Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La fama del filosofo maiorchino Raimondo Lullo è soprattutto legata all’ars combinatoria, metodo inventivo e dimostrativo intuitivamente scoperto (“rivelato”), mediante il quale Lullo ritiene di poter elaborare dimostrazioni cogenti per convertire gli “infedeli” alla fede cristiana. L’azione missionaria è infatti il fulcro della vita di Lullo a partire dalla visione mistica che a trent’anni lo induce a un repentino cambiamento di vita, concretizzatosi in un’intensissima produzione intellettuale mirante a realizzare il primitivo proposito di “scrivere un libro, il più bello del mondo, contro gli errori degli infedeli”.
Raimondo Lullo
La quarta volta in cui gli apparve questa visione – o forse la quinta volta, come più comunemente si crede – il suo terrore fu totale; si rifugiò nel letto e passò tutta la notte a pensare che cosa mai potessero significare queste visioni che si ripetevano tante volte. Un momento la sua coscienza gli diceva che queste apparizioni non potevano voler dire altro se non che, abbandonando il mondo, doveva dedicarsi da allora totalmente al servizio di Cristo. Il momento dopo quella stessa coscienza si proclamava colpevole e indegna di mettersi al servizio di Cristo. Così, ora dibattendosi interiormente, ora pregando Dio con fervore, passò una notte insonne e travagliata. Infine, per grazia del Padre da cui proviene ogni luce, si mise a riflettere sulla dolcezza, la pazienza e la misericordia che Cristo ha sempre avuto e ha verso tutti i peccatori. E così giunse con certezza assoluta alla conclusione che Dio voleva che Raimondo abbandonasse il mondo e si dedicasse completamente, con tutto il cuore, al servizio di Cristo.
Allora cominciò a riflettere interiormente su quale fosse il servizio più gradito a Dio. Gli venne in mente che nessuno avrebbe potuto servire Cristo in modo migliore o maggiore che dedicando la propria vita e la propria anima ad amarlo e onorarlo; e in special modo a convertire alla sua religione e al suo servizio i Saraceni, che sono numerosissimi e circondano da ogni parte i cristiani. Ma mentre così pensava, guardando a se stesso si rese conto che non aveva le conoscenze necessarie per un’impresa di questa portata, perché non aveva fatto nemmeno gli studi fondamentali, se non pochi rudimenti. Ne fu costernato e se ne rammaricò moltissimo.
Tuttavia, mentre continuava depresso a rimuginare, all’improvviso – davvero lui non sa come, ma Dio lo sa – entrò nel suo cuore e lo ricolmò un pensiero così formulato: che egli avrebbe scritto un libro, il più bello del mondo, contro gli errori degli infedeli. Se ne meravigliò molto, perché non aveva idea di come, in che forma e con quale metodo poter scrivere questo libro. Eppure, quanto più si meravigliava, tanto più forte quel pensiero istintivo, quell’idea di scrivere il libro, cresceva dentro di lui.
Continuando a pensarci si rese conto che, anche se col passare del tempo per grazia di Dio avesse potuto scrivere il libro, poco o nulla avrebbe comunque potuto fare da solo, soprattutto perché non conosceva la lingua araba, che è quella dei Saraceni. Allora gli venne in mente di andare dal papa, dai re e dai principi cristiani, per incitarli e per chieder loro di fondare nei loro regni, in luoghi adeguati, dei monasteri in cui monaci scelti e altre persone adatte potessero applicarsi a imparare le lingue dei Saraceni e degli altri infedeli, affinché fra loro si potessero scegliere, anche all’improvviso, le persone giuste per mandarle a predicare e a dimostrare ai Saraceni e agli altri infedeli la santa verità della fede cattolica in Cristo.
R. Lullo, Vita Coetanea, Jaca Book, 2011
Raimondo Lullo
Abbiamo composto questo trattato affinché i cristiani fedeli e devoti comprendano che, mentre nessun’altra religione al di fuori di quella cristiana può essere dimostrata vera, né può essere difesa dai suoi seguaci, né può contraddire razionalmente la fede cristiana – perché tutte quante si basano su un fondamento falso e frivolo –, la fede cristiana invece non solo si può difendere contro tutte quelle che cercano di contraddirla, ma si può anche argomentare, demolendo ogni altra religione, mediante dimostrazioni cogenti (per necessarias rationes), come si può vedere dalle prove che abbiamo dato in precedenza. […] Questa via per convertire gli infedeli è la più facile di tutte. È infatti difficile e rischioso indurre gli infedeli ad abbandonare la propria fede per abbracciarne una proposta da altri; ma chi fra loro potrà rifiutarsi di abbandonare una credenza falsa e impossibile per accoglierne una vera e necessaria? […].
Se poi qualcuno dice che affidarsi alle dimostrazioni toglie qualcosa alla fede o al merito dei fedeli, diciamo che sono fedeli non coloro che vogliono comprendere per credere, ma i credenti che se non credono non comprendono.
