RAPPRESENTANZA
. Gli atti giuridici possono venire direttamente compiuti dallo stesso soggetto al quale il diritto imputa i diritti e gli obblighi che ne derivano, o possono venir compiuti da un soggetto giuridico diverso: si ha allora uno sdoppiamento tra chi compie l'atto e chi invece diviene titolare dei suoi effetti.
La situazione è profondamente diversa, quando il soggetto compie pur sempre l'atto, ma si serve di un soggetto diverso solo per manifestare la propria volontà, utilizzando quindi l'intermediario alla stessa stregua di uno strumento materiale, quale una lettera. È quest'ultima l'ipotesi del nuntius. Il nuntius non compie personalmente nessun atto giuridico; è il semplice organo di trasmissione di una dichiarazione altrui, così come lo potrebbe essere una lettera o un telegramma. Egli non fa che manifestare una volontà altrui, non esprime una volontà propria.
Il primo caso, invece, è quello della rappresentanza. Il rappresentante esprime una volontà propria; gli effetti della sua dichiarazione vengono imputati al rappresentato, ma la volontà è quella del rappresentante. Questa situazione può derivare da due cause profondamente diverse. Può essere che il soggetto di diritto sia incapace di compiere atti giuridici; è questo il caso degl'incapaci e delle persone giuridiche. In detti casi la rappresentanza è ovviamente necessaria e viene imposta dalla stessa legge, per quanto la designazione della persona del rappresentante possa anche in qualche caso esser rimessa alla volontà privata. Ma l'ordinamento giuridico può anche ammettere che un soggetto di diritto conferisca ad altri il potere di operare in suo nome, e quindi duplichi, per dir così, la sua capacità di agire. Il rappresentato conserva, allora, intatta la sua capacità di agire, alla quale non potrebbe legittimamente rinunciare, ma inoltre ha a sua disposizione la capacità di agire del rappresentante. Si può forse ravvisare in questa ipotesi la costituzione di un potere giuridico, del quale viene a essere investito, per legge o per volontà della parte, il rappresentante: potere in base al quale questi può compiere validamente atti giuridici i cui effetti risalgono al rappresentato, come se questi li avesse compiuti personalmente.
Vi sono atti giuridici che non sono suscettibili di essere compiuti a mezzo di rappresentante (secondo il diritto civile italiano, ad esempio, il matrimonio, a differenza di quanto ha luogo nel diritto canonico), ma in via generale tutti gli atti, almeno in genere quelli di diritto patrimoniale, si possono compiere a mezzo di rappresentante. Bisogna, anzi, tener presente che la rappresentanza può non solamente essere attiva, ma anche passiva, sì che gli atti giuridici possono esser compiuti in confronto del rappresentante con quegli stessi effetti, almeno in linea generale, che seguirebbero ove fossero compiuti nei diretti confronti del rappresentato.
Generalmente si parla di rappresentanza con riferimento ai soli negozî giuridici, e certo nel campo dei negozî giuridici la rappresentanza ha maggiore importanza. Ma è bene notare che la rappresen-anza costituisce un istituto generale per tutti gli atti giuridici, sia del diritto privato, sia del diritto pubblico.
L'ammissibilità della rappresentanza volontaria costituisce una conquesta relativamente recente nell'evoluzione giuridica. Nel diritto romano non era, originariamente, ammessa la rappresentanza. L'amministratore (o tutore, o curatore, o procuratore, o mandatario, o gestore di negozî) acquistava per sé e obbligava direttamente sé stesso, e, perché le conseguenze dell'atto andassero a favore o a carico dell'amministrato, doveva intervenire un altro negozio o rapporto all'uopo tra questo e l'amministratore. La facoltà di amministrare non implicava la facoltà di rappresentare. Le cause di ciò sono da ricercare essenzialmente nell'organismo autonomo della familia romana e nella conseguente repugnanza di delegare a persone estranee alla familia la volontà del paterfamilias. D'altra parte, se per extraneam personam nihil adquiri potest, il paterfamilias, in ordine agli acquisti, aveva i suoi migliori rappresentanti di fatto nei proprî soggetti, filiifamilias e servi, che acquistavano al patrimonio familiare e al paterfamilias necessariamente. Le esigenze commerciali introdussero via via, già nel diritto classico, importanti deviazioni all'originario principio del ius civile, le quali crebbero di numero nel diritto giustinianeo: ma un riconoscimento generale e pieno della rappresentanza non si ebbe neppure in questo diritto.
