Abstract
La voce illustra l’istituto della rappresentanza commerciale. Si esamina la figura dell’institore soffermandosi sul suo rapporto con l’imprenditore e sui compiti e doveri dell’ausiliario. Di seguito la trattazione si concentra sui poteri di rappresentanza sostanziale e processuale dell’institore; sulla rilevanza della spendita del nome dell’impresa; sulle disposizioni concernenti la pubblicità della procura e le successive modifiche ed infine sulla compatibilità dell’institore con la disciplina delle società di capitali. Si trattano, infine, i profili essenziali della disciplina dei procuratori e dei commessi.
1. Premessa
L’esercizio dell’attività di impresa, sia in relazione al profilo interno, sia in relazione ai rapporti con i terzi, richiede di norma il supporto e la collaborazione di soggetti diversi dall’imprenditore, i quali possono essere inseriti nell’organizzazione aziendale o in alternativa operare, in modo occasionale o stabile, come soggetti esterni in forza di rapporti contrattuali aventi ad oggetto lo svolgimento di attività nell’interesse altrui (mandato, commissione, agenzia, mediazione, spedizione).
In ragione della fisiologica necessità dell’impresa commerciale di contrattare con i terzi in modo continuativo e in tempi rapidi, la collaborazione degli ausiliari ricomprende di consueto l’agire in rappresentanza dell’imprenditore. La rappresentanza dei collaboratori esterni all’impresa è regolata dalle norme di diritto comune (artt. 1387 ss. c.c.), mentre gli artt. 2203-2213 c.c. disciplinano le tre figure tipiche di ausiliari interni muniti di poteri di rappresentanza: institori, procuratori e commessi.
Il potere rappresentativo di tali figure ausiliarie dell’imprenditore – e qui risiede il carattere di specialità rispetto alla rappresentanza di diritto comune – è effetto naturale della loro collocazione nell’organizzazione aziendale (Guizzi, G., Gestione rappresentativa e attività di impresa, Padova, 1997, 183 ss.), nel senso che la legittimazione a agire in nome e per conto dell’imprenditore non si fonda su una procura, bensì discende ex lege dallo svolgimento delle mansioni connaturate all’attribuzione della qualifica di institore, procuratore o commesso (Cass., 18.10.1991, n. 11039).
L’estensione dei poteri rappresentativi degli ausiliari varia in ragione del ruolo loro attribuito nell’organizzazione imprenditoriale, secondo una scala che, quantomeno nel regime legale, vede l’ampiezza della rappresentanza tendenzialmente proporzionale ai poteri sostanziali, di natura gestoria o solo esecutiva, attribuiti all’ausiliario.
Secondo la definizione contenuta nei primi due commi dell’art. 2203 c.c. è institore (nel linguaggio degli affari si parla comunemente di direttore generale o procuratore generale) chi è preposto all’esercizio di un’impresa commerciale (non può invece qualificarsi come institore il dirigente di azienda agricola ex art. 2138 c.c. né a questi può analogicamente applicarsi la disciplina in esame), ovvero di una sede secondaria (es. filiale o succursale bancaria; sul punto, da ultimo, Cass., 19.4.2011, n. 8976, ha precisato che, secondo quanto disposto dalla direttiva CEE n. 780 del 12.12.1977 e dall’art. 1. lett. e), t.u.b., tali sedi secondarie della banca sono prive di personalità giuridica) o di un ramo dell’impresa.
Il riferimento alla preposizione da parte dell’imprenditore e la previsione del potere di esercitare l’impresa fanno emergere la duplice natura dell’institore, il quale opera, da un lato, in posizione di subordinazione all’imprenditore (cfr. art. 2094 e art. 2104, co. 2, c.c.; non è tuttavia essenziale la sussistenza di un contratto di lavoro subordinato, in quanto l’institore può essere un lavoratore autonomo) e, dall’altro lato, in una posizione di vertice nell’organizzazione aziendale, tanto che l’art. 2104 c.c. prevede l’obbligo dei prestatori di lavoro di osservare le disposizioni impartite dai collaboratori dell’imprenditore da cui dipendono gerarchicamente.
