DELLA GRECA, Ranieri (Neri)
Nacque in Orvieto intorno alla metà del sec. XIII da un Ugolino. Il Waley ritenne che padre del D. fosse il giudice Ugolino, morto prima del 1247. Tuttavia, poiché le fonti a noi note lo menzionano per la prima volta nel 1274, quando fu uno degli arbitri che in quell'anno stabilirono una nuova divisione del contado aldobrandesco, sembra più probabile identificare il padre del D. in quell'Ugolino Della Greca figlio del già ricordato giudice Ugolino, che fu capitano del Popolo per la seconda volta nel 1264, che era ancora in vita nel 1284, e che poté avviarlo alla vita politica. Il D. fu il protagonista principale, come capitano del Popolo, degli avvenimenti politici che, tra il 1280 e il 1284, portarono ad un rafforzamento della influenza del popolo nella direzione del Comune di Orvieto.
L'ascesa dei popolari aveva conosciuto una battuta di arresto, a partire dalla metà degli anni Sessanta del sec. XIII, a causa dei condizionamenti creati dalla Sede apostolica e dalla monarchia angioina sulla città. In Orvieto infatti avevano soggiornato i papi francesi Urbano IV dal 1262 al 1263, Clemente IV nel 1266, e Carlo d'Angiò, con la sua corte, e Gregorio X dal 1272 al 1273. Tale presenza aveva favorito un indirizzo politico che trovava il maggiore supporto tra le famiglie guelfe nobili e magnatizie. Pur continuando ad esistere, il Consiglio del popolo era stato privato della sua magistratura principale, quella del capitano, che dal 1296 non è più documentata con continuità.
Il D. fu eletto per la prima volta capitano del Popolo nel 1280 - nell'ottobre, secondo il Waley -, e tenne questo incarico sino a tutto l'anno successivo. La sua nomina fu probabilmente il risultato di un tumulto popolare, e segnò l'inizio di una nuova fase antimagnatizia e antinobiliare nella storia del Comune di Orvieto. Gli Annales Urbevetani sotto l'anno 1280 riferiscono infatti che, essendosi il popolo radunato nella piazza di S. Domenico, i consoli delle arti elessero capitano il D., "sub quo multe novitates fuerunt". Secondo il Waley, l'abilità politica del nuovo capitano consistette nell'aver saputo coagulare in un unico nuovo partito gli elementi popolari guelfi, contrari ai filoangioini, e gli appartenenti alla fazione ghibellina. Le tensioni interne si acuirono quando il papa francese Martino IV stabilì nel 1281 la propria residenza nella città, circondandosi di una corte straniera malvista dalla popolazione. Bastò il pretesto di un incidente avvenuto tra un cittadino orvietano e un membro della corte a far scoppiare, in aprile, un sanguinoso tumulto conclusosi con numerosi morti tra gli antifrancesi.
Le fonti attribuiscono la responsabilità degli incidenti al D., che si sarebbe rifiutato di intervenire per sedare la rivolta, accampando la scusa di una malattia. Il fatto dimostra invece, semmai, l'influenza che il capitano del Popolo esercitava sugli Orvietani: sarebbe infatti bastato un suo intervento per scongiurare il conflitto. Del resto, che egli avesse restituito autorità alla magistratura che ricopriva è attestato anche dalla sua decisione di far abbattere numerose case e la chiesa di S. Croce per aprire una piazza del Popolo; fu proprio nella sua casa che, in vista di tale progetto, vennero concluse molte delle vendite degli edifici da radere al suolo (16 febbr. 1281 e 6 sett. 1283). Il progetto rientrava in un piano più generale di innovazioni urbanistiche, destinate a dare maggior prestigio alla città e alla sede del governo cittadino. L'anno precedente egli stesso aveva fatto eseguire lavori di ampliamento del palazzo comunale, con l'apertura di quattro finestroni e la costruzione del campanile.
La restaurazione della magistratura del capitano del Popolo e la nuova autorità conferitale dal D. resero più realistico politicamente per la parte avversaria il tentare di ricoprirla piuttosto che l'eliminarla nuovamente. Nel 1282 e nel 1283 tale carica fu, infatti, assegnata a due nobili orvietani, Bernardino di Marsciano e Ermanno di Cittadino Monaldeschi.
