RANERIO di Prudenzio
RANERIO di Prudenzio. – Nacque a Orvieto intorno alla metà del XII secolo in una famiglia di giudici e di notai contigua all’ambiente episcopale.
La casata, aperta alle due professioni ‘intellettuali’ per eccellenza, concorse all’organizzazione sociale e politica della città, prima nella cerchia del vescovo, poi nelle magistrature comunali. Prudenzio, il padre, attivo fra il 1183 e il 1197, si sottoscriveva «iudex et notarius a domino papa Lucio factus» e «sacri lateranensis palatii iudex» e «assessor» del vescovo; risulta defunto nell’aprile 1221. Suoi figli, oltre a Ranerio, sono Wuido («sacri lateranensis palatii iudex et notarius» nel 1201, console del Comune nel 1212-13) e Pepo (console dei mercanti nel 1203); entrambi ebbero un ruolo preminente nella politica comunale nel primo ventennio del Duecento, in particolare nei rapporti con Siena per il controllo e la spartizione del contado aldobrandesco: problema cui non dovette essere estraneo lo stesso Ranerio.
Le prime attestazioni documentarie concernenti Ranerio non vanno più indietro del 1216 quando, già canonico del Capitolo della cattedrale orvietana, mise le mani – quale autore delle aggiunte ai miracoli, datate appunto 1216 – alla Passio Sancti Petri Parentii martiris, testo agiografico scritto dal suo predecessore Giovanni (vescovo d’Orvieto dal 1211 al 1212). Inoltre, sempre nel 1216, potrebbe aver scritto una delle due ‘autentiche’ pergamenacee che accompagnano le reliquie del miracolo di Bolsena conservate nel Duomo di Orvieto.
Ancora nel medesimo anno Ranerio scrisse, sul verso dell’ultimo foglio di un codice liturgico appartenuto al Capitolo orvietano e ora alla Morgan Library di New York, due note con la cronaca della visita di Innocenzo III in Orvieto (6 maggio 1216), la predicazione della crociata, l’esondazione del fiume Paglia e la spedizione militare di Orvieto a Saturnia in difesa del conte Ildebrandino IX (24 giugno 1216), firmandole con la sigla Ran. (mentre le aggiunte già ricordate sono siglate con la sola ‘R’).
Le note sono i testi cronistici orvietani più antichi conservati e costituiscono il passaggio dalle biografie alla storia comunale, nella consapevolezza che questa fosse basata sulla cognizione delle esperienze non soltanto memorabili ma anche e soprattutto collettive.
Nell’«embrionale cronachetta», com’è stata definita la nota del 1216 da Simone Collavini («Honorabilis domus et spetiosissimus comitatibus». Gli Aldobrandeschi da ‘conti’ a ‘principi territoriali’ (secoli IX-XIII), Pisa 1998, p. 227 n. 3), sono già presenti, quindi, quelle particolarità che preciseranno l’azione di Ranerio: il ricorso, attento, alla documentazione, una funzione ‘dinamica’ della stessa, e l’apporto di conoscenze personali, maturate all’interno della famiglia e non solo.
Eletto vescovo l’8 aprile 1228 e consacrato il 24 settembre dello stesso anno, il 9 novembre 1228 Ranerio celebrò il suo primo concilio nella cattedrale orvietana. Dopo aver obbligato il clero all’obbedienza completa, mosse il giudizio contro l’abate di S. Sepolcro di Acquapendente, che si era sottratto alla soggezione alla Chiesa orvietana insieme ad altre chiese della Valdilago. Nello stesso anno prese provvedimenti attinenti alla riforma del costume del Capitolo cattedrale e della vita comune del clero. Quindi, nell’ambito di una generale riorganizzazione delle proprietà della diocesi, riprese il compito già avviato dal suo predecessore, Giovanni, di ricostituire una base documentaria e di memoria per la loro chiesa.
