DRENGOT, Rainulfo
Primo conte di Aversa e dal 1041 anche duca di Gaeta, apparteneva ad una famiglia feudale della Normandia, quella dei signori di Quarel, centro da cui derivava il cognomen toponomasticum e che si deve con ogni probabilità identificare - giusta l'ipotesi avanzata dal Ménager - con l'odierna Les Carreaux, comune d'Avesnes-en-Bray (dip. Seine-Maritime).
Il D. venne in Italia al tempo del pontificato di Benedetto VIII (1012-1024), unitamente con i fratelli Osmondo, Gilberto detto Buatère (Buttericus), Asclettino e Rodolfo. Dopo essere stato al servizio dei principi longobardi di Benevento e di Salerno, incontrò Melo da Bari, che era esule a Capua dopo la sua ribellione contro l'imperatore di Costantinopoli. Nel maggio del 1017, insieme con i suoi compagni d'arme seguì Melo in Puglia. Partecipò molto verosimilmente a tutte le battaglie di quel nobile longobardo contro i Greci, fino all'autunno del 1018, quando Melo, sconfitto, fu costretto a riparare esule in Germania, alla corte dell'imperatore Enrico II. All'indomani della discesa di Enrico II nel Mezzogiorno d'Italia nel 1022, il D. passò al servizio dell'imperatore tedesco e fu da lui incaricato, nel giugno di quell'anno, di difendere, insieme con altri mercenari della sua stirpe, i nipoti di Melo, che erano stati investiti dal sovrano della contea di Comino, nell'alta valle del Liri presso Sora.
Dopo la probabile morte del fratello Gilberto, il D. divenne il capo dei cavalieri normanni di Comino. Nel 1024, al soldo di Guaimario IV di Salerno, partecipò con la sua banda alla campagna condotta dal deposto principe Pandolfo IV cognato dello stesso Guaimario, per ricuperare il principato di Capua, sul cui trono due anni prima Enrico II aveva posto Pandolfo conte di Teano. Conquistata Capua, dopo un anno e mezzo di assedio, costretto alla fuga Pandolfo di Teano, restaurato sul trono Pandolfo IV (maggio 1026), il D. rimase fedele a quest'ultimo, militando al suo servizio nell'impresa contro Napoli, città in cui si era rifugiato Pandolfo di Teano e che cadde ben presto nelle mani del principe di Capua (fine del 1027). Il duca di Napoli Sergio IV fuggì, riparando con ogni probabilità a Gaeta; anche il conte di Teano si salvò con la fuga, trovando asilo a Roma. Tuttavia circa tre anni dopo, quando il duca di Napoli Sergio IV riuscì, partendo da Gaeta, a riconquistare la città, il D. abbandonò Pandolfo di Capua e passò dalla parte del duca, sposandone la sorella da poco rimasta vedova di Leone, duca di Gaeta.
Nello stesso 1030 ottenne da Sergio IV l'investitura di quella parte della Terra di Lavoro, che separava il territorio della città di Napoli dal principato capuano e che aveva nel casale di Aversa, presso la chiesa di S. Paolo, il nucleo abitativo più importante da un punto di vista strategico, perché controllava le vie di comunicazione tra Capua e Napoli, e tra l'entroterra ed il mare. Il D., dopo aver fortificato il vecchio sito cingendolo di un fossato e di alte siepi, stabilì in esso la sede della sua nuova signoria e si intitolò conte. di Aversa.
