Abstract
L’art. 628 c.p. delinea un reato plurioffensivo, complesso, di mano propria e di aggressione unilaterale, che si estrinseca in due distinte figure criminose aventi in comune l’impossessamento della cosa mobile altrui e l’uso della violenza o della minaccia, seppure in opposta sequenza temporale. Modalità di condotta, queste ultime, che nella rapina propria costituiscono lo strumento per ottenere l’impossessamento della res sottratta, mentre nella rapina impropria il mezzo per conservarne il possesso ovvero per conseguire l’impunità.
Il delitto di rapina integra un reato plurioffensivo, tutelando la previsione dell’art. 628 c.p. l’interesse patrimoniale e la libertà personale della vittima (Dolcini, E.-Marinucci, G., Art. 628 Rapina, in Codice penale commentato, III, III ed., Milano, 2011, 6177), attraverso un doppio contenuto precettivo diretto ad impedire l’altrui impoverimento e l’arricchimento dell’agente mediante l’utilizzo di mezzi violenti (Mantovani, F., Rapina, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1991, 1; Pizzuti, G., Rapina, in Enc. dir., XXXVIII, Milano, 1987, 268).
La collocazione sistematica ne disvela l’originaria matrice patrimonialistica, progressivamente stemperata da una mutata percezione sociale della sottesa offensività, ravvisandosi nella rapina una delle più pericolose forme di aggressione alla persona (Fiandaca, G.-Musco, E., Diritto penale, parte speciale, II, t. II, I delitti contro il patrimonio, Bologna, 2008, 124).
Si è parlato, in proposito, di reato complesso che riunisce in un’autonoma fattispecie due distinte ipotesi criminose: il furto (art. 624 c.p.) ed il reato contro la persona corrispondente alla forma di violenza, fisica o psichica, in concreto esercitata, quale il delitto di percosse (art. 581 c.p.) o di minaccia (art. 612 c.p.), ma non quello di violenza privata (art. 610 c.p.), genus di cui la rapina configurerebbe speciale espressione (Mantovani, F., Rapina, cit., 1).
Di contro, si è sostenuto che configuri un reato composto (o complesso in senso stretto), costituito dal furto e dalla violenza privata (Antolisei, F., Manuale di diritto penale, parte speciale, I, a cura di C.F. Grosso, Milano, 2008, 409). Assunto oggetto di riserve da parte di chi ritiene che tale concorso materiale di reati non sia adatto ad esprimere il maggiore disvalore che connota il delitto de quo, imponendone un più severo trattamento repressivo (Fiandaca, G.-Musco, E., Diritto penale, parte speciale, II, t. II, cit., 121).
La rapina deve, piuttosto, concepirsi come un reato eventualmente complesso richiedendo, accanto al furto, una qualsivoglia manifestazione violenta volta al perseguimento degli scopi previsti dall’art. 628 c.p. (contra Brunelli, D., Rapina, in Dig. pen., XI, Torino, 1996, 16).
Trattasi di un reato comune, rilevando le qualità soggettive dell’agente unicamente ai fini circostanziali (Cerase, M., Art. 628. Rapina, in Lattanzi, G.-Lupo, E., a cura di, Codice penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, XII, I delitti contro il patrimonio, Libro II artt. 624-649, Milano, 2010, 136).
L’autore deve essere un individuo diverso da colui che detiene la res (Fiandaca, G.-Musco, E., Diritto penale, parte speciale, II, cit., 124) e, comunque, non il proprietario della stessa, richiedendosi espressamente che la cosa mobile sia altrui (Zagrebelsky, G., Rapina (Diritto vigente), in Nss.D.I., XIV, Torino, 1976, 772). Non mancano, però, dissensi laddove la res sia posseduta da altri a titolo di diritto reale o obbligatorio (Baccaredda Boy, C.-Latomia, S., Delitti contro il patrimonio mediante violenza, in Marinucci, G.-Dolcini, E., a cura di, Trattato di diritto penale, parte speciale, VIII, Padova, 2010, 373).
Atteso che la sfera applicativa dell’art. 627 c.p., da cui si evince che le cose comuni non sono altrui, è circoscritta al furto, può rispondere a titolo di rapina anche il comproprietario del bene (Mantovani, F., Diritto penale, parte speciale, II, Delitti contro il patrimonio, Padova, 2009, 35).
