RANIERI di Pomposa
RANIERI di Pomposa. – Non si conoscono il luogo e la data di nascita di questo giurista e monaco benedettino che tra il 1201 e il 1202, presentando la collezione di epistole decretali che da lui prende il nome e per la quale è divenuto celebre, si definiva «diaconus et monachus Pomposianus».
Tuttavia è presumibile che all’inizio del XIII secolo non fosse più in età giovanile, anzitutto perché la sua opera di giurisperito si deve considerare frutto dell’impegno di una persona matura e inoltre, come si apprende dalla prefazione alla sua raccolta, era talmente assorbito da altre occupazioni, segno evidente della fiducia di cui godeva all’interno della comunità monastica, che a mala pena trovava il tempo di riposarsi, sebbene non godesse di buona salute. Si può, dunque, ipotizzare che le prime notizie che lo riguardano risalgano a quasi venticinque anni prima e precisamente al 15 e 16 marzo 1177, allorché un «Raynerius monachus Pomposianus» fu a fianco del priore Viviano in due atti di concessione in enfiteusi, a favore di persone diverse, di un appezzamento di terra e di una vigna che facevano parte del patrimonio dell’abbazia di Pomposa.
Successivamente, tra il 1193 e il 1194, si incontra un Ranieri «sindicus Pomposiane ecclesie» in una causa piuttosto complessa relativa alla rivendicazione di una vigna piantata trent’anni prima in un terreno che, secondo diversi testimoni, non apparteneva a Pomposa, ma da oltre quarant’anni era in possesso della chiesa di S. Salvatore di Bologna.
Il processo si celebrò nelle aule dei maestri di diritto bolognesi Lanfranco, Baziano e Niccolò Furioso e si concluse con sentenza favorevole ai canonici della chiesa di S. Salvatore, pronunciata dal canonista Baziano. Il fatto, ritenuto esemplare, divenne un caso di scuola che venne inserito, cambiando i nomi dei protagonisti, in una raccolta di quaestiones dei glossatori. La vicenda confermerebbe la vicinanza di Ranieri al mondo degli «honesti viri atque prudentes», com’egli li definiva, ossia dei giurisperiti che erano in contatto con lui e che lo avevano esortato ad allestire la sua raccolta di decretali. Tra costoro, forse, si trovavano anche quei «viri prudentes» ai quali papa Innocenzo III affidò l’inchiesta sulle malversazioni dell’abate Anselmo, accusato da alcuni monaci di avere speso tutti i denari lasciati dal predecessore sino a indebitare gravemente il monastero, tanto che nel dicembre del 1199 il pontefice si risolse a privarlo delle sue funzioni.
Nel frattempo, sullo scorcio del XII secolo, Ranieri «monachus et diaconus» aveva continuato a occuparsi degli affari di rilevanza giuridica riguardanti il patrimonio di Pomposa, giacché il 4 febbraio 1198 il suo nome compare, con tali qualifiche, in un atto di donazione a favore dell’abbazia benedettina stipulato in quel di Codigoro, ma non risulta, comunque, che si fosse fatto coinvolgere nella cattiva gestione finanziaria dell’abate. Non è dato sapere, d’altra parte, se egli avesse fatto parte del gruppo di monaci che avevano messo sotto accusa il famigerato Anselmo, mentre è certo che continuò ad attendere alle proprie mansioni anche sotto il suo successore, l’abate Filippo, che si distinse invece per la sua cultura e rettitudine di costumi.
La raccolta di decretali di Ranieri non poteva che essere opera di un privato, giacché nessuna delle collezioni canoniche prodotte sino a quel tempo aveva ricevuto l’approvazione ufficiale da parte dell’autorità ecclesiastica. Comunque la Curia pontificia non dovette ostacolarlo nell’impresa, tanto che egli dedicò il frutto della sua fatica a un cappellano papale, Giovanni monaco e sacerdote, destinato a una brillante carriera, e dichiarò di avere esaudito in questo modo anche le istanze di quanti, giungendo dai confini del mondo e dovendo recarsi in Curia, chiedevano che venissero raccolte in un volume e ordinate sotto titoli certi tutte le norme emanate da papa Innocenzo III, definito dallo stesso Ranieri come «nuovo Salomone» e considerato tale anche in testi coevi di scrittori curiali e persino di verseggiatori appartenenti all’ambiente goliardico bolognese.
La tradizione manoscritta della collezione di Ranieri si affida a due soli testimoni, evidentemente perché venne subito superata da altre raccolte più aggiornate: si tratta del cod. 692 della biblioteca municipale di Reims, che l’ha serbata per intero e sul quale si fondano le edizioni, e del cod. lat. 3922 A della biblioteca nazionale di Parigi che, però, offre soltanto una selezione di materiali operata da un ignoto canonista di Rouen. Composta di 123 decretali, emanate nei primi tre anni e mezzo del pontificato di Lotario dei conti di Segni, ovvero tra il gennaio 1198 e il giugno 1201, si tratta della prima collezione contenente soltanto testi di Innocenzo III. Divisa in 41 titoli, si presenta anche come la prima collezione sistematica prodotta nel XIII secolo, sebbene i titoli sotto i quali le norme sono state raggruppate non seguano, né nell’enunciato delle rubriche né nella successione delle materie, il sistema che era stato fissato, circa un decennio innanzi, da Bernardo da Pavia nella redazione della Compilatio prima (o Breviarium Extravagantium). Si deve, quindi, escludere che Ranieri abbia recepito i criteri di ordinamento delle decretali adottati dalla scuola di Bologna. D’altra parte l’opera resta di fondamentale importanza per la ricostruzione del primo periodo della legislazione innocenziana, durante il quale il dotto pontefice dovette affrontare problemi di rilevanza non solo giuridica, ma anche politica, come la questione della validità del matrimonio di Filippo II Augusto, re di Francia, con Ingeborg di Danimarca. La collezione risultò preziosa non solo perché tramandava anche testi non sempre reperibili nei registri delle lettere papali, ma soprattutto per essere divenuta una fonte alla quale attinsero ampiamente autorevoli maestri bolognesi che nel corso del primo decennio del XIII secolo continuarono a produrre collezioni private di decretali, quali Gilberto, Alano, Bernardo Compostellano e, più di tutti, Pietro Collevaccino da Benevento, autore della prima raccolta ufficiale nella storia della Chiesa, la Compilatio tertia promulgata da Innocenzo III nel 1210.
Ranieri portò a compimento la sua opera probabilmente durante la seconda metà del 1201 e la felice conclusione dell’impresa accrebbe il suo prestigio a Pomposa, tanto che nel 1206 ne divenne priore e lo era ancora nel 1210, allorché dovette rendersi interprete delle istanze della comunità monastica, dopo che l’anno precedente l’abate Filippo aveva lasciato la sua carica per essere stato nominato vescovo di Belluno e Feltre. In veste di priore, infatti, il monaco giurisperito inviò una supplica all’arcivescovo di Ravenna Ubaldo affinché designasse al più presto il successore di Filippo, in ottemperanza all’incarico ricevuto dal pontefice, allo scopo di impedire che, in mancanza dell’abate, il monastero subisse ingerenze nell’amministrazione del suo patrimonio da parte di estranei male intenzionati e, di conseguenza, rischiasse di patire gravi danni. È questa l’ultima notizia che riguarda Ranieri, ma tale constatazione, unita al fatto che nel 1214 egli non era più priore, non provano che nel frattempo fosse deceduto.
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