Nacque, in questo modo, il primo stabile insediamento normanno nell'Italia meridionale. Esso si andò consolidando grazie alla precisa volontà del conte di favorire la nascita delle condizioni perché potessero convivere i guerrieri normanni e le popolazioni locali, che ben presto vi si riversarono (ad esempio, l'intera popolazione di Atella). Innanzitutto il D. assicurò la pacifica convivenza di classi sociali diverse e di tradizioni culturali non omogenee, imponendo a tutti uno stesso diritto comune, che le carte definiscono "mos francorum". In secondo luogo il D. provvide a creare le strutture istituzionali essenziali, che presiedessero alla vita della nuova realtà politica. Nei pochissimi documenti aversani immediatamente successivi alla fondazione della contea normanna compare subito la menzione di una "curia aversana" dipendente dal conte, con suoi funzionari; un "titularius" che agisce con uno "iudex"; la figura del "visconte", che è sintomo certo di un'articolazione funzionale del potere comitale. Infine, il D. favorì la creazione di due istituzioni che da sole avviarono la caratterizzazione del "castrum" di Aversa verso la fisionomia propria della città, e cioè: un mercato stabile, dove si commerciavano non soltanto i prodotti locali, che era gestito da mercanti di Amalfi e da ebrei, i quali avevano per questo fondato dei propri quartieri; una diocesi, che fu istituita, dopo la morte del D., dal pontefice Leone IX.
La nuova contea di Aversa divenne ben presto la meta di una nuova massiccia emigrazione dalle regioni francesi, dalla Normandia e dalla Bretagna in particolare, arricchendosi, in questo modo, di numerosi cavalieri. Il D. seppe organizzare e disciplinare questo prezioso potenziale militare, acquistando così potere ed autorità in tutta la Campania, tanto che il principe Pandolfo di Capua cercò con tutti i mezzi di attirarlo dalla sua parte. L'occasione fu offerta dalla morte della moglie del D., la duchessa di Gaeta. Paridolfo propose al conte di sposare in seconde nozze una sua nipote, figlia di sua sorella Maria e del patrizio di Amalfi Sergio III. Il D. accettò, abbandonando l'alleanza con il duca di Napoli e passando nuovamente dalla parte del principe di Capua (inizio 1035). I cronisti meridionali raccontano che il duca Sergio IV, colpito dal tradimento del D., si sarebbe ammalato di dolore e, ritiratosi nel monastero di S. Salvatore "in insula maris", poco dopo vi sarebbe morto.
Le nozze del D. con la nipote di Pandolfo IV di Capua contribuirono a fare stringere stretti legami tra Amalfi e Aversa, concretizzatisi, tra l'altro, nell'adozione nella contea normanna del tareno amalfitano, che divenne la moneta esclusiva di Aversa, contrapposta alla libbra d'oro di Napoli e di Capua. Inoltre, una colonia di amalfitani ebbe sede stabile fuori delle mura di Aversa.
L'alleanza del D. con il principe Pandolfo di Capua segnò l'apogeo della potenza di quest'ultimo, che, anche a causa della rallentata pressione bizantina, poté assurgere ad un ruolo di arbitro nel contesto Politico del Mezzogiorno. Tale supremazia, tuttavia, fu di breve durata. Le fonti contemporanee individuano tre cause dell'inizio della crisi della potenza del principe capuano: la sua azione spregiudicatamente ostile nei confronti del monastero di Montecassino e dei suoi possedimenti; la rottura dei suoi rapporti con Salerno; infine, l'improvviso ed ennesimo rovesciamento di alleanze compiuto dal conte normanno di Aversa. Questi, alla fine del 1037, abbandonò infatti Pandolfo di Capua, per passare dalla parte del principe Guaimario V di Salerno, mettendosi al servizio di quest'ultimo insieme con numerosi cavalieri giunti di recente in Aversa dalla Francia, e tra i quali erano anche alcuni dei figli di un altro piccolo feudatario normanno, Tancredi d'Altavilla. Il colpo definitivo alla potenza di Pandolfo IV fu inferto tuttavia nella primavera del 1038 dall'imperatore Corrado II, disceso nell'Italia meridionale, anche a seguito delle pressioni dei monaci cassinesi. Deciso a fare valere i diritti imperiali nella regione, l'imperatore entrò in Capua, mentre Pandolfo IV, che gli si era dichiarato nemico, fuggiva in Sant'Agata dei Goti. A Capua Corrado Il ricevette la sottomissione di molti signori longobardi, tra i quali anche quella di Guaimario di Salerno, che fu nell'occasione investito del principato di Capua (maggio 1038). Amato di Montecassino, contemporaneo di questi avvenimenti, nella sua Storia dei Normanni ricorda che durante il soggiorno in Capua l'imperatore Corrado, a richiesta del principe Guaimario, investì con la lancia ed il gonfalone il D. della contea di Aversa.