Tale delitto può essere commesso, non solo in danno del proprietario o del possessore della cosa sottratta, ma anche di chi ne dispone, sia pure momentaneamente, a qualsiasi titolo. La violenza o minaccia può indirizzarsi, peraltro, ad un soggetto diverso rispetto a colui che detiene la res. In tal caso persona offesa del reato è, quanto al danno patrimoniale per la cosa sottratta, chi ne vanta l’appartenenza e, quanto alla violenza o alla minaccia, colui che la subisce.
L’individuazione del soggetto passivo è strettamente correlata al problema della determinazione dell’unità o della pluralità di delitti integrati.
Se più individui vengono rapinati nel medesimo contesto si avranno più rapine (Cass. pen., sez. II, 15.2.1996, n. 6362, in CED Cass. n. 205375). Il reato deve, invece, ritenersi unico se ad un soggetto si sottraggano più cose appartenenti a diverse persone (Antolisei, F., Manuale di diritto penale, parte speciale, I, cit., 413).
Nondimeno, qualora vengano commessi più furti a danno di differenti individui, ma la violenza si estrinsechi nei confronti di uno di questi, si avranno più rapine per chi valuta prevalente l’offesa patrimoniale. Per converso, si avrà una rapina per chi ravvisa la lesione tipica in un solo episodio di violenza, a fronte di più momenti di furto (Pizzuti, G., Rapina, cit., 269). Nell’ipotesi in cui, ad esempio, gli agenti facciano irruzione in banca e costringano i clienti a sdraiarsi per terra, si avrà una rapina per chi ritiene unicamente rilevante il bene patrimonio, più rapine per chi considera la fattispecie plurisoggettiva (Brunelli, D., Rapina, cit., 19. In giurisprudenza G.i.p. Napoli, 18.6.2010, n. 1410, in www.dejure.giuffre.it).
La sussistenza, tra soggetto attivo e passivo, di uno dei rapporti di parentela o di affinità indicati nell’art. 649 c.p. non ha incidenza alcuna sulla punibilità o sulla perseguibilità del reato (Cass. pen., sez. II, 15.6.2010, n. 2814, in CED Cass. n. 247937).
Il fatto costitutivo del delitto de quo consta dell’impossessarsi della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene con violenza alla persona o minaccia, posta in essere per entrarvi in possesso, ovvero per assicurare a sé o ad altri il possesso o procurare a sé o ad altri l’impunità. L’art. 628 c.p. prevede due distinte figure di reato, la rapina propria (co. 1) e la rapina impropria (co. 2) che, uguali negli essenziali elementi oggettivi, differiscono per la fase dell’iter criminis in cui viene esercitata la violenza o minaccia e per la differente direzione della stessa.
Oggetto materiale del reato è una cosa mobile altrui (cfr. art. 624 c.p.).
In difetto di una previsione analoga a quella dell’art. 626 c.p., anche la rapina d’uso o di tenue valore per bisogno, deve rientrare nell’alveo dell’art. 628 c.p. (salva l’attenuante dell’art. 62, n. 4, c.p. e la rilevanza ex art. 133 c.p.).
L’ipotesi contemplata dall’art. 628, co. 1, c.p. è integrata dalla condotta di chi con violenza o minaccia s’impossessa di una cosa mobile altrui sottraendola a chi la detiene.
Trattandosi di un reato di mano propria, non è configurabile in forma omissiva (art. 40 cpv. c.p.).
La sottrazione e l’impossessamento sono condotte causalmente legate al conseguimento dell’ingiusto profitto perseguito dall’agente, rispetto alle quali la vittima, a fronte delle modalità utilizzate (violenza o minaccia) per vincerne l’opposizione, rimane passiva. Di qui l’inclusione della rapina propria tra i delitti di aggressione unilaterale (Cerase, M., Art. 628. Rapina, cit., 137).
Per violenza alla persona s’intende l’energia fisica esercitata contro un soggetto, idonea a provocarne la coazione, sino ad annullarne o comprometterne le capacità di autodeterminazione e di azione. Ricomprende, oltre alla vis corporis corpori data, qualsiasi mezzo fisico deputato allo scopo (cd. violenza propria), nonché quelle attività insidiose (ipnosi, narcotizzazione, somministrazione di sostanze stupefacenti, ecc.) che riducono l’individuo nell’impossibilità di volere o di agire (cd. violenza impropria).
