Rapporto tra giurisdizioni. Il riparto della giurisdizione sui diritti fondamentali
Uno dei problemi più delicati in materia di rapporto tra le giurisdizioni è quello dei diritti fondamentali o meglio della individuazione delle fattispecie che possono rientrare nel novero dei diritti fondamentali, indegradabili e, quindi, soggetti alla giurisdizione del giudice ordinario. La recente giurisprudenza ha fornito alcuni importanti chiarimenti in merito alla posizione dello straniero ed alla legislazione antidiscriminazione.
Il tema del rapporto tra le giurisdizioni in materia di diritti fondamentali è stato affrontato da alcune importanti decisioni nell’ultimo anno. Con riferimento alla condizione dello straniero, viene in rilievo una ordinanza della Suprema Corte di cassazione, 30.3.2011, n. 7186 che operando sul concetto di divieto di discriminazione supera la giurisdizione del giudice amministrativo in materia concorsuale1. Ossia, anche in presenza di una procedura concorsuale che potrebbe essere scrutinata dal giudice amministrativo, se l’esclusione di un candidato avviene sulla base di una norma del bando discriminatoria, per esempio, con riguardo alla nazionalità, la controversia deve essere esaminata dal giudice ordinario in quanto attinente alla violazione di diritti fondamentali. Sul punto occorre rilevare che uno dei problemi più delicati in materia di rapporto tra le giurisdizioni è proprio quello della individuazione delle fattispecie che possono rientrare nel novero dei diritti fondamentali, indegradabili e, quindi, soggetti alla giurisdizione del giudice ordinario. Tali diritti dovrebbero resistere integri di fronte all’esercizio dell’azione amministrativa, per cui l’impossibilità di degradare il diritto determinerebbe la giurisdizione del giudice ordinario anche in presenza di atti amministrativi efficaci. Si pensi alla situazione in cui la norma riconosce al soggetto un diritto sottratto a ogni apprezzamento da parte della pubblica amministrazione; ovvero all’ipotesi di un rapporto avente natura privatistica nel cui ambito sono presenti sia diritti soggettivi sia atti amministrativi; o, ancora, ai diritti soggettivi di rango costituzionale (come il diritto alla salute) che possono essere oggetto dell’esercizio di un potere amministrativo. Quest’ultimo caso è sicuramente quello più interessante poiché l’effetto degradatorio dell’atto amministrativo viene impedito dal rango costituzionale del diritto. Si tratta dei cd. diritti soggettivi resistenti, tra cui il diritto alla salute e alla salubrità dell’ambiente2.
In primo luogo, viene in rilievo l’individuazione delle fattispecie rientranti nell’ambito dei diritti fondamentali non degradabili e attribuiti alla giurisdizione del giudice ordinario. Si tratta di questioni riguardanti la condizione dello straniero e più in generale il problema della discriminazione. La sussistenza di tali incertezze indica quanto sia ancora attuale il problema della degradabilità del diritto soggettivo in interesse legittimo. Con riferimento alla condizione dello straniero, come rilevato, una recente ordinanza della Suprema Corte (n. 7186/2011), operando sul concetto di divieto di discriminazione supera la giurisdizione del giudice amministrativo in materia concorsuale. L’azienda Ospedaliera San Paolo di Milano aveva deciso di escludere dalla procedura di stabilizzazione del personale a tempo determinato le persone di nazionalità straniera extracomunitarie non in possesso di cittadinanza italiana. Alcune organizzazioni sindacali proponevano azione civile contro la discriminazione ai sensi dell’art. 44, d.lgs. 25.7.1998, n. 286 (t.u. imm. cond. stran.)3. L’operato della pubblica amministrazione veniva ritenuto lesivo del diritto fondamentale alla pari dignità sociale e alla non discriminazione nell’accesso al lavoro. Il tribunale di Milano accoglieva il ricorso e ordinava all’amministrazione di ammettere alla procedura i dipendenti extracomunitari già assunti. Il provvedimento veniva confermato in sede di reclamo. L’amministrazione nel successivo giudizio di merito eccepiva il difetto di giurisdizione del giudice ordinario e proponeva regolamento preventivo di giurisdizione deducendo la giurisdizione amministrativa, in applicazione dell’art. 63, co. 4, d.lgs. 30.3.2001, n. 165 in quanto la controversia riguardava una procedura concorsuale. Nel merito l’amministrazione affermava che non era stata compiuta alcuna discriminazione poiché l’ostacolo all’accesso alla costituzione