RAMPERTO
– Non sappiamo a che famiglia appartenne Ramperto e neppure sono noti i nomi del padre e della madre. Ugualmente ignota è la data di nascita, ma è possibile ipotizzare che egli sia nato negli anni Ottanta dell’VIII secolo.
La tradizione storiografica bresciana, sulla scorta di un frammento di documento di donazione, non datato e trascritto solo da Ottaviano Rossi, un erudito della fine del XVI secolo, ma anche noto falsario locale, a cui prestarono fede Fedele Savio, Maria Bettelli Bergamaschi, Irma Bonini Valetti e Angelo Baronio, sostenne che il presule di Brescia appartenesse a una famiglia della città proprietaria terriera nelle campagne del contado. Tuttavia sia Bernardino Faino, sia Federico Odorici, affermarono in modo inequivocabile l’origine straniera della famiglia di Ramperto, che per il Faino era proveniente dalla Gallia (dictus etiam Gallus), cioè appartenente al ceto dei dominatori franchi, venuti in Italia con il primogenito di Ludovico il Pio, il giovane Lotario. Questi nell’814 fu inviato dal padre a governare la Baviera, ove ebbe modo di conoscere i monaci della Reichenau, di S. Gallo e di altri importanti cenobi germanici, da dove i Carolingi trassero molti uomini per l’amministrazione dei territori da loro conquistati. In un recente studio sul ‘gallo di Ramperto’, un anemoscopio in rame dorato, collocato dal vescovo sul campanile del cenobio di S. Faustino, Simona Gavinelli, anche sulla base di osservazioni di Flavia De Rubeis, ha potuto dimostrare che la scritta dedicatoria (di cui si conserva un frammento) voluta dal vescovo, era stata realizzata dall’artigiano Modoaldus attorno all’anno 830, sesto di episcopato di Ramperto, che avrebbe dunque preso possesso della diocesi nell’824-825, nel periodo del Capitolare di Corte Olona, durante il quale Lotario volle organizzare lo stato delle scuole nella pianura Padana. Si ha pertanto l’impressione, secondo la giusta ipotesi di Uve Ludwig, che Ramperto sia stato monaco della Reichenau o, in ogni caso, che fosse legato al celebre monastero alamanno. Infatti lo studioso sottolinea come il suo nome compaia ben due volte nel Liber vitae del cenobio. Inoltre lo stesso Ludwig, editore del Liber Memorialis di S. Giulia, ritiene, anche sulla base di annotazioni di Hartmut Becher, che il presule dopo l’844 sia rientrato nel suo monastero, da cui Lotario lo aveva tratto. In ogni caso Ramperto non sarebbe morto nello stesso 844, come affermano il Savio e i biografi bresciani del vescovo, e quindi non sarebbe sepolto a Brescia, come è stato affermato da una più tarda tradizione storiografica. Infatti il suo nome è registrato, ancora come vivente, con alcuni monaci della Reichenau, nel Liber Memorialis bresciano nel f. 34v, scritto attorno agli anni Sessanta del IX secolo; mentre manca tra i nomi dei vescovi di Brescia già morti al f. 21r redatto nell’anno 856. Ramperto inaugurò pertanto una stagione di stretti rapporti con il mondo dei carolingi del Regnum Germaniae, che avrebbe poi trovato la sua maggiore espressione al tempo di Carlo il Grosso e Arnolfo di Carinzia.
La prima notizia documentata del presule bresciano risale all’anno 827, quando intervenne con il metropolita milanese Angelberto al Concilio di Mantova, ove si discusse a lungo per appianare le tensioni esistenti tra gli arcivescovi di Aquileia e di Grado, al fine di riunificare i due patriarcati, superando la scissione avvenuta al tempo dell’invasione dei Longobardi. Non si raggiunse un accordo, ma nonostante ciò, i vescovi presenti, tutti del Regnum Italiae, ebbero modo di fraternizzare. Tuttavia Ramperto era conosciuto anche dai vescovi e dai giovani chierici della Germania meridionale, come prova la «lettera dimissoria» a lui inviata dal collega Wolfleoz di Costanza, che tra l’831 e l’832 gli scrisse per informarlo che il suo chierico Elgilmanno, doctum et detonsum, intendeva recarsi a Brescia per studiare sotto la sua guida diretta. Ramperto avrebbe potuto seguirlo nei suoi studi e al termine delle fatiche promuoverlo ad sacros ordines.