L'ammissione della rappresentanza in via generale venne dapprima elaborata dai canonisti, e dal diritto canonico passò nel diritto comune e poi in quello moderno, dove costituisce uno degli strumenti più potenti di progresso giuridico e uno dei mezzi più usati nelle contrattazioni quotidiane.
Poiché è il rappresentante che compie l'atto giuridico, è ovvio che il negozio giuridico compiuto a mezzo di rappresentante (negozio rappresentativo) sia appunto compiuto in base alla manifestazione di volontà del rappresentante. È, dunque, a questa manifestazione di volontà che si deve aver riguardo. Per l'applicazione delle regole sulla localizzazione del contratto nel tempo e nello spazio (art. 36 cod. comm.), si deve, così, tener conto del luogo e del momento nel quale si è avuta tale manifestazione di volontà. Ed è sempre a questa manifestazione che si deve aver riguardo nel giudicare della sussistenza di uno dei vizî del consenso, come dello stato di buona o mala fede del soggetto.
Giustamente però si insegna, sancendo una fondamentale esigenza di probità, che il rappresentato non potrebbe approfittare della buona fede del rappresentante per risultati che egli non potrebbe raggiungere direttamente, data la sua mala fede.
Gli effetti del negozio giuridico risalgono al rappresentato, ed è perciò che nel rappresentante volontario si nchiede la semplice capacità naturale, mentre si richiede nel rappresentato la capacità legale. Si richiede la capacità naturale nel rappresentante, giacché questa è il presupposto perché egli possa manifestare un serio consenso; non si richiede invece la capacità legale, dato che questo requisito è posto per impedire a chi non è in quell'età e in quelle condizioni, che sono il presupposto per la manifestazione di un consenso giuridicamente perfetto, di disporre dei proprî interessi; e nell'ipotesi del negozio conchiuso a mezzo di rappresentante gli interessi, dei quali si dispone, sono quelli del rappresentato e non quelli del rappresentante. La capacità legale, pertanto, deve richiedersi non nel rappresentante, ma nel rappresentato, quando la rappresentanza si fonda su una procura rilasciata al rappresentante; la sua mancanza nel rappresentato costituirebbe un vizio della procura.
Perché gli effetti del negozio conchiuso dal rappresentante facciano capo al rappresentato sono necessarî due requisiti: che il rappresentante agisca come tale (contemplatio domini), cioè si presenti al terzo come rappresentante, e che il rappresentante abbia effettivamente il potere di rappresentanza. Questo può derivare dalla legge o dalla volontà delle parti; in questo secondo caso la rappresentanza è fondata su una procura.
La procura costituisce, appunto, quel negozio col quale viene conferita la rappresentanza: negozio ben distinto, dunque, da quello posto in essere dal rappresentante. È negozio unilaterale, perché sorge per la manifestazione della sola volontà del rappresentato; è negozio recettizio, perché deve per la sua perfezione essere comunicato al rappresentante. Esso, naturalmente, può essere viziato: in questo caso il negozio conchiuso dal rappresentante sarà irrilevante per il rappresentato (o potrà essere da questo impugnato salvo, ove sussista, la responsabilità del rappresentante verso il terzo).
La dottrina moderna, nella lenta elaborazione della teoria della rappresentanza, ha reso sempre più evidente l'autonomia della procura dal negozio giuridico rappresentativo (quello, cioè, conchiuso dal rappresentante), come la distinzione della procura dal contratto cui eventualmente accede: generalmente, il mandato.
