SAMARITANI, Ranieri
– Figlio di Lambertino di Matteo, nacque a Bologna poco prima del 1240; nulla si sa della madre.
La data di nascita si desume per approssimazione dai primi incarichi, ricoperti fra il 1264 e il 1267, rispettivamente come capitano del Popolo di Ravenna e podestà di Cento e Pieve di Cento (Savioli, 1789, p. 377; Archivio di Stato di Bologna, ASBo, Memoriali, 3, c. 179v): da quelle cariche, che richiedevano un’età non inferiore ai venticinque anni (Statuti di Bologna..., a cura di L. Frati, 1877, p. 149), prese il via la brillante carriera politica di Ranieri.
La famiglia Samaritani, fra le più attive e autorevoli sulla scena politica bolognese del XIII secolo, deve il nome a Samaritana, figlia di Matteo di Rodolfo, membro della delegazione bolognese presente alla Pace di Costanza del 1183. Moglie di Uguccione da Montefiore, Samaritana diede alla luce Matteo, nonno di Ranieri, che già verso il 1210 si distinse nei contrasti di fazione che opponevano la sua famiglia, appartenente alla nobiltà guelfo-geremea, a quella dei Maccagnani, esponenti dell’opposta fazione ghibellina. Dal 1216 Matteo domine Samaritane ricoprì importanti incarichi diplomatici: il 19 febbraio di quell’anno era fra i bolognesi impegnati nel definire le condizioni di alleanza con Firenze e nel settembre successivo partecipò alle trattative di pace con i riminesi e i Montefeltro; nel gennaio del 1219 collaborò al rinnovo dell’alleanza con i reggiani, mentre l’anno successivo, in rappresentanza del Comune di Bologna, partecipò alle complesse operazioni di acquisto di alcuni mulini sul Navile.
Nel frattempo, Matteo ricopriva anche incarichi all’interno dei meccanismi istituzionali del Comune: nel 1217 compare fra i consoli bolognesi, accanto a Tommaso Caccianemici, di parte guelfa, e a Giacomo Lambertazzi, la cui famiglia guidava invece la fazione ghibellina. La carriera pubblica del nonno di Ranieri continuò per alcuni decenni con alterni esiti: nel settembre 1239 fu catturato dai Modenesi e dai loro alleati filoimperiali, nel corso di una battaglia combattuta sul Panaro, nei pressi di Vignola, ed ebbe compagni di prigionia esponenti dell’alta aristocrazia bolognese: Loderigo Andalò, Corrado da Panico, Guido Lambertazzi (Savioli, 1795, III/1, p. 140). Nel settembre 1259 poi, ed è l’ultima testimonianza che abbiamo su Matteo di Samaritana, insieme con altri esponenti della parte guelfa ricopriva uffici nel Comune di Parma; tutti gli ufficiali bolognesi furono costretti ad abbandonare le cariche in seguito ad un colpo di mano della fazione avversa, che prese il potere in quel Comune. Economicamente danneggiati, Matteo e gli altri, si rivolsero al Comune di Bologna per avviare la rappresaglia (Ibidem, III/1, p. 335). Un altro figlio di Samaritana e di Uguccione, Ranieri detto Bornio, non sappiamo se maggiore o minore rispetto a Matteo, occupava nel 1235 la carica di podestà di Cesena (Corpus chronicorum Bononiensium, 1938, II/2, p. 105).
