DELLA FAGGIUOLA, Ranieri (Neri)
Discendente da una famiglia feudale originaria della Massa Trabaria, il D. nacque probabilmente intorno al 1290, secondo dei figli maschi di Uguccione, il famoso capo ghibellino, che gli impose il nome dell'avo e lo avviò alla carriera politica e militare. Compare per la prima volta in un diploma di Ludovico il Bavaro del marzo 1315, insieme con il padre ed il fratello maggiore Francesco, come beneficiario della concessione in feudo del castello di Fucecchio e degli altri castelli della Val d'Arno che i Della Faggiuola sarebbero riusciti a strappare ai ribelli dell'Impero. La concessione fu il premio per l'adesione di Uguccione alla causa del Bavaro.
In quello stesso 1315 il D. veniva sbalzato nel ruolo di coprotagonista sulla scena politica toscana, accanto al padre, come suo vicario in Lucca. Il diretto presupposto di quella improvvisa promozione fu la morte del fratello Francesco, caduto a capo dell'avanguardia delle truppe pisane e ghibelline il 29 agosto, durante lo scontro presso Montecatini. Uguccione, fatto trasportare in Pisa il corpo di Francesco, che fin dalla presa di Lucca nel 1314 vi aveva esercitato l'ufficio di podestà e di capitano generale, il 7 settembre provvide a sostituirlo con il secondogenito Ranieri. Sembra però che il D., a differenza di Francesco, abbia tenuto Lucca soltanto come vicario del padre, poiché nessun documento lucchese lo cita con il titolo di podestà (cfr. Inventario del Regio Archivio di Stato di Lucca, IV, Lucca 1888, p. 381).
Come però la presenza di Francesco in Lucca era durata poco più di un anno, così quella del D. era destinata a concludersi in un arco di tempo altrettanto breve. La città, che era stata spietatamente saccheggiata per più giorni al momento dell'occupazione da parte delle truppe di Uguccione, il 14 giugno 1314, non nutriva - nonostante la massiccia emigrazione guelfa e la creazione di un ceto amministrativo favorevole al nuovo regime - simpatie per i Della Faggiuola. Inoltre Uguccione, che era riuscito a crearsi una signoria personale in virtù dei suoi successi d'armi, dopo la vittoria riportata a Montecatini si era lasciato andare alla più totale inattività militare, inattività che soltanto un potere già consolidatol da tempo avrebbe forse potuto sopportare. Contemporaneamente un altro personaggio, dotato di grande ascendente personale, e fino ad allora a lui fedele, si mise in concorrenza con lui sulla scena politica toscana.
Castruccio Castracani aveva già dato prova della sua volontà di indipendenza nell'estate del 1315, quando, per rafforzare il suo potere in Lunigiana, aveva chiesto e ottenuto dall'antagonista del Bavaro, Federico d'Asburgo, la nomina a suo vicario in quella zona. La sua aspirazione ad affrancarsi dalla tutela di Uguccione si manifestò di nuovo nella primavera del 1316, quando egli "a Massa del Marchese, fecie uccidere trenta persone che llo dovevano tradire, chom'egli disse..." (Ranieri Sardo, p. 73). L'occupazione di Massa e la pena inflitta a quei suoi trenta abitanti indussero finalmente Uguccione a reagire. Quasi certamente su disegno del padre, il D. attirò Castruccio a Lucca per un convegno, e lo fece imprigiornare il io apr. 1316. Ma, se è vero che la prima decisione presa era stata quella di condannarlo a morte, il D. dovette rendersi presto conto del rischio di portare a compimento questo progetto in una città che gli diveniva di giorno in giorno più ostile. Chiese perciò aiuto al padre, il quale però, partito per Lucca con quattrocento cavalieri, venne raggiunto per strada dalla notizia che Pisa si era ribellata contro di lui. Quasi contemporaneamente anche i Lucchesi insorsero e, liberato il Castracani al grido "Viva Castruccio e muora Uguiccione e Nieri da Faggiuola", penetrarono nel palazzo del governo. Al giovane D. non restò altro che raccomandarsi a Castruccio, "il quale il fece scorgere fuori di Lucca sano e salvo con tutta sua compania" (Storiepistoresi, p.69). Il giorno di Pasqua del 1316 finirono cosi, nel giro di poche ore, le due signorie messe in piedi da Uguccione nell'arco di tre anni. Mentre a Pisa si dette fuoco agli archivi per cancellare la sua breve tirannia, a Lucca, il 17 aprile, Castruccio venne eletto governatore della Guerra e capitano delle milizie.