Coloro che credono con semplicità e fermezza possono elevarsi in virtù di quella fede a tanto sublime intelligenza che la stessa fede, cibo della volontà di coloro che in essa credono, offrirà loro le medesime fondamenta su cui essa si fonda, ovvero le dimostrazioni cogenti, affinché siano cibo del loro intelletto. La fede infatti, elevandosi come l’olio sulla superficie dell’acqua, raggiungerà in quegli stessi credenti un livello superiore quanto più l’intelletto avrà innalzato la sua scala costruita con dimostrazioni cogenti […].
Se poi qualcuno dirà che alcune o molte delle dimostrazioni date in precedenza si trovano anche altrove, gli rispondiamo che noi le abbiamo scoperte utilizzando il metodo e l’arte della Tabula generalis da noi edita. E se anche fossero state utilizzate altrove e da altri, quanto più numerosi sono i libri e gli autori che l’hanno fatto tanto più esultiamo; infatti noi non ci proponiamo altro se non mostrare che la fede cristiana e i fedeli per mezzo di essa possono vincere e convertire mediante dimostrazioni gli infedeli seguaci di ogni altra religione ed esaltare il nome glorioso e magnifico di Dio di fronte a tutti e in tutte le regioni del mondo.
Raimundo Lullo, Opera, Stuttgart-Bad Cannstatt, Frommann-Holzboog, 1996
Raimondo Lullo
Ramón giunse in un bel prato; nel centro vi era un grande albero e un’amena fonte. All’ombra dell’albero stava una bella dama, dignitosamente vestita, che piangeva, si lamentava e diceva queste parole: “Ahi te, triste e dolente! Quanto sei disprezzata in questa vita presente! Perché la scienza, tua sorella, ha molti servitori che la apprendono per mezzo della filosofia, e tu ne hai troppo pochi, rispetto alla tua importanza e al tuo valore!”
Ramón raggiunse la dama e la salutò umilmente; la donna gli restituì cortesemente il saluto. Ramón allora chiese alla dama il suo nome e la ragione per cui ella piangeva e si lamentava. “Ramón – rispose la donna – io mi chiamo Filosofia d’Amore e piango e mi tormento perché ho pochi amanti, mentre mia sorella Filosofia del Sapere ne ha molti più di me.”
“Filosofia d’Amore – chiese Ramón – per quale motivo Filosofia del Sapere ha più servitori di voi? E perché voi ne provate invidia, dal momento che ella è vostra sorella?”
in Mistici Francescani. Secolo XIV, a cura di D. Mancini, Milano, Editrici Francescane, 1997
Raimondo Lullo
Adorazione di dio
Il libro del Gentile e dei Tre Savi
Terminato di riassumere tutto quello ch’era stato esposto dai Savî, il Gentile, levatosi all’in piedi, fu subitamente illuminato dalla Grazia divina. Col cuore gonfio d’amore e gli occhi colmi di lacrime, egli adorò quindi Iddio, pronunciando queste parole:
“Oh! Sovrano, divino ed infinito Bene, scaturigine e compimento d’ogni bene! Io riverisco ed onoro questa tua santa bontà, o Signore! Io in essa riconosco l’immensa beatitudine alla quale sono infine pervenuto, e ad essa rendo grazie!
Signore Iddio, io adoro e benedico la tua grandezza, che è infinita in bontà, in eternità, in potenza, in saggezza, in amore ed in perfezione. E pure alla tua eternità, o Signore, rendo gloria ed onore, poiché anch’essa è senza inizio né fine in bontà, grandezza, potenza, saggezza, amore e perfezione! Signore, io, inoltre, adoro, temo ed onoro sovra ogni altra cosa la tua potenza, la potenza infinita della tua bontà, della tua grandezza, della tua eternità, della tua saggezza, del tuo amore, della tua perfezione. Amato Iddio, in te la stessa saggezza è infinita nella tua bontà, nella tua grandezza, nella tua eternità, nella tua potenza, nel tuo amore, nella tua perfezione ed in tutto ciò che tu stesso hai creato! Tale saggezza, o Signore, io amo e adoro con tutte le mie forze, corporali e spirituali. Quanto poi al tuo amore, esso non è certo un amore qualsiasi, ma è quello stesso amore che trascende ed abbraccia ogni altro amore: è l’amore che è al tempo stesso bontà, grandezza, eternità, potenza e saggezza perfette. Orbene, a tale amore io rendo grazie: tale amore, o Signore, io adoro ed amo. Tutta la mia volontà, tutta la forza della mia intelligenza e tutto ciò che il tuo stesso amore ha voluto donarmi io li impiegherò, o Signore, per servire, lodare ed onorare tale amore durante tutti i giorni della mia vita futura.”
