Lorqua, Ramiro de
L. (Remirro de Orco) nacque forse nella provincia di Murcia, intorno alla metà del Quattrocento, poiché alla sua morte, nel 1502, «potea avere cercha anne 50», come riporta Andrea Bernardi, detto Novacula (Cronache forlivesi, a cura di G. Mazzatinti, 3° vol., 1897, p. 23). Non sappiamo quando giunse in Italia, né quando si pose al seguito dei Borgia. In qualità di maggiordomo accompagnò Cesare in Francia, tra la fine del 1498 e i primi mesi del 1499 (Alvisi 1878, p. 50), e fu presente al suo matrimonio con Carlotta d’Albret. Nel 1501 il Valentino lo nominò gubernator et locumtenens generalis della Romagna, in sostituzione di Giovanni Olivieri. Stando alle diverse fonti, il suo governo fu caratterizzato da una politica antimagnatizia e accentratrice, perseguita con arbitrio e con frequente ricorso alla violenza. Durissimo tra gli altri il giudizio del cesenate Fantaguzzi (Fabbri 1988, pp. 353-64), mentre tra le voci favorevoli è certamente viziato da cortigianeria l’elogio del «mitissimo» governatore composto da Francesco Uberti (Piccioni 1903, p. 155), e poco più credibile sembra la lettera scritta a L. stesso, l’8 agosto 1501, dal generale dei camaldolesi Pietro Dolfin. In ogni caso l’eco della crudeltà dello spagnolo giungerà fino a Matteo Bandello (La prima parte de le novelle, a cura di D. Maestri, 1992, xxxiii, pp. 314-15). Pare quindi del tutto adeguato il giudizio di M. (Principe vii 24), secondo cui il Valentino aveva dato «plenissima potestà» a L., «uomo crudele ed espedito», per ricondurre la Romagna «pacifica e ubbidiente al braccio regio» (giudizio riproposto da M., in una prospettiva leggermente diversa, nella lettera a F. Vettori del 31 genn. 1515, Lettere, p. 350).
Il 22 dicembre 1502, a Cesena, il duca fece arrestare e rinchiudere «in un fondo di torre» il suo luogotenente; «dubitasi – aggiungeva M. annunciando l’arresto – che non lo sagrifichi a questi populi, che ne hanno desiderio grandissimo» (M. ai Dieci, 23 dic. 1502, LCSG, 2° t., p. 518). In una notifica ufficiale, il Valentino giustificò l’arresto con le «exationi et corrutele et aspreze» di cui L. si era reso responsabile, nonostante gli ammonimenti e le istruzioni contrarie (Alvisi 1878, pp. 554-55). Tre giorni dopo, tuttavia, la repentina esecuzione dell’onnipotente governatore sorprese tutti, M. compreso:
Messer Rimirro questa mattina è stato trovato in dua pezzi in su la piazza, dove è ancora; [...] non si sa bene la cagione della sua morte, se non che li è piaciuto così al Principe, el quale mostra di sapere fare e disfare li uomini ad sua posta, secondo e’ meriti loro (M. ai Dieci, 26 dic. 1502, LCSG, 2° t., p. 520).
La già citata motivazione ufficiale non convinse a pieno i contemporanei: «la causa se dice per le gran querele abute el Duca de le extorsion e delle manzarie che lui faceva alli suditi», scriveva il 29 dicembre l’ambasciatore veneziano presso Alessandro VI; «questa causa, ancora che publice se dica, non ha tanta fede che non se credi ch’el ne sia qualcun’altra occulta, ché non se intende da tutti el iudicio» (Dispacci di Antonio Giustinian..., a cura di P. Villari, 1° vol., 1876, p. 293). Ancor meno attendibile la voce secondo cui il Valentino avrebbe voluto vendicarsi – dopo più di un anno – delle presunte offese alla pudicizia di sua sorella Lucrezia (Sacerdote 1950, p. 598). La storiografia (a partire da Tommasini 1883, citato nei migliori commenti a Principe vii 24-28: L.A. Burd 1891; G. Inglese 1995; M. Martelli 2006) propende per la versione di Urbano Urbani, segretario del duca di Urbino, secondo cui Paolo Orsini aveva motivato di fronte al Valentino la ribellione sua e degli altri condottieri con la «superbia» usata nei loro confronti da L., e con i suoi «crudi et severi modi [...] nel governo d’i vassalli». La decisione presa da Cesare Borgia di liberarsi del suo ministro sarebbe dunque da spiegare con l’intenzione non di punire un funzionario colluso con i suoi nemici Bentivoglio e Orsini – come scrisse il bolognese Fileno delle Tuate (Alvisi 1878, pp. 355-56) – bensì di soddisfare ingannevolmente i condottieri ribelli. A quanto pare M. non conosceva queste ragioni; ma se inizialmente si limitò ad ascrivere il gesto all’arbitrio assoluto del duca, anni dopo, nel Principe (vii 27-28), riprese e sviluppò l’intuizione accennata nel dispaccio del 23 dicembre 1502, che il Valentino avesse deciso di «purgare li animi di quelli populi e guadagnarseli in tutto», mostrando che «se crudeltà alcuna era seguita, non era causata da lui ma da la acerba natura del ministro». Dove è poi il M. letterato a prendere felicemente il sopravvento, nella celebre descrizione – intessuta forse anche di riferimenti biblici (Scichilone 2012) – del corpo di L. messo «in dua pezzi in su la piazza, con uno pezzo di legno e uno coltello sanguinoso accanto».
Bibliografia: Fonti: P. Dolfin, Epistolae, Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, lat. XI, 92 (= 3828), p. 959; U. Urbani, Roma, BAV, Urb. lat. 490, c. 81r.; Dispacci di Antonio Giustinian, ambasciatore veneto in Roma dal 1502 al 1505, a cura di P. Villari, 1° vol., Firenze 1876, p. 293; A. Bernardi (Novacula), Cronache forlivesi, a cura di G. Mazzatinti, 3° vol., Bologna 1897, pp. 21-23.
Per gli studi critici si vedano: E. Alvisi, Cesare Borgia duca di Romagna, Imola 1878, in partic. pp. 231-60, 353-56, 554-55; O. Tommasini, La vita e gli scritti di Niccolò Machiavelli nella loro relazione col machiavellismo, 1° vol., Roma-Torino-Firenze 1883, rist. anast. Bologna 1994, pp. 250-55; L. Piccioni, Di Francesco Uberti umanista cesenate de’ tempi di Malatesta Novello e di Cesare Borgia, Bologna 1903, pp. 154-58; G. Sacerdote, Cesare Borgia. La sua vita, la sua famiglia, i suoi tempi, Milano 1950, pp. 597-600; P.G. Fabbri, Il governo e la caduta di Cesare Borgia a Cesena (1500-1504) nella cronaca di Giuliano Fantaguzzi, «Nuova rivista storica», 1988, 72, pp. 341-88; G. Scichilone, «Tagliare a pezzi». Cesare Borgia tra rimandi biblici e fonte senofontea in Machiavelli, in Studi di storia della cultura. Sibi suis amicisque, a cura di D. Felice, Bologna 2012, pp. 59-105.