RANALDI
(Rainaldi). – La famiglia Ranaldi era originaria di Raiano, presso Sulmona.
Federico, nato a Raiano nei primi decenni del Cinquecento e ricevuta un’educazione umanistica, entrò nella ‘famiglia’ del cardinale Marcello Cervini, che nei primi anni Quaranta stava progettando edizioni di manoscritti greci posseduti dalla Biblioteca apostolica Vaticana. Dal 1547 Federico iniziò a lavorarvi stabilmente; dalla fine di ottobre del 1548, del resto, fu lo stesso Cervini a dirigerla. Gli autori patristici greci erano al centro dell’attenzione del cardinale bibliotecario e Federico, insieme con Guglielmo Sirleto ed Emanuele Provataris, fra il 1548 e il 1549, redasse un inventario di 541 codici posseduti (Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat. 7131). Ne nacque con il dotto e futuro cardinale calabrese uno stretto legame, capace di assicurare nel tempo efficace tutela e patronage a Federico e ad altri membri della sua famiglia.
Dal 1553 Federico Ranaldi ricoprì l’ufficio di scriptor e, a partire da maggio del 1555, divenne stretto collaboratore di Fausto Sabeo (custode della Biblioteca Vaticana dal 1522), pur senza una veste formale. Con motuproprio del 30 giugno 1557, la sua posizione fu regolarizzata: Sabeo, avanti negli anni e con vista ormai sofferente, avrebbe continuato a percepire il suo stipendio di custode senza esercitarne le funzioni, assunte invece da Federico in qualità di coadiutore. Sotto la supervisione di Sirleto (custode dal 3 gennaio 1554), Federico continuò a operare con queste modalità fino alla morte di Sabeo, il 15 ottobre 1559. Nel giugno dello stesso anno, quindi, toccò a lui preparare i cinque sacchi di volumi che, dopo la pubblicazione del primo Index librorum prohibitorum (30 dicembre 1558), furono estratti dalle collezioni e depositati nel palazzo romano dell’Inquisizione. L’8 novembre 1559 Federico fu nominato custode. Durante le ultime fasi del Concilio di Trento svolse anche mansioni da documentarista: raccoglieva infatti dati su materie dubbie sottoposte a lui dai legati al concilio, verosimilmente sotto la direzione dello stesso Sirleto. Quando poi quest’ultimo fu creato cardinale (12 marzo 1565), divenne suo segretario.
Il fratello minore di Federico, Marino (nato a Raiano nel terzo decennio del Cinquecento), a questa data era da tempo impegnato come suo assistente: fu nominato coadiutore il 30 giugno 1565 e secondo custode nel 1576. Poiché la Biblioteca conservava i documenti archivistici del papato, sotto Pio V, i due fratelli lavorarono alla costruzione di dossier per sostenere l’alta sovranità della Santa Sede sul Ducato di Ferrara e per contrastare le competenze in materia ecclesiastica rivendicate dal governo civile in Sicilia (la cosiddetta Monarchia di Sicilia). Sotto Gregorio XIII, inoltre, essi raccolsero documenti utili a verificare i titoli di possesso detenuti dall’aristocrazia feudale nello Stato della Chiesa, che papa Boncompagni intendeva sommettere ad attenta verifica.
Nel clima instauratosi dopo la fine del concilio di Trento, quando il mondo della cultura era considerato tanto un orizzonte da tenere sotto controllo quanto uno strumento di sostegno per rafforzare l’autorità papale, la Biblioteca Vaticana riacquistò quella centralità che le vicende seguite al sacco del 1527 avevano offuscato. Così, intorno al 1582 Federico intraprese un articolato progetto di revisione del patrimonio dei manoscritti greci, assistito dal fratello Marino. Dei 1104 pezzi censiti fu compilato un nuovo indice (attualmente conservato nel ms. Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat. 13191).
Si trattava di un catalogo topografico che elencava i manoscritti collocati in ciascuno dei plutei presenti nella Biblioteca, dandone descrizione completa e notazioni sul contenuto; per la prima volta la numerazione della collezione era continua (da 1 a 1104). Nell’ordinamento, peraltro, Federico aveva ripreso la disposizione che Bartolomeo Platina aveva dato alla fine del XV secolo, quando la serie iniziava con manoscritti di grammatica e poesia, mentre le Scritture erano poste quasi in fondo.
Federico e Marino furono anche impegnati con il materiale arrivato grazie ai diritti di spoglio (per l’incameramento di libri e codici dei vescovi defunti) e con quello fatto pervenire dalle biblioteche monastiche. È databile al 15 ottobre 1588 un elenco redatto da Marino (Vat. lat. 7026) di istituti religiosi e prelati che possedevano importanti pezzi, i quali avrebbero dovuto essere acquisiti. Infine, fu probabilmente Federico ad accompagnare Michel de Montaigne nella sua visita alla Biblioteca del 6 marzo 1581. Federico morì a Roma il 2 settembre 1590.