La minaccia consiste nel prospettare un male futuro e ingiusto, il cui realizzarsi dipende dall’autore. Può manifestarsi in modi e forme differenti, ossia in maniera più o meno grave, reale o simbolica, esplicita, implicita, larvata, diretta, indiretta, determinata ed indeterminata, purché atta ad incutere timore e ad esercitare una coazione sul soggetto passivo (Cass. pen., sez. II, 25.11.2010, n. 44347, in CED Cass. n. 249183).
Non si richiede che la violenza e la minaccia abbiano una specifica gravità obiettiva. Possono esercitarsi anche contro un terzo che non detiene la res, purché l’effetto lesivo venga percepito dal derubato per i legami in essere con chi patisce l’aggressione.
L’impossessamento della cosa altrui mediante sottrazione a chi la detiene deve, però, discendere direttamente dalle suddette modalità di condotta (Cass. pen., sez. II, 3.11.2010, n. 42076, in CED Cass. n. 248509).
La sottrazione, con l’eliminazione dell’altrui possesso, integra la prima fase di uno sviluppo criminoso che si conclude con l’instaurazione da parte dell’agente dell’autonomo potere di disposizione sulla res.
Il delitto di rapina impropria ha un autonomo disvalore, connotandosi per l’impiego della violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione della cosa, nonché per la finalità della coercizione, ossia assicurare a sé o ad altri il possesso della res sottratta o procurare a sé o ad altri l’impunità. Si differenzia, dunque, dall’ipotesi di cui all’art. 628, co. 1, c.p. per il fatto che la violenza o minaccia e lo spossessamento s’invertono nella successione temporale e per lo scopo perseguito (conservare la refurtiva o, comunque, ottenere l’impunità) (Cerase, M., Art. 628. Rapina, cit., 143).
Anche in tal caso, non occorre che la violenza o minaccia sia indirizzata contro il depredato, potendo rivolgersi verso terzi costituenti ostacolo per l’agente.
L’attività coercitiva deve essere esercitata subito dopo la sottrazione.
Per il requisito dell’immediatezza si richiama il concetto di flagranza o quasi flagranza (Cass. pen., sez. VI, 16.10.2008, n. 39924, in CED Cass. n. 242412). Non si richiede, cioè, la contemporaneità, bensì che tra le due attività intercorra un lasso temporale tale da non interrompere il nesso di contestualità dell’azione complessiva, integrata dall’agente al fine di impedire al derubato di rientrare in possesso del proprio bene ovvero a se medesimo di assicurarsi l’impunità (Cass. pen., sez. II, 9.4.2009, n. 30127, in CED Cass. n. 244821).
Parte della dottrina ritiene inappropriato tale riferimento, evidenziando come non possa farsi ricorso alla flagranza che presuppone tra il furto e la violenza o minaccia un rapporto d’attualità, laddove nella rapina impropria la condotta violenta o minacciosa sia susseguente alla sottrazione. Come pure si esclude il richiamo alla quasi flagranza che comprende un’attività immediatamente successiva alla consumazione del reato, incompatibile con la ratio della fattispecie de qua (Pizzuti, G., Rapina, cit., 278).
Di qui la tesi che l’azione violenta o minacciosa si estrinsechi in un momento successivo all’apprensione materiale della res, durante il quale l’agente inizia ad uscire dalla sfera di vigilanza del soggetto passivo. Il rapporto di immediatezza cronologica rispecchia, quindi, una situazione di precarietà nell’acquisizione illegittima della cosa altrui (Mantovani, F., Rapina, cit., 6).
Sotto il profilo dell’elemento psicologico, per la rapina propria si richiede da parte dell’autore la coscienza e volontà di impossessarsi della cosa mobile altrui, sottraendola a colui che la detiene attraverso l’uso della violenza o minaccia. Occorre, altresì, il dolo specifico rappresentato dal fine di trarre, per sé o per altri, un ingiusto profitto, di carattere non necessariamente patrimoniale (Cass. pen., sez. II, 6.3.2009, n. 12800, in CED Cass. n. 243953).
Anche la rapina impropria si caratterizza per il perseguimento del medesimo fine di profitto (Cass. pen., sez. I, 10.2.2010, n. 15405, in CED Cass. n. 246827), unitamente, però, alla consapevolezza dell’agente di usare la violenza o minaccia per raggiungere e consolidare un potere di fatto autonomo sulla res (Pizzuti, G., Rapina, cit., 278), ovvero per sottrarsi alle conseguenze processuali o penali del commesso delitto (Cass. pen., sez. VI, 25.6.1999, n. 2410, in CED Cass. n. 214926).