Tuttavia il vescovo bresciano era esperto, oltre che di argomenti teologico-liturgici, anche di questioni giuridico-amministrative, poiché, il 15 dicembre 837 da Marengo, Lotario imperatore indirizzava alla badessa Amalperga un importante precetto per il cenobio di S. Salvatore di Brescia. Le monache si erano lamentate per aver subito alcune concussioni da funzionari pubblici e il sovrano aveva pertanto disposto una inquisitio affidando il compito agli abati benedettini Prandone e Gislerano e ai presuli Adalgiso di Novara e Ramperto. Sulla scorta della loro positiva relazione l’imperatore decise di confermare al cenobio tutte le proprietà, elencandole nominalmente, e di garantire alla comunità il privilegio, derivante dalla regola di Benedetto, di potere liberamente eleggere la badessa.
A Brescia i suoi predecessori Anfrido e Pietro avevano iniziato la costruzione di una grande chiesa extramuranea in cui riporre i resti mortali dei due patroni, i martiri Faustino e Giovita. L’edificio, negli anni 830-31, sotto la direzione di Ramperto era quasi terminato, poiché era stato innalzato il campanile, sulla cui sommità spiccava il gallo dorato citato in precedenza. Tuttavia, nella visione ecclesiologica del presule, al culto dei due martiri era necessario affiancare anche l’incremento della devozione per i primi vescovi, quelli che avevano diffuso il Vangelo, tra i quali poteva spiccare un presule di IV secolo, Filastrio, legato anche ad Ambrogio di Milano. Così il 9 aprile 838, dopo aver ritrovato nella basilica extramuranea di S. Andrea il corpo del predecessore, congregato tutto il clero e tutto il popolo, lo trasportò nella cattedrale iemale presso l’altare di Santa Maria, ove fu venerato dai fedeli sino al 12 maggio, quando venne sepolto in marmoreo antro nella stessa basilica.
Egli stesso nel De translatione beati Filastrii sottolinea che queste azioni potevano facilitare la creazione della funzione di patronato, da svolgere a favore di Brescia presso la misericordia divina, a opera dei due martiri e dei vescovi santi.
Intanto, nell’agosto dell’840, Ramperto aveva raggiunto Ingelheim sul Reno insieme a numerosi vescovi italiani e tedeschi per partecipare a un Capitolare indetto da Lotario I che, dopo la morte del padre, avvenuta il 20 giugno nello stesso centro, era divenuto unico imperatore. In quella riunione i presuli approvarono la decisione del sovrano di restituire il potere metropolitico e la cattedra arcivescovile di Reims a Ebbone, che Ludovico il Pio aveva destituito. Ramperto pertanto in questa riunione di natura squisitamente politica si trovò con numerosi vescovi aderenti a Lotario, tra cui Giuseppe di Ivrea, Amalrico vescovo di Como e abate di Bobbio, e Agamo di Bergamo, quest’ultimo proveniente dal monastero della Reichenau. Era il primo passo politico che avviava lo scontro tra i tre figli di Ludovico il Pio. Rientrato da Ingelheim, Ramperto il 31 maggio dell’anno 841 istituì l’abbazia di S. Faustino, entro i locali della precedente canonica, e la dotò con ingenti beni. Chiese infine ai canonici di scegliere quale tipo di vita religiosa vivere e, nel caso di un rifiuto ad aderire al cenobio, propose l’allontanamento, fatto salvo il beneficio annuo.