di un rapporto di pubblico impiego a tempo indeterminato era posto dalla stessa legge che richiedeva il requisito della cittadinanza italiana. In via subordinata veniva eccepita l’illegittimità costituzionale dell’art. 44, d.lgs. n. 286/1998 per violazione del principio del giudice naturale precostituito per legge, da identificarsi nel giudice amministrativo. Si costituivano le organizzazioni sindacali e la persona esclusa affermando che la giurisdizione ordinaria si fondava sulla violazione dell’art. 43, d.lgs. n. 286/19984. In particolare, l’art. 43, co. 1, lett. e) afferma che il datore di lavoro o i suoi preposti compiono discriminazioni allorché pongano in essere qualsiasi atto o comportamento che produca un effetto pregiudizievole discriminando, anche indirettamente, i lavoratori in ragione della loro appartenenza ad una razza, ad un gruppo etnico o linguistico, ad una confessione religiosa, ad una cittadinanza. Costituisce discriminazione indiretta ogni trattamento pregiudizievole conseguente all’adozione di criteri che svantaggino in modo proporzionalmente maggiore i lavoratori appartenenti ad una determinata razza, ad un determinato gruppo etnico o linguistico, ad una determinata confessione religiosa o ad una cittadinanza e riguardino requisiti non essenziali allo svolgimento dell’attività lavorativa. I resistenti precisavano che il diritto fondamentale oggetto di tutela non era tanto quello di accedere a un pubblico impiego, quanto quello di non subire distinzioni per una ragione vietata. Comunque, nel caso di procedure di stabilizzazione, non veniva in rilievo la giurisdizione del giudice amministrativo in quanto non si trattava di una procedura concorsuale. La Cassazione, richiamando la sua precedente giurisprudenza, ha affermato che vengono in rilievo diritti assoluti derivanti dal fondamentale principio costituzionale di parità (art. 3 Cost.) nonché da norme sovranazionali5. Si tratta di un diritto assoluto in quanto posto a presidio di un’area di libertà e potenzialità del soggetto rispetto a qualsiasi tipo di violazione della stessa. Per cui qualsiasi tipo di violazione di tale diritto soggettivo viene qualificata come «fatto illecito». Il giudice in questo caso può tutelare la posizione del soggetto secondo canoni di atipicità e di variabilità a seconda del tipo di violazione posta in essere. Tale ampio potere viene attribuito al giudice ordinario dalla norma di cui all’art. 44, co. 1, allorché prevede che il giudice può «ordinare la cessazione del comportamento pregiudizievole e adottare ogni altro provvedimento idoneo, secondo le circostanze, a rimuovere gli effetti della discriminazione »6. L’art. 44 si riferisce anche a comportamenti della pubblica amministrazione in relazione ai quali il soggetto privato non fruisce di una posizione di diritto soggettivo7. Con riferimento alla dedotta illegittimità costituzionale della norma di cui all’art. 44, la Cassazione ne affermava la manifesta infondatezza in quanto l’attribuzione della giurisdizione al giudice ordinario è spiegata dalla natura della posizione soggettiva violata attraverso il comportamento discriminatorio. Infine, la circostanza della applicabilità o meno del requisito della cittadinanza italiana alla procedura di stabilizzazione non riguarderebbe tanto il profilo della giurisdizione quanto piuttosto quello del merito della controversia ossia della configurabilità o meno della discriminazione. Altra precisazione riguardante i diritti fondamentali è quella posta in essere da alcune decisioni del giudice amministrativo e del giudice ordinario in relazione alla richiesta del permesso di soggiorno da parte dello straniero per ragioni umanitarie8. La giurisprudenza ha affrontato il problema dal punto di vista dei diritti fondamentali. Con la decisione 4.2.2011, n. 10479, la sezione II quater del TAR Lazio si è occupata della impugnazione da parte di un extracomunitario della decisione della Questura di rifiuto del permesso di soggiorno per motivi umanitari, adottato sul presupposto diniego della Commissione Nazionale per il Diritto di Asilo della sua richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato. Il giudice ha ritenuto il ricorso inammissibile per difetto di giurisdizione in quanto la situazione giuridica dello straniero, che richieda il permesso per ragioni umanitarie, ha consistenza di diritto soggettivo, da annoverare tra i diritti umani fondamentali con la conseguenza che la garanzia apprestata dall’art. 