La rapina propria si consuma con l’impossessamento della res (Antolisei, F., Manuale di diritto penale, parte speciale, I, cit., 412), ossia nel momento in cui la cosa sottratta è nel dominio esclusivo dell’autore, anche se per breve tempo e nello stesso luogo in cui si è verificata la sottrazione e pur se, immediatamente dopo, egli sia costretto ad abbandonarla, stante l’intervento dell’avente diritto o della forza pubblica (Cass. pen., sez. II, 9.6.2010, n. 35006, in CED Cass., n. 248611). Deve, inoltre, ritenersi perfezionata qualora l’agente s’impossessi di uno solo degli oggetti che aveva in animo di sottrarre nel medesimo contesto, non avendo per i restanti portato a termine lo spoglio.
Nel caso di sottrazione di cose appartenenti a più persone nel corso di una rapina, devono ravvisarsi più eventi derivanti dalla reiterazione delle azioni criminose, integranti un’ipotesi di reato continuato (Cass. pen., sez. II, 15.2.1996, n. 6362, in CED Cass. n. 205375).
È configurabile il tentativo allorché l’autore, nonostante l’uso della violenza o minaccia, non riesca a sottrarre o ad impossessarsi della cosa mobile altrui.
Occorre, però, l’idoneità della condotta e l’univoca direzione degli atti, nonché la prova della volontà di perseguire l’intento criminoso in relazione ad un fatto concretamente delineato che non abbia un significato incerto (Cass. pen., sez. II, 4.3.2010, n. 18196, in CED Cass. n. 247045).
La rapina impropria si consuma nel momento e nel luogo in cui, terminata l’azione di sottrazione, si esercita la violenza o la minaccia per uno degli scopi indicati dall’art. 628, co. 2, c.p. (Antolisei, F., Manuale di diritto penale, parte speciale, I, cit., 417).
Il tentativo è configurabile laddove, a seguito dello spoglio, l’autore provi ad adoperare, senza riuscirvi, la violenza o la minaccia nei confronti di chi vuole impedirgli di assicurarsi il possesso della res o di procurarsi l’impunità.
La giurisprudenza prevalente ravvisa il tentativo di rapina impropria – e non il furto tentato in concorso con altro reato contro la persona – anche qualora l’autore, dopo aver compiuto atti idonei all’impossessamento della cosa altrui, non portati a compimento per cause indipendenti dalla sua volontà, ponga in essere la violenza o la minaccia per assicurarsi l’impunità (Cass. pen., sez. II, 26.11.2010, n. 44365, in CED Cass. n. 249185; Cass. pen., sez. II, 18.11.2010, n. 42961, ibidem, n. 249123. Contra Cass. pen., sez. VI, 10.12.2008, n. 4264, ibidem, n. 243057).
La rapina può parcellizzarsi nel tempo, nello spazio e nelle condotte integrative della stessa. Per ravvisarsi un’ipotesi di concorso, non si richiede che l’agente partecipi a tutte le attività criminose, essendo sufficiente che ne compia una parte con la consapevolezza che altri completeranno la rimanente.
La responsabilità ai sensi dell’art. 110 c.p. del compartecipe per un fatto più grave rispetto a quello pattuito, materialmente posto in essere da altro concorrente, sussiste ogni qual volta egli abbia accettato il rischio di commissione del delitto diverso e di maggior disvalore. Si configura, invece, il concorso anomalo ex art. 116 c.p. nel caso in cui egli, pur non avendo in concreto previsto il fatto più grave, avrebbe potuto rappresentarselo come sviluppo logicamente e normalmente prevedibile dell’azione convenuta, facendo uso, in relazione alle circostanze del caso concreto, della dovuta diligenza (Cass. pen., sez. I, 15.11.2011, n. 4330, in CED Cass. n. 251849).
