RAINALDO DI OSTIA (ALESSANDRO IV, PAPA)
R. da Ienne apparteneva a una famiglia della piccola aristocrazia della provincia di Campagna, e più specificamente del territorio di Subiaco, nella diocesi di Anagni. Era imparentato, anche se non sappiamo esattamente come, con il cardinale Ugolino (il futuro papa Gregorio IX; v.) e, probabilmente, anche con la potente famiglia baronale degli Annibaldi (una sua sorella pare aver sposato Trasmondo Annibaldi). Fu per lunghi anni canonico della cattedrale di Anagni. La sua carriera curiale inizia all'ombra del cardinale Ugolino d'Ostia, quando questi ‒ nel 1221 ‒ venne inviato come legato di papa Onorio III nell'Italia settentrionale. Quale collaboratore di Ugolino fu attivo soprattutto a Milano. Fu in quegli anni che maturò una conoscenza dell'Italia comunale che poté utilizzare nei decenni successivi. Tornato a Roma, venne nominato camerarius, cioè responsabile dell'amministrazione finanziaria; si trattava forse della più importante delle cariche curiali, che lo poneva in stretto e quotidiano contatto con il pontefice.
Nel 1227 entrò a far parte del Sacro Collegio come cardinale diacono di S. Eustachio. Il nuovo pontefice, che aveva svolto, sin dal 1220, il ruolo di "protettore" dei Minori, lo designò quale suo successore in questa delicata funzione, che R. continuò a esercitare anche una volta diventato papa. Eletto alla sede di Ostia già nel 1232, prese possesso della carica forse solo nel 1234. Nel 1232 fu inviato da papa Gregorio IX a Viterbo (v.), insieme a Tommaso da Capua, per mediare una pace fra il comune del Lazio settentrionale, da decenni in conflitto più o meno aperto con l'Urbe, e i romani.
Nel 1237 Gregorio IX scelse R. e il cardinale Tommaso di S. Sabina quali suoi legati in Lombardia. Il loro compito era assai delicato: si trattava infatti di indurre l'imperatore Federico II a trattare con i rappresentanti della Lega lombarda e, soprattutto, di Milano, rea di aver congiurato contro Federico e di essersi per questo alleata con Enrico, re di Germania, il figlio ribelle deposto dall'imperatore. I legati proposero che la Lega si impegnasse a sciogliersi e a non più ricostituirsi; inoltre, quale penale, le città lombarde avrebbero dovuto fornire contingenti armati per la crociata. Si trattava di punizioni molto lievi per città che Federico II considerava ribelli; ogni tentativo di conciliazione venne comunque accantonato dopo la grande e insperata vittoria imperiale a Cortenuova (27 novembre 1237; v.), che indusse Federico a chiedere ai milanesi una resa incondizionata.
Forse anche in seguito a questa esperienza fallimentare, quando, nel 1241, si trattò di eleggere il successore di Gregorio IX, R., insieme ai cardinali Sinibaldo Fieschi (il futuro Innocenzo IV) e Riccardo Annibaldi, propose la candidatura di Romano Papareschi, di cui era noto l'atteggiamento antimperiale, ma che non raggiunse comunque il quorum richiesto.
Sotto il pontificato di Innocenzo IV, R. pare non aver esercitato particolare influenza in Curia. Quel che è certo è che restò a Roma anche dopo la partenza del papa per Lione e che non partecipò al concilio colà riu-nito (v. Lione I, concilio di).
Morto Innocenzo IV nel 1254, R. venne scelto a succedergli. Il nome che assunse, Alessandro IV, voleva forse rendere immediatamente evidente quella che sarebbe stata la sua politica nei confronti degli Svevi, di cui papa Alessandro III era stato un tenace avversario.
Morto nel 1250 Federico II, poi, quattro anni dopo, il figlio e successore Corrado IV, la situazione si presentava assai complessa sia per quanto riguardava la successione nel Regno di Sicilia che nell'Impero. Se, nell'Italia meridionale, Manfredi ‒ il figlio legittimato di Federico ‒ seppe imporsi all'aristocrazia locale, assai più confusa era la situazione al di là delle Alpi, dove candidati della più diversa origine si disputavano, senza alcun successo, la corona. Alessandro IV rifiutò immediatamente la tutela di Corradino, che Corrado IV, morente, gli aveva affidato, così come del resto prescriveva il diritto feudale, e confermò l'investitura a re di Sicilia di Edmondo, figlio di Enrico III d'Inghilterra, che non riuscì mai a far valere i propri diritti. Approfittando della debolezza del candidato papale, Manfredi riuscì, nel 1258, a farsi incoronare.