A partire dal 1247 si addensano anche le notizie sulla carriera di Lambertino, figlio di Matteo e padre di Ranieri Samaritani, testimonianze che accompagnano una parabola politica del tutto simile a quella di Matteo: nel settembre del 1247 Lambertino è fra i Bolognesi che accolgono l’impegno solenne dei Modenesi fuoriusciti a custodire il castello di Savignano per conto del Comune di Bologna, impegno confermato l’anno successivo ancora alla presenza di Lambertino. Particolarmente attivo in quegli anni sul versante occidentale della politica estera bolognese, Lambertino occupava nel 1254 la carica di podestà di Modena, rivelandosi in quell’occasione troppo favorevole ai guelfi Aigoni e provocando l’intervento moderatore del collega nella carica, il bolognese di parte lambertazza Castellano Andalò (Savioli, III/1, p. 277). Costretto di lì a poco a dimettersi dall’incarico, Lambertino di Matteo continuò la sua carriera nel settore orientale della regione. Nel 1256 lo troviamo infatti nel ruolo di capitano del Popolo di Forlì: il 24 maggio di quell’anno, giurando la sottomissione della città al Comune di Bologna, Lambertino dava un contributo decisivo alla costituzione dell’egemonia bolognese in Romagna.
La vita pubblica di Ranieri Samaritani si sviluppa dunque in perfetta continuità con una tradizione familiare ormai consolidata almeno da due generazioni, senza considerare le figure del bisnonno Uguccione e del trisavolo Matteo di Rodolfo, sui quali in effetti le notizie documentate sono pressoché nulle.
Fin dai primi anni della carriera, Samaritani offrì alla politica estera del Comune di Bologna un contributo che si fece via via più intenso e continuo. Dopo la prima esperienza del 1264 come capitano del Popolo a Ravenna, nel 1267 fu podestà di Cento e Pieve, territorio di confine e di grande importanza strategica: il I° giugno di quell’anno riceveva infatti dal massaro della comunità un acconto sulla cifra di 200 lire di bolognini, che gli era dovuta per la podesteria (Fantuzzi, 1789, VII, p. 294; ASBo, Memoriali, 3, c. 179v). A Ravenna tornò l’anno successivo (1268) come podestà, e di nuovo nel dicembre 1271 (reduce dall’obbligato abbandono della podesteria di Faenza, ove fu sostituito da Tebaldo Ordelaffi per mano di Guido da Montefeltro che aveva occupato la città costringendo all’esilio i guelfi Manfredi; Savioli, III/1, pp. 377, 412, 444, 479).
L’esordio e i primi passi di Samaritani negli ambienti politici bolognesi erano stati facilitati, oltre che dalla tradizione familiare, da un prestigioso legame matrimoniale. In una data non precisabile, ma da collocarsi intorno al 1261 (Fantuzzi, VII, p. 295), egli si era unito in matrimonio con Giovanna, figlia del conte Ranieri da Panico; si trattava indubbiamente di un legame di notevole importanza politica, in grado di offrirgli il sostegno di uno dei gruppi familiari più potenti nella montagna bolognese, tradizionalmente minaccioso e spesso ostile alla politica comunale. In un contratto del 23 settembre 1272, Ranieri compare, col soprannome di Bornio, condiviso da altri membri della famiglia, accanto al padre Lambertino e alla moglie Giovanna (ASBo, Memoriali, 20, c. 162r).
Il matrimonio, tuttavia, non diede eredi a Samaritani e non durò a lungo: il 25 giugno 1274 Giovanna agiva, in un documento notarile, nella condizione di suora clarissa. Aveva quindi già sciolto il suo legame matrimoniale con Samaritani; cedette infatti al suo parente Bonifacio da Panico il credito di 700 lire che vantava nei confronti di Lambertino, padre di Ranieri, per la prevista restituzione della dote matrimoniale (Fantuzzi, VII, p. 295). La monacazione di Giovanna è dunque da situarsi fra il 1272 e il 1274.