Per capire le condizioni in cui essi si trovarono ad agire, è utile ricordare che l’archivio dell’episcopato era andato distrutto dalle fiamme intorno alla metà del XII secolo, al tempo del vescovo Ildibrando (1140-1154). Giovanni aveva incorporato nell’amministrazione del vescovado la tecnica propria dei notai, organizzando la scrittura dei propri atti e realizzando raccolte di documenti in forma di registro, o meglio di quaterni. La finalità era chiara: raccogliere tutta la documentazione favorevole all’episcopato nelle questioni più vive in quegli anni. Benché l’accertamento degli iura episcopali fosse il frutto di scelte precise intraprese dal vescovo, non si arrivò alla definizione e alla confezione di veri e propri libri iurium, ma a raccolte articolate, apparentemente disordinate e informali (caratterizzate da irregolarità cronologica e da sporadicità delle intestazioni e sottoscrizioni), ma che in realtà risultano funzionali a un uso ‘dinamico’ della documentazione più antica ai fini della gestione dell’attività corrente.
Ranerio continuò l’azione del predecessore, riprendendo il suo lavoro dopo l’elezione a vescovo nel 1228, e i quaterni dei due vescovi rispondono nell’insieme alle logiche solitamente addotte in questi casi: razionalizzazione della pratica di governo, funzionalità archivistica «a fronte della deperibilità e della difficoltà di conservare e organizzare dei pezzi sciolti» (A. Bartoli Langeli, Le fonti per la storia di un comune, in Società e istituzioni dell’Italia comunale: l’esempio di Perugia (secoli XII-XIV), 1° vol., Perugia 1988, pp. 15 s.); ma alla base di essi non si possono escludere motivazioni più specifiche e profonde. Si possono però fare dei distinguo. L’intervento di Ranerio appare come una totale sistemazione dell’archivio in relazione a un’indagine sullo status patrimoniale della mensa vescovile, iniziata con il controllo della produzione documentaria dei suoi predecessori e organizzata anche su quaderni propri. Non solo approntamento di nuovi fascicoli, dunque, ma intensissimo lavorio su quelli prodotti al tempo di Giovanni.
Il lavorio diede vita alla cronaca del vescovado orvietano, che Ranerio scrisse a partire dall’anno di elezione organizzandolo in una serie di brevi testi scritti nei margini delle carte e siglati in fine con Ran. La cronaca consiste in commenti esplicativi a specifici documenti, relazioni su suoi interventi diretti nella vita del vescovado, retrospettive sulla storia dell’episcopato, riflessioni generali sull’operato dei predecessori. Ranerio sviluppò una lettura originale della documentazione, fino a fondare, «sull’individuazione di alcuni legami costitutivi della produzione documentaria come strumento di prova» (G.G. Fissore, Vescovi e notai. Forme documentarie e rappresentazione del potere, in Storia della chiesa d’Ivrea dalle origini al XV secolo, a cura di G. Cracco - A. Piazza, 1998, p. 907), una vera e propria storia del vescovado: è la sistemazione dei quaderni che determina, condiziona e coordina la sua cronaca, e non viceversa. Va ricordato infine che la formazione familiare d’ambito notarile propria di Ranerio avvicina la sua cronaca a quelle di ambito comunale, basate sui libri iurium, ma colpisce la libertà d’azione del vescovo, l’uso dei documenti notarili e il loro inserimento, con continui rinvii e citazioni di interi brani, all’interno del proprio testo narrativo.
In quegli anni vi furono grandi trasformazioni politiche e urbanistiche a Orvieto con l’insediamento degli Ordini mendicanti. Il vescovo prese atto dell’avvenuto insediamento dei francescani nella chiesa di S. Pietro in vetere, negli anni del suo predecessore Capitaneo (1227), e delle clarisse nella chiesa di S. Lorenzo inter vineas (1232): chiese entrambe censuarie del vescovado e ubicate ai piedi della rupe di Orvieto. All’interno della città i domenicani si insediarono nel 1235, e i francescani nel 1240 in un terreno di proprietà del Capitolo del Duomo.
