Fassbinder, Rainer Werner
Regista e attore cinematografico tedesco, nato a Bad Wörishofen (Baviera, Repubblica Federale Tedesca) il 31 maggio 1945 e morto a Monaco il 10 giugno 1982. Autore tra i più fortunati in una grande stagione di cinema della quale ha rappresentato il 'cuore' pulsante, ha utilizzato l'insegnamento del family melodrama americano, continuando idealmente l'opera di un altro tedesco, Douglas Sirk, fuggito a Hollywood. Con lo strumento del mélo ha vivisezionato le dinamiche della passione e ha raccontato la storia presente e passata della Germania. Leggendario per la capacità lavorativa e di valorizzare il gruppo dei suoi collaboratori artistici, ha lasciato un'opera che non ha quasi eguali nel cinema d'autore moderno e che non investe soltanto il cinema ma abbraccia anche il teatro e la radiofonia.
Figlio di un medico e di una traduttrice, Liselotte Pempeit, dopo il divorzio dei genitori nel 1951 il giovane F. visse con la madre, che in seguito sarebbe apparsain numerosi suoi film con il nome di Lilo Pempeit o di Liselotte Eder. Abbandonato il liceo, dal 1964 al 1966 prese lezioni di recitazione al Fridl-Leonhard-Studio di Monaco dove incontrò per la prima volta la sua futura star Hanna Schygulla. Pur avendo già realizzato nel 1965-66 due cortometraggi, non venne accettata la sua domanda di ammissione alla Deutsche Film und Fernseh di Berlino, appena fondata. Nel 1967 entrò a far parte dell'Action-Theater con cui l'anno successivo rappresentò la pièce Katzelmacher, poi filmata nel 1969 (Il fabbricante di gattini), con lo stesso autore nella parte dello straniero 'terrone' vittima della discriminazione in un paesino della Baviera. Nel maggio 1968 il teatro venne chiuso dalla polizia; F. fondò allora, insieme a una decina di ex membri (tra cui la Schygulla, Peer Raben e Kurt Raab, per lungo tempo suoi stretti collaboratori), l'antiteater: con questo gruppo, sino al 1971, mise in scena tra Monaco, Brema e Bochum una ventina di pièces sue e di altri autori. Contemporaneamente all'attività teatrale (e radiofonica), subito dopo il debutto nel lungometraggio con Liebe ist kälter als der Tod (1969; L'amore è più freddo della morte), passato quasi inosservato al Festival di Berlino dello stesso anno, realizzò nel corso di 24 mesi la cifra record di dieci film, in cui spesso compariva anche nelle vesti di attore. Nel 1971 fondò la casa di produzione Tango Film, e successivamente divenne membro della cooperativa Filmverlag der Autoren. Nel 1974 ‒ l'anno in cui riuscì ad affermarsi fuori dalla cerchia degli addetti ai lavori con il fortunato Fontane Effi Briest (Effi Briest) interpretato dalla Schygulla ‒ F. accettò la direzione del Theater am Turm di Francoforte; tuttavia dopo un anno si ritirò dall'impresa per dedicarsi ormai quasi solo al cinema. Nel 1976 venne accusato di antisemitismo per Der Müll, der Stadt und der Tod, una pièce che sarebbe stata portata sulla scena solo molto tempo dopo, post mortem, ma che divenne subito un film per la regia di Daniel Schmid con il titolo di Schatten der Engel (1976; L'ombra degli angeli). Despair (1977) fu il suo primo film con un cast internazionale, ma il successo mondiale giunse nel 1979 con Die Ehe der Maria Braun (Il matrimonio di Maria Braun), dove la Schygulla tornò, a distanza di alcuni anni, a essere la protagonista. Ormai promosso a regista di culto, vinse nel 1982 l'Orso d'oro al Festival di Berlino per Die Sehnsucht der Veronika Voss (Veronika Voss). Qualche mese dopo, appena conclusa la lavorazione di Querelle (1982), presentato postumo alla Mostra del cinema di Venezia dello stesso