R. Lullo, Il libro del Gentile e dei Tre Savi, a cura di M. Candellero, Torino, Gribaudi, 1986
Raimondo Lullo
In quest’Arte poniamo un alfabeto per potere con esso creare le figure e combinare i principi e le regole alla ricerca della verità. Infatti attraverso una stessa lettera, che possiede diversi significati, l’intelletto è più generale nel ricevere molti significati e anche nel costituire la scienza. È certamente opportuno conoscere a memoria quest’alfabeto. Altrimenti l’artista non potrà utilizzare correttamente quest’Arte.
B significa bontà, differenza, se?, Dio, giustizia e avarizia.
C significa grandezza, conformità, che cosa?, angelo, prudenza e gola.
D significa eternità o durata, opposizione, da che cosa?, cielo, fortezza e lussuria.
E significa potenza, inizio, perché?, uomo, temperanza e superbia.
F significa sapienza, mezzo, quanto grande?, facoltà immaginativa, fede e accidia.
G significa volontà, fine, di che tipo?, facoltà sensitiva, speranza e invidia.
H significa virtù, superiorità, quando?, facoltà vegetativa, carità e ira.
I significa verità, uguaglianza, dove?, facoltà elementativa, pazienza e falsità.
K significa gloria, inferiorità, in che modo? e con che cosa?, facoltà istrumentativa, pietà e incostanza.
[…] La prima figura è la A. Questa figura contiene nove principi, cioè bontà, grandezza eccetera, e nove lettere, cioè B, C, D, E eccetera. Questa figura è circolare perché il soggetto diventa predicato e viceversa, come quando si dice: la bontà è grande; la grandezza è buona. E così per gli altri principi. In questa figura l’artista cerca l’accordo naturale tra soggetto e predicato, l’ordine e il rapporto, per trovare un termine medio con cui giungere alla conclusione. […]
La seconda figura è indicata da T. Essa contiene in sé tre triangoli e ciascuno è generale per tutto. […] Questa figura T è in funzione della prima figura. Infatti per differenza si distingue tra bontà e bontà, tra bontà e grandezza, eccetera. E con questa figura unita alla prima, l’intelletto acquista la scienza. E poiché questa figura è generale, anche l’intelletto è generale.
La terza figura è composta dalla prima e dalla seconda. Infatti B, che vi appare, sta per B che è nella prima e nella seconda figura; e così per le altre lettere. Essa ha trentasei caselle, come si può vedere. Ogni casella ha numerosi significati diversi per le due lettere che contiene; così la casella BC ha molti significati diversi in funzione di B e C, e la casella BD ha molti significati diversi in funzione di B e D, eccetera. E questo già appare nell’alfabeto detto prima. In ogni casella vi sono due lettere, contenute in essa, che stanno per soggetto e predicato. In esse l’artista cerca il termine medio con cui siano collegati soggetto e predicato. Come bontà e grandezza che sono collegate da conformità, e così via. E con questo termine medio l’artista si avvia a concludere ed a formulare una proposizione chiara. […]
La quarta figura ha tre cerchi, dei quali quello superiore è immobile e i due inferiori sono mobili, come appare nella figura. Il cerchio di mezzo ruota sotto il cerchio superiore, immobile, come ad esempio quando si pone C sotto B. Il cerchio inferiore invece ruota sotto il cerchio mediano, come quando si pone D sotto C. E allora si formano nove caselle; BCD è una, CDE è l’altra, e così via. […] E così per mezzo delle caselle l’uomo dà la caccia alle conclusioni necessarie e le trova. […] Questa figura è più generale della terza poiché in ciascuna casella di questa figura vi sono tre lettere, mentre in ciascuna casella della terza figura non ve ne sono che due. Così l’intelletto è più generale attraverso la quarta figura rispetto alla terza.
R. Lullo, Arte breve, a cura di M. M. M. Romano, Milano, Bompiani, 2002
Raimondo Lullo
Metodi di dimostrazione
Liber de demonstratione per aequiparantiam , ROL IX
Tutto ciò che è stato dimostrato dagli antichi è stato dimostrato o propter quid o quia. L’oggetto di questo libro è la ricerca di una dimostrazione della distinzione delle persone divine [della Trinità]: questo tipo di dimostrazione non lo si può ricercare propter quid, perché Dio non ha niente al di sopra di sé, e la dimostrazione quia non è certissima. Per questa ragione intendiamo provare la distinzione nella divinità mediante l’equiparazione e l’equivalenza (per aequiparantiam et aequiualentiam) degli atti delle ragioni divine. E poiché ogni dimostrazione, per essere tale, deve procedere da principi primi veri, immediati e necessari, vogliamo formulare e ottenere mediante tali principi questa dimostrazione, che denominiamo per aequiparantiam. Il procedimento che utilizzeremo per questa dimostrazione teologica sarà d’esempio per quelli che potranno essere utilizzati nelle altre scienze.