L’ampia portata dei poteri dell’institore ne ha suggerito l’accostamento all’amministratore di società, piuttosto che al rappresentante di diritto comune (Stolfi, C., L’atto di preposizione. Contributo alla teoria dell’impresa, Milano, 1974, 296), rilievo che si ritiene di condividere in quanto la preposizione implica la necessaria attribuzione di un potere gestorio, come si coglie anche dal diritto positivo (l’art. 227 l. fall., a fondamento della responsabilità penale dell’institore per i reati fallimentari, menziona la gestione affidatagli).
In considerazione del ruolo gestorio dell’institore, è controverso se il piccolo imprenditore commerciale possa avvalersi di un institore; secondo alcuni questa figura è incompatibile con il requisito della prevalenza del lavoro proprio del titolare dell’impresa e dei suoi familiari (nel senso dell’applicabilità della rappresentanza commerciale al piccolo imprenditore v. però Casanova, M., Impresa e azienda (Le imprese commerciali), in Tratt. Vassalli, X, I, 1974, 309); il problema appare comunque ridimensionato in seguito alla riformulazione dell’art. 1, l. fall. ed alla conseguente riduzione della portata applicativa dell’art. 2083 c.c.
2.2 Obblighi e responsabilità in sede civile e nell’ipotesi di fallimento dell’impresa
L’art. 2205 c.c. prevede il duplice obbligo dell’institore, concorrente con quello dell’imprenditore o degli amministratori della società preponente, di adempiere alle disposizioni concernenti le iscrizioni nel registro imprese (in caso di violazione di tale obbligo l’ausiliario sarà quindi soggetto all’applicazione dell’art. 2194 c.c.) ed alla tenuta delle scritture contabili; l’institore è quindi tenuto sia al rispetto delle prescrizioni di cui agli artt. 2214 ss. c.c., sia all’obbligo, di portata più generale, di curare l’adeguatezza dell’assetto contabile dell’impresa alla natura e dimensioni della medesima (arg. dall’art. 2381, co. 5, come modificato dal d.lgs. 17.1.2002, n. 2003, e dall’art. 2214, co. secondo, c.c.).
Tale disciplina è completata in sede fallimentare dall’art. 227 l. fall., che prevede la punibilità dell’institore per i reati previsti dagli artt. 216, 217, 218 e 220 (salva l’applicabilità della fattispecie di esenzione recentemente introdotta dall’art. 217 bis l. fall.).
Sotto diverso profilo, l’institore, in quanto collaboratore dell’imprenditore – e indipendentemente dalla formalizzazione di un rapporto di lavoro subordinato – sarà tenuto agli obblighi di cui all’art. 2104 c.c., all’obbligo di riservatezza e sarà inoltre soggetto al divieto di concorrenza ex art. 2105 c.c.
In applicazione dell’art. 2049 c.c. l’imprenditore risponde dei fatti illeciti compiuti dall’institore (in questi termini Cass., 6.1.1983, n. 75) con conseguente obbligo risarcitorio, solidale con quello del preposto (art. 2055 c.c.), per i danni patrimoniali e non patrimoniali. Resta ferma la necessità della prova, a carico del danneggiato, della preposizione institoria e del nesso tra condotta lesiva e esercizio dell’impresa; l’imprenditore che abbia risarcito il terzo ha azione di regresso nei confronti dell’institore (Cass. 12.2.1982, n. 856), salvo che non sia data prova di un concorso di colpa dell’imprenditore.
2.3 Fonte, contenuto e limiti dei poteri di rappresentanza dell’institore
Costituisce opinione condivisa che la legittimazione ad obbligare l’imprenditore discende ex lege dall’attribuzione delle mansioni institorie e non si fonda invece sulla procura (secondo Cass., 8.6.1999, n. 5643 il potere rappresentativo è attributo connaturato alla qualità di institore ed all’inserimento del medesimo nell’organizzazione imprenditoriale; Graziani, A., L’impresa e l’imprenditore, II ed., Napoli, 1959, 200 s., assimila l’institore al comandante della nave al quale sono attribuiti ex lege poteri di rappresentanza dell’armatore; cfr. artt. 306 ss. c. nav.).
