DEL PACE (Paci), Ranieri (Rinieri)
Nato a Pisa il 7 maggio 1681 da Tommaso, ricevette la sua prima educazione artistica in famiglia dal cognato Giacomo Perri, forse francese (Perrey?); visse fra Pisa e Firenze (il Gabburri, 1740 c., ne cita soggiorni anche a Urbino e Roma), dove studiò con Pier Dandini e Anton Domenico Gabbiani. Ebbe due mogli: la prima, di cognome De Cecchi, non gli dette figli, mentre dalla seconda ebbe tre figlie e un figlio.
I suoi maestri furono dei più tradizionali, e una solida cultura classicheggiante si nota nei suoi disegni (due agli Uffizi, un Autoritratto del 1733 al British Museum) e in molti dei dipinti su tela. È probabilmente giovanile (primo decennio del sec. XVIII) la bella Sacra Famiglia sull'altare della chiesa di S. Giuseppe a Pisa; più tarde sembrano l'Immacolata concezione della propositura di Montecatini Alto (oggi nel museo annesso) e un'altra mediocre versione dello stesso soggetto, in S. Giovanni Battista a San Detole (Dicomano), su un altare del 1729. Se guardiamo infatti a tele datate del secondo decennio dei secolo come quella presso il vescovado di Prato, sopravvissuta con altre tre alla serie eseguita (settembre 1712) in S. Lorenzo a Firenze per festeggiare la canonizzazione di Pio V (Le truppe benedette dal papa vincono gli ugonotti a Jarnac e Montcornet) e le due tele laterali della cappella Bardi di Vernio in S. Maria Novella a Firenze (oggi nel refettorio-museo), raffiguranti S. Domenico che brucia i libri degli albigesi e la Resurrezione di Napoleone Orsini, entrambe del 1716 (per la prima vi è un bozzetto nella collezione Bartolomasi Lodi Fé di Bologna), vi vediamo una progressiva adesione allo stile di Giovan Camillo Sagrestani. Nei dipinti sacri ordinatigli da Anna Maria Luisa de' Medici (Casciu, 1984-85) per la villa della Quiete (Vestizione di s.Guglielmo d'Aquitania e Battesimo di Cristo, 1727; Cristo portacroce, 1729) l'artista ritorna però a un pacato classicismo, certo ottemperando ai voleri dell'illustre committente. Della stessa epoca 0728 e dopo) è la parte principale della decorazione della chiesa dei Ss.Andrea e Lucia a Ripoli (Cascina): oltre alla pala d'altare col Martirio di s. Andrea, quattro storie di santi pisani in tele per traverso: S. Bona che riceve lo Spirito Santo, Miracolo di s. Ranieri reduce dalle Baleari, Martirio di s. Torpè, Vestizione di s. Ubaldesca.
Agli antipodi di questa produzione ossequiosa ai canoni romaneggianti della corrente più conservatrice nella pittura fiorentina dell'inizio del '700 sta l'attività a fresco che il D., insieme con M. Bonechi, G. Moriani e altri, svolse nell'impresa gestita da G. C. Sagrestani, e in cui i conti dei dare e dell'avere sono tutt'altro che chiariti.
Essa sembra avere inizio poco prima dei secondo decennio con la decorazione a fresco del palazzo Capponi (1704-1713), in cui pare spettino al D. (ma i pagamenti sono al Sagrestani) le sale con le Quattro stagioni (1704), i Quattro elementi (1706) e le Storie di Adone;prosegue con quella della chiesa di S. Verdiana a Castelfiorentino, in cui spettano al D. le cupole della terza e quinta cappella in cornu epistolae (Scoperta del cerchio di ferro intorno alla vita di s. Verdiana morta; Miracolo della cieca, 1716), e quella di S. Iacopo Soprarno a Firenze (cupola della seconda cappella sinistra). Col solo Sagrestani, il D. aveva lavorato a Volterra in S.Dalmazio (1709), affrescando "lo sfondo" mentre il capobottega dipingeva su tela due ovati con Storie di s. Benedetto;era di nuovo in sottordine nell'oratorio di S. Tommaso d'A'quino a Firenze (1710), nel cui soffitto il Sagrestani si riservò la figura del santo in gloria, lasciando al D. le scene nei medaglioni e a R. Botti le architetture.
Lo stile del D. nel secondo e terzo decennio è meglio riconoscibile; non così la cronologia. Non vi sono dubbi attributivi per gli affreschi nel palazzo Feroni (già Da Bagnano): una galleria con Storie di Enea, un Sacrificio di Ifigenia, il cui bozzetto in collezione privata di Strasburgo fu presentato alla mostra Gli ultimi Medici (1974, n. 174 bis), ma senza collegamento con l'affresco, e Storie della Genesi; e neppure per un Ratto di Proserpina nel palazzo Giraldi poi Taddei in via Ginori, in cui vediamo al lavoro anche G. D. Ferretti accanto alla squadra dei Sagrestani. Questa è poi responsabile della decorazione del palazzo Tempi (oggi Bargagli Petrucci): i soffitti di un salone (distrutto durante la guerra), e quattro salotti, in uno dei quali il D. affrescò IlTempo che esalta la Virtù e opprime i Vizi (bozzetto in collezione privata di Venezia esposto come di M. Bonecchi alla mostra Gli ultimi Medici, n. 109). La stessa équipe lavorò alla villa Tempi di Poggio alla Scaglia, dove Sagrestani e il D. sembrano aver dipinto insieme nella stessa stanza.
Sono perdute altre opere per chiese pisane (Transito di s. Giuliana, in S. Antonio, probabilmente giovanile) e fiorentine (la volta a fresco della cappella delle Stimmate sotto S. Lorenzo del 1718, la decorazione di angiolini nella cappella Riccardi in S.Pancrazio del 1719 e l'importante cupola di S.Ambrogio, dello stesso anno). Resta invece, benché mal restaurata, la cupoletta del 1721 nella cappella del Sacramento (o di S. Elisabetta) in Ognissanti, raffigurante una Gloriadi santi francescani e, nei peducci, quattro Padri della Chiesa. Ma la comprensione dell'epoca tarda del pittore è ostacolata dalla perdita dello sfondo della cappella della beata Giovanna nella Pieve di Signa, che il D. realizzò nel 1737-38 con Antonio Nicola Pillori e Filippo Giarrè (Fontani, 1802).
Morì a Firenze fra il 9 e il 27 febbr. 1738.
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