R. Lullo, Liber de demonstratione per aequiparantiam , Brepols, Turnhout, 1981
Raimondo Lullo
Scrivere un libro sulle scienze
Arbor scientiae, ROL XXIV, vol. I
Nella desolazione e nel pianto Raimondo stava all’ombra di un bell’albero e cantava il suo poema Lo sconforto, per alleviare un po’ il dolore che provava per non essere riuscito a ottenere che la curia romana devotamente s’impegnasse per Gesù Cristo e per il bene di tutta la cristianità. E mentre così desolato si aggirava per un’amena valle ricca di belle fonti e alberi, arrivò un monaco che, sentendo Raimondo cantare quel canto sconsolato e pio, seguendo il suono della voce arrivò nel luogo dove egli si trovava; dall’abito che Raimondo portava e dalla lunga barba che aveva giudicò che fosse un monaco straniero e gli chiese: “Amico, che cos’hai? Perché piangi? Dimmi il tuo nome, per favore, e dove sei nato, perché se potessi in qualche modo aiutarti lo farei volentieri, dal momento che ti vedo così desolato, e vorrei consolarti, anzi vorrei che trovassi consolazione nel creatore dimenticando la breve vita in questo mondo.”
Raimondo gli rispose, gli disse il suo nome e gli raccontò molte cose di sé. Il monaco si rallegrò d’aver incontrato Raimondo e gli disse che lo aveva cercato a lungo per chiedergli di scrivere un libro generale su tutte le scienze, che fosse facile da capire e mediante il quale si potesse più facilmente intendere quell’Arte generale che aveva composto; sia perché essa risulta estremamente sottile e difficile da comprendere, sia perché le scienze degli antichi sapienti sono anch’esse difficili e richiedono molto tempo per essere apprese, sicché difficilmente si giunge alla fine; e infine perché molti sapienti sollevano dubbi su ciò che altri sapienti hanno detto. Perciò lo pregò di scrivere un libro generale che aiutasse a capire le altre scienze, perché un intelletto confuso è un grande pericolo, impedisce di dedicarsi devotamente a onorare, conoscere, amare e servire Dio, nonché di fare cose utili per il prossimo. […]
Raimondo rifletté a lungo su quel che il monaco gli aveva chiesto e sul bene che poteva venirne se avesse scritto quel libro. Mentre così rifletteva vide un bell’albero pieno di foglie, fiori e frutti, e pensò al significato di tutto questo.
“Raimondo – gli disse il monaco – a che cosa pensi? Perché non mi rispondi?”
E Raimondo parlò: “Signore, sto riflettendo sul significato di quest’albero, sul fatto che esso significa tutto ciò che esiste. E mi viene voglia di scrivere il libro che mi hai chiesto accogliendo il significato di quello che l’albero indica con le sue sette parti: radici, tronco, branche, rami, foglie, fiori e frutti; secondo questo schema organizzerò il libro.”
R. Lullo, Arbor scientiae
Nel 1311 Raimondo Lullo, quasi ottuagenario, durante il suo ultimo soggiorno a Parigi affida la propria autobiografia ai monaci della certosa di Vauvert, per presentare ancora una volta il proprio progetto di conversione basato sulla dimostrazione delle verità della fede cristiana mediante l’uso dell’arte combinatoria e la conoscenza delle lingue dei cosiddetti “infedeli” – in realtà i seguaci delle religioni monoteistiche non cristiane. A Parigi, all’università e a corte, Lullo aveva presentato a più riprese la sua ars combinatoria senza mai conquistare l’attenzione sperata, anzi guadagnandosi l’appellativo di phantasticus, pazzo; eppure proprio Parigi è uno dei centri ove lascia raccolte dei suoi scritti perché anche dopo la sua morte continui la diffusione delle sue dottrine (gli altri due sono la sua città natale, Palma di Maiorca, e Genova, presso la nobile famiglia Spinola). Nel 1311 Lullo è in procinto di presentare il suo piano al concilio di Vienne; nei decenni precedenti aveva rivolto senza esito analoghi appelli a papi e sovrani (Celestino V, Bonifacio VIII, Clemente V, Giacomo II di Maiorca, Filippo il Bello, Enrico II re di Cipro); nel 1312 si recherà allo stesso scopo presso Federico III di Sicilia.
Nato a Palma di Maiorca nel 1235, pochi anni dopo la conquista dell’isola da parte di Giacomo II nel 1229, Raimondo Lullo riceve l’educazione cortese tipica dei giovani nobili. Adulto, sposato con Blanca Picany che gli ha dato due figli, vive alla corte maiorchina. È in questo contesto che gli si presenta ripetutamente una visione di Cristo crocifisso che lo induce a un repentino cambiamento di vita. Meditando sul significato di questa esperienza mette a fuoco il proposito di scrivere “un libro, il più bello del mondo”, per convertire musulmani ed ebrei: dalla conversione personale nasce dunque il progetto di conversione dell’intero mondo (o meglio del mondo mediterraneo) al cristianesimo, fulcro dell’attività intellettuale di Lullo, che non conoscerà più interruzioni fino all’anno della sua morte a Maiorca nel 1316. Per dar seguito al suo progetto abbandona la famiglia e nei dieci anni successivi alla visione (1262 1272 ca.), pur conservando lo status di laico, si dedica agli studi filosofici e teologici necessari per compiere la propria missione. Tornato a Maiorca, mentre medita in solitudine sul monte Randa, Lullo riceve una seconda “visione”: ““il Signore illuminò improvvisamente la sua mente, rivelandogli la forma e il metodo per scrivere il libro contro gli errori degli infedeli”” (Vita Coetanea, ROL VIII, 1980). È l’intuizione della combinatoria, che espone nell’Ars compendiosa inveniendi veritatem (1274) e di cui elabora diverse versioni fino al 1308 (Ars demonstrativa, 1283; Ars inventiva veritatis, 1290; Tabula generalis, 1293-1294; Ars compendiosa, 1299; Lectura artis, quae intitulatur Brevis practica Tabulae generalis, 1303; Ars brevis e Ars generalis ultima, 1308).
