Rapporti Stato-Regioni in materia di sanità
La più recente evoluzione legislativa e, segnatamente, il d.lgs. 6.5.2011, n. 68, in tema di federalismo fiscale nel campo sanitario, unitamente alle manovre correttive di finanza pubblica avviate nell’estate del 2011 e, seppure soltanto per implicito, al d.l. 13.5.2011, n. 70, convertito nella l. 13.7.2011, n. 106 dimostrano la massima centralità e rilevanza della questione del riparto di compiti e competenze fra lo Stato e le Regioni in vista dell’ottimizzazione delle prestazioni che debbono essere erogate agli utenti del servizio pubblico. Il lavoro passa succintamente in rassegna i nodi problematici che da sempre si pongono, anche alla luce delle non perspicue formule costituzionali di cui agli artt. 117 e 118 Cost., e nonostante l’incessante e positivo lavoro di sistematizzazione fin qui svolto dalla Corte costituzionale. È soprattutto il cit. d.lgs. n. 68/2011, sul federalismo fiscale, a rivestire, a quel che pare, un valore di riforma strutturale sicché è su di esso che finisce col convergere ogni profilo dell’indagine che si svolge nel saggio.
Alcune considerazioni preliminari onde inquadrare il campo di indagine. La sanità si configura da sempre come un settore disciplinare caratterizzato da particolare rilievo e complessità in quanto fortemente implicato con le dinamiche dei contemporanei modelli di Stato sociale. In questo senso, la rilevanza e soprattutto la complessità appena accennate sembrano ancor più manifeste e foriere di conseguenze nel contesto di un sistema giuridico multilivello e, segnatamente, nel quadro del nostro ordinamento positivo contrassegnato da un forte processo di devoluzione di compiti e di funzioni pubbliche dallo Stato alle Regioni, con la contestuale allocazione di ampie attribuzioni di amministrazione puntuale in capo agli enti territoriali minori. Tutto ciò sembra essere particolarmente evidente e significativo proprio nel campo della sanità il quale è interessato, al momento attuale, da due importanti fenomeni che si incrociano e quasi si integrano: la crisi della finanza pubblica e l’evoluzione verso modelli di federalismo fiscale, secondo quanto disvelano sia il recente d.lgs. 6.5.2011, n. 68, sia le ancor più recenti manovre correttive di finanza pubblica e, segnatamente, il d.l. 6.7.2011, n. 98, così come convertito dalla l. 15.7.2011, n.111 e già, seppur incidentalmente, il cd. decreto legge sullo sviluppo (d.l. 13.5.2011, n. 70, convertito nella l. 13.7.2011, n.106). Il succedersi di continui interventi di finanza pubblica, allo scopo di mettere in ordine i conti pubblici, secondo quanto disvelano i testi legislativi appena riportati, non può schermare, o peggio celare, un dato se si vuole particolare (o persino «periferico»): è soprattutto la sanità, nelle ragioni del dare e dell’avere fra lo Stato e le Regioni, a rappresentare la più rilevante occasione di conflitto, ed anzi di scontro aperto, mentre, per altro verso, è pacificamente noto che larghissima parte del bilancio delle singole regioni (anche di quelle maggiormente virtuose) finisce con l’essere destinato a finanziare la crescente aspettativa di prestazioni dei cittadini, utilizzatori del servizio sanitario nazionale (rectius, dei singoli servizi sanitari apprestati e gestiti dalle singole regioni). Tutto ciò spinge ad una prima riflessione: il quadro generale dei rapporti fra lo Stato e le regioni nel settore del governo della sanità è in perenne fibrillazione, soprattutto allo scopo di mettere sotto controllo la spesa pubblica sanitaria, sembrando quindi particolarmente rilevante, sotto questo profilo, proprio la recente riforma costituita dal cit. d.lgs. n. 68/2011, recante Disposizioni in materia di autonomia tributaria delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario. Se questo è vero non ci si può, tuttavia, sottrarre a un interrogativo: in che modo le operazioni appena ricordate (o, meglio, in itinere) volte a saldare insieme risparmio di spesa, fabbisogno sanitario, autonomia di spesa e responsabilità delle singole amministrazioni regionali (quasi la classica quadratura del cerchio!) si accordano con il modello costituzionale di riparto delle competenze, fra Stato e Regioni, introdotto dal nuovo titolo V della parte seconda della Costituzione? Per cercare di dare un risposta al quesito appena posto sembra pertanto necessario quanto opportuno passare in rassegna le norme costituzionali di maggior rilievo. Le principali norme costituzionali di riferimento da cui prendere le mosse sono ovviamente, sotto questo profilo, l’art. 32 Cost., rimasto inalterato fino al momento attuale, e gli artt. 117 e 118 Cost., riformulati per intero dalla l. cost. 18.10.2001, n. 3, con cui è stato riscritto il titolo V della parte seconda della Costituzione. Importante considerazione, sotto questo riguardo, deve essere altresì riservata al d.lgs. 30.12.1992, n. 502, così come successivamente modificato ed integrato soprattutto ad opera del d.lgs. 19.6.1999, n. 229 (cd. decreto Bindi).