2 Cost. esclude che dette situazioni possano essere degradate a interessi legittimi per effetto di valutazioni discrezionali affidate al potere amministrativo, al quale può essere affidato solo l’accertamento dei presupposti di fatto che legittimano la protezione umanitaria. In questo caso l’amministrazione esercita una mera discrezionalità tecnica, essendo il bilanciamento degli interessi e delle situazioni costituzionalmente tutelate riservato al legislatore. Inoltre, viene specificato che nell’attuale quadro legislativo e regolamentare, la valutazione degli elementi per il riconoscimento della protezione principale, secondaria e umanitaria, sono attribuiti alla Commissione Territoriale o Nazionale – essendo, sotto tale profilo, irrilevante il procedimento seguito per il riconoscimento di tale status – il che porta ad escludere ogni «... margine di discrezionalità in tale valutazione» da parte della Questura, con conseguente attribuzione della giurisdizione del giudice ordinario in ordine ai provvedimenti della medesima Questura che negano il permesso per motivi umanitari. Da ciò deriva che la giurisdizione sui diritti umani fondamentali, in mancanza di una norma espressa che disponga diversamente, spetta al giudice ordinario. Tale decisione è in linea con la precedente giurisprudenza amministrativa nonché con la giurisprudenza della Corte di cassazione10. La stessa posizione è stata ribadita dalla Corte di cassazione, sez. I, con la decisione 17.2.2011, n. 389811, con riferimento a un’altra fattispecie. Si trattava del rigetto da parte del giudice di pace di un ricorso relativo all’impugnazione di un decreto di espulsione emesso dalla prefettura di Roma. La domanda di permesso era stata presentata per motivi umanitari. Il giudice di pace ha ritenuto che la presentazione della domanda di permesso per motivi umanitari non rappresentasse una pregiudiziale all’accertamento del possesso del permesso di soggiorno e all’emissione del decreto di espulsione, in quanto non prevista dalla legge tra le cause di non espulsione di cui al d.lgs n. 286/1998, art. 1912, tenuto conto, che se anche così fosse stato, lo straniero avrebbe potuto protrarre la sua permanenza illegale sul territorio sine die in caso di reiterate domande di permesso. La Cassazione, rifacendosi al precedente orientamento illustrato, sostiene che la situazione giuridica soggettiva dello straniero che richieda il permesso di soggiorno per motivi umanitari si fonda sull’art. 2 Cost. Il bilanciamento con eventuali altre situazioni soggettive costituzionalmente tutelate non può però essere rimesso al potere discrezionale della pubblica amministrazione, potendo eventualmente essere effettuato solo dal legislatore, nel rispetto dei limiti costituzionali. Il diritto alla protezione umanitaria, così come quello allo status di rifugiato e al diritto costituzionale di asilo, in quanto situazioni tutte riconducibili alla categoria dei diritti umani fondamentali, trova riscontro nell’espressa disciplina contenuta nell’art. 19 d.lgs. n. 286/1998. Dati questi presupposti, la Cassazione ha affermato che il giudice di pace, nell’omettere di pronunciarsi sul concreto pericolo prospettato dall’opponente di essere sottoposto a persecuzione o a trattamenti inumani e/o degradanti in caso di espulsione nel paese di origine, pericolo concreto che, se accertato, avrebbe comportato una situazione ostativa all’espulsione dello straniero, non si è uniformato al disposto del citato d.lgs. n. 286/1998, art. 19, co. 1, atteso che l’istituto del divieto di espulsione o di respingimento previsto dalla richiamata disposizione costituisce una misura di protezione umanitaria a carattere negativo; questa conferisce al beneficiario il diritto di non vedersi nuovamente immesso in un contesto di elevato rischio personale. Spetta, quindi, al giudice valutare in concreto la sussistenza delle allegate condizioni ostative all’espulsione o al respingimento. Sempre con riguardo alla individuazione di materie rientranti nel novero dei diritti fondamentali e perciò sottratte alla giurisdizione amministrativa, nell’ultimo anno occorre rilevare che il giudice amministrativo ha ritenuto il sussidio di cui al R.d.l. 8.5.1927 n. 798 (cd. baliatico) come oggetto di un diritto fondamentale di persone che si trovano in stato di bisogno economico e sociale, per cui il ricorso al tribunale amministrativo circa il provvedimento di diniego di tale sussidio è inammissibile per difetto di giurisdizione13.