L’art. 2204 c.c. fissa il contenuto dei poteri dell’institore ricorrendo alla clausola generale per cui il preposto può porre in essere «tutti gli atti pertinenti all’esercizio dell’impresa» – rectius, del ramo particolare o della sede – salva la necessità di un’espressa autorizzazione per l’alienazione di immobili (pleonastica qualora l’impresa eserciti l’attività di commercio di tali beni) o la costituzione di ipoteca, fattispecie a cui, secondo un condivisibile orientamento [Belviso, U., Ausiliari dell’imprenditore (profili generali), in Enc. giur. Treccani, Roma, 1988, 3], deve assimilarsi la costituzione di diritti reali limitati o personali di godimento su beni immobili. Qualora all’ausiliario siano conferiti anche tali poteri, l’imprenditore risponderà delle relative obbligazioni seppur in assenza dell’iscrizione dell’autorizzazione, salvo l’onere del terzo di provare l’effettiva estensione dei poteri dell’institore (in difetto di espressa autorizzazione il contratto preliminare di compravendita di un immobile sottoscritto dall’institore non è suscettibile della tutela ex art. 2932 c.c.; così Trib. Roma, 22.9.1991, in Giur. mer., 2002, 995).
In forza degli artt. 2206 e 2207 c.c., ogni limitazione dei poteri conferiti all’institore, contestuale o successiva alla preposizione, è opponibile ai terzi solo se iscritta nel registro imprese a meno che l’imprenditore (o l’institore; cfr. art. 77 c.p.c.) non provi che il terzo ne era a conoscenza al momento della conclusione dell’affare. Siffatta responsabilità del preponente, anche in relazione ad atti non autorizzati, viene giustificata dalla dottrina invocando il rischio di impresa. In sintesi, la verifica di una rappresentanza volontaria in capo all’institore in tanto è necessaria e rilevante in quanto il preponente abbia inteso estendere o limitare i poteri dell’ausiliario e quindi deviare dalla regola dell’art. 2204 c.c. La delimitazione dei poteri di rappresentanza dell’institore richiede l’individuazione degli atti pertinenti all’esercizio dell’impresa ovvero di un ramo di essa; l’opinione più accreditata (Campobasso, G.F., Diritto commerciale. Diritto dell’impresa, VI ed., vol. 1, Torino, 2008,132, ove ulteriori richiami), pur nell’obiettiva difficoltà di individuare un criterio certo, è nel senso di ritenere che la legittimazione rappresentativa copra tutti gli atti astrattamente riconducibili all’esercizio dell’impresa in ragione del settore o mercato di riferimento, non potendosi richiedere al terzo un’indagine sulla specifica pertinenza dell’affare alla singola impresa. Esulano comunque dai poteri dell’institore gli atti di gestione straordinaria che implichino trasformazione o modificazione sostanziale dell’impresa, quali ad es. la cessione di assets strumentali o del marchio; il trasferimento dell’azienda o di un suo ramo; l’attivazione di procedure concorsuali (ma in situazioni di emergenza che impongono la sospensione dell’esercizio dell’impresa, l’institore può affittare l’azienda per un circoscritto lasso di tempo al fine di preservare l’avviamento; così Casanova, M., op. cit., 298).
Secondo un orientamento più restrittivo (Minneci, U., La sorte del contratto concluso dall’institore senza spendere il nome dell’impresa, in Riv. dir. civ., 2011, I, 268 ss., ove ulteriori richiami) è invece necessario valutare la proporzionalità dell’operazione rispetto all’impresa; tale criterio appare tuttavia di non agevole applicazione in ordine all’institore preposto ad un’impresa individuale in cui potrebbe mancare ogni formalizzazione dell’attività economica programmata dall’imprenditore.
La preposizione ad un ramo dell’impresa presuppone che all’ausiliario sia demandata la gestione di un segmento dell’attività, sebbene il legislatore non specifichi se il ramo d’impresa debba avere o meno autonomia funzionale-produttiva (cfr. anche art. 2113, co. 5, c.c.). Qualsiasi orientamento si accolga sul punto, l’incerta individuazione degli atti pertinenti all’esercizio di un ramo suggerisce di procedere all’iscrizione nel Registro imprese delle specifiche limitazioni al potere rappresentativo così da superare la presunzione di rappresentanza generale di cui all’art. 2206, co. 2, c.c. L’art. 12, co. 2, r.d. 14.12.1933, n. 1669 integra la disciplina codicistica ricomprendendo nella facoltà generale di obbligarsi in nome e per conto dell’imprenditore anche quella di obbligarsi cambiariamente, a meno che la procura institoria (iscritta in forza dell’art. 2206 c.c.) non preveda altrimenti: l’institore può quindi emettere e girare assegni e cambiali.