Come è noto, già il «vecchio» art. 117 Cost. attribuiva, fra l’altro, la materia «assistenza sanitaria ed ospedaliera» alla competenza legislativa concorrente delle regioni a statuto ordinario, essendo peraltro quella cd. concorrente l’unica forma di potestà legislativa allora riservata alle regioni di diritto comune. Per altro verso, in merito alle competenze di amministrazione attiva, il «vecchio» art. 118 Cost. poneva il cd. criterio del parallelismo grazie al quale si creava una sorta di corrispondenza biunivoca quali-quantitativa fra l’area delle competenze legislative e quella delle potestà di amministrazione puntuale1. È pertanto già sotto l’imperio del «vecchio» titolo V della parte seconda della Costituzione che si avvia e si consolida il processo che porta alla istituzione ed al concreto funzionamento del servizio sanitario nazionale: a far tempo dalla l. 23.12.1978, n. 833, istitutiva del servizio sanitario nazionale fino al cd. decreto Bindi (d.lgs. n. 229/1999, così come modificato ed integrato)2. In verità, l’art. 1 del cit. d.lgs. n. 229/1999 – e quindi una norma antecedente la riforma costituzionale del 2001 – dispone al primo comma quanto segue: «La tutela della salute come diritto fondamentale dell’individuo ed interesse della collettività è garantita, nel rispetto della dignità e della libertà della persona umana, attraverso il Servizio sanitario nazionale, quale complesso delle funzioni e delle attività assistenziali dei Servizi sanitari regionali e delle altre funzioni e attività svolte dagli enti e istituzioni di rilievo nazionale...». E cioè – se le parole hanno un senso – la formula di diritto positivo «Servizio sanitario nazionale» deve essere in qualche modo decodificata, nel senso che è comunque la pluralità corale dei servizi sanitari delle singole regioni a determinare la costruzione, nel concreto, di quel soggetto unico denominato «Servizio sanitario nazionale»3. E ciò – si noti bene – anche prima della riforma costituzionale del 2001, a suggello del completamento di quella stagione di consolidamento dell’ordinamento regionale che ebbe il proprio centro strategico nella l. 15.3.1997, n. 59 (cd. legge Bassanini) e nel d.lgs. 31.3.1998, n. 112. Tutto ciò sembra sdrammatizzare, in qualche misura, il pur rilevante problema del ricorrente conflitto di competenze fra lo Stato e le Regioni, conflitto originato verosimilmente non tanto dalla controversa interpretazione delle norme costituzionali di riferimento, pur frequentemente evocate, quanto piuttosto dalla necessità e/o dal desiderio di mettere sotto controllo la spesa sanitaria, la quale assorbe larga parte delle risorse globali delle nostre singole regioni4. Il che è anche comprovato dalle recenti riforme in tema di federalismo fiscale e, segnatamente, dal cit. d.lgs. n. 68/2011, nonché da ogni, anche recente, manovra correttiva di finanza pubblica, secondo quanto già accennato, oltre che da una copiosa giurisprudenza costituzionale5. Ovverosia, se il servizio sanitario nazionale è, in realtà, la sommatoria quale risulta (in qualche misura) dalla pluralità dei singoli servizi sanitari regionali, si comprende come e perché il fondamentale intervento di regolazione dello Stato si concentri sul versante della spesa piuttosto che su quello dell’organizzazione, pur riservandosi una particolare attenzione a garantire il raggiungimento dei livelli essenziali delle prestazioni su tutto il territorio nazionale, come subito si vedrà. Passando in rassegna le norme costituzionali maggiormente rilevanti, si può constatare che l’art. 32 Cost., sicuramente quella di maggior peso e valore ideale e programmatico, manifesta una piena indifferenza in merito al tema dell’articolazione delle competenze: è la Repubblica – ossia la pluralità dei soggetti pubblici governanti – a dover garantire effettività al diritto alla salute, nella sua duplice e contestuale accezione di situazione di vantaggio individuale e collettiva. È negli articoli 117 e 118 Cost. che si annida, invece, una vera e propria massa problematica per dipanare la quale sono stati versati veri e propri «fiumi d’inchiostro ». L’art. 117, co. 2, lett. m), Cost. riserva infatti alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che debbono essere garantiti su tutto il territorio nazionale»; a ciò si aggiunga che il secondo comma dell’art. 120 Cost. attribuisce al governo un fondamentale potere sostitutivo nei riguardi degli organi degli enti territoriali anche (e anzi in particolare) allorché lo richieda la tutela «...dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali». Per altro verso, il terzo comma dell’art. 117 Cost. elenca la «tutela della salute» fra le materie di competenza concorrente, fra Stato e Regioni, materie relativamente alle quali la legge dello Stato può semplicemente determinare i «principi fondamentali ». E non tutto, a ben vedere. Da un lato, infatti, lo Stato vanta una potestà legislativa esclusiva nel campo della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, settori le cui implicazioni con la tutela della salute sono fin troppo evidenti e quasi scontate; dall’altro lato, invece, sono annoverate tra le materie di competenza legislativa concorrente settori e domini sensibili obiettivamente intrecciati ed implicati con la protezione della salute, quali l’alimentazione e la stessa disciplina relativa alla ricerca scientifica e tecnologica comprensiva del sostegno