Secondo il catalogo redatto da Anthony Bonner (A. Bonner, Selected Works of Ramon Llull, 1984) le opere scritte da Lullo sono 257: la prima, Compendium logicae Algazelis, scritta a Montpellier verso il 1272; l’ultima, Liber de deo et mundo, a Tunisi nel 1315. Alcune sono molto estese (Liber contemplationis, 1273-1274; Arbor scientiae, 1295-1296; Ars generalis ultima), altre brevissime, come i 36 opuscoli messinesi (1313-1314), in gran parte dedicati a questioni teologiche. Lullo utilizza vari generi di scrittura: enciclopedie, trattati, romanzi filosofici, poemi; mai, tuttavia, quelli tipici della scolastica: il commento e la summa. Per quanto, poi, tutte le sue opere sull’ars contengano una sezione di “questioni” (rilevantissimo l’Arbor quaestionalis, sedicesimo libro dell’Arbor scientiae) e alcuni scritti siano connotati come tali fin dal titolo, la quaestio lulliana non è modellata sulla quaestio scolastica ma sul dialogo fra maestro e discepolo che caratterizza molta trattatistica scientifica e medica del XII secolo: esemplare a questo riguardo il Liber super quaestiones Magistri Thomae Attrebatensis (1299), che risponde a domande dell’unico suo discepolo parigino, Thomas Le Myésier (?-1336).
A differenza della maggior parte dei magistri universitari, Lullo scrive le proprie opere nel corso di una vita attiva, spesa nella ricerca e nella diffusione del metodo per dimostrare le verità della fede cristiana mediante argomentazioni cogenti, per rationes necessarias (Jordi Gayà Estelrich, Raimondo Lullo. Una teologia per la missione, 2002). Si sposta da Maiorca a Barcellona a Montpellier, base dei suoi successivi viaggi che lo portano a Roma, dove cerca di convincere i pontefici ad adottare la sua arte come strumento di rinnovamento del sapere; a Genova, dove allaccia rapporti d’amicizia con gli Spinola; a Napoli e a Pisa, dove nel 1308 scrive l’Ars brevis e termina la redazione dell’Ars generalis ultima. A Parigi si reca una prima volta nel 1288-1289, poi nel 1297-1299 e infine nel 1309-1311. Viaggia anche nei Paesi musulmani e s’impegna personalmente nella predicazione convinto che, riuscendo a persuadere razionalmente le élite intellettuali islamiche della verità della fede cristiana, avrebbe ottenuto di conseguenza la conversione del popolo; il primo viaggio a Tunisi nel 1293 segna il superamento di una profonda crisi depressiva, che Raimondo aveva vissuto come conseguenza del fallimento presso la curia romana; l’ultimo viaggio, a Tunisi e Bugia, si svolge nell’ultimo anno della sua vita (1315-1316).
A sostegno del proprio progetto, Lullo propone la creazione di collegi di lingue orientali per formare missionari in grado di convertire i non-cristiani sulla base del dibattito e non con la forza. Per qualche tempo dopo la conversione gravita nella sfera d’influenza dei Domenicani: il progetto di conversione mediante rationes necessariae risponde a un’esigenza sostenuta da Raimondo di Peñafort, all’origine anche della Summa contra Gentiles di Tommaso d’Aquino. Ma la risoluzione della gravissima crisi psicologica vissuta nel 1292 spinge Lullo ad accostarsi ai Francescani, che ritiene più idonei a valorizzare, custodire e diffondere la sua opera, come storicamente è avvenuto.
La sua posizione iniziale, caratterizzata dalla fiducia nell’uso pacifico della ragione e nella possibilità di argomentare in maniera inconfutabile le verità del credo cristiano, si esprime nel Liber de Gentili et tribus sapientibus (1274-1276), dove un ebreo, un cristiano e un musulmano, disputando cortesemente sui temi delle rispettive leges, convertono alla fede nell’unico Dio il Gentile; ma egli non rivela a quale delle tre religioni intenda aderire e la preghiera che recita si richiama alla dottrina lulliana delle dignitates (su cui torneremo più avanti), ovvero alla nozione dei nomi divini, compatibile con tutte e tre.
