Rappresentazione e attivazione della memoria visiva
La visione degli oggetti è un processo complicato, per lo svolgimento del quale vengono attivati e coordinati neuroni che risiedono in molte aree corticali, tra cui i lobi occipitale, parietale, temporale, prefrontale e la regione limbica. La corteccia inferotemporale, l'ultima area visiva unimodale nel sistema di elaborazione neuronale che va dalla corteccia occipitale a quella temporale, potrebbe essere coinvolta nel riconoscimento degli oggetti. Questa regione, adiacente al lobo temporale mediale, stabilisce con quest'ultimo intricate connessioni anatomiche ed è anche connessa biunivocamente alla corteccia prefrontale. Recenti ricerche suggeriscono che gli input sensoriali che giungono alla corteccia inferotemporale dalla corteccia extrastriata vengano elaborati grazie a segnali di retroazione provenienti dal lobo temporale mediale e dalla corteccia prefrontale.
Introduzione
La percezione è un processo che innesca il recupero di una massa di informazioni associate agli input sensoriali. Immaginate di guardare una mela (fig. 1). Con un' occhiata, vedendo l'oggetto rosso e rotondo, ne ricordate il nome e il sapore, e il fatto che è un frutto. Potreste anche associarlo a un particolare tipo di computer, oppure al fisico lsaac Newton. Potreste anche rievocare un ricordo personale associato in qualche modo alle mele. Il processo cognitivo di recupero di questo tipo di ricordi avviene in un istante. Nei casi in cui non riusciste a raggiungere subito l'informazione in questione, potreste essere in grado di trovarla continuando a richiamare le tracce di memoria. In breve, quando ricevete un input sensoriale, potete utilizzarlo come una parola chiave per attivare la ricerca dell'informazione desiderata nella banca dati immagazzinata nel vostro cervello. Nella vostra mente cosciente entreranno allora le informazioni pertinenti o correlate, e si svilupperà una via di accesso ai dati. In questo saggio tratteremo le osservazioni sperimentali utili per rispondere alle domande che sorgono da questo modo di definire la percezione, con particolare riferimento ai meccanismi della percezione visiva e della memona visiva.
In primo luogo, possiamo chiederei in quale regione del cervello sia localizzata la banca dati in cui sono immagazzinate le informazioni. A questo proposito, si è ipotizzato che la corteccia inferotemporale (lT) costituisca il centro della memoria visiva (Gross, 1972). Le prove a sostegno di questa ipotesi sono state raccolte in primo luogo mediante studi di tipo neuropsicologico. A partire dagli anni Settanta C.G. Gross e collaboratori hanno dato inizio agli studi elettro fisiologici della corteccia lT; successivamente, nel corso degli anni, si è accumulata una buona conoscenza delle caratteristiche dei neuroni appartenenti a quest' area.
In secondo luogo, potremmo chiederei in che modo i neuroni codifichino le tracce di memoria. Recentemente sono state identificate le strutture neuronali correlate alla memoria visiva a lungo termine; i neuroni nei lobi temporali della scimmia potrebbero riflettere delle relazioni associative apprese tra gli stimoli. La maggior parte dei nostri ricordi a lungo termine, di episodi o di oggetti, è organizzata in modo da poter essere richiamata in modo associativo.
L'analisi del processo di recupero delle informazioni memorizzate è il punto chiave di un terzo interessante quesito. Studi sulla corteccia IT della scimmia hanno permesso di identificare i neuroni presumibilmente coinvolti nel processo di recupero delle informazioni memorizzate.
Infine, bisogna chiedersi come si forma la banca dati che costituisce la nostra memoria visiva. È noto, a questo proposito, che danni al lobo temporale mediale (MTL, Mediai Temporal Lobe) provocano amnesia. In questo saggio descriveremo la funzione di tale area e passeremo in rassegna i risultati ottenuti nel nostro laboratorio sul ruolo di MTL in relazione alla corteccia inferotemporale. Studi di visualizzazione funzionale dell' attività del cervello in vivo hanno rivelato che non solo MTL, ma anche altre aree come la corteccia prefrontale, sono coinvolte nelle funzioni di memorizzazione. È dimostrato, infatti, che nell'uomo la corteccia prefrontale si attiva sia durante la codifica che durante il recupero delle tracce di memoria. Infine, a proposito della corteccia prefrontale, discuteremo l'anatomia, gli studi di visualizzazione funzionale del cervello umano e quelli elettro fisiologici effettuati sulle scimmie.