all’innovazione. A ciò si aggiunga, per completare il quadro di riferimento costituzionale, che ogni materia non ricompresa né nell’elenco di cui al secondo comma dell’art. 117 Cost. né nel successivo terzo comma rientra nella potestà legislativa esclusiva e/o residuale delle regioni, ai sensi del quarto comma della stessa norma costituzionale. E, infine, anche l’art. 118 Cost. entra nella partita, nel momento in cui la cd. chiamata in sussidiarietà può determinare l’alterazione dell’ordine delle competenze che vuole assegnata ai comuni ogni fondamentale attribuzione di amministrazione attiva, dislocando i suddetti poteri presso gli altri soggetti del sistema multilivello (regioni, province, città metropolitane, Stato), alterazione la quale, tuttavia, produce anche, del tutto coerentemente, una diversa, ma conseguente, distribuzione delle potestà normative e/o legislative, secondo quanto avverte la giurisprudenza della Corte costituzionale6.
2.1 Gli orientamenti della Corte costituzionale
In questo quadro, molteplici, e non sempre di agevole soluzione, sono, a tutta evidenza, i problemi posti dalla messa a regime della riforma costituzionale del 2001, per ogni settore e materia e, pertanto, anche in tema di «tutela della salute», questa essendo la formula costituzionale che sostituisce, a tutti gli effetti, la pregressa espressione «assistenza sanitaria ed ospedaliera». Anche la nuova espressione, più moderna e, soprattutto più ampia ed esaustiva (e pertanto capace di abbracciare anche i profili organizzativi della sanità pubblica) è comunque foriera di dubbi irrisolti e di vere e proprie antinomie concettuali. Un solo esempio, sicuramente emblematico, peraltro. Ma la legislazione dello Stato, emanata, a ben vedere, a ridosso dell’entrata in vigore della riforma costituzionale del 2001, si muove davvero entro i limiti che il nuovo testo dell’art. 117 Cost. impone alle leggi dello Stato nei settori e materie di competenza concorrente? Ossia, il cit. d.lgs. n. 502/1992, così come successivamente modificato ed integrato (soprattutto ad opera del cit. d.lgs. n. 229/1999), non va oltre il limite della mera «determinazione dei principi fondamentali» della materia «tutela della salute», assegnata alla competenza concorrente, fra Stato e Regioni? E, ancora, in che modo si tengono insieme la già ricordata potestà legislativa esclusiva dello Stato circa le determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (il diritto alla salute è il più significativo fra i cd. diritti sociali!) e la suddetta competenza legislativa concorrente nel settore della «tutela della salute»? Si noti bene: già il cit. d.lgs. n. 502/1992, così come modificato ed integrato soprattutto ad opera del cit. d.lgs. n. 229/1999, non solo aveva già «spacchettato» il Servizio sanitario nazionale, in quanto momento di (necessaria) sintesi unitaria dei servizi sanitari delle singole regioni, ma aveva altresì formalmente codificato l’istituto dei LEA (livelli essenziali di assistenza) la cui individuazione e definizione sono rimesse al piano sanitario nazionale (art.1 del cit. d.lgs. n. 502/1992). E, sotto questo riguardo, debbono essere evidenziati quantomeno due concorrenti profili: alla luce del cit. art. 1 del d.lgs. n. 502/1992 le regioni sono chiamate a partecipare al procedimento di formazione del suddetto piano sanitario nazionale; le regioni, per altro verso, sempre alla luce del cit. art. 1, co. 13 ss., debbono adottare i piani sanitari regionali nei quali debbono essere intercettate e «radiografate» le esigenze specifiche delle popolazioni regionali. Se questo è vero, appare allora in piena sintonia quanto la Corte costituzionale afferma in relazione alla formula di cui all’art. 117, co. 2, lett. m), Cost., e cioè che la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni sarebbe piuttosto un «valore» che una materia in senso proprio e che, su questa via, in quanto «valore », la competenza legislativa de qua si spalmerebbe trasversalmente su tutti i soggetti del sistema multilivello7. Ad ogni buon conto si raggiunge, in questo modo, l’obiettivo di sdrammatizzare il possibile conflitto di competenze fra lo Stato e le Regioni, coinvolgendosi, anche sotto questo riguardo, le regioni medesime nel governo della sanità pubblica. E, d’altro canto, la materia «tutela della salute» rientra sicuramente nell’ambito delle competenze legislative a carattere concorrente delle regioni, essendo ben evidente che a tale espressione di sintesi («tutela della salute») debba essere attribuito un significato piuttosto vasto: dall’organizzazione fino all’igiene pubblica8. A ciò si aggiunga che, ai sensi dell’art. 118 Cost., così come sapientemente interpretato dalla nostra giurisprudenza costituzionale9, la cd. chiamata in sussidiarietà può determinare importanti processi di riallocazione delle competenze di amministrazione puntuale e che tale riallocazione comporta, del tutto coerentemente, un diversa distribuzione delle potestà legislative e, più in generale, normative. Sicché, il quadro complessivo delle competenze legislative (ed amministrative) nel settore della sanità sembra essere non solo complicato e complesso ma egualmente relativo, o comunque relativizzabile, in quanto variegati e mutevoli sono gli scenari nei quali lo Stato e le Regioni si incontrano e si fronteggiano, soprattutto sul terreno, delicato e sensibile, della spesa pubblica e del suo contenimento.