Nel corso degli anni, tuttavia, la consapevolezza della realtà politica e la difficoltà di concretizzare il proprio ideale missionario portano Lullo a aderire all’idea di crociata, che intende peraltro come subalterna e finalizzata alla missione e a cui dedica diversi scritti, fra i quali primeggia il Liber de Fine (1305): qui egli suggerisce la fondazione di un nuovo ordine militare e descrive minuziosamente la strategia da tenere nella crociata, ma inserisce nell’equipaggiamento dei crociati una serie di opere da lui scritte, utili per la formazione dei crociati stessi e per la predicazione agli infedeli.
Anche durante i soggiorni parigini Lullo non distoglie la propria attenzione dal progetto missionario, sviluppando un’intensa polemica verso quegli scolastici che, quasi testa di ponte dell’islam, propongono nel mondo cristiano l’interpretazione della filosofia aristotelica data da Averroè. La prima chiara presa di posizione antiaverroista si ha nella Declaratio per modum dialogi edita (1298), che riprende gli articoli della condanna contro gli “errori” dei seguaci di Aristotele emessa dal Cancelliere dell’Università di Parigi nel 1277. Cronologicamente vicino alla Declaratio e come questa scritto a Parigi, il più ampio degli scritti mistici lulliani, l’Arbor philosophiae amoris (1299), realizza l’unione di “Filosofia del Sapere” e “Filosofia d’Amore” utilizzando i dispositivi dell’ars e presentando come “fiori” e “frutti” dell’esperienza mistica le dottrine filosofiche e teologiche che confutano concezioni tipiche dell’averroismo. In questa idea delle rationes necessariae come “frutti dell’albero d’Amore” si coglie il “segreto” della vita del Doctor Illuminatus, nella cui ricerca filosofica s’intrecciano esperienza visionaria e radicale intellettualismo (Amadar Vega, Ramon Llull y el segredo de la vida, 2002). All’ultimo soggiorno parigino (1309-1311) appartengono altri trattati antiaverroistici, per lo più molto brevi, in cui l’arte combinatoria viene abbandonata.
Lullo costruisce la propria arte come un’alternativa alla filosofia scolastica, in cui la dimensione dimostrativa (logica) e quella inventiva (topica) rimangono separate: l’arte lulliana si presenta invece come inventiva e dimostrativa, oltre che generale, cioè applicabile a tutte le scienze (Josep M. Ruiz Simon, L’Art de Ramon Llull i la teoria escolàstica de la ciència, 1999). In aggiunta ai due tipi di dimostrazione aristotelica (propter quid e quia) Lullo elabora un metodo dimostrativo originale, la demonstratio per aequiparantiam: un ragionamento basato sulla concatenazione di proposizioni considerate equivalenti in ragione della permutabilità dei principi dell’arte.
Poiché il fondamento dell’ars combinatoria sono, come vedremo, gli attribuiti divini (dignitates), la dimostrazione per aequiparantiam trova particolare applicazione in teologia, rafforzando la convinzione lulliana di poter convalidare mediante ragioni inconfutabili i dogmi della fede cristiana, a partire dalla Trinità e dall’Incarnazione. Questo intellettualismo anti-aristotelico di matrice mistica, comprensibilmente inviso ai magistri parigini, viene attaccato violentemente nella seconda metà del Trecento dall’inquisitore della corona d’Aragona Nicolas Eymerich e successivamente porta all’inclusione di Lullo nell’Indice dei libri proibiti del 1559 (ma il suo nome già è scomparso da quello del 1564). Tutto ciò mentre i suoi seguaci, che da Maiorca, Barcellona e Valencia ne avevano diffuso le dottrine in Italia fra XIV e XV secolo, promuovono un processo di canonizzazione mai concluso.
Lullo, infine, è il primo filosofo laico che utilizza la propria lingua materna, il catalano, per scrivere di filosofia. Conosce anche l’arabo, appreso negli anni successivi alla conversione per poter meglio realizzare il suo progetto missionario, e in arabo redige dapprima il Liber contemplationis, dandone anche una versione catalana e una latina. Durante tutta la vita alterna nella scrittura il catalano e il latino e fin dall’inizio viene assistito da collaboratori che costituiscono un vero e proprio scriptorium: redattori, traduttori, copisti, che rendono possibile la notevolissima produttività intellettuale del grande catalano.
Il Liber contemplationis è la prima opera di grande respiro il cui testo, strutturato in base a una complessa numerologia, comprende in tutto 366 capitoli: le idee teologiche e filosofiche di Lullo vi sono presentate come meditazioni per i giorni dell’anno. Già in alcune pagine di quest’opera incontriamo gli elementi di base dell’arte lulliana: l’uso delle lettere alfabetiche come simboli sostitutivi di termini del linguaggio naturale e la loro organizzazione in dispositivi grafici; non sono ancora, tuttavia, le figure combinatorie descritte nell’Ars compendiosa inveniendi veritatem, la prima opera che espone il contenuto dell’“illuminazione del monte Randa”.