Alla sua morte Marino rimase in carica come custode, affiancato, il 15 marzo 1591, da Tommaso Sirleto. Nella sua casa presso l’arco della Pace (nel rione romano Ponte), aveva nel contempo allevato alcuni nipoti che, ancora con la protezione del cardinale Sirleto (almeno fino alla sua morte, il 6 ottobre 1585), sin da giovani erano stati avviati al lavoro in Biblioteca.
Nel 1591 si era concluso il trasloco della Biblioteca nella nuova sede, voluta da Sisto V con l’edificazione di un braccio trasversale fra i corridori paralleli del Cortile del Belvedere (su progetto di Domenico Fontana).
Nell’occasione, Federico aveva elaborato un ricco programma iconografico per le decorazioni degli spazi: gli affreschi avrebbero dovuto dare enfasi all’eccezionale valore della parola scritta (sin dall’invenzione dell’alfabeto), alle biblioteche del mondo antico, ai sovrani che avevano favorito le lettere, ai papi che avevano promosso le raccolte librarie; la lotta agli eretici e la distruzione dei loro libri rientravano senza forzature in questa cornice. Il programma effettivamente realizzato negli affreschi – rielaborato da Silvio Antoniano – non colse tutti gli spunti offerti da Federico: la successione delle grandi istituzioni bibliotecarie del passato fu giustapposta alla storia dei concili, che avevano sostenuto il ruolo della Chiesa nella definizione delle dottrine e nella repressione delle deviazioni ereticali. A ogni modo, nell’occasione Federico aveva dimostrato una grande consapevolezza del ruolo che si stava assegnando alla Biblioteca Vaticana e una cultura personale profonda, con solide e consapevoli frequentazioni dell’antico.
Marino continuò a lavorare come secondo custode fino al 1602: fu probabilmente lui, nel 1597, a comporre una relazione che elogiava il lavoro svolto dai membri della famiglia, la Notitia historica de statu Bibliothecae Vaticanae (Roma, Biblioteca Vallicelliana, Mss., Q.6, cc. 596r-599v).
Morì a Roma il 28 maggio 1606, quando si trovava ormai a riposo.
Fra i nipoti di Federico e Marino, Domenico – nato a Roma nel 1555 e laureato in utroque iure – era stato nominato custode il 27 luglio 1594. Godeva delle entrate dell’abbazia di S. Maria di Fontelaurato, avendo verosimilmente preso gli ordini minori intorno allo stesso anno. Giuseppe, nato a Roma in un anno imprecisabile, era stato nominato scriptor latinus il 20 giugno 1591. Fin dagli anni Ottanta del Cinquecento, egli si era altresì dedicato alla gestione dei benefici ecclesiastici abruzzesi di S. Maria Ambrosiana nella diocesi di Sulmona e della prepositura di S. Maria di Cartignano presso Bussi (dati in affitto per 250 scudi all’anno per garantire rendite agli zii).
Domenico, in particolare, varò iniziative ambiziose. Diede inizio alla catalogazione dei manoscritti latini: entro ottobre del 1595, portò a termine le minute di catalogo attualmente conservate nei mss. Vat. lat. 6948 e 6947, comprendenti 2490 pezzi.
Di ognuno diede una descrizione molto analitica (con titolo, incipit, numero delle carte, datazione, presenza o meno di miniature) e compilò gli indici. Nel contempo, li numerò progressivamente (da 1 a 2490), dando conto anche delle precedenti segnature. Quindi, fra il 1596 e il 1597, si dedicò alla descrizione del materiale contenuto nelle due sale cosiddette segrete della nuova Biblioteca (poste nell’ala di ponente del Cortile del Belvedere, sotto la Galleria della Carte geografiche). I manoscritti della prima sala furono segnati con le collocazioni da Vat. lat. 2491 a 3194 e da Vat. lat. 4385 a 4888; quelli della seconda furono segnati con le collocazioni da Vat. lat. 3454 a 4384. Ne danno conto due minute di inventari (rispettivamente i manoscritti Vat. lat. 7123 e Vat. lat. 6949). Nel Salone Sistino, i manoscritti segnati Vat. lat. 1-2141 furono inizialmente disposti in 49 banchi; i numeri da 2142 a 2490, invece, furono collocati in armadi in data non precisabile, ma sicuramente prima del 1620. Nel Salone Sistino, l’ordinamento creato da Domenico rispondeva a criteri di classificazione semantica, con i primi numeri (da 1 a 168) indicanti testi e commentari biblici. Lo stesso non si poteva dire però in toto per il materiale riposto negli armadi, di cui solo parte era ordinata per materie (filosofia, diritto, scienze).
