GHISILIERI, Ramberto
Nacque a Bologna presumibilmente nel penultimo decennio del secolo XII. Ignoti sono i nomi dei suoi ascendenti; sicura è soltanto la sua appartenenza alla casata dei Ghisilieri.
I membri della casata, che traevano ricchezza e prestigio dalla proprietà di vari mulini installati in città, erano annoverati tra i fautori della parte guelfa. Di questa adesione anche il G. fu convinto e deciso assertore: lo attestano le testimonianze della sua azione politica che, per quanto scarse e relative soprattutto agli ultimi anni della sua vita, appaiono del tutto univoche e a tale proposito convincenti. Significativa è inoltre la circostanza che la maggior parte di tali testimonianze concernano l'opera del G. fuori Bologna. In città la sua partecipazione alla vita politica fu invece estremamente limitata. Nel 1218 presenziò a Forlì e a Faenza al giuramento, prestato dai podestà delle due città, di osservare il lodo pronunciato dal podestà di Bologna per porre fine ai loro contrasti. Nel 1229 e nel 1234 risulta aver fatto parte del Consiglio generale del Comune bolognese: impegni di ben scarso rilievo, tutto sommato, e che rivelano una posizione sostanzialmente defilata del G. nel nuovo regime "popolare" instauratosi in città dopo la rivolta del novembre 1228.
In verità, per formazione e legami di sangue, il G. appare un esponente tipico delle fazioni nobiliari cittadine, la fazione guelfa nel caso specifico. Come molti aderenti a tali fazioni, egli sembra non avvertire il mutamento che nei primi decenni del secolo XIII si stava verificando negli scontri cittadini: da quelli che avevano visto impegnate le consorterie nobiliari agli scontri nei quali le vecchie consorterie dovevano fronteggiare la nuova organizzazione degli operatori in campo commerciale e artigianale, vale a dire il "popolo". Membro, come detto, di una antica e prestigiosa casata di parte guelfa, il G. espresse al meglio la propria capacità di azione politica non nell'ambito dei Consigli e degli organi direttivi cittadini, bensì nello svolgimento dell'incarico di podestà in altri Comuni, ovviamente a predominio guelfo.
Dal novembre 1233 all'aprile 1234 il G. fu podestà a Perugia. Vi assunse iniziative volte a promuovere la pacificazione interna e a favorire l'insediamento in città dell'Ordine domenicano: due misure nelle quali non è azzardato leggere un preciso riferimento alle esperienze e ai legami che il G. aveva maturato in Bologna. Interessante altresì la cura posta dal G. o, meglio, dai componenti la sua familia per fissare e tramandare le decisioni assunte. Alla podesteria del G. risale infatti sia la prima stesura in registro degli atti del podestà attuata in Perugia (un probabile riflesso di analoghe esperienze maturate nell'ambiente bolognese nel quale si erano formati i notai che accompagnavano il G. a Perugia), sia la stesura su pietra di un particolare documento (pratica della quale non risultano invece precedenti in Bologna). Si tratta della Petra iustitie, che reca incise l'estinzione del debito del Comune perugino e la normativa circa le future imposizioni fiscali.
Tra il giugno 1236 e il febbraio 1237 il G. fu podestà a Padova. Sembra che in tale ufficio lo abbia accompagnato, in qualità di giudice e assessore, il concittadino Odofredo Denari. La presenza di questo in Padova può aver contribuito in qualche misura a rendere meno aspri i rapporti fra lo Studio bolognese e il nuovo, concorrente, Studio patavino. Esiti meno favorevoli ebbe invece l'azione politica e militare del G., che si trovò ad affrontare una situazione estremamente delicata e difficile per la città di Padova e per i suoi alleati guelfi.