Le figure combinatorie sono dispositivi grafici basati sulla rotazione di cerchi concentrici e di triangoli e quadrati inscritti, mediante cui si mettono logicamente in relazione i principi fondamentali della realtà rappresentati da lettere alfabetiche (B-R nella prima versione dell’arte, quaternaria, basata su 16 lettere; B-K nella seconda versione, ternaria, con 9 lettere), attraverso il rinvenimento del loro “medio naturale”.
A seconda della figura e del livello in cui sono poste, le lettere rappresentano: le dignitates o attributi divini (principi assoluti); i principi relativi (differenza, concordanza, contrarietà; principio, medio, fine; maggiore, uguale, minore; Dio, creatura, operazione; affermazione, dubbio, negazione); le facoltà dell’anima intellettiva; le virtù e i vizi; i principi della teologia, della filosofia e del diritto. A partire dal 1290 la riduzione a nove dei principi dell’ars permette a Lullo di ottenere un più facile raccordo con la struttura ternaria, che svolge un ruolo fondamentale nel suo pensiero e facilita la costruzione di argomentazioni sul mistero trinitario, massimo punto di divergenza fra la teologia cristiana e il rigoroso monoteismo che caratterizza l’ebraismo e l’islam.
Nell’arte a struttura quaternaria, esposta nell’Ars compendiosa inveniendi veritatem e nell’Ars demonstrativa e utilizzata in tutte le opere di argomento speciale composte fra il 1274 e il 1289 (per esempio i quattro Libri principiorum dedicati alla filosofia, alla teologia, alla medicina e al diritto) le figure principali sono tre: le prime due, A e T, sono quelle in cui si trovano raffigurati “i principi sostanziali e accidentali di tutte le cose” (come leggiamo nel Breviculum, sintesi illustrata della filosofia lulliana), ovverossia le dignitates e i principi relativi.
La figura T è detta anche “figura triangolare”, perché le terne di principi relativi corrispondono ai vertici dei cinque triangoli (nella fase quaternaria) o tre (in quella ternaria) inscritti nel cerchio; la terza figura, S, rappresenta graficamente le potenze dell’anima (memoria, intelletto, volontà) e le loro combinazioni, organizzandole in uno schema quaternario. Le prime due figure rimarranno – la figura A con nove dignitates, la figura T con le prime tre terne di principi – anche nell’arte della fase ternaria. Nelle figure, le lettere vengono messe in relazione in due modi: strutturalmente, attraverso la segnalazione dei loro rapporti mediante linee (nella figura A) o mediante le figure geometriche inscritte nel cerchio; dinamicamente, attraverso la rotazione delle figure inscritte o di più cerchi concentrici in cui le stesse lettere ricorrono indicando serie di significati diversi; si noti che nella figura A le linee che mettono in relazione le dignitates non sono raggi e non toccano il centro, a significare l’ineffabilità del principio divino in sé. Dalle varie posizioni relative, che i cerchi concentrici possono assumere, si ottengono le tavole combinatorie (matrici a due o tre lettere), che permettono di costruire con la sicurezza di un calcolo tutti i discorsi possibili attorno alla realtà (Anthony Bonner, The Art and Logic of Ramon Llull. A User’s Guide, 2008).
Scrive Robert D.F. Pring Mill: ““Il cerchio, il triangolo e il quadrangolo sono le tre ‘figure generali’ dalle quali discende tutta l’organizzazione geometrica della realtà. L’organizzazione delle figure basiche dell’arte secondo questo modello serve per far risaltare simbolicamente l’universalità delle sue operazioni, associandole allo stesso tempo con le ‘opere naturali’ dei quattro elementi del mondo materiale, i quali sono anche ‘circolari, quadrangolari e triangolari’””(Robert Pring Mill, El microcosmos lul lià, 1961; tr. it. 2007). La visione del mondo neoplatonica incentrata sul tema dei “nomi divini” in cui il creato si radica – paradigma comune ai pensatori cristiani, ebrei e islamici – fornisce a Lullo lo sfondo per la concezione di un’arte inventiva e dimostrativa basata sulla corrispondenza fra i diversi piani della realtà.
Nella versione quaternaria dell’ars la dimostrazione delle proprietà degli elementi e la trasposizione del significato delle lettere dall’ambito naturale quello teologico viene utilizzata come metafora per “dimostrare” l’Incarnazione di Cristo e la Trinità; Frances A. Yates definisce quest’uso “esemplarismo elementare” (Frances A. Yates, The Art of Ramon Lull, 1954, tr. it 2009). Ma il fondamento ultimo delle vere e proprie dimostrazioni ottenute mediante l’arte combinatoria risiede nella permutabilità della struttura fondante del reale, le dignitates o attributi divini (bontà, grandezza, eternità, potenza, sapienza, volontà, virtù, verità, gloria), per cui l’agire di ciascuna si converte in quello di tutte le altre, come la figura A mostra graficamente.