Profili problematici riguardano la giurisdizione in materia di diritto alla salute. In questo risulta effettivamente difficoltoso individuare le ipotesi in cui venga in rilievo l’esercizio di un potere amministrativo idoneo a degradare il diritto soggettivo. Un esempio tipico è quello del rimborso delle spese sostenute all’estero. Di recente il giudice amministrativo ha riconosciuto la giurisdizione ordinaria in materia di richiesta di rimborso delle spese sanitarie sostenute dai cittadini residenti in Italia presso centri di altissima specializzazione all’estero per prestazioni che non siano ottenibili in Italia tempestivamente o in forma adeguata alla particolarità del caso clinico. In particolare, la giurisdizione spetta al giudice ordinario sia nel caso che siano addotte situazioni di eccezionale gravità ed urgenza, prospettate come ostative alla possibilità di preventiva richiesta di autorizzazione, sia nel caso che l’autorizzazione sia stata chiesta e che si assuma illegittimamente negata, giacché viene comunque in considerazione il fondamentale diritto alla salute, non suscettibile di essere affievolito dalla discrezionalità meramente tecnica dell’amministrazione in ordine all’apprezzamento dei presupposti per l’erogazione delle prestazioni14. Altra ipotesi in cui il potere amministrativo non è idoneo ad incidere sul diritto alla salute è quella relativa alla manutenzione dei beni pubblici. Di sicuro interesse è la recente decisione delle S.U. 22.12.2010, n. 2598215, riguardo ad una fattispecie in cui il privato denunziava la lesione del diritto alla salute, conseguente alla cattiva gestione e all’omessa manutenzione di un bene da parte di un comune che aveva determinato il prolificare di ratti e volatili rendendo l’ambiente circostante insalubre. In questo caso, le Sezioni Unite hanno affermato che rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la domanda di risarcimento del danno causato dall’inosservanza da parte della amministrazione, nella sistemazione e manutenzione di aree o beni pubblici, delle regole tecniche ovvero dei comuni canoni di diligenza e prudenza, integranti il precetto di cui all’art. 2043 c.c. Per cui l’amministrazione è tenuta a far sì che i beni pubblici non costituiscano fonte di danno per il privato. In tal caso, non può essere invocata la giurisdizione esclusiva introdotta in materia urbanistica dall’art. 34, d.lgs. 31.3.1998 n. 80, che rimanda ad attività che esprimano l’esercizio del potere amministrativo, mentre nell’ipotesi in questione non verrebbe in rilievo alcuna attività autoritativa.
1 In Dir. giust., 2011, 214.
2 Per una recente analisi della questione si veda Coraggio, La teoria dei diritti indegradabili: origine ed attuali tendenze, in Dir. proc. amm., 2010, 482.
3 Articolo modificato dall’art. 28, co. 1, l. 30.7.2001, n. 189: «1. Quando il comportamento di un privato o della pubblica amministrazione produce una discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, il giudice può, su istanza di parte, ordinare la cessazione del comportamento pregiudizievole e adottare ogni altro provvedimento idoneo, secondo le circostanze, a rimuovere gli effetti della discriminazione»
4 Secondo il co. 1 della citata norma costituisce «discriminazione ogni comportamento che, direttamente o indirettamente, comporti una distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l’ascendenza o l’origine nazionale o etnica, le convinzioni e le pratiche religiose, e che abbia lo scopo o l’effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, in condizioni di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale e in ogni altro settore della vita pubblica».
