Ranieri di Zaccaria
Vicario di re Roberto a Firenze nel 1315, era originario di Orvieto. A lui si fa risalire la responsabilità della condanna subita da D. nel 1315, come risulta da un atto del 6 novembre di tale anno.
La condanna rientra nella politica di pacificazione e di reintegrazione di fuorusciti nella città promossa da R. all'indomani della battaglia di Montecatini (29 agosto 1315), probabilmente per restaurare le finanze fiorentine, esaurite dalla guerra. Nel settembre del 1315 si può dedurre quindi che il vicario concesse un'amnistia secondo la quale tutti i Bianchi e ghibellini esiliati venivano reintegrati in città mediante il pagamento di un'ammenda di 12 denari per ogni lira della multa cui erano stati condannati, fino a giungere a un massimo di 50 lire; oltre alla cauzione in denaro, ad alcuni, condannati da Cante de' Gabrielli (fra i quali è compreso D.), era imposto il confino nel territorio di Firenze o anche al difuori, secondo il beneplacito del vicario. Di tale aministia non sono rimaste testimonianze documentarie; tuttavia se ne può provare l'esistenza, ricostruendo il contenuto da atti collaterali. Dalle consulte degli anni 1315-16 si apprende che ai primi di settembre 1315 venne data balia ai priori e al gonfaloniere, il che fa supporre l'urgenza di prendere provvedimenti straordinari; da una sentenza del successivo 15 ottobre risulta che fu nominata una deputazione per inquisire sui ghibellini sospetti, da condannare al confino o da richiamare; infine dalle provvisioni del 1316 risulta che il 2 giugno di tale anno vi fu un ribandimento che nulla ci fa supporre differente nelle condizioni da quello del settembre precedente.
D. non volle sottoporsi alle condizioni imposte dal vicario per ottenere la commutazione della pena, con ogni probabilità proprio per i motivi che egli stesso espone nell'epistola all'Amico fiorentino (Ep XII), per cui, con sentenza del 6 novembre 1315, fu condannato, unitamente ai figli, a morte per decapitazione (v. in Appendice il capitolo dedicato alla vita di Dante).
L'essere R. l'autore del ribandimento di D. e quindi in effetti il responsabile della preclusione al poeta del ritorno in patria, ha fatto sorgere l'ipotesi che D. a lui si riferisse (in Eg IV 47, 75 ss.) col personaggio di Polifemo che gl'impedisce l'andata a Bologna; a tal fine bisogna osservare che l'egloga è troppo legata al mondo bolognese per inserirvi un personaggio estraneo a quest'ambiente; d'altra parte non si hanno testimonianze di un soggiorno di R. in questa città.
Bibl. - A. Belloni, Frammenti di critica letteraria, Milano 1903 (recens. di E.G. Parodi, in " Bull. " X [1902-1903] 199); Zingarelli, Dante (1903) 656, 660, 760 (recens. di M. Barbi, in " Bull. " XI [1904] 21-29; poi in Problemi I 48-56); Davidsohn, Storia III 814; G. Reggio, Le Egloghe di D., Firenze 1969, 39; Piattoli, Codice 114, 115, 183.