Anch’egli, come la moglie, una volta sciolto il matrimonio indossò l’abito francescano, in una data da collocarsi fra il 1283, quando ancora agisce come laico, e il 1295, anno in cui ha già assunto lo status di religioso (ibidem). Da frate francescano Samaritani visse gli anni più intensi e ricoprì gli incarichi più prestigiosi della sua vita pubblica, impegnandosi in campo politico e diplomatico al servizio del Comune di Bologna e di papa Bonifacio VIII. Fin dal 1296 Bologna era coinvolta in un difficile confronto militare, che la opponeva lungo il confine modenese agli eserciti del marchese Azzo VIII d’Este; la città aveva inviato quindi ripetute ambasciate ai suoi principali alleati, il Comune di Firenze e il papa, chiedendo il loro sostegno diplomatico e militare (Gorreta, 1906, pp. 97-124). Al papa in particolare i Bolognesi avevano solennemente confermato la dedizione del 1278, riconoscendo la sua supremazia politica e chiedendo la sua protezione. Bonifacio VIII decise di accogliere la richiesta e di imporre in primo luogo una tregua militare, che consentisse poi di ottenere condizioni di pace non troppo sfavorevoli per Bologna. Il punto di riferimento della diplomazia pontificia all’interno delle istituzioni comunali fu individuato in Ranieri Samaritani, che dalla primavera del 1297 fu impegnato in ripetute missioni presso la curia romana (ASBo, Riformagioni, 143, c. 48r; Gorreta, p. 122). Nell’autunno di quell’anno Ranieri fu incaricato dal papa di trattare direttamente con l’Estense le condizioni della tregua. Non raggiungendo quella missione esiti soddisfacenti, la questione fu avocata a sé dal pontefice stesso nel gennaio del 1298 e il 6 marzo successivo Samaritani fu inviato a Roma, con i giuristi Giuliano di Cambio e Bonvillano Tederisi, per accogliere le disposizioni di papa Bonifacio in merito alla tregua (Ghirardacci, 1605, I, p. 355). Tornato in patria, Ranieri presentò in consiglio il documento pontificio e ne illustrò i contenuti: a garanzia della tregua, i Bolognesi avrebbero dovuto consegnare il castello di Piumazzo allo stesso Samaritani che lo avrebbe custodito per conto del papa, così come avrebbero fatto i Modenesi col castello di Spilamberto, consegnandolo a Gerardo da Barbiano, frate predicatore. Il consiglio bolognese, costituito dagli anziani e dai consoli, da podestà e capitano, affiancati dai sapienti del Popolo, decise di accogliere la proposta e dispose di consegnare Piumazzo al Samaritani, purché il marchese d'Este avesse accettato di consegnare Spilamberto; opposta accoglienza ebbe la proposta da parte modenese: quelle condizioni furono infatti considerate inique, dato che l’importanza strategica di Piumazzo non sembrava affatto comparabile a quella di Spilamberto (Gorreta, pp. 126 s.). Per ottenere più eque condizioni, Azzo VIII richiese ai Bolognesi che ambasciatori fiorentini di sua fiducia si affiancassero a quelli bolognesi per recarsi presso papa Bonifacio a trattare la questione (Ghirardacci, I, p. 355). La proposta fu accettata ed anzi, in un atto ratificato il 18 novembre 1298 a Castelfranco fra i rappresentanti estensi e quelli bolognesi, si decise di affidare agli ambasciatori fiorentini la composizione della tregua, compresa la questione riguardante i castelli di Piumazzo e Spilamberto, che furono effettivamente consegnati in custodia ai Fiorentini (Gorreta, p. 129). Di fatto la soluzione cui si giunse col lodo di Bonifacio VIII del 24 dicembre 1299, che poneva fine al conflitto, fu sostanzialmente quella a cui il pontefice pensava fin dall'inizio della trattativa e risultò particolarmente favorevole a Bologna.
Per gratitudine la città commissionò all'artista senese Manno Bandini una statua di papa Bonifacio, attualmente conservata al Museo civico medievale di Bologna.
Il papa a sua volta riconobbe il ruolo svolto da Samaritani in quella complessa operazione diplomatica e nel febbraio 1302 gli affidò una nuova missione, incaricandolo di intervenire personalmente a comporre il contrasto in atto fra i Montefeltro e i Malatesta. Su questo periodo e in generale sugli ultimi anni della vita di Ranieri la documentazione è assai scarsa, situazione ulteriormente complicata dal fatto che negli stessi anni sono attivi nella vita politica bolognese almeno altri due membri della famiglia Samaritani, anch'essi talvolta ricordati col soprannome “Bornio” attribuito a Ranieri (Ghirardacci, I, pp. 461-556).
