BRUNFORTE, Rainaldo da
Appartenne a una nobile e potente famiglia che signoreggiava una serie di castelli nel sud della Marca d'Ancona. La data della sua nascita non è nota, ma dovette cadere nei primi decenni del sec. XIII, dato che le prime notizie di lui risalgono al 1250. Nel febbraio di quell'anno l'imperatore Federico II gli concesse la facoltà di ricondurre alla grazia imperiale tutti i singoli e le comunità disposti a riconciliarsi con l'Impero e di condonare loro tutti gli atti ostili commessi in precedenza.
Il B., che nel documento non viene indicato con alcuna qualifica, doveva esser in quel periodo, data la natura altamente politica dell'incarico, uno dei maggiori esponenti della fazione imperiale nelle Marche da anni aspramente contese tra il papa e l'imperatore. Quest'ultimo infatti le considerava indispensabili per assicurare il collegamento delle parti italiane dell'Impero con il Regno di Sicilia, ma vi aveva perduto molto terreno dopo la scomunica comminatagli da Innocenzo IV nel 1245. Proprio in questi mesi tra la fine del 1249 e l'inizio del 1250 nelle Marche la fazione ghibellina si era nuovamente rafforzata e il B., nel quale l'imperatore doveva vedere uno dei più fedeli e preziosi sostenitori della causa imperiale, pare esercitasse le funzioni di vicario imperiale pur non essendo stato ufficialmente nominato. Solo nel giugno Federico II affidò il vicariato della Marca d'Ancona a Gualtieri da Pagliara.
La morte dell'imperatore, avvenuta il 13 dic. 1250 a Castel Fiorentino, provocò il subitaneo e totale tracollo della dominazione sveva nelle Marche: Corrado IV e Manfredi erano troppo occupati a rafforzare la loro posizione nel Regno stesso per poter pensare a una politica di espansione verso il nord. Il B. pare si adeguasse assai presto alla nuova situazione. Lusingato dalla corte pontificia quanto mai interessata a procurarsi l'adesione di uno dei più potenti feudatari della provincia, egli rinunciò a ogni politica antipapale, preoccupandosi essenzialmente della tutela e dell'incremento dei suoi possessi. Il 24 apr. 1251 ottenne dal legato pontificio nelle Marche, Pietro cardinale di S. Giorgio in Velabro, la conferma della concessione fattagli dalla moglie, Forestiera, e dalla cognata, Elena, figlie ed eredi del defunto Rainaldo d'Acquaviva, dei beni del suocero nella Marca d'Ancona e nell'Abruzzo. L'anno seguente Innocenzo IV con bolla del 28 nov. 1252 perdonò al B., che nel documento figura in qualità di podestà di Civitanova nella diocesi di Fermo, e agli abitanti della suddetta città tutte le offese contro la Chiesa e il giorno dopo ordinò con apposita bolla al rettore pontificio nelle Marche di costringere i vassalli del B. fuggiti a Penna di San Giovanni a tornare dal loro signore. Nel marzo dell'anno seguente il papa ritornò sulla faccenda, intervenendo di nuovo per proibire agli abitanti di San Giovanni di coabitare con i suddetti vassalli del Brunforte.
Tuttavia non pare che questa politica di lusinghe abbia potuto assicurare al papa la fedeltà dell'irrequieto feudatario. Le Marche restavano sempre un vero e proprio focolaio di lotte di natura essenzialmente locale che nel generale conflitto tra Papato e Impero trovavano solo una giustificazione del tutto esterna. Quando il 6 maggio 1256 Alessandro IV, succeduto a Innocenzo IV nel 1254, nominò vicario nelle Marche l'energico nobile romano Anibaldo Trasmondi, suo nipote, deciso a stroncare ogni resistenza, si formò subito contro di lui una coalizione di nobili e comuni, tra i quali emerse in primo piano il B., che tuttavia si sottomisero al vicario già il 16 sett. 1256 dietro conferma dei loro privilegi.