Secondo quanto disposto dagli artt. 2204, co. 2, c.c. e 77, co. 2, c.p.c. l’institore può stare in giudizio in nome del preponente per le obbligazioni scaturenti da atti compiuti (dal medesimo institore, dall’imprenditore o da altro institore) nell’esercizio dell’impresa, del ramo o della sede cui è preposto; l’institore può quindi promuovere giudizi di cognizione; processi di esecuzione; procedimenti prefallimentari (con il corrispondente potere di nominare e revocare il difensore ex artt. 83 e 85 c.p.c.); può agire e resistere in giudizio davanti a qualsiasi autorità giudiziaria o amministrativa, alle autorità indipendenti, alle commissioni tributarie e in sede arbitrale. Deve inoltre ritenersi che i poteri di rappresentanza processuale dell’institore comprendano l’esercizio del diritto di voto nel concordato fallimentare e nel concordato preventivo, nonché l’opposizione all’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti.
La rappresentanza processuale dell’institore investe anche le fattispecie di responsabilità extra-contrattuale per illeciti compiuti dal medesimo preposto, dall’imprenditore o da altro ausiliario. Qualora l’impresa sia articolata in diversi punti vendita (es. imprese operanti nel settore della grande distribuzione) affidati ciascuno ad un singolo direttore o responsabile, si discute se questi rivesta la qualifica di institore. Il contrasto di opinioni è emerso nella giurisprudenza di legittimità – anche tra le medesime sezioni della S.C. – in ordine alla legittimazione del direttore del supermercato a proporre querela per i furti ivi commessi (secondo Cass. pen., sez. IV, 27.10.2010, n. 44842 e Cass. pen., sez. V, 24.10.2005, n. 45329, il direttore di supermercato dispone di detta legittimazione solo quando il relativo potere gli sia stato espressamente conferito, in quanto non può qualificarsi come institore; in senso contrario, tra le più recenti, Cass. pen., sez. IV, 28.9.2010, n. 37932; Cass. pen., sez. IV, 16.11.2010, n. 41592; Cass. pen., sez. V, 16.6.2010, n. 34009).
2.4 La spendita del nome dell’imprenditore
L’institore è tenuto a palesare ai terzi con i quali venga in contatto la propria qualità, nonché il compimento dell’atto in nome e per conto del’imprenditore (e dunque deve menzionare la ditta, la ragione o la denominazione sociale); ai sensi dell’art. 2208 c.c., in mancanza della spendita del nome dell’impresa, l’ausiliario è personalmente obbligato, salva la responsabilità (anche) dell’imprenditore se l’atto è pertinente all’esercizio dell’attività. L’applicazione della norma in discorso presuppone che il preposto renda nota la propria qualifica institoria, ma non dichiari – né faccia tacitamente intendere – che l’affare è compiuto in nome e per conto dell’imprenditore, così da creare un’incertezza circa il destinatario degli effetti dell’atto.
L’imputabilità all’imprenditore degli atti posti in essere dall’ausiliario senza spendita del nome è espressione di una regola fondante il sistema della rappresentanza commerciale, secondo cui l’imprenditore risponde degli effetti dell’attività del preposto in virtù della collocazione di quest’ultimo nell’organizzazione dell’impresa e in relazione a quegli atti obiettivamente riconducibili all’attività imprenditoriale, sicché il terzo può agire nei confronti del preponente in deroga a quanto previsto dall’art. 1705 c.c.
Secondo la dottrina maggioritaria la responsabilità dell’institore e dell’imprenditore si pongono in rapporto di solidarietà (Campobasso, G.F., Diritto commerciale. Diritto dell’impresa, cit., 135; contra Minneci, U., op. cit., 195 ss., secondo cui l’azione del terzo contro l’institore ha matrice sanzionatoria e la responsabilità del secondo è postergata a quella dell’imprenditore), mentre nei rapporti interni l’imprenditore ha regresso contro il preposto se l’affare è stato compiuto per conto proprio e al contrario l’institore potrà agire verso l’imprenditore se l’atto sia rispondente ad un interesse dell’impresa.