Sulla base di questi ricchi lavori preparatori, Domenico compì con sicurezza i passi ulteriori: dapprima redasse l’inventario definitivo dei manoscritti segnati Vat. lat. 1-1318, ancora oggi valido (è il Vat. lat. 15349, parte I e II); poi si concentrò su un nuovo Index totius Bibliothecae Vaticanae (conservato nel Vat. lat. 13190), che lo impegnò dal 1597 al 1601. Si tratta di un inventario topografico con descrizioni meno dettagliate di quelle conservate nelle minute, ma che fotografava la sistemazione del materiale a cavallo fra Cinque e Seicento.
Il Salone Sistino aveva 61 banchi, con 2490 volumi: i primi 43 contenevano manoscritti di argomento sacro, i restanti 18 di argomento profano. Altri manoscritti e libri a stampa erano conservati in nove armadi della prima sala segreta e in sei armadi della seconda. Questa localizzazione però appariva ancora provvisoria. Di altri 11 armadi di queste sale non è affatto descritto il contenuto: dovevano contenere materiale d’archivio, sul quale Domenico continuò a lavorare come documentarista. In particolare, stese un volume De electione Romani Pontificis e un memoriale dal titolo Adnotata varia de Regno Galliae et Consultationes de absolutione Henrici IV durante le trattative che avevano preceduto la ribenedizione del re di Francia.
Consistente fu inoltre il suo impegno in occasione della crisi per la devoluzione del ducato di Ferrara alla Santa Sede, fra il 1597 e il 1598: accumulò una gran messe di documenti che ribadivano le ragioni della sovranità del Papato, soggiornò nella città dopo la conclusione della vertenza (12 gennaio 1598) e vi si fermò insieme con la corte quando vi soggiornò il papa (maggio-novembre 1598). Delle prese di possesso diede conto un altro volume, dal titolo Ferraria recuperata.
Secondo un suo memoriale, redatto successivamente al gennaio del 1605, egli si occupò altresì dei diritti della Santa Sede sul Regno di Napoli, su quello di Sicilia, sul Ducato di Urbino, sulle isole di Corsica e Sardegna, persino sui regni di Inghilterra e Irlanda, che risultavano, sulla base dei documenti da lui reperiti, feudi della Chiesa.
Domenico ebbe il posto di custode dopo la morte dello zio Marino (28 maggio 1606), ma rimase in carica pochi mesi, morendo anch’egli il 13 agosto 1606. Anche se aveva avuto modo di aggiungere ai manoscritti latini da lui trattati quelli provenienti dalle eredità di Fulvio Orsini e del cardinale Antonio Carafa, non aveva potuto concludere il riordino del materiale, né fare fronte ai danni provocati dall’incendio del 1605 che, originatosi in un locale sottostante la Biblioteca, era giunto sino ai banchi del Salone Sistino.
Giuseppe, il 28 agosto 1606, ebbe la nomina a custode, revocata però già il successivo 23 novembre. Sulla decisione di Paolo V e del cardinale bibliotecario Cesare Baronio a questo riguardo, pesò certamente il contenzioso tra Cesare e Giuseppe per l’eredità di Marino, la scarsa assiduità di Giuseppe sul lavoro e soprattutto la volontà di papa Borghese di tenere fermamente in mano il controllo della direzione della Biblioteca, mediante l’assegnazione del grado di primo custode a Baldassarre Ansidei, suo cameriere d’onore, e del più alto grado direttivo, a partire dal 1609, allo stesso cardinal nipote, Scipione Caffarelli Borghese.
Giuseppe si ritirò a Raiano, dove morì in data ignota.
La presenza in Biblioteca di membri della famiglia Ranaldi, parve doversi appannare. Fra l’agosto del 1606 e il giugno del 1607 circolò una relazione con critiche molto dure nei confronti del loro operato (è nel Vat. lat. 7763, cc. 157r-162v). Pure in questo clima, la famiglia continuò a presidiare l’istituzione mediante un suo membro, Alessandro, nato a Roma nel 1578 e laureato in utroque iure. Egli fu nominato coadiutore di suo zio Marino il 22 giugno 1602 e secondo custode il 23 novembre 1606. Anche se la sua posizione era ormai erosa, rispetto a quella tenuta da Federico un quarto di secolo prima, i suoi risultati furono comunque cospicui: fra il 1608 e il 1610 portò a termine il primo catalogo degli stampati, composto da 4006 titoli. Quindi, fra il 1610 e i 1613, dopo aver riordinato i tre tomi di minute lasciati dallo zio Domenico, completò la catalogazione dei manoscritti latini, aggiungendo una tavola delle concordanze fra le nuove segnature e le corrispondenti pagine dei precedenti inventari.