2.2 Sanità, federalismo fiscale e distribuzione delle competenze
Se, in termini generali, il modello pratico/teorico di riparto delle competenze nel campo della sanità sembra essere decisamente problematico e caotico (nonostante gli interventi di razionalizzazione della Corte costituzionale), la recente riforma in materia di federalismo fiscale, in uno con altre norme di finanza pubblica introdotte dalle manovre correttive che si succedono nel tempo, mette tuttavia a nudo un dato di realtà inoppugnabile quanto insuperabile: il servizio sanitario necessita di copertura finanziaria e i quattrini o ci sono oppure non ci sono... e, se non ci sono, o si rinvengono altre forme di copertura del servizio oppure una o più prestazioni potranno essere poste, eventualmente, a totale carico dell’assistito. Il cit. d.lgs. n. 68/2011 sembra infatti muoversi in questa direzione, e in sintonia con tale filosofia di valori, pur sembrando, peraltro, non esente da pecche e contraddizioni. Il centro del sistema è sicuramente costituito dalla regola, fortemente affermata, dell’autonomia di entrata delle regioni, autonomia che si dispiega in molteplici forme: dalla compartecipazione regionale all’imposta sul valore aggiunto fino alla diversa rimodulazione dell’addizionale regionale sull’IRPEF (artt. 4, 6 ss. del cit. d.lgs. n. 68/2011). Obiettivo, comunque inderogabile, è infatti quello di non sforare il «fabbisogno sanitario nazionale standard», il quale, per l’anno 2012, «...corrisponde al livello stabilito dalla vigente normativa, del finanziamento del Servizio sanitario nazionale al quale ordinariamente concorre lo Stato» (art. 3 del cit. d.lgs. n. 68/2011). Finalità dichiarata del cit. d.lgs. n. 68/2011 è certamente quella di operare, a decorrere dall’anno 2013, per la determinazione e per il rispetto dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario e di avviare, sotto questo riguardo, quei processi virtuosi capaci di rendere realizzabile il suddetto obiettivo (artt. 13 e 15 e spec. 25 ss. del cit. d.lgs. n. 68/2011), essendo prevista – ancora una volta a decorrere dal 2013, assunto come vero e proprio anno di svolta del sistema – a coronamento dell’avvio del percorso di graduale convergenza verso i costi standard, una più definitiva rimodulazione delle fonti di finanziamento delle spese delle regioni nel settore sanitario (cfr. ancora l’art.15 del cit. d.lgs. n. 69/2011). Da tutto quanto fin qui ricordato emerge chiaramente che il processo virtuoso che si è inteso avviare, (in vista del 2013 e a decorrere dal 2013!), in quanto percorso di medio periodo sarà suscettibile di assestamenti e aggiustamenti anche di un certo rilievo, secondo quanto già disvelano le recenti manovre correttive di finanza pubblica alle quali si è fatto cenno. Il che rende, ovviamente, del tutto relativa e provvisoria ogni lettura che delle norme sul federalismo fiscale si voglia dare: occorrerà attendere le «dure repliche della Storia», per dirla con Norberto Bobbio, per eventualmente tentare una valutazione finale più attendibile. E, tuttavia, un problema reale, non eludibile, non può (né potrà) essere ignorato, secondo quanto rivela, d’altro canto, lo stesso tenore formale/sostanziale del d.lgs. n. 68/2011. Se infatti è pur vero, come si è appena constatato, che i quattrini o ci sono oppure non ci sono, in un contesto complessivo della finanza pubblica regionale che vede larga parte delle risorse disponibili da parte delle regioni medesime destinate a coprire i costi di funzionamento del servizio sanitario regionale, non è, d’altro lato, meno vero che, in ogni caso, occorrerà garantire il raggiungimento dei livelli essenziali delle prestazioni, in sintonia con gli artt. 117, co. 2, lett. m) e 120, co. 2, Cost. A questo riguardo, il primo comma dell’art. 13 del più volte cit. d.lgs. n.68/2011 sembra essere piuttosto preciso e impegnativo nel ribadire, da un lato, l’ineluttabilità dei vincoli di finanza pubblica, e nel confermare, dall’altro lato, gli inderogabili doveri di solidarietà sociale che si materializzano (anche) con la messa in campo dei LEA (livelli essenziali di assistenza) che debbono essere garantiti su tutto il territorio nazionale secondo criteri e valori di uniformità. E, infatti, la norma in questione dispone quanto segue: «Nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica e degli obblighi assunti dall’Italia in sede comunitaria, nonché della specifica cornice finanziaria dei settori interessati