Dal maggio del 1236 Ezzelino da Romano con l'appoggio di milizie imperiali aveva dato avvio a una serie di attacchi e devastazioni contro castelli e terre dipendenti dalle città guelfe. All'inizio di settembre lo stesso imperatore Federico II, sceso dalla Germania, si acquartierò in Cremona. Nell'ottobre il G., desideroso di prendere l'iniziativa, mosse l'esercito di Padova, rafforzato da contingenti delle città alleate di Treviso e di Vicenza. Tuttavia non osò attaccare né le forze di Ezzelino né le milizie imperiali. Alla fine di ottobre Federico assalì con una mossa improvvisa Vicenza e la conquistò. I Padovani, temendo un successivo assalto di Federico contro la propria città, rientrarono precipitosamente in Padova. Il tentativo delle locali forze guelfe di assumere l'iniziativa per allontanare la minaccia imperiale dalla città si era tramutato quindi in una azione di cauta difesa. Tale situazione venne ancora accentuata dalle pesanti scorrerie delle truppe imperiali condotte dalla metà di novembre nel territorio padovano. La stessa Treviso venne direttamente minacciata e Padova si trovò costretta a inviare 200 cavalieri per sostenere la difesa della città alleata. L'azione militare di Padova si era risolta quindi in un insuccesso, ma più delle indecisioni del podestà, che l'aveva guidata, avevano influito negativamente su tale azione le forti divisioni tra gli stessi cittadini, una parte dei quali non era certamente schierata su posizioni ostili all'imperatore e a Ezzelino. L'esistenza di un forte partito imperiale in Padova apparve evidente quando, alla fine del dicembre 1236, si ebbe l'elezione di 16 "podestà" cittadini, in rappresentanza dei quattro quartieri. Gli eletti risultarono infatti equamente divisi tra partigiani di Ezzelino e guelfi. Il G. cercò di sbarazzarsene, ordinando a tutti loro di recarsi a Venezia, ma l'intimazione non fu accolta. Fu invece lo stesso G. a lasciare Padova, costretto ad abbandonare anzitempo l'incarico di podestà.
Un documento, visto e citato alla fine del secolo XVIII dallo storico bolognese L.V. Savioli - documento che nonostante le più diligenti ricerche non è stato possibile oggi rintracciare - avrebbe attestato che il Comune di Bologna assegnò un diritto di rappresaglia contro il Comune di Padova per l'importo di 3000 lire a Drusiana, figlia del G., per i danni subiti dal padre in tale circostanza. Il Savioli ne dedusse che il G. fosse morto poco dopo essere stato costretto ad abbandonare Padova e avanzò anche l'ipotesi che la sua morte fosse da porsi in relazione con violenze subite in tale occasione. Mancano elementi per confortare o rigettare tale ipotesi. Resta il fatto che con la cacciata del G. il partito guelfo in Padova subì un pesante tracollo. Il suo successore, il veneziano Marino Badoer, subentratogli ai primi di febbraio 1237 (Liber regiminum…, p. 312), resse la città per pochissimi giorni, trascorsi i quali, Padova aprì le porte a Ezzelino da Romano e alle milizie imperiali (25 febbraio).
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Bologna, Comune-Governo, Registro grosso, I, cc. 222v-229, 337; Registro nuovo, cc. 45-47; Rolandinus Patavinus, Cronica Marchie Trivixane, a cura di A. Bonardi, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., VIII, 1, pp. 49 s.; Liber regiminum Padue, a cura di A. Bonardi, ibid., pp. 310-312; Chronicon Patavinum, in L.A. Muratori, Antiquitates Italicae Medii Aevii, IV, Mediolani 1741, pp. 1132-1134; L.V. Savioli, Annali bolognesi, III, 1, Bassano 1795, pp. 96, 107, 123-128; III, 2, ibid. 1795, pp. 92, 151; A. Bartoli Langeli, Codice diplomatico del Comune di Perugia. Periodo consolare e podestarile (1139-1254), I, Perugia 1983, pp. 299-314; N. Tamassia, Odofredo. Studio storico-giuridico, in Atti e mem. della Deputaz. di storia patria per le prov. di Romagna, XI (1894), pp. 199-202; Diz. biogr. degli Italiani, XXXVIII, p. 700.