A questa data, il fondo dei manoscritti latini si era arricchito degli spogli dei vescovi Mariano Savelli, Antonio Franceschi e Vincenzo Bonardo. Quanto ai manoscritti greci, Alessandro aggiunse all’inventario di Domenico le descrizioni relative ai 69 volumi dono dal cardinale Antonio Carafa (Vat. gr. 1218-1287) e ai manoscritti già di Fulvio Orsini (Vat. gr. 1288-1421), contenuti in armadi delle stanze segrete. La coesistenza fra Archivio e Biblioteca cessò nello stesso torno di anni e Alessandro fu molto impegnato nel trasferimento di manoscritti dei Registri vaticani contenuti nelle sale segrete della Biblioteca – soppresse fra il 1611 e il 1612 – nella nuova sede dell’Archivio (formata dalle due sale dette Paoline, e da tre stanze attigue al Salone Sistino). Nel luglio del 1617 dovette altresì testimoniare al processo contro Michele Lonigo, prefectus registrorum ac bullarum Bibliothecae Vaticanae, accusato di abuso d’ufficio per aver tratto copie dei documenti pontifici dietro compenso. Alessandro fu coinvolto infine nel nuovo ordinamento e nella catalogazione del materiale dei Fondi Palatini. Egli redasse fra il 1626 e il 1630 un indice di tutti i libri greci e latini (Pal. lat. 1949), diede un primo ordinamento tematico di cui dà conto il Vat. lat. 7122 e compilò un piccolo catalogo limitato ai primi manoscritti di argomento biblico (Reg. lat. 347, cc. 37r-39v).
Fu autore, tra l’altro, di una Iconomachia, che trattava del periodo delle lotte iconoclaste, di un elenco dei concili tenuti a Roma, di una raccolta di Exempla varia de Romani Pontificis temporali potestate a Beato Petro ad Paulum V. Lavorò fino al 1645, concludendo la carriera come secondo custode. Nello stesso 1645 stese una relazione che ricordava l’organigramma della Biblioteca: primo custode Annibale Albani, secondo custode lui stesso, più tre scriptores latini e due greci. Fra questi ultimi vi era Leone Allacci, che incluse Ranaldi nella sua opera Apes Urbanae, dando conto della sua vasta produzione erudita e delle opere poetiche da lui composte.
Alessandro morì a Roma il 5 agosto 1649. Era rimasto sempre nello stato laicale, sposando in età avanzata una vedova.
Fonti e Bibl.: L. Allacci, Apes Urbanae, sive De viris illustribus, qui ab anno 1630 per totum 1632 Romae adfuerunt, ac typis aliquid evulgarunt, Romae 1633, pp. 22 s.; A. Mercati, Per la storia della biblioteca apostolica, bibliotecario Cesare Baronio, in Id., Opere minori, III, Città del Vaticano 1937, pp. 206, 211-213, 231, 240, 262-264, 271-274; P. Petitmengin, Recherches sur l’organisation de la bibliothèque Vaticane à l’époque des Ranaldi (1547-1645), in Mélanges d’archéologie et d’histoire, LXXV (1963), pp. 561-628; D.V. Fucinese, Raiano. Notizie storiche e vita tradizionale, L’Aquila 1971, pp. 57 s.; J. Bignami-Odier, La Bibliothèque Vaticane de Sixte IV à Pie XI, Città del Vaticano 1973, ad ind.; D. Frascarelli, Nota su Federico Ranaldi e Silvio Antoniano, in Roma di Sisto V. Le arti e la cultura, a cura di M.L. Madonna, Roma 1993, pp. 469 s.; J. Fohlen - P. Petitmengin, L’ancien fonds vatican latin dans la nouvelle Bibliothèque Sixtine, ca. 1590-ca. 1610: reclassement et concordances, Città del Vaticano 1996, ad ind.; S. Romano - C. Lilla, I manoscritti vaticani greci. Lineamenti di una storia del fondo, Città del Vaticano 2006, ad ind.; E. Bottasso, Dizionario dei bibliotecari e bibliografi italiani dal XVI al XX secolo, a cura di R. Alciati, Monte-varchi 2009, pp. 380 s.; Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana, II, La Biblioteca Vaticana tra riforma cattolica, crescita delle collezioni e nuovo edificio, a cura di M. Ceresa, Città del Vaticano 2012, ad ind.; III, La Vaticana nel Seicento. Una biblioteca di biblioteche, a cura di C. Montuschi, Città del Vaticano 2014, ad indicem.