Dopo una prima tappa nel castello della Verrucola, in Garfagnana, presso Spinetta Malaspina, i Della Faggiuola raggiunsero Mantova, ospiti di Passerino Bonaccolsi, quindi Verona, dove li accolse Cangrande Della Scala. Al servizio di Cangrande Uguccione sarebbe rimasto fino alla morte, che lo colse nel 1319 a Vicenza, dove, per incarico dello Scaligero, deteneva la carica di podestà. Più difficile invece ricostruire i movimenti del D. in quegli anni. L'unica notizia certa relativa a questo periodo è quella del suo matrimonio con la figlia del conte ghibellino Aghinolfo dei Guidi. Si sa infatti che i Bolognesi tentarono di bloccare il corteo nuziale che passava per il loro territorio. Da quel matrimonio sarebbero nati almeno due figli, Francesco e Uguccione.
Il D. dovette aspettare la discesa in Italia di Ludovico il Bavaro per tentare di conquistare di nuovo un ruolo di primo piano. Dopo l'incoronazione imperiale celebrata a Roma nel gennaio 1328, per mano di Sciarra Colonna in nome del popolo romano, Ludovico, recatosi a Velletri, lasciò, come racconta Giovanni Villani (X, 75), "senatore in Roma Rinieri figliuolo che fu di Uguccione da Faggiuola, il quale martorizzò e fece ardere due buoni uomini, l'uno Lombardo e l'altro Toscano, perchè diceano che 'l detto frate Pietro da Corvara [cioè l'antipapa Niccolò V] non era né potea essere degno papa, ma era Giovanni ventiduesimo degno e santo". L'adesione del D. alla causa imperiale era quindi totale; e se pure l'avventura romana fu di breve durata - Ludovico abbandonò Roma definitivamente già all'inizio dell'agosto del 1328 - la sua fedeltà valse al D. nel 1329 la conferma del privilegio già concessogli nel 1315 sui castelli della Val d'Arno e su quelli eventualmente sottratti ai nemici dell'Impero.
Dopo la partenza dell'imperatore dall'Italia, il D. si trovò invischiato in una logorante serie di piccoli scontri per il controllo della zona dell'alta valle del Tevere, compresa tra Romagna, Umbria e Toscana. I suoi rivali furono in particolare i Tarlati di Arezzo. che tentavano anch'essi di affermarvi il loro predominio. Nel 1332 Firenze intervenne, inviando come mediatore Pino della Tosa, nel tentativo di placare le parti. Ma l'anno successivo il D. fu di nuovo in conflitto con Pier Saccone Tarlati, signore dì Arezzo, per il possesso di un castello, mentre nel 1334 tentò, insieme con i Perugini e con gli uomini del legato pontificio, di forzare l'assedio posto da Pier Saccone al "castrum de Ilica". L'irrequietezza della politica del Tarlati portò infine, nel 1335, Perugia alla guerra aperta contro Arezzo. In questo frangente il D. fu naturalmente dalla parte dei Perugini, i quali "fornirono" a Nieri da Faggiuola di loro genti e per trattato fatto con Ribaldo da Montedoglio cognato de' Tarlati, che per loro tenea il borgo a Sansepolcro, entrò il detto Nieri nel detto borgo... a dì 8 d'Aprile del detto anno e prese la terra" (Villani, XI 25). Nel medesimo anno anche Città di Castello venne occupata dai Perugini e dai loro alleati, tra i quali si trovò ancora una volta il Della Faggiuola. Trovandosi in crescenti difficoltà, interne ed esterne, il Tarlati decise infine di offrire la signoria di Arezzo a Firenze. Una delle clausole del patto di sottomissione stabiliva che i suoi nemici personali, e tra questi il D. e i suoi eredi. "non possano habitare né venire in la città d'Arego" (Documenti per la storia della città d'Arezzo nel Medio Evo, II, p. 649).