Vi può, difatti, essere una procura senza alcun contratto, e in particolare senza mandato, come nei casi numerosissimi nei quali viene nominato un rappresentante, senza che questi sia comunque obbligato a compiere quegli atti per i quali gli viene conferita la rappresentanza. Vi può anche essere, e ne è esempio la commissione commerciale (v. anche art. 1744 cod. civ.), un mandato senza rappresentanza, nel quale il mandatario agisce in proprio nome di fronte ai terzi, salvo poi a trasmettere al mandante gli effetti dei negozî da lui compiuti. Si parla in questa ipotesi di rappresentanza indiretta. Vi può essere, infine, una procura che, anziché accedere a un mandato, acceda a una locazione di opere, come accade per moltissimi impiegati. Dunque, la procura rimane un negozio distinto, diretto esclusivamente al conferimento della rappresentanza; negozio autonomo rispetto all'eventuale contratto interno, che può poi sussistere tra rappresentante e rappresentato e che disciplina i loro obblighi e i loro diritti.
Vale per il negozio della procura, come per gli altri negozî unilaterali, in linea generale, la regola della libertà delle forme. Potrà, quindi, essere scritta o verbale, espressa o tacita (ad esempio, con la consegna di una fattura quietanzata, mettendo qualcuno alla cassa e via dicendo). Se però essa viene conferita per scritto, anche le sue limitazioni dovranno essere sanzionate per scritto; incomberà altrimenti al rappresentato la prova della loro conoscenza da parte del terzo, quando questi invochi l'esistenza di una procura scritta alla quale non risultano apposti limiti. Essendo distinta dal negozio rappresentativo, la procura non è sottoposta alle forme richieste per quest'ultimo. A questa regola si fa eccezione per le comprevendite immobiliari, nelle quali la procura deve venir data per scritto, e ciò per l'esplicita disposizione del r. decr. legge 7 gennaio 1926, n. 12.
La procura può essere generale o limitata: il terzo deve informarsi, e il rappresentante deve informare il terzo, dei limiti della procura, perché fuori della procura cessa il potere del rappresentante, e pertanto la responsahilità del rappresentato.
I limiti della procura non devono venire confusi con le eventuali istruzioni date dal rappresentato al rappresentante; queste dànno luogo solamente a un rapporto interno tra rappresentante e rappresentato, che non ha rilevanza per il terzo, e la loro violazione potrà dar luogo solamente ad azione del rappresentato verso il rappresentante.
Generalmente la rappresentanza viene conferita nell'interesse del rappresentato e ben si comprende pertanto come, quando è volontaria, essa sia revocabile ad arbitrio del rappresentato. Non si deve però, forse, escludere una rappresentanza conferita nell'interesse del rappresentante o almeno anche nell'interesse di questo. Si va sempre più imponendo la convinzione dell'irrevocabilità della procura in questa ipotesi o, più probabilmente, dell'obbligo del rappresentato di risarcire i danni in caso di revoca della procura.
Il rappresentante potrebbe abusare della procura conferitagli. Finché egli agisce nei limiti della procura, sia pure per scopi differenti da quelli per cui la procura gli è stata conferita, il negozio da lui conchiuso è pienamente valido anche pel rappresentato, salva la sua responsabilità verso il medesimo per l'abuso commesso.
Potrebbe il rappresentante, pur agendo in nome del rappresentato, eccedere dai limiti della procura, o addirittura essere un falso rappresentante (falsus procurator), che agisce senz'alcuna procura. In quest'ipotesi il negozio da lui conchiuso non esiste per il rappresentato, il quale non incorre in nessuna responsabilità nei confronti del terzo. Il terzo potrà solamente agire verso il rappresentante, invocando la responsabilità di questo per avergli fatto credere la sussistenza di una procura che, invece, non esisteva o esisteva in limiti diversi.
Un'ipotesi di eccesso è quella del rappresentante che agisce trovandosi in conflitto d'interessi col rappresentato; ad esempio, perché egli si rende acquirente di quella stessa merce che vende come rappresentante del venditore. Quest'ipotesi non rappresenta un'impossibilità logica e giuridica, ma un pericolo per il rappresentato, che si trova così posto in balia del rappresentante. Si comprende quindi perché, fatta eccezione per quei casi nei quali nessun danno può derivare al rappresentato (come quando la merce ha un prezzo di borsa c viene venduta per detto prezzo), il conflitto d'interessi faccia venir meno nel rappresentante il suo potere rappresentativo.