La situazione però cambiò completamente allorquando Manfredi, impadronitosi dopo la morte del fratellastro Corrado IV del Regno di Sicilia, si mostrò in grado di riprendere la politica paterna, puntando subito sul tanto prezioso possesso delle Marche, indispensabile base di partenza per una politica di espansione nell'Italia centrale e settentrionale. Nell'autunno del 1258, poco dopo l'incoronazione avvenuta nell'agosto a Palermo, Manfredi nominò suo vicario nelle Marche Percivalle Doria che si mise subito in contatto con i vecchi esponenti locali della fazione ghibellina. Il B., che in quel momento ricopriva la carica di podestà di Perugia, inizialmente ebbe qualche esitazione a schierarsi apertamente dalla parte del Doria, al quale tuttavia non mancò di inviare alcuni regali. Tanto bastò per provocare la violenta reazione di Alessandro IV che comminò a lui e alla moglie la scomunica, salvo poi a revocargliela subito dopo, il 19 nov. 1259. Di fatto il papa, preoccupato dei pericolosi successi conseguiti dal Doria nelle Marche, chiese l'aiuto dei Comuni di Bologna e di Perugia, e temeva, non senza ragione, che il B. dalla sua posizione di podestà appoggiasse i ghibellini perugini: lo esortò due volte, il 15 gennaio e il 26 marzo 1259, a mantenere se stesso e la città fedeli alla Chiesa e a richiesta del B. intervenne ancora nel 1259 in una sua controversia con il convento di S. Anastasio per il possesso di Roccacalvello. Non pare quindi che il B. uscisse dal suo atteggiamento di cauta attesa prima del 1260, quando le Marche passavano quasi interamente all'ubbidienza del vicario reale. Allora si dichiarò apertamente per Manfredi, del quale divenne uno dei più convinti sostenitori.
Il suo passaggio alla causa del re fu premiato con una serie di cospicue concessioni: nel luglio del 1260 Manfredi gli confermò la concessione del castello di Montalto nella contea di Camerino fattagli dal suo nuovo vicario generale Enrico di Ventimiglia; il 15 ag. 1261 lo stesso vicario generale per esplicito ordine del re gli concesse le entrate della Curia reale sui castelli di Montefiore e di Castelfidardo e i proventi di tutte le terre in affitto della contea di Fermo. Nel marzo del 1263 ancora Manfredi gli donò a sua richiesta e per i servizi prestati a Federico II, Corrado IV e a lui stesso l'usufrutto delle terre che l'abbazia di Farfa possedeva nelle Marche. Nello stesso 1263 egli ridusse all'obbedienza del re il castello di Sant'Angelo in Pontano, che gli fu concesso in premio dal vicario generale Corrado Capece il 15 nov. 1263.
La ripresa dell'iniziativa pontificia non si fece aspettare troppo a lungo: nel 1264 Urbano IV concluse, dopo laboriose trattative, l'accordo in virtù del quale investì Carlo d'Angiò del Regno di Sicilia, e, in attesa dell'arrivo dell'esercito angioino, affidò la direzione della campagna antisveva nelle Marche al cardinale Simone di S. Martino, nominato legato e rettore pontificio in questa provincia il 21 maggio 1264, dopo la cattura del suo predecessore Manfredi da Verona arcivescovo di Ravenna ad opera della gente di Manfredi. Della lotta condotta contro il B. si ha notizia da una lettera indirizzata nel maggio del 1265 dal cardinal Simone a una città non precisata. Secondo questa testimonianza il cardinal legato dopo aver preso uno dei castelli più importanti del B., Collepetro, ritenuto dallo stesso B. inespugnabile, si diresse il 7 maggio 1265 contro quel castello del B., "quod diutius obstaculum nostrum fuit" (si trattava con tutta probabilità del castello della famiglia Brunforte sito nella diocesi di Fermo), la cui guarnigione gli si arrese solo dopo un aspro assedio e a condizione di aver salva la vita. Il cardinale fece radere al suolo il castello e si mise sulle piste del B., che era riuscito a scappare, ritenendosi sicuro di averlo prima o poi nelle mani. Di una cattura del B. non si ha però alcuna notizia ed è molto probabile che non sia mai avvenuta. Certo è che il 10 maggio il cardinal legato lo invitò a presentarsi entro otto giorni davanti al suo tribunale, ma a quel che pare senza successo. Che il B. non si sottomise neanche in seguito all'autorità pontificia si può desumere dalla circostanza che solo nel 1290 Niccolò IV, anch'egli marchigiano, a richiesta dei figli del B. revocò la sentenza emanata dal cardinal Simone che lo privava di ogni bene e privilegio. Con la bolla del 23 genn. 1290 Niccolò IV lo riabilitò a tutti gli effetti, adducendo a giustificazione della sua adesione a Manfredi ragioni di necessità, e restituì ai figli beni e privilegi del defunto padre.