2.5 Profili pubblicitari
Gli artt. 2206 e 2207 c.c. prevedono l’iscrizione nel Registro imprese – a cura dell’imprenditore o dello stesso ausiliario – della procura conferita all’institore con sottoscrizione autenticata del preponente e degli atti con cui la procura venga successivamente limitata o revocata. Dottrina (Natoli, U., La rappresentanza, Milano, 1977, 64 ss.) e giurisprudenza (Cass., 27.2.2003, n. 3022; App. Milano, 26.9.1978, in Foro pad., 1979, I, 40, secondo cui la preposizione institoria discende dall’esercizio di poteri negoziali, che possono essere provati anche mediante testimoni) respingono la qualificazione dell’atto di preposizione institoria come procura in senso tecnico con conseguente inapplicabilità dell’art. 1392 c.c. e piena libertà di forme salva la necessità del rispetto dell’art. 2189, co. 2, c.c.
Coerentemente l’art. 2196 c.c. prevede tra gli elementi oggetto di iscrizione nel Registro imprese anche le generalità degli institori e gli atti modificativi della procura; ai sensi dell’art. 2197 c.c., qualora l’institore sia preposto ad una sede secondaria dell’impresa, la procura deve essere iscritta anche nel registro imprese nella cui circoscrizione si trova tale sede secondaria. In difetto di iscrizione, la revoca della procura, come anche le limitazioni successive al potere di rappresentanza, non sono opponibili ai terzi a meno che non si provi che questi ne erano a conoscenza al momento della conclusione dell’affare.
2.6 L’institore nelle imprese organizzate in forma societaria
La preposizione institoria è ritenuta pacificamente applicabile anche alle imprese organizzate in forma societaria (ma non alle società semplici) aventi scopo lucrativo (ma secondo Cass., 13.3.1982, n. 1632, in forza dell’art. 2320 c.c. l’accomandante non può assumere la qualifica di institore) e mutualistico.
La dottrina ha approfondito la compatibilità della figura dell’institore con l’assetto delle società di capitali e in particolare con il principio della inderogabile competenza gestoria dell’organo amministrativo, tema da inquadrarsi anche alla luce dall’ampliamento delle tecniche di funzionamento e organizzazione delle funzioni gestorie nella s.r.l. (in cui è ammissibile una generale rimessione ai soci di poteri e competenze gestorie; arg. dagli artt. 2475, co. 1, e 2479, co. 1, c.c.) e nelle società cooperative aventi tale forma (cfr. art. 2519 c.c.). In particolare, in ordine alle società azionarie, sul presupposto dell’inammissibilità della creazione di organi sociali atipici aventi attribuzioni identiche a quelle assegnate ex lege, deve ritenersi che non possano assegnarsi all’institore le funzioni non delegabili (art. 2381, co. 4, c.c.); quelle attinenti al funzionamento della società (artt. 2363 e 2377 c.c.); i compiti e doveri di controllo e vigilanza ex art. 2381, co. 3, c.c. e quelli in materia di conferimenti in natura con stima e senza stima; le decisioni di rilievo finanziario (esecuzione delle delibere di fusione e scissione; emissione di azioni, obbligazioni e strumenti finanziari; costituzione di patrimoni destinati); i poteri gestori inderogabilmente conferiti all’assemblea (acquisto di partecipazioni in altre imprese comportanti responsabilità illimitata per le relative obbligazioni; provvedimenti ex art. 2446 c.c.; decisioni di rilievo strategico quali chiusura di stabilimenti; riduzione del personale; modifiche degli indirizzi produttivi; sul punto cfr. Abbadessa, P.-Mirone, A., Le competenze dell’assemblea nelle s.p.a., in Riv. soc., 2010, 282 ss.) o il cui esercizio è subordinato ad autorizzazione assembleare (acquisto di azioni proprie; acquisto di azioni e quote da parte di società controllate; acquisti pericolosi; altre operazioni su azioni proprie; manovre difensive ex art. 104 t.u.f.; operazioni con parti correlate; approvazione di piani di compensi basati su strumenti finanziari ex art. 114 bis t.u.f.).
