanni Lami e Napoli (in appendice lettere di Domenico Caracciolo, R. di S. e Francesco Longano), in Giornale critico della filosofia italiana, LXXXV (2006), pp. 254-273; A.M. Rao, La Massoneria nel Regno di Napoli, in Storia d’Italia, Annali 21, La massoneria, a cura di G.M. Cazzaniga, Torino 2006, pp. 513-542; S. Ferrari, La conversione ‘filosofica’ di Fortunato Bartolomeo De Felice, in Illuminismo e protestantesimo, a cura di G. Cantarutti - S. Ferrari, Milano 2010, pp. 87-105; E. Nappi, Dai numeri la verità. Nuovi documenti sulla famiglia, i palazzi e la Cappella dei Sansevero, Napoli 2010, pp. 32 s.; E. Cocco, Di Sangro e d’Argens, Napoli 2012; M. Della Monica et al., Science, art, and mistery in the statues and in the anatomical machines of the prince of Sansevero. The masterpieces of the Sansevero chapel, in American journal of medical genetics. Part A, 2013, vol. 161a, pp. 2920-2929; L. Pruneti, S., R. di, principe di Sansevero, in Le monde maçonnique des lumières (Europe-Amériques et Colonies). Dictionnaire prosopographique, a cura di C. Porset - C. Révauger, III, Paris 2013, pp. 2476-2482; F. Luise, Carlotta Gaetani principessa di Sansevero e le sue figlie, in Archivio storico per le province napoletane, CXXXIII (2015), pp. 169-183; D. Cecere, Il principe e il feudo. I possedimenti dei di Sangro nel Settecento, relazione al Convegno Ragione e mistero. Raimondo di Sangro a trecento anni dalla nascita, Napoli 2010, in corso di stampa.