Del B. stesso dopo il 1265 si hanno solo poche notizie. Secondo l'Acquacotta, nel 1266 avrebbe ricoperto la carica di podestà di Matelica, ma la notizia risulta assai poco attendibile se si considera che proprio quell'anno sanciva la definitiva vittoria delle forze guelfe in Italia. Non è neanche noto se il B. dopo questi avvenimenti lasciasse per un certo tempo la Marca o se invece riuscisse a rifugiarsi in uno dei suoi numerosi castelli. Certo, è solo che conservò ancora, anche dopo il crollo della potenza sveva, una considerevole posizione di forza nella zona tra Fermo e Camerino. La sua presenza nella zona non restò inavvertita, particolarmente al Comune di San Ginesio al quale contendeva il possesso del castello di Colonnalto, tanto che i Ginesini se ne appellarono al papa, denunciando i danni subiti per le scorrerie del B., negli anni intorno al 1276, durante il vicariato del nobile provenzale Fulco di Puyricard.
Nel 1281 il B. fu eletto podestà di Pisa ed entrò in carica nel gennaio o nel febbraio del 1282. Del periodo della sua podesteria resta una lettera indirizzata a papa Martino IV che aveva chiesto al Comune l'invio di navi per soccorrere Carlo d'Angiò nella repressione della rivolta del Vespro. Il B. rispose, senza mostrare troppo entusiasmo, dichiarandosi disposto ad accogliere la richiesta, ma solo in caso di assoluta necessità.
Morì a Pisa, dopo solo sette mesi di podesteria, il 30 ag. 1282 e fu sepolto nel duomo.
A Fermo è conservato un transunto del testamento del B. steso nella stessa Fermo nel 1321. Il testamento che porta la data del 22 nov. 1281, istituisce eredi universali dei suoi beni il Comune di Fermo e i figli Corrado, Rainaldo e Ottaviano, che affida alla tutela del Comune. Pare però poco probabile che il B. abbia lasciato crede proprio il Comune con il quale aveva avuto interminabili controversie per questioni patrimoniali, e si può supporre con buone ragioni che si tratti di una falsificazione di un originario testamento autentico. Nella bolla già citata di Niccolò IV del 1290 figurano invece come eredi del B. i figli Corrado, canonico di Aberdeen, il milite Ottaviano famigliare del papa, e i nobiluomini Rainaldo e Gualtieri di Brunforte, che in seguito ricoprirono importanti cariche nell'amministrazione pontificia e altrove: Corrado fu cappellano di Niccolò IV, Ottaviano esercitò tra il 1289 e il 1292-94 l'ufficio di rettore pontificio di Campagna e Marittima e quello di podestà di Terracina; Rainaldo nel 1290 fu podestà di Viterbo, nel 1296-97 di Todi, nel 1301 di Mantova, e Gualtieri tra il dicembre del 1288 e il maggio del 1289 podestà di Pisa, carica che doveva cedere a Guido di Montefeltro. Il castello di Brunforte ancora verso la metà del sec. XIV si trovava nelle mani della famiglia, ma pare sia rimasto uno degli ultimi dei tanti una volta in suo possesso.
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