anno, morì a soli 37 anni. La sua opera conta, oltre a quattro cortometraggi ‒ tra cui lo show TV Wie ein Vogel auf dem Draht (1975) ‒ trentanove lungometraggi cine-televisivi tra cui: un serial proletario in cinque puntate, Acht Stunden sind kein Tag (1972), un TV movie di fantascienza in due parti, Welt am Draht (1973; Il mondo sul filo) e il mastodontico sceneggiato Berlin Alexanderplatz (1980, tratto dall'omonimo romanzo di A. Döblin, in tredici puntate). Tra i suoi adattamenti televisivi di opere teatrali si ricordano Das Kaffehaus (1970, da C. Goldoni), Bremer Freiheit (1972; La libertà di Brema, dalla sua omonima pièce), Nora Helmer (1973, da Casa di bambola di H. Ibsen) e Frauen in New York (1977, da The Women di C. Booth-Luce). F. inoltre è stato spesso attore e/o protagonista dei suoi film ed è comparso in una ventina di film diretti da colleghi (tra cui Jean-Marie Straub, Volker Schlöndorff, Ulli Lommel, Douglas Sirk, Wolf Gremm ecc.).Se, come è stato detto, Alexander Kluge ha rappresentato il cervello teorico dello Junger Deutscher Film, F. ne è stato di certo il motore propulsivo, appunto il 'cuore', anche perché l'appello alla vita, alla 'fisicità delle passioni' ha rappresentato una costante preoccupazione del regista bavarese, per di più in una nazione dove la parola melodramma ha quasi sempre avuto un accento spregiativo. Analista inesorabile e spietato dei rapporti d'amore e di dipendenza, spesso equiparati a quelli tra carnefice e vittima, il suo cinema si è sempre distinto per il taglio realistico delle storie, private e pubbliche al tempo stesso, e per una continua ricerca dello stile più adatto a raccontarle. Sin dall'inizio, nei suoi primi due cortometraggi, nacque quella strategia della contaminazione su cui si venne costruendo la carriera sincretica ma originalissima di F.: da un lato Der Stadtstreicher (1965) rivela le affinità elettive con la Nouvelle vague e i debiti per es. con Eric Rohmer nell'attenzione alla ricognizione fenomenologica dei personaggi; dall'altra in Das kleine Chaos (1966) il regista si rivela affascinato dai moduli polizieschi hollywoodiani. La sperimentazione si consumò in un apprendistato velocissimo: Jean-Luc Godard, Jean-Pierre Melville, Jean-Marie Straub, il gangster film ‒ dal debutto di Liebe ist kälterals der Tod sino a Der amerikanische Soldat (1970; Il soldato americano) ‒ ma anche Bertolt Brecht (e Antonin Artaud) o il proprio teatro popolar-bavarese (per es. Katzelmacher) continuarono ad accavallarsi in sintesi provvisorie in via di decantazione, lungo l'arco del tumultuoso triennio 1969-1971. Il gusto della citazione e il piacere testuale, però, progressivamente lasciarono il posto a qualcosa di nuovo, il mélo sociale, che rappresenta il punto di svolta nell'universo narrativo fassbinderiano. Superata l'inevitabile prova del fuoco di una distruttiva, impietosa autoanalisi nel metacinema di Warnung vor einer heiligen Nutte (1971; Attenzione alla puttana santa), iniziò infatti la marcia di avvicinamento al melodramma, che trova il suo grande momento di sintesi prima in Die bitteren Tränen der Petra von Kant (1972; Le lacrime amare di Petra von Kant, dalla sua omonima pièce teatrale) e poi nello straordinario Angst essen Seele auf (1974; La paura mangia l'anima). Remake di All that Heaven allows (1955) di D. Sirk, il film sposta la storia dalla provincia statunitense alla Monaco contemporanea e vede come protagonista un giovane immigrato marocchino che sposa una matura donna tedesca. L'incontro decisivo con il grande regista tedesco-hollywoodiano convinse F. dell'opportunità di realizzare