L’art. 628, co. 3, c.p. contempla talune circostanze aggravanti ad effetto speciale. La prima, prevista al n. 1, consiste nella violenza o minaccia commessa con armi e ricorre anche quando venga utilizzata una pistola giocattolo priva del dispositivo d’identificazione (Cass. pen., sez. II, 1.12.2010, n. 44037, in CED Cass. n. 249042). Ai sensi dell’art. 4 l. n. 110/1975, devono ritenersi armi, sia pure improprie, tutti quegli strumenti, ancorché non da punta o da taglio, che in particolari circostanze di tempo e luogo possono arrecare l’offesa alla persona (Cass. pen., sez. VI, 29.9.2009, n. 41358, in CED Cass. n. 248748).
La seconda ipotesi, alternativamente enunciata nella medesima disposizione, si ha quando la violenza o la minaccia viene commessa da persona travisata. Il travisamento consiste in qualsivoglia alterazione dell’aspetto fisico dell’agente (Cass. pen., sez. II, 27.4.2011, n. 18858, in CED Cass. n. 250114).
Infine la terza, parimenti ivi indicata, consta della violenza o minaccia posta in essere da più persone riunite e non s’identifica con il concorso di persone nel reato, richiedendo la simultanea presenza dei compartecipi sul luogo e nel momento del fatto, di cui, peraltro, non occorre che la vittima abbia percezione (Cass. pen., sez. II, 22.11.2006, n. 40208, in CED Cass. n. 235591). Circostanza, questa, ravvisabile anche in presenza di due persone soltanto (Cass. pen., S.U., 22.1.2009, in Riv. pen., 2009, 438), come pure allorquando uno dei concorrenti non abbia posto in essere alcuna violenza o minaccia, ma si sia limitato a fungere da palo (Cass. pen., sez. II, 12.3.2008, n. 15416, in CED Cass. n. 240011).
Quale eccezione al disposto dell’art. 112, n. 1, c.p., preclude l’applicazione dell’aggravante comune in forza del principio genus per speciem derogatur (ex art. 15 c.p.) (Cass. pen., sez. VI, 11.3.2010, n. 16515, in CED Cass. n. 247004).
L’art. 628, co. 3, c.p. al n. 2 delinea quale ulteriore circostanza aggravante la violenza consistente nel porre taluno in stato di incapacità di volere o di agire. L’incapacità di volere si ha quando il soggetto passivo viene posto (tramite somministrazione di narcotici o stupefacenti) in uno stato tale da non poter manifestare una volontà contraria al fatto colpevole, mentre l’incapacità d’agire si ravvisa quando si toglie alla vittima (imbavagliandola, legandola, ecc.) il potere di difendersi, di allontanarsi, o di invocare aiuto.
Deve ritenersi, pertanto, che assorba in sé il delitto di procurata incapacità (art. 613 c.p.) (Cass. pen., sez. II, 16.11.2004, n. 50155, in CED Cass. n. 230601).
La circostanza di cui al n. 3 c.p. prevede l’appartenenza dell’agente ad un sodalizio criminoso di tipo mafioso (Cass. pen., sez. I, 1.2.2012, n. 6533, in CED Cass. n. 252084), senza richiedere, però, che il medesimo manifesti tale qualità e si avvalga della forza intimidatrice del vincolo associativo. Di qui la compatibilità con l’aggravante di cui all’art. 7 d.l. n. 152/1991 (Cass. pen., sez. VI, 22.1.2008, n. 27040, in CED Cass. n. 241008).
Il cd. “pacchetto sicurezza” approvato con l. 15.7.2009, n. 94 ha introdotto tre nuove circostanze aggravanti inserendo, rispettivamente, i nn. 3-bis, 3-ter e 3-quater al co. 3 dell’art. 628 c.p.
La prima sussiste quando il fatto è commesso nei luoghi indicati all’art. 624 bis c.p. (ossia in un edificio o in altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora o nelle pertinenze di essa) (Cass. pen., sez. II, 14.12.2011, n. 48584, in CED Cass. n. 211756).
La seconda – prevista anche per il reato di furto (art. 625 c.p.) – si ravvisa laddove la rapina avvenga all’interno di mezzi di pubblico trasporto.
Infine, la terza concerne l’ipotesi in cui il delitto de quo sia commesso nei confronti di persona che si accinga ad usufruire ovvero che abbia appena fruito dei servizi di istituti di credito, uffici postali o sportelli automatici adibiti al prelievo di denaro.