La possibilità della permutazione risiede in una struttura metafisico-linguistica ispirata a Lullo, si ritiene, da una proprietà della lingua araba e da lui denominata “correlativi”, la cui rilevanza per la combinatoria emerge esplicitamente soprattutto nelle opere della fase ternaria. I correlativi permettono di pensare il dinamismo degli enti non secondo la coppia aristotelica potenza/atto, ma secondo una terna concettuale che ne esprime l’agire in relazione: bonum (il bene), ad esempio, si esplica in: bonificativum o bonificans, che esprime l’attività del concetto (ciò che produce il bene); bonificabile o bonificatum, che ne esprime la passività (ciò che diventa buono); e bonificare, che esprime l’agire effettivo e fonda la possibilità del bonum di entrare in relazione con le altre dignitates. Su questa base è costruita la nuova tipologia di dimostrazione ricordata sopra, la demonstratio per aequiparantiam.
I testi sull’ars composti fra il 1305 e il 1308, Ars brevis e Ars generalis ultima, sono i più rilevanti dal punto di vista storico: considerati modello di mnemotecnica e strumento per la costruzione dell’enciclopedia, letti assieme ai testi d’alchimia attribuiti a Raimondo Lullo fin dalla seconda metà del XIV secolo, hanno attirato l’attenzione di importanti autori: da Enrico Cornelio Agrippa di Nettesheim a Giordano Bruno fino al teorico della pansofia Jan Komenskj (Comenius, 1592-1670) e a Leibniz.
L’ars combinatoria viene applicata da Lullo ai diversi ambiti del sapere in una serie di trattati di filosofia, teologia, diritto, logica, geometria, astronomia/astrologia e medicina. In essi emerge la sua padronanza della cultura del tempo, che intende rinnovare organizzando i principi di ciascuna disciplina mediante lo schema dell’albero e sviluppandoli razionalmente mediante la combinatoria: per questo definisce “nuove” le proprie trattazioni, spesso fin dal titolo (Logica nova, 1303; Tractatus novus de astronomia, 1297; Liber de nova geometria, 1299), benché nessuna presenti caratteri innovativi nei contenuti.
La struttura ad albero è usata per organizzare i contenuti del sapere in molti di questi scritti speciali e trova la sua applicazione generale nel principale scritto enciclopedico lulliano, l’Arbor scientiae. Tutti gli ambiti del reale (mondo naturale e umano, celeste e divino, chiesa e società) dipendono dalle dignitates, raffigurate come radici dalle quali si dipartono tutti i saperi, mentre i principi di ciascuno di essi sono gerarchicamente organizzati in tronco, rami, foglie, fiori e frutti: si hanno così gli alberi dedicati al mondo naturale (arbor elementalis, vegetalis, sensualis, imaginalis), al mondo umano (arbor humanalis, moralis, imperialis, apostolicalis), al mondo sovrasensibile (arbor caelestialis, angelicalis, aeviternalis, maternalis, divinalis et humanalis, divinalis), al metodo della conoscenza (arbor exemplificalis e arbor quaestionalis). I contenuti dell’enciclopedia, che corrispondono alle partizioni dell’essere, sono gli stessi che Lullo integra nell’esposizione di una fenomenologia della vita spirituale e di una pedagogia sapienziale nei due romanzi filosofici: il Blaquerna (1283), al cui interno spicca il mistico Liber de amico et amato; e il Felix o Llibre de les meravilles del mon (1288-1289), che include un bestiario moraleggiante dall’andamento favolistico di matrice orientale; anche nel Liber de amico et amato, uno dei gioielli della letteratura mistica che Lullo dichiara di aver scritto “al modo dei sufi”, si avverte con chiarezza l’influsso della cultura araba.
L’approccio del filosofo catalano al mondo islamico risulta dunque in qualche misura improntato a un’idea di scambio e la missione di “scrivere un libro, il più bello del mondo, per convertire gli infedeli”, si nutre anche degli apporti culturali degli “infedeli” stessi, sia nel contatto originario con la comunità musulmana maiorchina (numerosa, per quanto sottomessa e marginalizzata) che nella conoscenza della lingua e della letteratura araba, perfezionata sotto la guida di uno schiavo-insegnante negli anni successivi alla conversione. Meno esplicita, ma senz’altro presente fra i motivi ispiratori dell’arte combinatoria, l’influenza della cultura ebraica che proprio a Barcellona, alla metà del XIII secolo, vede riemergere – in funzione anti-razionalistica contro la filosofia di Mosè Maimonide – l’antico sapere segreto della Cabbala. Questa complessità d’ispirazione del pensiero lulliano trova forma nella sua peculiare elaborazione dello schema metafisico neoplatonico e, insieme al carattere alternativo dell’ars combinatoria rispetto alla scienza aristotelico-scolastica, spiega la sua originalità, la sua marginalizzazione nel panorama medievale e l’attenzione di cui invece godrà nel Rinascimento.