RAPPRESENTANZA (XXVIII, p. 839; App. I, p. 960)
Nel codice civile del 1942 l'istituto della rappresentanza ha ricevuto una disciplina distinta dal mandato, per la considerazione che la rappresentanza può derivare da rapporti diversi, quali la società, la locazione di opere, la tutela, la patria potestà. Siffatta considerazione presiede quindi alla regolamentazione unitaria della rappresentanza convenzionale e di quella legale.
Elemento peculiare della rappresentanza è l'agire in nome e per conto del rappresentato. La diretta ed automatica ripercussione nel rappresentato degli effetti del negozio posto in essere dal rappresentante ha per presupposto razionale la dichiarazione di volontà del rappresentato, concretata nella procura, onde la validità del negozio rappresentativo è in correlazione con la capacità legale del rappresentato e con la sua abilitazione al contratto, mentre basta che il rappresentante sia munito della capacità d'intendere e di volere.
La rappresentanza volontaria si esprime nella procura che deve rivestire l'identica forma che la legge prescrive per il negozio principale e che deve essere esibita al terzo che intende conoscere la veracità e l'estensione dei poteri conferiti al rappresentante. Dal presupposto che il negozio rappresentativo derivi dalla volontà prestata dal rappresentante, discende che la validità dell'atto è subordinata all'assenza di vizî (errore, violenza, dolo, scienza o ignoranza, buona e mala fede) nel volere del rappresentante. Se il vizio inerisce alla volontà del rappresentato, dovrà tenersi conto della persona di costui, solo nel caso che il negozio sia stato realizzato in base alle istruzioni da lui date o quando il vizio concerne elementi da lui stesso predeterminati.
A tutela dell'affidamento del terzo ed in ossequio al principio dell'apparenza del diritto, la legge sancisce l'inopponibilità al terzo di buona fede delle modificazioni, della revoca e delle altre cause di estinzione del potere di rappresentanza, che non siano state portate a sua conoscenza.
Ripugna all'istituto della rappresentanza che tra rappresentante e rappresentato sussista conflitto d'interessi. La sanzione che la legge appresta è quella dell'annullamento dell'atto.
La mancanza di poteri rappresentativi in colui che agisce come falsus procurator o l'esorbitanza dalle facoltà conferitegli vietano l'attribuzione degli effetti del negozio compiuto o dell'eccesso al preteso rappresentato, giacché l'atto compiuto senza poteri o in eccesso rappresentativo è frutto della sola volontà del rappresentante.
In tali ipotesi, sempre per l'affidamento fatto dal terzo sull'esistenza dei poteri, il legislatore in linea generale ha chiamato responsabile il falsus procurator dei danni che il terzo contraente ha sofferto, mentre in casi particolari lo ha ritenuto direttamente obbligato all'esecuzione in forma specifica della prestazione promessa (art. 1890 cod. civ. per l'assicurazione in nome altrui; art. 11 r. decr. 14 dicembre 1933, n. 1669, per la cambiale; art. 14 r. decr. 21 dicembre 1933, n. 1736, per l'assegno bancario).
Nel caso di mancanza di poteri o di eccesso rappresentativo è lasciato al soggetto contemplato come rappresentato di far proprî, con la ratifica, gli effetti del negozio in tal guisa compiuto.
Rappresentanza professionale (p. 841).
La rappresentanza professionale rientrava tra i più essenziali e principali attributi delle associazioni sindacali fasciste. Soppresse queste ultime e abrogato il sistema sindacale corporativo (v. corporativismo; lavoro, in questa App.), alle nuove associazioni sindacali, venutesi liberamente a costituire, difetta naturalmente questo potere, che, oltre ad essere stabilito dalla legge, aveva per base determinati presupposti, essenziale fra i quali l'unicità del sindacato. Allo stato attuale, nella carenza di norme sull'organizzazione sindacale, per cui esistono soltanto, com'è noto, principî fissati dalla nuova costituzione, il potere di rappresentanza delle associazioni sindacali deve ritenersi limitato ai proprî iscritti, in conformità degli statuti e degli accordi degli associati medesimi, anche se quella stessa solidarietà di interessi, che spinge alcuni appartenenti a una determinata categoria a costituire un'associazione sindacale, possa indurre i non iscritti a non agire in senso contrario. D'altra parte il concetto di rappresentanza professionale di categoria non sembra collegabile ad un sistema di libertà sindacale e, di conseguenza, di pluralità di organizzazioni sindacali, quale è appunto quello previsto dalla costituzione italiana. O, per meglio dire, tale potere, in base ai principî stabiliti, sembra in un solo momento ravvisabile, quantunque esso assuma in questo caso un aspetto diverso e possa ritenersi stabilito a determinati effetti: nel momento cioè, in cui i sindacati registrati partecipano unitariamente alla stipulazione di un contratto collettivo, gli effetti del quale, in base all'art. 39 della costituzione, sono valevoli per tutti gli appartenenti alla categoria cui si riferisce. Non è più quindi all'associazione professionale che viene riconosciuto un potere di rappresentanza, ma è alla stessa rappresentanza unitaria dei sindacati registrati che la costituzione attribuisce la potestà d'impegnare la categoria, nei riguardi cioè, sia degli iscritti, sia dei non iscritti alle associazioni. Se pure riflessa nel momento e nell'aspetto più essenziale dell'attività dell'associazione sindacale, e cioè la stipulazione di un contratto collettivo di lavoro, l'importanza di tale attributo appare secondaria rispetto allo scopo principale che si proponeva la costituzione, quello cioè dell'effiicacia erga omnes del contratto collettivo, o meglio concepito unicamente in funzione di tale scopo. E come in altri paesi la sanzione di tale efficacia avviene nei modi più diversi, - attraverso una legge, un atto dell'autorità amministrativa, ecc. - la nuova costituzione italiana ha ritenuto che a tale validità potesse giungersi direttamente attraverso la unitaria rappresentanza sindacale partecipante alla formazione e alla stipulazione del contratto medesimo.