Il richiamato “pacchetto sicurezza” ha, altresì, introdotto il co. 4 dell’art. 628 c.p. che impone una limitazione al giudizio di bilanciamento ex art. 69 c.p., prevedendo che le circostanze attenuanti diverse da quella della minore età (art. 98 c.p.) non possano ritenersi equivalenti o prevalenti rispetto alle aggravanti di cui all’art. 628, co. 3, nn. 3, 3-bis, 3-ter e 3-quater c.p. e che le diminuzioni debbano operare sulla quantità di pena derivante dall’aumento conseguente alle predette aggravanti.
Un’ulteriore circostanza aggravante speciale è stata prevista dall’art. 4, co. 2, l. 8.8.1977, n. 533 e concerne il caso in cui l’agente si impossessi di armi, munizioni o esplosivi e commetta il fatto nelle armerie, ovvero in depositi o in altri locali adibiti alla custodia di essi.
L’attenuante comune del danno di speciale tenuità (art. 62, n. 4, c.p.) non è astrattamente concedibile in caso di tentata rapina, non garantendo le modalità integrative della stessa certezze circa la lieve entità del danno che si sarebbe verificato (Cass. pen., sez. I, 24.2.1986, n. 3154, in CED Cass. n. 172522). Il riconoscimento nell’ipotesi consumata richiede, infatti, la stima complessiva del valore della res sottratta e dell’entità degli effetti dannosi cagionati alla vittima della violenza o minaccia (Cass. pen., sez. II, 20.1.2010, n. 19308, in CED Cass. n. 247363).
Anche la concessione dell’attenuante del risarcimento del danno (art. 62, n. 6, c.p.) impone la verifica integrale del pregiudizio (Cass. pen., sez. II, 13.1.2011, n. 6479, in CED Cass. n. 249391).
Si esclude l’aggravante comune del nesso teleologico (art. 61, n. 2, c.p.) nel caso di rapina impropria in cui la violenza sia esercitata per conseguire l’impunità, onde evitare di valutare l’intenzionalità come dolo specifico e circostanza aggravante (Cass. pen., sez. I, 16.11.2006, n. 42371 in CED Cass. n. 235570).
Prima della l. 14.12.1974, n. 497 si riteneva che dovessero operarsi più aumenti di pena in ragione della pluralità di circostanze aggravanti contestate, sebbene previste nello stesso numero dell’ult. co. (all’epoca) dell’art. 628 c.p. (contra Zagrebelsky, G., Rapina, cit., 775). La citata riforma ha, invece, comportato una diversa formulazione del co. 3 in ordine alla determinazione della pena, che viene stabilita in modo autonomo rispetto a quella prevista per l’ipotesi semplice. Consegue che, ai fini del computo, non si tiene conto dell’eventuale pluralità delle aggravanti, se non nella graduazione del trattamento punitivo da infliggere tra il minimo ed il massimo edittale.
L’attenuante della minima partecipazione al fatto (art. 114, co. 2, c.p.) non è applicabile laddove il numero dei partecipanti integri una circostanza aggravante speciale (art. 628, co. 3, n. 1, c.p.), stante la clausola di riserva «salvo che la legge disponga altrimenti» di cui all’art. 112 c.p.
La natura di reato eventualmente complesso impone l’individuazione dei limiti entro cui possono ritenersi assorbiti nella rapina taluni delitti contro il patrimonio e contro la persona. Limiti già tracciati dal tenore della norma de qua, in cui possono ricomprendersi il furto, la minaccia e la violenza che si risolve nelle percosse e non altre fattispecie criminose caratterizzate da maggiore disvalore per l’integrità fisica della vittima.
Ed invero, se la violenza cagiona una malattia nel corpo o nella mente, la rapina concorre con il delitto di lesioni volontarie aggravate dal nesso teleologico e qualora la persona offesa deceda, l’evento morte dovrà ascriversi a carico dell’autore a titolo di omicidio preterintenzionale.
Allorché la privazione della libertà personale della vittima si protragga per un tempo apprezzabile, la rapina dovrà concorrere con il sequestro di persona (Cass. pen., sez. II, 5.5.2009, n. 24837, in CED Cass. n. 244339).
E ancora, l’azione violenta esercitata, dopo la sottrazione della res, nei confronti degli agenti di polizia intervenuti, integra un’ipotesi concorso con il delitto di resistenza a pubblico ufficiale (Cass. pen., sez. VI, 11.12.2009, n. 9476, in CED Cass. n. 246403).