relativa al finanziamento dei rispettivi fabbisogni standard nazionali, la legge statale stabilisce le modalità di determinazione dei livelli essenziali di assistenza e dei livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale...». Da ciò la disposizione di cui al secondo comma della medesima norma, per la quale «I livelli delle prestazioni sono stabiliti prendendo a riferimento macroaree di intervento, secondo le materie di cui all’articolo 14, co. 1, ciascuna delle quali omogenea al proprio interno per tipologia di servizi offerti, indipendentemente dal livello di governo erogatore. Per ciascuna delle macroaree sono definiti i costi e i fabbisogni standard, nonché le metodologie di monitoraggio e di valutazione dell’efficienza e dell’appropriatezza dei servizi offerti». La norma in oggetto, alla cui completa lettura si fa ovviamente rinvio, introduce principi di sicuro interesse, alla ricerca dell’equilibrio (difficile ma necessario) fra le ragioni e gli imperativi dello Stato sociale e i vincoli della finanza pubblica, ma è del pari rilevante da un altro, non secondario punto di vista. È la legge dello Stato, infatti, a stabilire, alla luce del primo comma del cit. art. 13 del d.lgs. n. 68/2011, le «modalità» di determinazione dei LEA e quant’altro, come si è già visto; per altro verso, alla luce del successivo quarto comma, sarà un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, pur d’intesa (fra l’altro) con la conferenza unificata, ad effettuare la ricognizione dei livelli essenziali delle prestazioni nei settori di maggiore importanza per le politiche socialmente rilevanti e, segnatamente, per il settore della sanità. E si soggiunge, tuttavia, al quinto comma, che sarà la legge dello Stato a determinare in via definitiva i livelli essenziali delle prestazioni, operandosi peraltro, fino a che tale definitiva determinazione con legge non venga effettuata, con un’intesa assunta in sede di conferenza unificata volta a stabilire i servizi da erogarsi, in quanto forniti delle necessarie caratteristiche di generalità e permanenza, e il relativo fabbisogno, nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica. Si tratta, a tutta evidenza, di un dato sistemico sul quale si ritornerà nelle conclusioni, nel senso che tutta la disciplina nel campo della sanità si caratterizza ormai per una vera e propria liquefazione della tradizionale scala gerarchica delle fonti, oscillandosi tra fonti legali e forme di regolazione di tipo pattizio/ consensuale10. Sicché la forte affermazione del ruolo centrale che la legge (dello Stato) è chiamata a giocare deve essere opportunamente segnalata e rimarcata. In questo senso, le manovre correttive di finanza pubblica alle quali si è già più volte accennato, e segnatamente il d.l. n. 98/2011, così come convertito nella l. n. 111/2011, non sconvolgono certamente i principi e le regole sistemiche del federalismo nel settore della sanità, destinate peraltro a valere dal 2013, ma tentano di velocizzare il percorso virtuoso che dovrebbe portare le singole regioni (e, più in generale, le pubbliche amministrazioni) a mettere in campo gli opportuni e necessari interventi volti alla razionalizzazione della spesa sanitaria in vista dell’effettivo rispetto dei «piani di rientro» dai disavanzi sanitari che caratterizzano i bilanci di esercizio di tutte (o quasi) le amministrazioni regionali. È l’art. 17 del cit. d.l. n. 98/2011 a porre, sotto questo riguardo, alcune rilevanti regole del gioco che valgono (anche ) per l’immediato, in quanto finalizzate a correggere da subito il nostro imponente deficit pubblico. Le misure messe in campo dal legislatore spaziano, per così dire, a 360 gradi: dal risparmio della spesa farmaceutica alla reintroduzione, di fatto, del ticket sanitario quale partecipazione dell’assistito al costo delle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale fino alla (relativa) riforma dell’Agenzia italiana del farmaco (AIFA), ecc. Al di là delle singole e peculiari disposizioni (non sempre limpide e di agevole interpretazione, in verità), possono essere colti alcuni elementi di sistema che in qualche misura paiono essere coerenti con l’impianto disciplinare del testo sul federalismo fiscale in campo sanitario. I tassi di incremento del livello di finanziamento del servizio sanitario nazionale a cui concorre lo Stato (invero piuttosto modesti) sono individuati al primo comma del cit. art. 17 del d.l. n. 98/2011 e le modalità