I Normanni ottenevano in questo modo, e per la prima volta da, una delle potestà universali, il riconoscimento e la legittimazione della loro presenza nel Mezzogiorno. La testimonianza di Amato, ripresa alcuni anni dopo da Leone Marsicano, vescovo di Ostia, nella sua cronaca di Montecassino, prova come la contea di Aversa fosse divenuta un feudo dipendente direttamente dall'impero d'Occidente, e come di conseguenza il rapporto tra il D. ed il principe Guaimario di Salerno, che pur aveva intercesso presso Corrado per l'investitura del D., fosse stato da allora contenuto nei termini di un'alleanza paritetica. Ciò spiega non solo come mai il conte di Aversa abbia potuto, negli anni successivi, attuare un'autonoma politica di espansione territoriale, fino a diventare anche duca di Gaeta; ma anche come mai, alla morte del D., i Normanni di Aversa abbiano potuto eleggere legittimamente, nonostante i tentativi di intervento del principe Guaimario, un nuovo conte appartenente alla famiglia Drengot.
Il D., dopo la partenza dell'imperatore Corrado dal Mezzogiorno, "perseverò in lealtà" - afferma il monaco Amato -con il principe di Salerno, cooperando alla sottomissione dei signori longobardi ancora fedeli a Pandolfo di Capua. Nell'agosto partecipò, ad esempio, alla spedizione di Guaimario contro Rocca d'Evandro che, conquistata, fu restituita all'abate di Montecassino. Subito dopo il D. diresse personalmente un'azione nell'alta valle del fiume Sangro, contro le terre dei conti di Borrello, partigiani del deposto principe di Capua. Alla fine Pandolfo IV fu costretto ad andare in esilio.
Risolta in questo modo la situazione nella parte settentrionale del principato di Capua, ed affidata all'abate di Montecassino e al conte di Teano la prosecuzione delle ostilità contro i signori longobardi che non si erano ancora sottomessi al nuovo principe di Capua voluto dall'imperatore Corrado, il D. sostenne con la sua cavalleria Guaimario V in tre successive spedizioni che portarono alla conquista dei ducati di Amalfi, di Sorrento, e di Gaeta. Nell'aprile del 1039 fu occupata Amalfi, dove la "ducissa" Maria, suocera del D., aveva conservato solo formalmente il potere, dopo che il figlio Mansone era stato accecato e confinato nell'isola delle Sirene. Nel giugno fu conquistata Sorrento, dove il principe di Salerno insediò come duca suo fratello Guido, conte di Conza. Infine, nel giugno del 1040, fu occupata Gaeta. Dopo qualche mese, forse nel dicembre 1041, con l'aiuto di Guaimario, il D. fu eletto duca di Gaeta.
Tra il 1038 ed il 1042, mentre il D. era impegnato a sostenere la politica di espansione in Campania del principe di Salerno e di Capua, un contingente di cavalieri normanni, in prevalenza provenienti da Aversa, fu protagonista di una serie di azioni militari che sconvolsero il quadro politico-militare del Mezzogiorno, quale si era andato consolidando nelle lunghe lotte tra Longobardi, Bizantini ed Arabi. I Normanni, tra i quali vi erano anche Guglielmo, Drogone e Umfredo d'Altavilla, erano comandati da Arduino, un cavaliere milanese, che dovette essere un componente di quella nobiltà minore che nel 1035 si era ribellata all'arcivescovo di Milano e che per questo era stata costretta ad emigrare. Essi dapprima (1038) parteciparono in Sicilia, al soldo dei Bizantini, ad una spedizione contro gli Arabi. In seguito, a causa di dissensi sorti tra Arduino ed il comandante dell'esercito greco, ritornarono nuovamente presso il D., che era considerato il capo delle forze normanne nel Mezzogiorno.