Sulla falsariga di uno schema ormai classico per cui l'uomo d'armi, eletto ad una carica comunale, la prolungava e rafforzava trasformandola quindi in signoria personale, anche il D. concluse la sua vita con il tentativo di diventare signore di una città. Nel 1354, così, lui ghibellino, trattava con i guelfi di Borgo Sansepolcro, che volevano riconquistare la preminenza politica nella cittadina, per ottenere la carica di capitano generale. Il tentativo ebbe successo: il D., a capo dei guelfi, sconfisse la fazione avversaria ed acquistò quindi, nell'esercizio della sua carica, una chiara prevalenza nel Comune. L'esperienza fu però di breve durata, perché ben presto i cittadini di Borgo Sansepolcro riuscirono a farlo dimettere dalla carica e ad allontanarlo.
Il D. non si dette per vinto e si recò nel febbraio 1355 a Pisa per chiedere a Carlo IV di Lussemburgo la concessione della signoria di Borgo Sansepolcro. A Pisa erano convenuti numerosi esponenti ghibellini, tutti alla ricerca di privilegi e benefici, e il D. si trovò così di fronte all'antico nemico, Pier Saccone Tarlati. I due non persero occasione per venire a diverbio, recriminando sugli episodi della loro annosa ostilità. La disputa infastidì infine lo stesso Carlo, che licenziò i contendenti. Ma il D., "stando per alcun giorno sopra di sé alla fine pensando colla sua solita astuzia" (Goracci, p. 189), ottenne infine, il 29 aprile, dietro versamento di una forte somma di denaro, il vicariato di Sansepolcro. La morte però lo colse già pochi mesi dopo, nello stesso 1355, e i suoi figli non riuscirono a conservare l'eredità del padre.
Fonti e Bibl.: Storie pistoresi, in Rer. Ital. Script., 2ediz., XI, 5, a cura di S. A. Barbi, pp. 67, 68 s., 70; Annales Arretinorum Maiores et Minores, ibid., XXIV, 1, a cura di A. Bini-G. Grazzini, pp. 24 s., 44;G. Villani, Cronica, a cura di F. Gherardi Dragomanni, II-III, Firenze 1845-1847, passim; A. Goracci, Breve istoria dell'origine e fondazione della città di Borgo San Sepolcro, in La vita d'uomini illustri fiorentini scritte da Filippo Villani ed una cronaca inedita, a cura di F. Gherardi Dragomanni, Firenze 1847, pp. 178 s., 183 ss., 186-193; Cronaca della città di Perugia dal 1309 al 1491, nota col nome di Diario del Graziani, a cura di A. Fabretti, in Arch. stor. ital., s. 1, XVI(1850) pp. 108, 112; I capitoli del Comune di Firenze, II, Firenze 1893, p. 364;A. Mussatto, Sette libri inediti del De gestisItalicorum post Henricum VII, a cura di L. Padrin, Venezia 1904, pp. 1, 3; Documenti per la storia della città d'Arezzo nel Medio Evo, a cura di U. Pasqui, II, Firenze 1916, pp. 648-651; III, ibid. 1937, pp. 6 s., 117; Cronaca di Pisa di Ranieri Sardo, a cura di O. Banti, Roma 1963, in Fonti per la storia d'Italia, LXI, pp. 72 s.; P. Pellini, Historia di Perugia, I, Venetia 1664, pp. 526, 639; I. Del Lungo, Dino Compagni e la sua cronica, II, Firenze 1879, pp. 544, 548; P. Vigo, Uguccione della Faggiuola, Livorno 1879, pp. 82, 86; C. Troya, Del Veltro allegorico di Dante e altri saggi storici, a cura di C. Panigada, Bari 1932, pp. 84, 91 s., 98, 117, 119 ss.; R. Davidsohn, Storia di Firenze, Firenze 1956-1968, ad Indicem; P. Litta, Le fam. cel. ital., III, sub voce Faggiuola, signori della, nel Montefeltro.