operative per il conseguimento di tale obiettivo dovranno essere determinate con un’intesa da stipularsi fra lo Stato e le Regioni entro il prossimo 30.4.2012. Il punto è sicuramente di interesse in quanto costituisce in qualche modo conferma di quel processo al quale si era già fatto cenno passandosi in rassegna l’impianto complessivo della disciplina relativa al federalismo fiscale nel settore della sanità, come già visto. E, infatti, anche in questo caso, il legislatore si fa carico di immaginare gli effetti della mancata intesa (allorché il «conflitto» Stato/Regioni non risulti componibile), indicando una possibile via d’uscita che, in verità, assomiglia piuttosto ad una (improbabile) via di fuga. Si prevede infatti, per il caso in cui l’intesa non sia raggiunta entro il termine previsto – ed allo scopo di assicurare comunque, per gli anni 2013 e 2014, «l’equilibrio di bilancio sanitario» – l’introduzione di un complesso ventaglio di misure, anche se non viene indicata, a quanto pare, la fonte legale (la legge, verrebbe da immaginare) con la quale si provvederà in questa direzione. Campi privilegiati di intervento, sui quali si avranno nuove, e più severe, regolazioni, grazie alla suddetta intesa Stato/Regioni o con altra fonte, sono comunque quelli dei contratti pubblici che interessano le strutture ed i soggetti istituzionali del servizio sanitario nazionale, dell’assistenza farmaceutica, della spesa sostenuta direttamente dal servizio sanitario nazionale per l’acquisto di dispositivi medici nonché (in questo caso, tuttavia, con un successivo regolamento del Ministero della salute di concerto con quello dell’economia e delle finanze, ai sensi del cit. art. 17, co. 1, lett. d) della introduzione di misure di compartecipazione, a decorrere dal 2014, al costo dell’assistenza farmaceutica e di altre prestazioni erogate dal servizio medesimo, misure di compartecipazione «aggiuntive» rispetto a quelle già eventualmente disposte dalle regioni, ovviamente in vista del perseguimento del già rammentato principio di «equilibrio finanziario ». È abbastanza agevole constatare che la legislazione in esame si caratterizza per un’evidente connotazione emergenziale in quanto l’imperativo inderogabile è, come è ben noto, quello di rimettere in ordine i conti pubblici, in vista del definitivo pareggio di bilancio. Il che spiega la caoticità e persino una certa frettolosa approssimazione delle norme passate in rassegna. Comu n q u e sia di ciò, l’obiettivo finale è chiaramente enunciato dal quarto comma del più volte cit. art. 17: assicurare per gli anni 2011 e 2012 (da subito, cioè!) l’effettivo rispetto dei piani di rientro dai disavanzi sanitari nonché della precedente intesa Stato/Regioni del 3.12.2009. Ovverosia, la norma in esame si prefigge chiaramente di potenziare gli strumenti volti a rendere effettivi e concretamente gestibili i piani di rientro dai deficit sanitari, nel solco di quanto già previsto dall’art. 2 della l. 23.12.2009, n. 19111. E, infatti, il co. 80 del cit. art. 2 della l. n. 191/2009 è integrato da una diposizione che pare essere di particolare severità: «...qualora in corso di attuazione del piano o dei programmi operativi ...gli ordinari organi di attuazione del piano o il commissario ad acta rinvengano ostacoli derivanti da provvedimenti legislativi regionali, li trasmettono al Consiglio regionale, indicandone puntualmente i motivi di contrasto con il Piano di rientro o con i programmi operativi. Il Consiglio regionale, entro i successivi sessanta giorni, apporta le necessarie modifiche alle leggi regionali in contrasto, o le sospende, o le abroga. Qualora il consiglio regionale non provveda ad apportare le necessarie modifiche legislative entro i termini indicati, ovvero vi provveda in modo parziale o comunque tale da non rimuovere gli ostacoli all’attuazione del piano o dei programmi operativi, il Consiglio dei ministri adotta, ai sensi dell’art. 120 Cost., le necessarie misure, anche normative, per il superamento dei predetti ostacoli». E, con ciò, l’art. 120, co. 2, Cost., conferma, anche in riferimento al settore sensibile della sanità, la sua natura di norma di chiusura e di messa in sicurezza del sistema delle relazioni, giuridiche e fattuali, che tiene insieme i soggetti istituzionali del nostro modello multilivello, essendo in questo caso manifestamente a rischio i valori fondamentali dell’unità giuridica e dell’unità economica dell’ordinamento repubblicano.