dei film 'di genere' intersecandoli alla cultura, alla storia europea e soprattutto del proprio Paese, di cui fu un memorabile narratore, dall'Ottocento di Fontane Effi Briest sino agli anni Ottanta del 20° sec., passando per la Repubblica di Weimar, il nazismo e l'era Adenauer. Momenti salienti di tale analisi tra l'archeologia e la memoria, tra passato e presente dove emerge anche un rapporto arte-vita a tratti rabbioso: Faustrecht der Freiheit (1975; Il diritto del più forte), primo coming out pubblico della sua 'diversità' omosessuale; Despair, dal romanzo di V.V. Nabokov, manieristico trionfo degli specchi e del Doppio, o ancora l'episodio autobiografico del film collettivo Deutschland im Herbst (1978; Germania in autunno), angosciosa e sincera confessione di vizi privati e pubblica impotenza. Poi apparvero sugli schermi, quasi contemporaneamente, tre film particolarmente significativi che sintetizzano tutto lo spettro tematico degli interessi fassbinderiani: In einem Jahr mit 13 Monden (1978; Un anno con 13 lune), il più radicale e riuscito dei suoi film 'intimi'; Die dritte Generation (1979; La terza generazione), impietosa resa dei conti con il terrorismo della RAF (Rote Armee Fraktion) e con quello diverso ma speculare dei mass media; e infine Die Ehe der Maria Braun, prima parte di un superbo trittico sugli 'squallidi' anni Cinquanta, completato poi da Lola (1981) e da Die Sehnsucht der Veronika Voss. Il successo di Maria Braun gli consentì di girare due progetti particolarmente complessi e costosi: lo sceneggiato TV Berlin Alexanderplatz ‒ una delle vette dell'arte affabulatoria fassbinderiana dove riesce una seconda volta, dopo Fontane Effi Briest, a nobilitare un genere, l'adattamento di opere letterarie, tradizionalmente incanaglito dalla pigrizia illustrativa ‒ e Lili Marleen (1981), film molto criticato in patria da coloro che gli rimproveravano una presunta 'estetizzazione' del nazismo. E infine, a conclusione di un grande momento creativo prima della morte, Querelle (dal testo di J. Genet), il più astratto e teatrale dei suoi Kammerspiele, sintesi, purificata da ogni scoria realistica, di tutte le sue ossessioni, in un tripudio di scenografie simboliche che costituiscono insieme un omaggio al bel 'falso' del vecchio cinema, allo studio system, un'ultima e suprema sfida.F. svolse un ruolo storico: cercare di fare uscire lo Junger Deutscher Film da uno stato di minorità elitaria, soprattutto nell'ultima fase del suo lavoro, per giungere con strumenti tutti europei all'immediatezza mitica degli americani. Con la sua scomparsa è iniziato a spegnersi il fenomeno del nuovo cinema nella BRD.
Le sceneggiature di F. sono raccolte in Die Kinofilme, hrsg. M. Töteberg, 5 voll., München 1987-1991; i testi teatrali in Sämtliche Stücke, Frankfurt a. M. 1991, e in trad. it. in Teatro 1, a cura di U. Gandini, Firenze 1984, e in I rifiuti, la città e la morte e altri testi, a cura di R. Menin, Milano 1992.
Testi critici: Rainer Werner Fassbinder, hrsg. P.W. Jansen, W. Schütte, München 1974 (Frankfurt a. M. 1992⁵); D. Ferrario, Fassbinder, Firenze 1983; Tutti i film di Fassbinder, a cura di E. Magrelli, G. Spagnoletti, Milano 1983, 2001³; Y. Lardeau, Rainer Werner Fassbinder, Paris 1990; Rainer Werner Fassbinder Foundation, Rainer Werner Fassbinder, Berlin 1992; H.G. Pflaum, Rainer Werner Fassbinder. Bilder und Dokumente, München 1992.
Interviste e interventi: Filme befreien den Kopf, hrsg. M. Töteberg, Frankfurt a. M. 1984 (trad. it. a cura di G. Spagnoletti, Milano 1988); Die Anarchie der Phantasie, hrsg. M. Töteberg, Frankfurt a. M. 1986.