Il dominus può ratificare il negozio compiuto dal rappresentante eccedendo i limiti della procura o quello compiuto dal falsus procurator e porre quindi in essere posteriormente quel requisito che mancava inizialmente. Il negozio rappresentativo, in tal caso, viene convalidato successivamente. Anche la ratifica, come la procura, non è in linea generale legata ad alcuna esigenza di forma: l'art. 357 cod. comm., anzi, dichiara che, quando il rappresentante ha ecceduto i limiti della procura, l'eccesso s'intende come ratificato se il rappresentato tace dopo aver ricevuto il rendiconto dal rappresentante. Si suole in questo caso parlare da molti, e a ragione, di condicio iuris, ammettendo l'efficacia retroattiva della ratifica; da altri invece si negano tanto questa conseguenza, quanto l'applicazione della teoria della condicio iuris al caso in esame.
D'ordinario il rappresentante agisce per una persona determinata; può tuttavia in alcuni casi agire per persona indeterminata e che si riserva di nominare in seguito, pur dichiarando la propria posizione di semplice rappresentante, e valgono allora regole particolari a tutela dei terzi (cfr. art. 31 cod. comm.).
V. anche commesso di negozio; institore; mandato; ratifica.
Bibl.: F. Hellmann, Die Stellvertretung in Rechtsgeschäften, Monaco 1882; L. Mitteis, Die Lehre von der Stellvertretung, Vienna 1885; L. Tartufari, Della rappresentanza nella conclusione dei contratti, in Arch. giur., XLIV (1890), p. 421 segg.; XLVI (1891), p. 107 segg.; S. Schlossmann, Die Lehre von der Stellvertretung, Lipsia 1900; A. Nattini, La dottrina generale della procura, Milano 1910; G. Pacchioni, Le teorie moderne sulla rappresentanza, in Baudry-Lacantiniere, Trattato di dir. civ. (trad. it., Milano s. d., I contratti aleatori ecc., addiz. 2ª, p. 755 segg.); id., Corso di dir. rom., 2ª ed., Torino 1920, II, p. 282 segg.; C. Vivante, Trattato di dir. commerc., 5ª ed., Milano 1922, I, p. 262; A. Graziani, La rappresentanza senza procura, Napoli 1927; Alfr. Rocco, Principii di diritto commerciale, Torino 1928, p. 311; S. Riccobono, Lineamenti della dottrina della rappresentanza diretta, in Studi in onore di C. Vivante, Roma 1931, II, p. 125 segg.; A. Sraffa, Del mandato commerciale e della commissione, 2ª ed., Milano 1933; R. De Ruggiero, Istituzioni di diritto civile, 7ª ed., Messina 1934, I, p. 263; O. Lenel, Stellvertretung und Vollmacht, in Ihering's Jahrbücher f. die Dogm., XXXVI, p. 113 segg.; Schliemann, Bieträge zur Lehre von der Stellvertretung, in Zeitschr. für das ges. Handelsrecht, XVI, p. i segg.
Rappresentante di commercio.
Questa designazione, propria della pratica mercantile, indica quegli intermediarî (più propriamente detti agenti di commercio) che si obbligano a porre la loro attività a disposizione di uno o più commercianti (onde si distinguono dai mediatori) in una determinata zona territoriale per segnalare la possibilità di affari, agevolarne e provocarne la conclusione, curare l'introduzione di un prodotto sul mercato, ecc. Nonostante il nome, essi non sono generalmente investiti di rappresentanza e i contratti vengono conclusi direttamente dal terzo col commerciante, spiegando l'agente solo un'attività volta a facilitarne la conclusione. Non infrequentemente tuttavia gli agenti di commercio sono forniti di una limitata rappresentanza passiva (ai fini, ad esempio, di ricevere le denunce per i vizî della merce venduta), meno frequentemente di una limitata rappresentanza attiva (ai fini di esigere somme); raramente, della facoltà di conchiudere contratti in nome del principale. Lo sviluppo delle comunicazioni postali, telegrafiche e telefoniche ha provocato nella seconda metà del sec. XIX e nel XX il sempre maggiore sviluppo di questa categoria di intermediarî, che ha spesso sostituito quella dei commissionarî, permettendo ai commercianti di seguire l'andamento dei varî mercati e curare ovunque l'introduzione dei propri prodotti, pur conservando la possibilità di decidere direttamente in ordine alla conclusione dei contratti, senza conferire all'uopo poteri di rappresentanza ad ausiliarî estranei all'azienda e senza conchiudere contratti di commissione.