Il profilo conclusivo di maggior evidenza, quello su quale si registra un’opinione pressoché concorde in dottrina, può essere forse così rappresentato: a dieci anni dall’entrata in vigore della novella costituzionale del 2001 il modello relazionale dell’allocazione delle competenze normativo/legislative fra lo Stato e le Regioni nel campo della sanità è ben lungi dall’essere stabilizzato e, soprattutto pacificato, essendo invece sotto gli occhi di tutti i guasti di un contenzioso alluvionale che si focalizza principalmente attorno alle reciproche ragioni del dare e dell’avere. Il che è sicuramente anche causato da una certa ambigua «leggerezza» delle norme costituzionali di riferimento, e forse in primo luogo proprio dall’istituto, certo affascinante e suggestivo, della chiamata in sussidiarietà in quanto foriero di una riscrittura per così dire continua e permanente (rebus sic stantibus, in relazione all’attualità degli interessi pubblici puntuali che debbono essere curati) dell’ordine delle competenze dei soggetti del sistema multilivello. Il quadro complessivo si caratterizza, in altre parole, per un’intrinseca, e quasi oggettiva, relativizzazione dei poteri e delle attribuzioni, quasi in sintonia con le regole ordinatrici dei contemporanei modelli di multilevel governance. Il che sembra essere confortato da un importante dato di sistema, confermato, come si è visto, dalle più recenti riforme in materia di finanza pubblica e di federalismo fiscale: il grosso delle decisioni che davvero contano nel campo del governo pubblico della sanità può essere molto spesso assunto in seno alla conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le regioni e le province autonome (cfr. il d.lgs. 28.8.1997, n. 281), questa essendo la sede nella quale le aspettative, le attese e le istanze delle regioni si misurano e si confrontano, con una certa frequenza, con quelle del governo e dell’amministrazione nazionale. Nel campo della sanità assume particolare importanza, in altre parole, la prassi degli accordi, in virtù della quale si determina persino il risultato, in qualche caso, di bypassare la cornice legale di un importante settore disciplinare, cornice che viene sostituita, nel concreto, da una serie di regole pattizie (quelle dell’accordo) le quali o sono già direttamente operative oppure costituiscono la base di future e più dettagliate normative di riferimento12. Se questo è vero, nel senso che la prassi degli accordi ha sicuramente contribuito, in qualche misura, a sdrammatizzare il conflitto, quasi endemico e permanente, che vede troppo spesso schierati su fronti contrapposti lo Stato, da un lato, e le Regioni e gli enti territoriali minori, dall’altro, sembra tuttavia anche possibile supporre che la suddetta prassi manifesti, in particolari vicende e fattispecie, alcune criticità, criticità delle quali viene, in qualche modo, predicato il superamento grazie alla mobilitazione di percorsi decisionali diversi, e alternativi, a carattere più marcatamente decisionale, proprio alla luce di quanto disposto da alcune norme chiave sia del d.lgs. n. 68/2011 che del d.l. n. 98/2011. Il che sembra verificarsi per una semplice, e quasi elementare, ragione, in qualche modo sottesa alle norme di finanza pubblica già passate in rassegna: nel momento in cui la messa in sicurezza dei conti pubblici (e segnatamente il superamento della situazione di cronico squilibrio dei bilanci regionali, sul versante della spesa destinata a coprire i costi del servizio sanitario) diviene un obiettivo necessario e inderogabile, in quanto necessario (esso stesso) a meglio fronteggiare la crisi della finanza globale e, nello specifico, delle economie reali dei paesi della cd. Eurozona, appare allora assolutamente indispensabile la messa in campo (anche) di strumenti e modelli di decisione a carattere unilaterale e, se si vuole, autoritativo, eventualmente in alternativa a quelli di tipo pattizio e consensuale. È su questo stesso terreno, fra l’altro, che sembra anche giocarsi la partita tra le fonti legali in senso stretto (la legge formale, in primo luogo) e le intese assunte come modelli diversi e alternativi della possibile regolazione di un settore sensibile o di alcuni suoi aspetti. Si ricorderà, infatti, che l’art. 13 del d.lgs. n. 68/2011, in materia di livelli essenziali delle prestazioni e di obiettivi di servizio, manifesta un deciso e marcato favor nei confronti della legge (ovviamente dello Stato), la quale deve stabilire le modalità di determinazione dei suddetti livelli essenziali e, in particolare, dei LEA sanitari laddove è con una fonte secondaria (un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri) che dovrà essere effettuata la ricognizione dei livelli essenziali delle prestazioni. E, tuttavia, il quinto comma dello stesso art. 13 del d.lgs. n. 68/2011, contempla egualmente, con carattere di «cedevolezza », lo strumento dell’intesa, da concludersi in sede di