RAINALDO di Ranuccio
RAINALDO (Rinaldo) di Ranuccio. – Non si hanno informazioni sulla data di nascita e sulla famiglia di origine di questo pittore umbro nativo di Spoleto, che appartenne alla scuola di pittura spoletana della seconda metà del Duecento. Si conoscono di lui soltanto due opere firmate: una Croce nella Pinacoteca civica di Fabriano e un’altra Croce, datata 1265, nella Pinacoteca nazionale di Bologna. È dunque opportuno presentare il contesto artistico di riferimento nel quale s’inquadra il pittore, prima di proseguire con la narrazione della sua lacunosa biografia.
L’impostazione «per scuole» della pittura del Duecento in Italia risale a Luigi Lanzi, con la sua Storia pittorica della Italia uscita in diverse edizioni tra Sette e Ottocento. Berlinghiero lucchese, Giunta Pisano, Guido da Siena e il fiorentino Coppo di Marcovaldo rappresentano i nomi cui la storiografia ha ricondotto le fila della pittura italiana del XIII secolo. Per Rainaldo il nodo della questione si stringe attorno alla pittura di Giunta Pisano e alla diffusione dei suoi modi in Umbria. Pittore attivo in Toscana, Umbria e, forse, a Roma nella prima metà del XIII secolo, Giunta influenzò notevolmente la pittura dell’Italia centrale, specialmente quella umbra. La presenza del pisano facilitò la diffusione di modi pittorici nuovi e soprattutto un’interpretazione commossa e coinvolgente della cultura bizantina. Non bisogna poi dimenticare quanto la presenza di opere e monumenti importati nella regione abbia pesato sulle declinazioni locali dell’arte della prima metà del Duecento.
Ci si riferisce ad alcune croci, come quelle del Duomo di Spoleto e della basilica di S. Chiara ad Assisi, e soprattutto al grande cantiere della basilica di S. Francesco, sempre ad Assisi, avviato nel 1228, con cui l’Umbria acquisì una posizione centrale e influente nella cultura artistica italiana. All’interno di questo contesto s’inserisce la formazione di Rainaldo di Ranuccio.
Le notizie biografiche non sono supportate da un sostegno documentario consistente e pertanto la sua attività si può ricondurre soltanto alla data della Croce di Bologna (224×141,5 cm). Essa reca un’iscrizione che recita: «Jesu Nazaren, rex iudeorum / anno dni MCCLXV d. mensis aprelis / magister Rainaldo Ranucai / pinsit h.» (Giorgi, 1987). La Croce, un tempo nella collezione Volpi di Firenze, fu acquistata nel 1930, per diritto di prelazione, dall’antiquario Attilio Rossi.
Mostra il Cristo morto al centro, su un tabellone ornato da una larga fascia a motivi geometrici, tra la Vergine dolente a sinistra, s. Giovanni Evangelista a destra, entrambi a figura intera, e il Padre benedicente a mezzo busto nella lunetta, sopra l’iscrizione.
La pellicola pittorica appare in buono stato di conservazione, anche se i contorni della Croce sono quasi tutti perduti.
Fu Umberto Gnoli (1923) a notare i caratteri emergenti della pittura giuntesca e, al tempo stesso, ad avanzare considerazioni sul legame con la cultura spoletana. Nella Croce si fanno evidenti pure i richiami al Maestro di S. Francesco di Assisi, a dimostrazione della forte influenza che le pitture del cantiere francescano ebbero nel tessuto artistico locale. Inoltre le componenti stilistiche dell’opera si avvicinano molto al trittico con Madonna e scene della vita di Cristo conservato nella basilica di S. Chiara ad Assisi (Giorgi, 1987).
Per la Croce è stata proposta una provenienza da S. Chiara, dove, al momento della consacrazione della chiesa basilica nel 1265, essa potrebbe aver svolto il ruolo di crux de medio ecclesiae, abbinata al tabernacolo della Madonna dei Crociati, pure attribuito a Rainaldo (Benazzi, 2014).
Proprio per talune evidenze assolutamente comparabili con la Croce bolognese, per esempio la tensione drammatica e l’interpretazione emozionale delle scene della vita di Cristo, il trittico assisiate è stato attributo alla mano di Rainaldo e collocato tra il 1265 e il 1272.
La Croce (223×142 cm) della Pinacoteca civica di Fabriano conserva un’iscrizione nel registro inferiore il cui testo rivela che «Rainaldictus (ra)nuci de Spol(eto) p(insit) h(oc) (opus)» (Benazzi, 2014). La tavola proviene dall’ospedale del Buon Gesù, dove si custodivano le opere provenienti dalle indemaniazioni postunitarie.