Nel 1284 tuttavia, modificatisi gli equilibri delle forze interne in seguito a nuovi tumulti scoppiati in connessione con un colpo di mano tentato dal D., quest'ultimo fu eletto per la seconda volta capitano del Popolo, senza dubbio - come ritiene il Waley - anche grazie al programma apertamente antiguelfo da lui propugnato. Il D. impresse alla politica cittadina un indirizzo tale che lo stesso Martino IV, "malitiam et nequitias Raynerii capitanei Urbeveteri substinere non valens" (Liber pontificalis, p. 463), il 27 giugno abbandonò la città per rifugiarsi prima a Civitacastellana e poi a Perugia.
Le simpatie del capitano del Popolo verso i nemici dei guelfi erano tuttavia meramente strumentali ed opportunistiche. Obiettivo prioritario del D. restava in realtà quello di consolidare il suo prestigio ed il suo potere, in vista dell'assunzione in prima persona della guida politica della città. Sebbene fosse stato eletto grazie all'appoggio dei popolari, per rafforzare la sua posizione non mancò infatti di cercare, all'interno, un'intesa con i nobili guelfi: lo attesta il riconoscimento di buon governo da lui sindacato il 12 maggio nei confronti del capitanato di Ermanno Monaldeschi. All'esterno cercò di affermare la posizione egemonica di Orvieto nei confronti dei signori limitrofi. Il 28 aprile ottenne la sottomissione del signore di Montorio, ed il 7 agosto quella del signore di Vitozzo. Si inserì inoltre nelle lotte per la successione ai beni aldobrandeschi, appoggiando il conte Pandolfo dell'Anguillara, accorso in difesa di Ildebrandino conte di Santa Fiora, che disputava a Guido di Montfort l'eredità del suocero di questo, Ildebrandino conte di Sovana e di Pitigliano, il "Comes Rubeus" da poco scomparso. Quasi a conferma dell'accordo che lo legava a Pandolfo dell'Anguillara, il D. fece eleggere quest'ultimo, con l'appoggio dei gruppi antiguelfi, podestà di Orvieto per l'anno 1285 (15 ott. 1284).
È opinione del Waley che tale elezione avvenne nell'ambito di accordi presi tra il D. e l'Anguillara, secondo i quali quest'ultimo avrebbe avuto il sostegno di Orvieto contro il Montfort, in cambio di diritti per il Comune nel contado aldobrandesco.
I dissidi e le contese fra i guelfi ed i diversi gruppi interni ed esterni di opposizione impedirono al D. di portare a buon termine la politica intrapresa. La notizia della nomina dell'Anguillara provocò la reazione dei guelfi orvietani, che, radunatisi nella piazza davanti al palazzo comunale, per bocca di Pietro Monaldeschi chiesero di procedere ad una nuova elezione indicando come candidati, in sostituzione del podestà nominato dal D. per l'anno seguente, il papa e, in seconda istanza, lo stesso Guido di Montfort o il guelfo Guido di Rimini. Nei disordini che si ebbero nei giorni successivi tra le fazioni avversarie, il D. ebbe una parte di rilievo, incitando il Popolo contro la parte guelfa al suono della campana. La situazione finì tuttavia col ristabilirsi quando, nel timore del sopraggiungere di Guido di Montfort, gli stessi guelfi, radunato il Consiglio e i consoli delle arti, elessero capitano del Popolo Ermanno di Cittadino Monaldeschi il quale, per dimostrare la sua volontà di pace, permise ai fuorusciti di rientrare senza esercitare nei loro confronti alcuna rappresaglia. La vicenda, che sembra doversi interpretare come reazione ad un tentativo compiuto dal D. di instaurare il proprio dominio su Orvieto con il sostegno degli antiguelfi, sia ghibellini fuorusciti sia guelfi antimagnatizi, portò comunque ad un rafforzamento dei popolari, senza il cui consenso non si poté più governare la città.
Non si ha alcuna notizia del D. negli anni immediatamente seguenti il suo tentativo di colpo di mano. Egli ricompare nel 1298, coinvolto nelle vicende che videro Orvieto estendere il proprio dominio sulla Val del Lago.