Come l'anno di nascita, anche la data di morte di Samaritani, in mancanza di riferimenti documentari sicuri, può solo essere oggetto di ipotesi. È probabile che sia scomparso nel 1316 o poco prima, dato che in quell'anno il convento bolognese di S. Francesco, in cui egli risiedeva, mise in vendita i libri della sua biblioteca personale (Fantuzzi, VII, p. 296).
Oltre che all'attività politica e diplomatica, la fama di Samaritani è affidata ad una limitatissima e assai oscura produzione letteraria. Gli viene attribuito in effetti un solo componimento, la frottola Come 'n Samaria nato for di fe', indirizzata a Paolo da Castello, esponente di una delle più antiche famiglie dell'aristocrazia consolare bolognese. La poesia, tramandata da un unico codice, il Canzoniere Palatino 418 (Firenze, Biblioteca nazionale, Banco rari, 217, c. 74r-v; Concordanze, 1992, p. 284), veniva giudicata dal Redi, nelle note al suo Bacco in Toscana, «poesia di senso arcano e misterioso» (Redi, 1859, p. 323), dal Crescimbeni invece «semplice accozzaglia di parole e di proverbi» (Crescimbeni, 1730, p. 29). Giudizio certamente riduttivo quest'ultimo, e d'altra parte all'epoca del Crescimbeni, cioè nei primi decenni del XVIII secolo, il Samaritani era autore e figura politica totalmente oscura, tanto da essere erroneamente collocato «ai tempi di Federico II, circa 1230», e accostato quindi agli autori della scuola poetica siciliana. Sia il giudizio del Redi che quello del Crescimbeni sono stati oggetto di recenti riletture e approfondite revisioni critiche (Minetti, 1982, pp. 363-380).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Bologna [= ASBo], Comune. Governo, 143, Riformagioni del Consiglio del Popolo, 1297, primo sem.; ASBo, Comune, Memoriali, 3, 1267, I sem.; 20, 1272, II sem.; Biblioteca nazionale di Firenze, Canzoniere Palatino 418, ora Banco rari, 217, c. 74r-v; Statuti di Bologna dall'anno 1245 all'anno 1267, a cura di L. Frati, III, Bologna 1877, pp. 144, 148 s.; Corpus chronicorum Bononiensium, a cura di A. Sorbelli, in RIS, XVIII, 1, Città di Castello 1938, II, pp. 105, 222.
C. Ghirardacci, Storia di Bologna, I, Bologna 1605; G.M. Crescimbeni, Istoria della volgar poesia, III, Venezia 1730, pp. 29 s.; G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, VII, Bologna 1789, pp. 294-296; L. Savioli, Annali bolognesi, II, 1-2, Bassano 1789, ad ind.; III/1-2, 1795, ad ind.; F F. Redi, Poesie, con le annotazioni al Bacco in Toscana, Firenze 1859 (ed or. 1685), pp. 323 s.; A. Gorreta, La lotta tra il comune bolognese e la signoria estense (1293-1303), Bologna 1906 [rist. anast. Bologna 1975], pp. 97, 121-124; G. Zaccagnini, Poeti e prosatori delle origini. Spigolature d'archivio, in Il giornale dantesco, XXVIII (1925), pp. 167-177; F.F. Minetti, Una frottola di non così poi “alto misterio”, d’un contemporaneo e concittadino del primo Guido, in Apophoreta. Scritti offerti a Gino Raya, a cura di A. Mazzarino, Roma 1982, pp. 363-380; Concordanze della lingua poetica italiana delle origini, I, Milano-Napoli 1992, p. 284.