L’institore preposto all’esercizio di un’impresa collettiva deve inquadrarsi come figura di ausilio, supporto e collaborazione dell’organo amministrativo e in una posizione subordinata a quest’ultimo (ancorché, come detto, la presenza di un rapporto di lavoro subordinato non sia requisito essenziale della fattispecie), né l’amministratore unico o delegato potrebbero assumere la qualifica di institore ostando a ciò sia l’incompatibilità tra le regole sull’opponibilità ai terzi dei limiti ai poteri di rappresentanza dettate dagli artt. 2206, co. 2, e 2384-2575 bis c.c., sia la necessaria sussistenza di un rapporto di subordinazione tra preposto e organo amministrativo.
Sotto diverso profilo potrebbe ragionarsi, ma il tema può in questa sede solo essere enunciato, in ordine all’ammissibilità della preposizione di un institore all’esercizio di uno specifico affare ai sensi dell’art. 2447 bis, lett. a), c.c. In tale ipotesi il limite dei poteri dell’institore dovrebbe individuarsi negli atti estranei all’affare (Scano, A.D., Gli atti estranei allo specifico affare, Torino, 2010, 89 ss. e 199 ss.).
L’art. 2396 c.c. disciplina, seppur in modo frammentario, la figura dei direttori generali (per tutti, v. Abbadessa, P., Il direttore generale, in Tratt. Colombo-Portale, 1991, IV, 463 ss.) equiparandone il regime di responsabilità a quella degli amministratori; il direttore generale preposto all’esercizio dell’impresa, di un ramo o di una sede viene generalmente qualificato come institore, ma tra le due figure non vi è coincidenza necessaria giacché, da un lato, al direttore generale potrebbero in concreto non essere attribuiti poteri di rappresentanza bensì esclusivamente compiti e funzioni di rilevanza interna (contra Abbadessa, P., op. cit., 462, nt. 4), ovvero essere conferito un potere di rappresentanza per singoli affari; dall’altro lato, può esservi un institore preposto all’esercizio di un’impresa organizzata in forma societaria privo della qualifica di direttore generale (ponendosi in tal caso il problema dell’applicabilità al preposto degli artt. 2392 ss. su cui può rinviarsi alla trattazione sull’amministratore di fatto).
3. I procuratori
I procuratori (nella prassi e nella contrattazione collettiva individuati come “funzionari”) sono preposti ad un determinato settore dell’impresa (es. vendite o acquisti; rapporti con i clienti; marketing; rapporti con il personale, etc…). In ragione della sintetica formulazione dell’art. 2209 c.c., la dottrina ha approfondito la figura del procuratore enucleandone tre requisiti: a) esistenza di un rapporto continuativo con l’imprenditore (è invece controversa la necessità dell’ulteriore requisito della subordinazione; in senso positivo Costi, R., Procuratori, in Nss.D.I., XIII, Torino, 1966, 1250; contra, Bonelli, F., Studi in tema di rappresentanza e di responsabilità dell’imprenditore, Milano, 1968, 410); b) attribuzione del potere di compiere atti pertinenti all’esercizio dell’impresa; c) assenza di una preposizione all’esercizio dell’impresa nel suo complesso.
Tuttavia le obiettive incertezze applicative in ordine alla sussistenza del requisito sub c) ed alla distinzione tra institore preposto ad un ramo d’impresa e procuratore hanno indotto parte della dottrina (Sarale, M., Procuratore, in Dig. comm., XI, Torino, 1995, 383) ad affermare l’imputabilità all’imprenditore degli atti esorbitanti le mansioni del procuratore, allorquando siano stati omessi gli adempimenti pubblicitari del caso, salva la prova dell’effettiva conoscenza in capo al terzo del difetto di potere (secondo Cass., 19.2.1993, n. 2020, la preposizione a singole articolazioni dell’impresa, ancorché dotate di una certa autonomia operativa, non è qualificabile come preposizione institoria; tuttavia la pronunzia citata, in applicazione dei principi dell’apparenza del diritto e dell’affidamento, ha ritenuto imputabile all’imprenditore la transazione stipulata dal preposto all’ufficio vendite in ordine ai vizi di un prodotto venduto).