La città, approfittando del lungo periodo di sede vacante seguito alla morte di Niccolò IV (4 apr. 1292), e del breve e debole pontificato di Celestino V (5 luglio-13 dic. 1294), era riuscito a sottomettere il territorio del lago di Bolsena. Bonifacio VIII, il nuovo papa successo a Celestino (24 dic. 1294), cercò di ricondurre quelle terre sotto il controllo pontificio e, nel 1296 (in luglio era stato eletto capitano del Popolo di Orvieto), raggiunse un compromesso con la città, in base al quale il Comune conservava il diritto di imporre tasse e la Sede apostolica si riservava la nomina dei podestà dei Comuni della valle, da scegliere ad anni alterni da una lista di cittadini orvietani. Le città della Val del Lago non accettarono, però, le decisioni del pontefice e Bonifacio VIII, il 24 febbr. 1298, diede incarico al Comune di Orvieto di ricondurle all'obbedienza.
Il D. partecipò, come cavaliere dell'esercito orvietano, alla campagna di riconquista. Il 14 maggio 1298 fu presente alla presa di possesso del castello di San Lorenzo e, il giorno seguente, alla resa del conte di Fiagiano. Un dispaccio spedito il 16 dal piano delle Rocchette, dove si erano accampate le milizie orvietane, informò il Consiglio generale di una nuova ribellione del conte, dopo il fallimento delle trattative nelle quali aveva avuto un ruolo importante anche il Della Greca. La questione dovette però essere ben presto risolta, perché l'esercito, lasciato il piano, il 18 entrò pacificamente in Acquapendente, ed il D. ebbe l'incarico di radunare il Consiglio della città per esortarlo a desistere da ogni ulteriore resistenza. Il 20 maggio, parlando in tale Consiglio, il D. riuscì a convincere i maggiorenti di Acquapendente ad accettare la sottomissione. Il giorno stesso il corpo di spedizione partì per Bolsena e rientrò in Orvieto il 22 maggio.
In virtù delle capacità diplomatiche da lui dimostrate e della sua partecipazione al successo dell'impresa, compiuta per volontà di Bonifacio VIII, il D. fu scelto a rappresentare il Comune nelle trattative, che si dovevano svolgere a Roma, presso lo stesso pontefice, in vista della definizione della pace tra Orvieto e Todi. Bonifacio VIII, che nel 1298 era stato eletto podestà e nuovamente capitano del Popolo di Orvieto, si era infatti costituito mediatore tra le due città, in contrasto per il possesso del castello di Montemarte. Eletto il 7 dic. 1300, insieme a Ugolino Monaldeschi, procuratore e sindaco del Comune, il D. giunse a Roma il 10 dicembre e, nel palazzo del Laterano, si rimise insieme con i rappresentanti di Todi alla volontà di Bonifacio, il quale, due giorni dopo, stabilì che Orvieto cedesse il castello disputato per 24.000 lire di denari cortonesi, a condizione che fossero abbattute tutte le case non coloniche della tenuta del castello. Accettate le condizioni, i rappresentanti delle due parti giurarono sui Vangeli di rispettare il dettato papale e si scambiarono il bacio della pace. Il 29 genn. 1302 il D. ricevette l'incarico di pagare, quale procuratore di Margherita Aldobrandeschi, la figlia di Ildebrandino il Rosso, conte di Sovana e di Pitigliano, il censo annuo che la contessa doveva al monastero cistercense di Sant'Anastasio per i possedimenti da lei riottenuti in enfiteusi dall'abate di tale monastero.
L'episodio è da inserire nel quadro della guerra combattuta tra gli Aldobrandeschi di Sovana e di Santa Fiora, da un lato, e, dall'altro, Bonifacio VIII ed il Comune di Orvieto, che cercavano di acquisire i domini ereditari della contessa.
Il Waley è dell'opinione che la notizia attesti l'appoggio dato dal D. alla contessa contro Bonifacio VIII, ma è più probabile che, pagandone il censo, il D. dovesse costituire diritti su quelle terre per conto del Comune di Orvieto.