Arduino nel marzo del 1041 chiese al D. di partecipare direttamente ad una spedizione in Puglia contro i Bizantini, ovvero di permettere ad alcune bande armate di suoi cavalieri di parteciparvi. Amato di Montecassino ci ha lasciato il ricordo dell'esortazione che nell'occasione Arduino avrebbe fatto al D.: da essa si evince a quale grado di prosperità fosse pervenuta la contea di Aversa sotto il suo fondatore, e come apparisse ovvia ai contemporanei la necessità di una sua espansione territoriale. Il D., dopo essersi consultato con i "soci Normanni", decise di non partecipare direttamente all'impresa, ma consentì ad Arduino di reclutare trecento cavalieri, comandati da dodici capi o conti, che avrebbero preso parte alla spedizione e avrebbero diviso con lui i territori occupati.
Il giorno di S. Benedetto Arduino arrivò con i suoi Normanni sotto le mura di Melfi, dando così il via ad una campagna militare contro l'esercito bizantino, campagna che, attraverso una serie di battaglie nelle quali rifulse la superiorità tattica della cavalleria normanna, portò alla conquista della Puglia settentrionale e alla stipulazione di patti con alcune delle città più importanti della regione, quali Bari, Monopoli e Giovinazzo. L'azione militare normanna trovò anche sostegno in una nuova rivolta antibizantina della popolazione locale longobarda, di cui purtroppo a noi sfugge oggi la reale dimensione. Certo è che le fonti, ad un certo punto della campagna, fanno sparire dalla scena Arduino (fine dell'estate del 1041) e mostrano i Normanni sottoposti al comando di Atenolfo, fratello del principe di Benevento. Costui guidò le bande normanne fino al febbraio 1042, quando, essendosi impossessato del denaro pagato dai Beneventani per avere prigioniero il catapano Exaugusto Bojoannes, fu dai Normanni disconosciuto quale loro capo. In questa circostanza è molto probabile che tra i Normanni si sia verificata una scissione. Mentre i normanni di Aversa restarono fedeli al D., quelli che si erano stabiliti in Troia ai tempi di Melo da Bari elessero loro capo Argiro, figlio di Melo, che fin dal 1029 era ritornato nell'Italia meridionale da Costantinopoli, dove era stato deportato con la madre intorno al 1011. Tuttavia nel settembre 1042, passato, Argiro dalla parte dell'imperatore Costantino Monomaco, mentre il catapano Giorgio Maniace si ribellava all'imperatore costantinopolitano, i cavalieri normanni, nuovamente privi di un condottiero, decisero di eleggere un capo scelto tra di essi ("sur caux un conte", dice Amato). Dopo aver individuato in Guglielmo d'Altavilla, detto Braccio di Ferro, la persona più adatta, si recarono a Salerno, presso il principe Guaimario, che, nella sua qualità di "rettore" degli interessi imperiali nel Mezzogiorno, aveva l'autorità per legittimare il progetto normanno. Il principe invitò i Normanni a dividere tra loro non solo le terre conquistate, ma anche quelle da conquistare. Essi acconsentirono, ma chiesero che il D. fosse riconosciuto conte su tutti loro. A questo punto, racconta Amato, sia il principe di Salerno sia il D. dettero il loro assenso, ed i Normanni ritornarono a Melfi, dove Guglielmo Braccio di ferro fu ricevuto come signore.
Prima che i capi normanni procedessero alla divisione e all'assegnazione delle terre conquistate furono attribuite al D. la città di Siponto e tutta la regione del Gargano. Guaimario, dal canto suo, dopo aver investito i capi normanni delle terre a ciascuno di essi assegnate, assunse il titolo, che era stato già di Melo, di duca di Puglia e di Calabria, a significare e a specificare il suo ruolo di "rettore" degli interessi dell'Impero d'Occidente nell'Italia meridionale. Questo suo ruolo fu accettato e riconosciuto anche nella contea di Aversa, dove nell'intitolazione di un documento del marzo 1043 non si fa riferimento al D., ma vengono riportati soltanto gli anni di governo del principe Guaimario.
Il D., conte di Aversa, duca di Gaeta, signore di Siponto e del Gargano, all'apogeo della sua potenza, morì, senza lasciare eredi diretti, nel giugno del 1045.
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