conferenza unificata, nella quale, fino a che i livelli essenziali delle prestazioni non siano determinati con legge, debbono essere stabiliti «... i servizi da erogare, aventi caratteristiche di generalità e permanenza, e il relativo fabbisogno, nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica». Il che sembra poter significare che, almeno negli intenti del legislatore, la disciplina racchiusa nella suddetta intesa è, per così dire, a termine, vale fino a che (e soltanto fino a che) la legge formale, oppure altra fonte equipollente, non provveda a disciplinare la materia, anche eventualmente sulla base dei canoni e delle regole «negoziali» già selezionati nel «patto» in precedenza stipulato in seno alla conferenza unificata. Un evidente fenomeno di «cedevolezza», a quel che pare, che lascia trasparire un certo mutato atteggiamento del legislatore nei confronti del mondo sommerso delle intese e degli altri strumenti di concertazione pattizia assimilabili. Quando si tratti, infatti, di assumere decisioni certamente complesse e difficili, tali essendo quelle che si concretano nella contrazione dei flussi di finanza pubblica in uscita, con il conseguente sacrificio delle aspettative e delle situazioni giuridiche soggettive della persona, una decisione consensualmente assunta, in quanto frutto della sagace negoziazione delle parti che stringono il «negozio», può sicuramente rivelarsi come un ottimo modus operandi, solo che è sempre meglio immaginare che il patto possa essere violato oppure che esso debba essere comunque rivisto ed aggiornato in vista del perseguimento di interessi ed obiettivi sui quali non sembra agevole far convergere tutti i soggetti interessati. E, da questo angolo visuale, la legge appare sicuramente come lo strumento maggiormente idoneo a far raggiungere tale risultato. A ciò si aggiungano le disposizioni, già passate in rassegna, di cui al cit. art. 17 del d.l. n. 98/2011. Ai sensi del primo comma della norma in esame, infatti, se non si riesce a stipulare fra lo Stato e le Regioni un’intesa capace di indicare le forme e le modalità grazie alle quali realizzare il programmato contenimento del contributo economico a carico dello Stato per il finanziamento del servizio sanitario nazionale, si provvederà in altro modo (ossia con altra fonte, verosimilmente con la legge), in vista del raggiungimento degli obiettivi declinati dalla norma medesima. Ed è questa stessa intesa, alla luce del co. 2 del cit. art. 17, a dover indicare «...gli importi delle manovre da realizzarsi, al netto degli effetti derivanti dalle disposizioni di cui all’articolo 16 in materia di personale dipendente e convenzionato con il Servizio sanitario nazionale per l’esercizio 2014, mediante le misure di cui alle lettere a), b), c) e d) del comma 1». Anche sotto questo riguardo, qualora non sia stato possibile concludere l’intesa in questione, si provvederà al conseguimento degli obiettivi declinati dalla norma in via «autoritativa» (con la legge, verosimilmente), sebbene, anche in questo caso, non venga espressamente indicata alcuna fonte alternativa all’intesa che debba essere mobilitata nel caso di insuccesso delle procedure di concertazione «negoziale». In conclusione, ancora una volta, e sotto la spinta della crisi della finanza globale (e di quella del nostro Paese, in particolare), il settore della sanità disvela la sua straordinaria capacità di «fare sistema», anticipando problemi e soluzioni per questi stessi, problemi e soluzioni che finiscono con l’assumere, in verità, un rilievo assolutamente generale.
1 Sul punto sia consentito il rinvio a Ferrara, L’ordinamento della sanità, Torino, 2007, in particolare 119 ss.
2 Ancora, se si vuole, Ferrara, L’ordinamento, cit.. nonché Aicardi, La sanità, in Tratt. Cassese, Diritto amministrativo speciale, t. I, Milano, 2003, 625 ss.
3 Aicardi, La sanità, cit.
4 Esaustivamente, nel quadro di una letteratura molto nutrita, Cavicchi, Sanità. Un libro bianco per discutere, Bari, 2005.
5 Cfr., orientativamente, C. cost., 11.2.2010, n. 40, in Ragiusan, 2010, 315-316, 94, nonché, fra le tante, C. cost., 13.06.2008, n. 203, in Foro amm. - Cons. St., 2008, 6, 1691.
6 Cfr., infatti, C. cost., 1.10.2003, n. 303, in Giur. cost., 2003, 5.
7 C. cost., 26.06.2002, n. 282. In dottrina, per tutti, Molaschi, I rapporti di prestazione nei servizi sociali, Torino, 2008.
8 Aicardi, La sanità, cit., nonché Fonderico, Igiene pubblica, in Tratt. Cassese, cit., 711 ss.
9 Cfr., ex multis, la cit. sentenza di C. cost. 1.10.2003, n. 303, in Giur. cost., 2003, 5.
10 Ancora Aicardi, La sanità, cit.. nonché, se si vuole, Ferrara, L’ordinamento, loc. cit.
11 Per un commento «a caldo» di questa, come delle altre norme della manovra correttiva passata in rassegna, cfr. Italia Oggi. La manovra correttiva, serie speciale, n. 16, del 20.7.2011, alle norme di riferimento.
12 Cfr. nuovamente Aicardi, La sanità, cit. e, se si vuole, Ferrara, cit..