rap
Discorsi su ritmi battenti
Il termine rap è comparso nella lingua inglese all’inizio del 20° secolo con il significato di «conversazione» o «discussione informale», ma è passato a definire il genere musicale che nella seconda metà degli anni Settanta si è affermato nelle comunità afroamericana e ispanoamericana di New York
Le origini del rap possono essere individuate nella pratica dell’MCing (da MC, Master of ceremony, o Microphone controller, più genericamente «intrattenitore» o «cantante») e in quella del DJing (selezione e diffusione attraverso piatti e impianto di amplificazione di tracce musicali preregistrate), tipiche della cultura musicale giamaicana della fine degli anni Cinquanta del Novecento.
Alla base del rhyming, la tecnica declamatoria del rap, vi è la tradizione del toasting, l’improvvisazione vocale su musica reggae. È stato il disc jockey giamaicano Kool Herc (nome d’arte di Clive Campbell) in compagnia degli mc Coke La Rock e Clark Kent a dare vita nella seconda metà degli anni Settanta a New York a una prima pionieristica forma di rap, contestualmente a Grand Wizard Theodore (Theodore Livingstone) e Grandmaster Flash (Joseph Saddler), tra i primi a sperimentare la tecnica dello scratch (l’effetto ritmico ottenuto con manipolazione della rotazione del disco in vinile sul giradischi).
La storia del moderno rap ha avuto inizio idealmente alla fine degli anni Settanta con il gruppo newyorkese Sugarhill Gang, che ha inaugurato il sistematico utilizzo di campioni (samples) di musica preregistrata con il singolo milionario Rapper’s delight, contenente una frase di Good times, successo funk degli Chic. Grandmaster Flash, già inventore dello scratching, ha messo a punto la tecnica del sampling nel 1981 con il singolo The adventures of Grandmaster Flash and the Wheels of steel e con The message, inciso l’anno successivo insieme ai Furious Five. A partire da quest’ultimo titolo, il rap ha iniziato a confrontarsi con temi d’interesse sociale attinenti all’unità della comunità afroamericana e all’emancipazione dei neri statunitensi.
La metà degli anni Ottanta è considerata il periodo d’oro del rap. I newyorkesi Run DMC sono stati tra i primi nel 1986 a tentare una fusione con il rock nel singolo Walk this way, strada percorsa con altrettanto successo lo stesso anno dai rapper bianchi Beastie Boys con l’album Licensed to ill. L’assunto secondo il quale «il rap è la cnn dei neri» è confermato dai Public Enemy nell’album d’esordio Yo! Bum rush the show, pubblicato nel 1987 con la più importante etichetta del momento, la Def jam. Il rap è diventato politico, o più semplicemente ha sollevato problematiche sociali, con i due live crew di Miami, Eric B. & Rakim e i Niggers with attitude di Dr. Dre e Ice Cube, in Straight Outta Compton (1988), violento spaccato rap della vita nei sobborghi di Los Angeles.
A cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, se da un lato il rap ha parlato la lingua del disimpegno (LL Cool J), della fratellanza e del pacifismo (De La Soul), del misticismo orientale (Wu-Tang clan), dell’antiproibizionismo (Cypress Hill) e dell’orgoglio delle radici (A tribe called Quest), dall’altro la sua versione gangsta, infusa di liriche violente e misogine, è arrivata a provocare una guerra sanguinosa. Tra il 1996 e il 1997 vennero infatti assassinati Tupac Amaru Shakur (nome d’arte di Lesane P. Crooks) e Notorious B.I.G. (Christopher Wallace), per citare solo due tra le più note vittime di regolamenti di conti incrociati tra band dell’East coast e della West coast. Più pacificato e ormai assimilato al grande business discografico, il rap tra gli anni Novanta e l’inizio del nuovo secolo ha portato al definitivo successo o ha prodotto personaggi di spicco e grandi intrattenitori come Puff Daddy (o P. Diddy, nome d’arte di Sean Combs), Jay-Z (Shawn Carter) ed Eminem (Marshall B. Mathers). Quest’ultimo è l’unico rapper bianco in grado di competere per stile e personalità con le grandi star di colore.