Tuttavia, il testo oggi conosciuto del documento di fondazione, analizzato di recente da Ezio Barbieri, presenta aspetti che ci inducono a propendere per la non genuinità dell’atto, fortemente interpolato. La carta mostra come il presule volle che la creazione del cenobio risultasse un’azione a cui fosse partecipe tutta la Chiesa bresciana e quindi chiese al suo clero di sottoscrivere l’atto. Inoltre, per Ramperto era necessario che la sua decisione fosse approvata dal metropolita Angilberto II e dai colleghi suffraganei per conferire al suo atto una validità universale. L’approvazione fu concessa e l’arcivescovo a ricordo del fatto chiese che ogni anno i monaci, a cui era concessa la libera elezione dell’abate, portassero alla curia metropolitica una libbra d’argento. Il documento, datato 842 dal notaio arcivescovile Andrea, fu anche sottoscritto dai presuli di Novara, Bergamo, Cremona, Lodi, Tortona e Coira, nonché da un altro vescovo non identificato.
Ma l’azione più importante realizzata da Ramperto fu di aver chiesto ad Angilberto II di inviare a Brescia l’abate Leutgario di Corbie e il confratello Ildemaro, il primo commentatore della Regula Benedicti, attivi in Italia dall’834 e legati alla corte di Lotario I. Con questi personaggi il vescovo creava a Brescia un centro di irradiazione della vita monastica e insieme della cultura dei carolingi, poiché il cenobio si inseriva nella riorganizzazione monastica della provincia milanese, che i due monaci avrebbero ancora realizzato presso il cenobio di Civate. Dopo la loro dipartita, Ramperto chiese al collega Agano di Bergamo che gli fosse inviato il monaco e prete Maginardo, adprime officiis monasticis institutum, forse anch’egli proveniente dalla Reichenau, affinché potesse essere eletto abate del monastero fondato fuori le mura, ove riposavano i corpi dei due martiri bresciani. E Agano dispose con atteggiamento di vera carità cristiana che Maginardo nell’844 potesse raggiungere il cenobio bresciano. Infine, il 9 o il 10 maggio dell’anno 843 il vescovo di Brescia ordinò una traslazione delle reliquie di Faustino e Giovita in una nuova cappella o in un nuovo altare del monastero da lui fondato, poiché i corpi dei due santi erano stati trasportati in quel luogo dal predecessore Anfridio, quando era iniziata la costruzione della chiesa nei primi anni del IX secolo. Il 15 giugno 844 Ramperto non era presente all’incoronazione di Ludovico II a Roma, segno che egli aveva già abbandonato la sua sede per raggiungere il monastero della Reichenau, ove morì in anni attorno all’860.
Questa circostanza, sostenuta di recente da Uve Ludwig e da Hartmut Becher, era già stata solo in parte proposta da Giacomo Malvezzi nel XV secolo e da Giuseppe Brunati nella sua opera sui santi bresciani, i quali affermarono che il vescovo si sarebbe dimesso per finire i suoi giorni nel monastero di S. Faustino.
A Ramperto si deve infine il testo della Historia de translatione beati Filastri, nel quale sono elencati i miracoli che il corpo santo effettuò nei confronti dei cittadini malati durante il lungo periodo della traslazione. Tuttavia l’opera contiene anche alcuni elementi di pastorale, poiché spiega come la presenza dei corpi santi entro o accanto alla città potesse fornire ausilio ai cittadini, che pregando i loro patroni avrebbero ottenuto da Dio le grazie necessarie alla salvezza dei corpi, nei pericoli delle guerre e delle carestie, e delle anime nelle difficoltà della vita quotidiana. Per Paolo Guerrini e Gaetano Panazza l’opera non sarebbe attribuibile al presule, ma si presenterebbe come «un centone agiografico più tardo». Tuttavia lo studio e l’edizione critica, effettuati da Maria Bettelli Bergamaschi, rendono valida la tesi che la paternità dell’opera sia da attribuire a Ramperto.
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