Quando il pontefice, il 9 marzo 1303, dichiarò Margherita decaduta dal diritto di enfiteusi che trasferì al pronipote Benedetto Caetani, ed il Comune di Orvieto, approfittando della crisi in cui versava la Sede apostolica dopo l'oltraggio di Anagni (7 settembre) e la morte di Bonifacio VIII (11 ott. 1303), si fu annesso tutto il contado aldobrandesco, il D., certamente in considerazione dell'impegno dimostrato nel difendere gli interessi di Orvieto, fu nominato podestà di Pitigliano (10 dic. 1303), punto vitale per il controllo della regione. All'inizio del 1304, durante le operazioni militari condotte dagli Orvietani contro Nello Pannocchieschi, quarto marito di Margherita Aldobrandeschi, che tentava di riconquistare i domini ereditari della moglie ai danni di Orvieto, quando il 6 e il 16 gennaio i Comuni dell'antico contado aldobrandesco confermarono la propria fedeltà ad Orvieto, con gli obblighi che ne derivavano, il D., che certamente aveva partecipato ai negoziati preliminari, fu presente al giuramento dei capitoli della nuova sottomissione. Dopo tale data non si hanno più notizie del D. fino al 1313.
Il fatto che in questo periodo - durante il quale i popolari elaborarono e promulgarono rigidi provvedimenti antimagnatizi che tendevano ad escludere dal governo della città gli appartenenti alle famiglie nobili - egli non abbia più ricoperto incarichi pubblici, sembra possa essere spiegato con una sua aggregazione alla nobiltà. Personaggio importante dopo i due clamorosi capitanati, possessore di un cospicuo patrimonio terriero (nel catasto del 1292 il suo patrimonio fu valutato 5.254 lire cortonesi), indicato come "nobilis vir" già dal 1304, dovette probabilmente la sanzione della sua promozione sociale allo stesso Bonifacio VIII, in seguito al successo della campagna per la sottomissione della Val del Lago (1298). Del resto egli conduceva una vita more nobilium, come attestano il possesso di una torre nel quartiere di S. Angelo, crollata nel 1301, e il servizio militare prestato nell'esercito orvietano come cavaliere.
La notizia che nel 1313, per suggerimento del D., il Comune di Orvieto assegnò 100 fiorini d'oro ai due cardinali che, dal 1307, erano stati mediatori per l'assoluzione dall'interdetto lanciato sulla città in seguito all'invasione del contado aldobrandesco, confermerebbe il nuovo status del D.: personaggio influente a cui si ricorreva, non più per affidargli responsabilità dirette nella gestione del governo popolare, ma per risolvere diplomaticamente complesse sitliazioni politiche che inserivano Orvieto nella sfera d'interesse della Curia romana.
Non si hanno più notizie del D. dopo il 1313, né si conosce la data esatta della sua morte.
Fonti e Bibl.: Guillelmi Nangiacis gesta Philippi tertii Francorum regis, in Recueil des historiens des Gaules et de la France, XX, a cura di P. C. L. Daunou-J. Naudet, Paris 1840, p. 516; Codice diplom. della città di Orvieto, a cura di L. Fumi, Firenze 1884, pp. 324, 326-29, 365, 367 ss., 375 s., 402; Annales Urbevetani, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XV, 5, t. 1, a cura di L. Fumi, pp. 127, 133, 139, 159 s., 183 ss.; Cronaca di Luca di Domenico Manenti, ibid., pp. 287, 289 s., 316, 318 s., 336, 352 n.; Liber pontificalis, a cura di L. Duchesne, II, Paris 1892, pp. 463 s.; G. Ciacci, Gli Aldobrandeschi nella storia e nella Divina Commedia, II, Roma 1935, docc. 580, 646; G. Rondoni, Orvieto nel Medioevo, in Arch. stor. ital., s. 4, XIX (1887), pp. 385 s.; G. Pardi, Serie dei supremi magistrati e reggitori di Orvieto dalle libertà comunali all'anno 1500, in Boll. d. Società umbra di storia patria, I (1895), pp. 353, 375 s.; Id., Il catasto di Orvieto dell'anno 1292, ibid., II (1896), pp. 239, 275; Id., Comune e signoria a Orvieto, Todi s. d., p. 35; G. Ermini, La libertà comunale nello Stato della Chiesa, in Arch. d. R. Società romana di storia patria, XLIX(1926), p. 30; G. M. Monti, Una nuova fonte di storia angioina: un'altra cronaca martiniana in volgare, in Arch. stor. per le prov. napol., n. s., XXVIII (1945), pp. 81 s.; D. Waley, Mediaeval Orvieto, Cambridge 1952, pp. 53-58.