Non si riscontrano ulteriori notizie utili circa la sua originaria ubicazione, sebbene si ritenga che sia stata prodotta per l’ambiente francescano fabrianese.
A proposito della datazione, Garrison (1949) avanzò la proposta di anticiparla rispetto a quella di Bologna. All’inizio del secolo scorso, la Croce richiamò l’interesse di Lionello Venturi (1915), uno dei primi a rendersi conto della notevole portata dell’opera. Tuttavia lo studioso, male interpretando la parte lacunosa dell’iscrizione corrispondente al nome, vi lesse «Benaidictus». Fu comunque Venturi il primo ad accostare la Croce a uno degli affreschi staccati della città, conservati nella Pinacoteca civica di Fabriano, rilevando poi anche stringenti familiarità, sia stilistiche sia iconografiche, con la Croce del Maestro di S. Francesco del 1272 della Galleria nazionale dell’Umbria di Perugia, che peraltro costituisce un trait d’union per entrambe le croci documentate di Rainaldo. Ravvisò inoltre parentele stilistiche anche in ambito umbro-marchigiano, con la Croce del Maestro dei Crocifissi francescani nella chiesa di S. Francesco a Gualdo Tadino e con la Croce perduta del Duomo di Ancona.
La critica ha inoltre attribuito a Rainaldo la Croce del Museo di S. Francesco a Montefalco, una Croce conservata nel convento francescano di Massa Fermana, un’altra custodita nel convento di S. Chiara a Montalto Marche e il tabernacolo e la croce della beata Mattia Nazzarei a Matelica (Garrison, 1949; De Marchi, 2009; Benazzi, 2014).
Si tratta di opere che mostrano in alcuni dettagli decorativi un forte legame con la tradizione umbra diffusa da Rainaldo. Ciò dimostra come il linguaggio dello spoletino, seppur debitore della scuola giuntesca, abbia notevolmente assecondato le scelte delle committenze, che ricercavano le formule del nuovo codice linguistico codificato sulla scia della più alta pittura del momento. Dall’altra parte è evidente come Rainaldo, il cui stile è inconfondibile per via dell’utilizzo del colore tenue e piatto, per l’impiego di tappeti decorati come sfondi nelle composizioni, per la dettagliata descrizione anatomica e per l’uso morbido della linea, si configuri come il propagatore del linguaggio giuntesco anche nel versante adriatico della penisola nella seconda metà del Duecento.
Nulla si sa circa la data e il luogo di morte del pittore.
Fonti e Bibl.: L. Venturi, A traverso le Marche, in L’Arte, 1915, n. 18, pp. 1-28; U. Gnoli, Pittori e miniatori nell’Umbria, Spoleto 1923; E. Mauceri, Restauri a dipinti nella R. Pinacoteca di Bologna, in Bollettino d’arte, s. 3, XXV (1931-1932), 9, pp. 422-424; R. Longhi, Giudizio sul Duecento, in Proporzioni, 1948, n. 2, pp. 5-54; E. Garrison, Italian Romanesque panel painting: an illustrated index, Florence 1949; F. Bologna, La pittura italiana delle origini, Roma 1962; C. Fratini, Per il catalogo della pittura gotica in Umbria, in Esercizi, 1980, n. 3, pp. 61-63; S. Giorgi, R. di R., in La Pinacoteca Nazionale di Bologna: catalogo generale delle opere esposte, a cura di C. Bernardini et al., Bologna 1987, pp. 47 s.; A. Tomei, Giunta Pisano, in Enciclopedia dell’arte medievale, VI, Roma 1995, pp. 807-811; W. Angelelli, Qualche considerazione sulla pittura pisana del Duecento in occasione di una mostra, in Confronto, 2006, n. 8, pp. 78-95; A. De Marchi, «Cum dictum opus sit magnum»: il documento pistoiese del 1274 e l’allestimento trionfale dei tramezzi in Umbria e Toscana fra Due e Trecento, in Medioevo: immagine e memoria. Atti del Convegno internazionale, Parma… 2008, a cura di A.C. Quintavalle, Milano 2009, pp. 603-621; C. Fratini, La pittura «umbra» del Duecento: ciò che «vide» o che avrebbe potuto vedere la beata Angela, in L’Umbria nel XIII secolo, a cura di E. Menestò, Spoleto 2011, pp. 279-297; G. Benazzi, Croce di R. di R., in Da Giotto a Gentile. Pittura e scultura a Fabriano tra Due e Trecento (catal., Fabriano), a cura di V. Sgarbi - G. Donnini - S. Papetti, Firenze 2014, pp. 120 s.