È clausola d'uso quella che ritiene che gli agenti di commercio s'impegnino a non trattare affari per commercianti concorrenti e che essi d'altro canto abbiano diritto a che il commerciante non si serva di altro agente nella stessa zona (clausola di esclusiva). Sono retribuiti a provvigione sugli affari conclusi a loro mezzo o eventualmente anche su quelli conclusi senza il loro intervento, ma nella zona territoriale di loro esclusiva; la provvigione viene generalmente corrisposta sui soli affari andati a buon fine e cioè non solo regolarmente conchiusi, ma anche regolarmente e integralmente eseguiti, salvo che l'inadempimento non sia dovuto a colpa del commerciante per il quale l'agente si è interessato e nei confronti del quale ha diritto alla provvigione.
Stabilmente addetti al servizio di una o più case commerciali, gli agenti possono tuttavia godere di una completa autonomia nell'organizzazione della prtipria attività; possono a loro volta organizzare delle agenzie di affari con proprî impiegati. È la presenza o la mancanza dell'autonomia quella che fa degli agenti di commercio dei commercianti (in quanto compiono gli atti di commercio di cui all'art. 3, n. 21, e, tenendo presente la analogia economica, n. 22, cod. comm.) o invece degli impiegati delle case commerciali per conto delle quali operano.
Sindacalmente gli agenti di commercio sono inquadrati in una federazione autonoma dipendente dalla confederazione del commercio.
Bibl.: C. Vivante, Trattato di diritto commerciale, 5ª ed., Milano 1922, I, p. 309; Schmidt-Rimpler, Der Handlungsgagent, in Ehrenberg Handbuch des ges. Handelsrechts, I, parte 1ª, Lipsia 1928; W. Bigiavi, Sul concetto di agente di commercio, in Studi urbinati, 1931; E. Molitor, Sul concetto dell'agente di commercio, in Studi in onore di Cesare Vivante, Roma 1931, II, p. 37.
Rappresentanza professionale.
Gl'interessi solidali dell'attività professionale sono tutelati, nel sistema sindacale introdotto dal fascismo, mediante associazioni sindacali legalmente riconosciute che vivono entro le singole categorie professionali e con la propria attività le rappresentano legalmente, conciliando l'interesse delle categorie stesse con quello dello stato. Infatti, nella capacità di diritto pubblico delle associazioni professionali riconosciute, rientrano due manifestazioni del concetto di potestà: il potere di sovranità e il potere di rappresentanza. Concessi dallo stato, questi poteri costituiscono una potestà derivata, e sono i due strumenti col sussidio dei quali le associazioni riconosciute attuano le loro funzioni, consistenti nel tutelare un interesse insieme proprio e altrui (della categoria e dello stato).
Il potere di rappresentanza è conferito, come si esprime l'art. 5 legge sindacale 3 aprile 1926, alle "associazioni legalmente riconosciute" che il testo della legge distingue dalle "federazioni o unioni di più associazioni e confederazioni di più federazioni": così se ne dovrebbe derivare che il potere di rappresentanza spetta solo alle associazioni di primo grado (associazioni dette appunto "di categoria"), le quali vivono entro la categoria, a diretto contatto con essa. E in realtà questo risulterebbe anche dagli statuti federali e confederali 16 agosto 1934, nei quali è detto che le confederazioni hanno solo la rappresentanza globale di tutte le categorie inquadrate.
L'attribuzione di questa potestà di rappresentanza professionale è logica conseguenza della norma per cui basta un decimo dei lavoratori o dei datori per la costituzione di un'associazione sindacale, cosicché una parte della categoria rimane fuori dall'organismo sindacale. È chiaro che quel potere non sarebbe stato necessario se l'iscrizione all'associazione fosse obbligatoria, cioè se l'associazione coincidesse pienamente con la categoria. D'altra parte il monopolio sindacale (il riconoscimento di una sola associazione sindacale per ciascuna categoria) è una conseguenza, sia dei poteri di diritto pubblico attribuiti a essa, sia, anche, della rappresentanza di categoria. Soprattutto importante è il rapporto con la categoria: la rappresentanza professionale concessa ai sindacati è l'affermazione giuridica e lo strumento della solidarietà e della comunanza di interesse nel seno della categoria. Più ancora: è il mezzo col quale l'associazione concorre alla disciplina corporativa della produzione e al conseguimento di quei fini che vanno oltre il limite della categoria, in quanto sono fini dello stato.