5 In particolare, si veda l’ordinanza 15.2.2011, n. 3670, in Foro it., 2011, I, 1101. La controversia aveva ad oggetto la delibera del comune di Brescia di revoca di un provvedimento concernente il bonus «bebè» per le famiglie meno abbienti. La Corte di cassazione ha affermato che in tema di tutela avverso atti o comportamenti discriminatori per motivi di razza o di origine etnica, ovvero posti in essere quale reazione a una qualsiasi attività diretta a ottenere la parità di trattamento, sussiste la giurisdizione dell’autorità giudiziaria, a nulla rilevando che il dedotto comportamento discriminatorio consista nell’emanazione di un atto amministrativo; né ciò giustifica dubbi sulla legittimità costituzionale della normativa in discorso, con riferimento, in particolare, agli artt. 97, 103 e 113 Cost., giacché in tale ipotesi il giudice ordinario deve limitarsi a decidere la controversia valutando il provvedimento amministrativo denunziato, disapplicandolo e adottando i conseguenti provvedimenti idonei a rimuoverne gli effetti, ove confermato lesivo del principio di non discriminazione o integrante gli estremi della illegittima reazione, senza tuttavia interferire nelle potestà della pubblica amministrazione, se non nei consueti e fisiologici limiti ordinamentali della disapplicazione incidentale ai fini della tutela dei diritti soggettivi controversi. La posizione dei soggetti è di diritto di rilievo costituzionale e sovranazionale e, pertanto, rispondenti ad una scelta non solo incensurabile, ma addirittura imposta al legislatore da obblighi comunitari (in particolare dall’art. 3 della Direttiva 2000/43/CE). Ciò autorizza il giudice ordinario alla rimozione degli effetti degli atti lesivi di tali diritti nei confronti dei relativi soggetti passivi, non risultano attributive di impropri poteri di «annullamento » o «revoca», quando le relative violazioni siano state poste in essere da soggetti pubblici non operanti iure privatorum.
6 In termini si veda Corte di Appello Firenze, 28.11.2008, in D&L, 2009, 1, 311; Tribunale Bologna, 25.10.2007, in D&L, 2008, 1, 175, il quale stabilisce che qualora il diniego di accesso a un concorso pubblico opposto a un cittadino non comunitario venga contestato sotto il profilo della discriminazione per ragioni di razza e nazionalità, mediante l’azione di cui all’art. 44 t.u. imm. cond. stran., la giurisdizione del giudice ordinario prevista dallo stesso art. 44 prevale su quella del giudice amministrativo prevista dall’art. 63, d.lgs. 30.3.2001 n. 165, trattandosi di situazione che involge diritti fondamentali dell’individuo.
7 Anche il d.lgs. 9.7.2003, n. 215 (attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica), prevede all’art. 3 che «Il principio di parità di trattamento senza distinzione di razza ed origine etnica si applica a tutte le persone sia nel settore pubblico che privato ed è suscettibile di tutela giurisdizionale, secondo le forme previste dall’articolo 4, con specifico riferimento (…) all’accesso all’occupazione e al lavoro, sia autonomo che dipendente, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione; alla protezione sociale, inclusa la sicurezza sociale». Il successivo articolo 4 prevede che la tutela avverso i tali comportamenti si effettui ai sensi dell’art. 44 del t.u. imm. cond. stran.
8 Sul punto si veda Romano, Condizione giuridica dello straniero immigrato, diniego del permesso di soggiorno, tutela della salute e riparto della giurisdizione, in Giur. mer. 2011, 1965.
9 In Foro amm. - TAR, 2011, 462
10 Si veda in particolare Cass., S.U., 9.9.2009, n. 19393, in Riv. dir. intern., 2009, 1201.
11 In Giust. civ. Mass., 2011, 2, 262.
12 Tale norma dispone che «in nessun caso può disporsi l’espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione».
13 TAR Puglia, Lecce, sez. II, 16.6.2011, n. 1095, in www.giustizia-amministrativa.it; secondo tale decisione, l’art. 5, R.d.l. 8.5.1927, n. 798, nel momento in cui statuisce la obbligatorietà dell’intervento assistenziale in presenza di determinate condizioni enucleate dalla stessa normativa, rimanda alla natura obbligatoria e non disponibile del sussidio. Per cui si tratta di diritti civili, che le pubbliche amministrazioni competenti sono tenute a garantire quale livello essenziale di prestazione di assistenza sociale, senza che sia possibile configurare l’esistenza di scelte decisionali di opportunità, espressive di discrezionalità amministrativa e della valutazione comparativa degli interessi pubblici e privati coinvolti, ma solo di poteri vincolati attribuiti dalla legge nell’interesse diretto dei privati beneficiari delle misure di tutela sociale, spettando alla pubblica amministrazione una discrezionalità tecnica per l’apprezzamento della effettiva presenza dei presupposti di fatto delineati dalla normativa in materia e per orientare l’opzione tra la concessione di adeguati sussidi alle madri che allevino i figli minori e il ricovero e il mantenimento diretto di questi ultimi negli appositi istituti pubblici.
14 TAR Campania, Napoli, sez. I, 19.5.2011, n. 2746, in Foro amm. - TAR, 2011, 1662.
15 In Foro amm. – Cons. St., 2011, 1, 48.