A seguito dell’introduzione dell’aggravante della commissione del fatto in uno dei luoghi indicati dall’art. 624 bis c.p., la violazione di domicilio resta assorbita nella rapina aggravata ai sensi dell’art. 628, co. 3, n. 3-bis, c.p. solo quando strettamente funzionale alla commissione della stessa.
Deve escludersi il concorso tra la rapina propria ed impropria. Se s’impiega la violenza o la minaccia per sottrarre una cosa mobile altrui e, subito dopo, violenza o minaccia per assicurarsene il possesso o per procurare a sé o ad altri l’impunità, il delitto è unico. Ciò in quanto la condotta lesiva caratterizzante l’ipotesi criminosa di cui all’art. 628, co. 2, c.p., difetterebbe di tipicità, a fronte di una pregressa sottrazione violenta della res.
Configura il furto con strappo (art. 624 bis c.p.) la condotta di violenza dall’agente immediatamente rivolta alla cosa e, solo in via del tutto indiretta, a colui che la detiene, mentre ricorre il delitto di rapina quando la res sia particolarmente aderente al corpo del possessore e la violenza si estenda alla persona per vincerne la resistenza, oltre che per superare la forza di coesione con la cosa sottratta (Cass. pen., sez. II, 11.11.2010, n. 41464, in CED Cass. n. 248751).
La rapina si differenzia, altresì, dall’estorsione (art. 629 c.p.) che, nonostante la coazione, lascia, comunque, al soggetto passivo la possibilità di determinarsi diversamente.
La distinzione con il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone (art. 393 c.p.) si rinviene, invece, nell’elemento soggettivo ivi consistente nella ragionevole convinzione dell’agente di esercitare un proprio diritto, con la consapevolezza che quanto preteso gli spetti giuridicamente (Cass. pen., sez. II, 18.10.2007, n. 43325, in CED Cass. n. 238309).
Infine, il discrimen con il delitto di truffa aggravata dall’ingenerato timore di un pericolo immaginario si coglie nella prospettazione del danno, ai sensi dell’art. 640, co. 2, n. 2, c.p., come possibile ed eventuale, mai proveniente dall’agente, in modo che la vittima non venga coartata, ma si determini trovandosi in stato di errore (Cass. pen., sez. II, 16.5.1988, n. 10182, in Giur. pen., 1989, II, 230).
Trattasi di reato procedibile d’ufficio, di competenza del Tribunale in composizione monocratica per le ipotesi previste ai co. 1 e 2, collegiale in presenza delle circostanze aggravanti di cui al co. 3. L’arresto è obbligatorio, il fermo d’indiziato di delitto è facoltativo e sono applicabili le misure cautelari personali.
In base al d.P.R. 22.12.1990, n. 394 e poi alla l. 31.7.2006, n. 241, il delitto di rapina aggravata non è più ricompreso tra i reati oggettivamente esclusi dalla concessione dell’indulto.
Art. 628 c.p.
Antolisei, F., Manuale di diritto penale, parte speciale, I, a cura di C.F. Grosso, Milano, 2008, 409 ss.; Baccaredda Boy, C.-Latomia, S., I delitti contro il patrimonio mediante violenza, in Marinucci, G.-Dolcini, E., a cura di, Trattato di diritto penale, parte speciale, VIII, Padova, 2010, 352 ss.; Brunelli, D., Rapina, Dig. pen., XI, Torino, 1996, 1 ss.; Cerase, M., Art. 628. Rapina, in Lattanzi, G.-Lupo, E., a cura di, Codice penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, XII, Milano, I delitti contro il patrimonio, Libro II Artt. 224-249, 2010, 134 ss.; Dolcini, E.-Marinucci, G., Art. 628 Rapina, in Codice penale commentato, III, III ed., Milano, 2011, 6176 ss.; Fiandaca, G.-Musco, E., Diritto penale, parte speciale, II, t. II, I delitti contro il patrimonio, Bologna, 2008, 119 ss.; Mantovani, F., Rapina, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1991, 1 ss.; Mantovani, F., Diritto penale, parte speciale, II, Delitti contro il patrimonio, Padova, 2009, 35 ss.; Pizzuti, G., Rapina, in Enc. dir., XXXVIII, Milano, 1987, 266 ss.; Zagrebelsky, G., Rapina (Diritto vigente), in Nss.D.I., XIV, Torino, 1976, 767 ss.