Il papa cercò di suscitare contro di lui una vera e propria crociata. Come sappiamo dalla cronaca dell'inglese Matteo Paris, vennero anche raccolte a tale scopo grosse somme di denaro. In Italia, poi, Alessandro cercò di utilizzare la crociata anche per neutralizzare quella parte dell'aristocrazia romana che sembrava incline a favorire Manfredi, concedendogli la carica di senatore della città.
La preoccupazione di Alessandro IV è comprensibile se si pensa che, fra il 1252 e il 1258, la città aveva conosciuto il primo vero governo 'popolare' della sua storia, sotto il senatorato del nobile bolognese Brancaleone degli Andalò. Questi, che aveva potuto godere di un periodo di carica molto più lungo di quanto fino allora previsto dalla normativa (il suo primo senatorato era stato fissato, sin dall'inizio, in tre anni) e di poteri eccezionali, aveva condotto all'interno dell'Urbe una decisa politica antinobiliare, aveva organizzato per la prima volta le Arti (attività artigianali) cittadine e, all'esterno, aveva ripreso la politica di espansione nel contado, che era da decenni al centro degli interessi delle élites cittadine. Brancaleone era morto improvvisamente nel 1258.
Di grande rilievo fu l'attività di R. come cardinale protettore dell'Ordine dei Minori e dell'Ordo sancti Damiani; l'importanza che rivestivano per lui queste cariche è dimostrata dal fatto che, come abbiamo già accennato, non vi rinunciò neanche al momento della sua elezione al soglio pontificio. Fu nella sua veste di protettore che, alla fine del 1252, diede una prima approvazione alla regola che Chiara d'Assisi aveva scritto per la sua comunità, la prima scritta da una donna per delle donne. Papa Innocenzo IV confermò la decisione di R. solo nell'agosto del 1253, pochi giorni prima della morte della badessa di S. Damiano. Eletto pontefice, R. provvide a completare velocemente l'iter per la canonizzazione di Chiara, già avviato dal suo predecessore. La solenne proclamazione della santità della vergine di Assisi, nell'agosto del 1255, con la bolla Clara claris preclara, confermava di fronte al mondo la scelta francescana di Chiara, il suo amore per la povertà, ma ‒ al contempo ‒ proponeva alle religiose un modello di vita connotato da un grande rigore ascetico e dalla più stretta clausura.
Anche l'Ordine dei Minori poté contare sul suo appoggio. Negli ultimi mesi del suo pontificato, Innocenzo IV, che aveva a lungo dimostrato grande benevolenza nei confronti degli Ordini mendicanti, aveva assunto una posizione decisamente contraria. La ragione del cambiamento va ricercata nelle lotte che infiammarono per quasi un decennio l'Università parigina, in cui i maestri secolari di teologia si scontrarono con i maestri mendicanti.
Il conflitto era motivato innanzitutto dal timore nutrito dai secolari di perdere la loro posizione di privilegio all'interno della Facoltà di teologia in favore dei maestri francescani e domenicani. Questi rappresentavano in quel momento la 'novità' culturale (si pensi ad Alberto Magno, Tommaso d'Aquino e Bonaventura da Bagnoregio) e attiravano perciò un gran numero di studenti; in quanto religiosi, però, si consideravano esonerati dal rispetto di alcune norme degli statuti della corporazione universitaria, qualora questi fossero stati in contrasto con la loro regola. Il conflitto si inasprì quando vi entrarono componenti ideologiche e gli avversari si accusarono reciprocamente, in parte a buon diritto, di nutrire idee non ortodosse e vicine al pensiero di Gioacchino da Fiore.
Alessandro IV riuscì a riportare l'ordine e una pace temporanea, restituendo ai Mendicanti quanto era stato loro tolto dal predecessore e condannando gli errori dottrinali degli uni e degli altri.
Dopo un pontificato durato sette anni, in cui il papa non provvide ad alcuna nomina cardinalizia (secondo altri l'unico cardinale da lui nominato sarebbe stato l'abate di Montecassino), Alessandro morì nel maggio 1261 a Viterbo, dopo aver abbandonato una volta di più Roma, che riteneva malsicura.
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