Nello stesso 1240 Ranerio fu incaricato da Gregorio IX, con la bolla Dei sapientia del 24 maggio, insieme a Gualcherino vescovo di Soana e Cittadino, priore della chiesa orvietana di S. Giovanni de Platea, di procedere all’esame dei testimoni nel processo di canonizzazione del francescano Ambrogio da Massa, morto a Orvieto il 17 aprile 1240, richiesto dal Comune.
Ranerio guardava il mondo attraverso i documenti, le carte scritte. Le condizioni disperate in cui versava il vescovado sono imputate a una cattiva gestione della documentazione, perché la scrittura dimenticata fa dimenticare, mentre il buongoverno, per il vescovo, verrebbe a riflettersi in una efficiente pratica documentaria. Da qui il continuo riferimento alla memoria e la rilettura dell’intera storia del vescovado allo specchio della conservazione delle carte. Questo atteggiamento è del tutto nuovo nell’ambito culturale orvietano. Le ‘scritture d’emergenza’ poste in essere da Giovanni con lo scopo di salvaguardare e recuperare i beni e diritti sottratti al vescovado, sono in Ranerio ricontestualizzate, fino all’intento principale di una vera e propria «rettificazione del passato» (R. Bodei, Libro della memoria e della speranza, 1995, p. 36) capace di dare un indirizzo per il futuro. Ranerio ha usato la propria familiarità con la scrittura e le carte scritte fino a ottenere un «effetto di reale» (R. Barthes, L’effet de réel, in Communications, 1968, vol. 11, n. 1, pp. 84-89), sul quale ha innestato la fondazione della memoria cittadina, avviata con gli appunti cronistici vergati sul codice capitolare (oggi Morgan Library) e compiutamente realizzata con la cronaca nei margini dei fascicoli vescovili. Il senso della storia, che Ranerio mutua dalla cultura notarile, è racchiuso probabilmente proprio in questa continua corrispondenza fra brani narrativi e documenti, in questa sorta di ‘metatesto’ che il vescovo definì con l’impegnativo titolo di Hystoria.
Ranerio morì nel 1248.
Fonti e Bibl.: F. Ughelli, Italia Sacra, Roma 1644, coll. 386 s.; F. Marabottini, Catalogus episcoporum Urbisveteris, in appendice a Constitutiones et Decreta edita ab […] Fausto tit. S. Chrysogoni Presb. Cardinali Polo […] Episcopo Urbevetano, Romae 1650, pp. 13 s.; G. Della Valle, Storia del Duomo di Orvieto, Roma 1791, pp. 26-29; C. Eubel, Hierarchia Catholica Medii Aevi, Monasterii 1813, p. 508; G. Cappelletti, Le Chiese d’Italia dalla loro origine sino ai nostri giorni, Venezia 1846, p. 484; L. Fumi, Codice diplomatico della città d’Orvieto. Documenti e regesti dal secolo XI al XV e la carta del popolo, codice statutario del comune di Orvieto, Firenze 1884, pp. XLI-XLIII; G. Buccolini, Serie critica dei vescovi di Bolsena e di Orvieto, estr. da Bollettino della Deputazione di storia patria per l’Umbria, XXXVIII (1941), pp. 37 s.; P. Perali, La cronaca del vescovado orvietano (1029-1239), scritta dal vescovo R. (cronachette, note ed inventari). Cronistoria, Orvieto 1907; M. Maccarrone, Orvieto e la predicazione della crociata, in Id., Studi su Innocenzo III, Padova 1972, pp. 8 s.; L. Riccetti, La cronaca di R. vescovo di Orvieto (1228-1248). Una prima ricognizione, in Rivista di Storia della Chiesa in Italia, XLIII (1989), pp. 480-509; Id., Il laboratorio orvietano: i vescovi Giovanni (1211-12) e R. (1228-48) e i loro notai, in Chiese e notai. Le istituzioni ecclesiastiche e religiose e la loro documentazione in Italia dal XII al XV secolo. In ricordo di Robert Brentano, Atti del Convegno, Padova... 2003, in Quaderni di storia religiosa, XI (2004), pp. 87-115 (anche per la bibliografia relativa alle citazioni nel testo).