Si ritiene comunque che i procuratori, la cui nomina è frequente nelle imprese bancarie, siano titolari di poteri gestori e di un’autonomia decisionale qualitativamente non difformi da quelli dell’institore seppur, come detto, limitati ai settori assegnatigli. In ogni caso, a differenza degli institori, i procuratori non sono tenuti agli adempimenti concernenti la tenuta delle scritture contabili e le iscrizioni nel Registro imprese.
In merito alla fonte del potere rappresentativo dei procuratori la giurisprudenza di legittimità (Cass., 13.9.1997, n. 9131 e Cass., 18.10.1991, n. 11039) qualifica il potere rappresentativo dei procuratori quale effetto naturale della loro collocazione nell’organizzazione dell’impresa, indipendentemente dal conferimento di una procura; in difetto di iscrizione della procura, tali ausiliari hanno quindi poteri rappresentativi (sostanziali e non processuali) di portata generale, sebbene tale generalità vada parametrata non alla complessiva gestione, bensì allo specifico settore di riferimento.
4. I commessi
I commessi sono collaboratori subordinati, cui sono affidate mansioni esecutive e (di norma ma non necessariamente) materiali che li pongono in contatto con i terzi (es. impiegati di banca addetti agli sportelli; commessi di negozio; camerieri). Secondo quanto costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità (v., da ultimo, Cass., 29.11.2005, n. 26048) la qualifica di commesso non discende dalla contemplatio domini, né dall’effettivo conferimento di poteri rappresentativi, bensì dal concreto affidamento al collaboratore dell’imprenditore di mansioni che implicano, secondo una valutazione di normalità e tipicità sociale ed economica – ciò che, in termini processuali integra un’indagine di fatto rimessa al giudice del merito e insindacabile in sede di legittimità (Cass., 7.11.1975, n. 3772) – il compimento di atti in rapporto con i terzi. In applicazione di tale parametro di tipicità sociale, nell’attuale contesto economico, la qualità di commesso dovrebbe tendenzialmente riconoscersi sia alla risalente (e in via di estinzione) figura del commesso viaggiatore, sia ai sempre più numerosi operatori di telemarketing e teleselling, addetti a contattare telefonicamente i potenziali clienti dell’impresa ed a stipulare con i medesimi, tramite tecniche di contrattazione a distanza (artt. 50 ss., d.lgs. 6.9.2005, n. 206), i contratti di vendita o erogazione di beni o servizi.
Tali ausiliari sono titolari di poteri di rappresentanza derivanti dal loro inserimento nell’organizzazione aziendale ma, a differenza dell’institore e dei procuratori, hanno un ruolo solo esecutivo e non hanno attribuzioni gestorie. I poteri rappresentativi comprendono gli atti che secondo prassi afferiscono alle operazioni di cui sono incaricati (per es. incasso del prezzo delle merci vendute); in mancanza di un regime di pubblicità legale le limitazioni ai poteri del commesso saranno quindi opponibili ai terzi solo se portate a conoscenza con mezzi idonei (ad es. avvisi o comunicazioni alla clientela) o se venga provata l’effettiva conoscenza.
Gli artt. 2210, co. 2, 2211 e 2213 c.c. dettano diversi specifici limiti legali ai poteri rappresentativi dei commessi, salva espressa autorizzazione, in ordine alla esazione del prezzo, alla concessione di sconti o dilazioni (che non siano d’uso) ed alla deroga alle condizioni generali di contratto.
I commessi hanno infine dei poteri di rappresentanza processuale, seppur limitata ai procedimenti cautelari; v. art. 2212, co. 2, c.c., che ricalca l’art. 1745, co. 2, c.c. in materia di agenzia, e 77 c.p.c.)
Fonti normative
Artt. 2203 ss., 425, 1387 ss.; 1400, 1705, 2086, 2094, 2104, 2105, 2138, 2188 ss., 2194, 2196, 2197, 2209, 2210, 2211, 2212, 2213, 2298, 2384, 2396, 2423 ss., 2447 quinquies, 2475, 2475 bis, 2478, 2621 ss. c.c.; art. 77 c.p.c.; art. 227 ss. r.d. 16.3.1942, n. 267; art. 12 r.d. 14.12.1933, n. 1669; art. 15 r.d. 21.12.1933, n. 1736.
Bibliografia essenziale
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