Si comprende che, in primo luogo, è il mezzo per l'attuazione dell'interesse professionale solidale della categoria (di datori di lavoro o di lavoratori). Che questa solidarietà inducesse anche prima dell'avvento del sindacalismo fascista i non iscritti nell'associazione a non agire in senso contrario, non è dubbio. È naturale che, dove questa solidarietà più esiste e il sindacalismo meglio si afferma, anche gl'individui non sindacati si attengano alla linea di condotta escogitata dal gruppo sindacato. L'azione energica e fattrice di questo si riverbera su tutti i datori di lavoro o i lavoratori di un determinato ramo di attività, perché a substrato di essa sta un interesse assai più largo che eccede i limiti del sindacato: anzi, già in passato su questa base si era tentato di giustificare l'espansione giuridica dei contratti collettivi di lavoro.
Questa potestà legale di rappresentanza professionale, per quanto sia una profonda innovazione dovuta al fascismo, non è dunque una concessione così anormale come può credersi. È però vero che si tratta di una potestà tipica (a differenza della potestà d'impero) di questi particolari enti pubblici che sono i sindacati legalmente riconosciuti. Essa è certo l'effetto più appariscente della capacità giuridica ai sindacati attribuita; l'art. 5 della legge sindacale 3 aprile 1920 lo mette in evidenza, ricollegando alla concessione della personalità, cioè della capacità, proprio quel particolare potere. Questo rivela il pensiero legislativo: la potestà generale di rappresentanza è appunto la manifestazione, o meglio, lo strumento più tipico di questa capacità di diritto delle associazioni riconosciute. Tanto che in più modi se ne è esaltata l'importanza. Soprattutto - ma a torto - si è visto in questo potere un "titolo generale" che comprenderebbe in sé la fonte di tutta una serie di poteri e funzioni, tra cui anche quello di imporre contributi: e in questo senso parrebbe potersi addurre - oltre la formulazione del cit. art. 5 comma primo - anche l'abitudine di sintetizzare nella rappresentanza il rapporto che in generale lega l'associazione alla categoria.
Quanto alla portata di questa rappresentanza professionale, può essere dubbio che il raggiungimento di un fine pubblico (dello stato) - se non è limite naturale alla capacità giuridica delle associazioni sindacali riconosciute, così da escluderla quando esse agiscano per un interesse che è solo dei soci e non di tutta la categoria - sia per lo meno un limite all'esercizio di quella capacità, in relazione all'esercizio della rappresentanza. Noi crediamo che questa potestà non abbia l'ampiezza della personalità giuridica, ma sia solo un mezzo per il conseguimento di determinate finalità, quelle appunto assegnate alle associazioni riconosciute: ciò si ricava dall'art. 22 del regolamento sindacale 1° luglio 1926, comma 2°. È quanto accade anche nel campo del diritto privato, dove le facoltà del rappresentante hanno dei limiti (cfr. art. 1741 cod. civ.; 370 cod. comm., ecc.). Perciò in generale si può dire che la rappresentanza professionale si estende fin dove arrivano gli scopi delle associazioni sindacali, che sono soprattutto diretti alla tutela professionale e assistenziale della categoria.
Quanto al contenuto di questa complessa potestà di rappresentanza professionale si può dire che è tutta quanta l'attività assegnata alle associazioni. Quella potestà è solo lo strumento formale per l'esercizio del potere di amministrazione in relazione agli scopi più concreti, cui quella potestà generale deve servire. Sotto questo aspetto anche la rappresentanza del diritto privato può avere carattere analogo, quando sia conferita non per uno scopo determinato (la formazione di un negozio giuridico), ma in modo generale.
Nel caso nostro, quel potere di rappresentanza, che è certo il caposaldo nella capacità di diritto pubblico delle associazioni riconosciute, si concreta principalmente: nella stipulazione del contratto collettivo, nella rappresentanza processuale, nella designazione dei rappresentanti di categoria nei consigli.