La corteccia inferotemporale e l'elaborazione dell'informazione visiva
I principali input sensoriali al cervello vengono classificati in base alla modalità sensoriale, come per esempio quella visiva, uditiva, tattile-cinestesica, olfattiva, gustativa e autonomica. Nei primi stadi dei processi percettivi, i diversi input sensoriali vengono elaborati in parallelo e in modo simultaneo. Le connessioni anatomiche convergono infine nelle aree associative superiori, multimodali, come il lobo temporale mediale e la corteccia prefrontale. Tra gli input sensoriali, la sensazione visiva fornisce nei primati la fonte di informazione più importante. L'informazione sensoriale visiva, dopo aver ricevuto una prima elaborazione nella corteccia visiva primaria, viene trasmessa ai lobi parietale e temporale attraverso due sistemi anatomici relativamente indipendenti, quello dorsale e quello ventrale.
Il sistema ventrale è costituito da un gruppo di aree, connesse tra loro da un fitto intreccio di fibre, che si origina dalla corteccia visiva primaria (VI) e si estende attraverso le aree V2 e V 4 fino alla corteccia inferotemporale (fig. 2). Si ritiene che questo sistema sia implicato nella visione delle forme e degli oggetti. La corteccia inferotemporale è l'area unimodale gerarchicamente più alta nel sistema di elaborazione dell'informazione nella percezione e nella memorizzazione visive.
Alcuni ricercatori usano l'espressione "corteccia inferotemporale" in senso puramente anatomico, indicando con essa la regione corticale che riveste la superficie inferiore del lobo temporale. In altre circostanze, invece, la stessa espressione indica delle aree visive identificate secondo criteri funzionali, come avviene per VI, V2 o V4. D'altra parte, per "area TE" si intende un'area definita anatomicamente; questo termine fu usato per la prima volta nella suddivisione di G. Bonin e P. Bailey, che divisero la corteccia temporale in 8 regioni: TA, TB, Te, e così via fino a TH. 1T corrisponde di solito all'area TE. Finora, però, non tutti i ricercatori sono concordi sul fatto che 1T comprenda o meno l'area TEO, collocata posteriormente all'area TE. Una descrizione dettagliata della localizzazione anatomica e delle connessioni di queste aree sarà riportata più avanti.
Aspetti neuropsicologici delle lesioni della corteccia inferotemporale nell'uomo e nei primati non umani
L'agnosia visiva è una delle conseguenze di un danno prodotto nel lobo temporale od occipitale. Un paziente agnosico può vedere un oggetto, ma non è in grado di riconoscerlo. Un tipo particolare di agnosia è la prosopoagnosia, causata da lesioni bilaterali nelle zone di confine occipito-temporali. In questa patologia i pazienti sono incapaci di riconoscere le facce familiari. Questi disturbi neuropsicologici forniscono un indizio sulla localizzazione delle aree di associazione visiva nel cervello umano. Recentemente le tecniche di visualizzazione funzionale hanno permesso di analizzare in vivo il cervello umano fin nei dettagli (v. oltre).
Nel 1937, H. Kliiver e P.C. Bucyriferirono di una scimmia che, dopo aver subito la resezione del lobo temporale, mostrava uno strano comportamento, chiamato cecità psichica. La scimmia era in grado di vedere, ma sembrava incapace di riconoscere ciò che vedeva, il che costituiva un modello animale della agnosia visiva. Inoltre, la scimmia non riusciva a trattenersi dall'esaminare ogni oggetto annusandolo o mettendolo in bocca. La scimmia mostrava anche un comportamento sociale e sessuale anomalo caratterizzato da iperattività, ipersessualità e perdita di controllo sulle reazioni emozionali e aggressive. La stessa anomalia fu poi osservata in pazienti umani con lesioni bilaterali del lobo temporale e divenne nota come sindrome di Kliiver-Bucy. Questa sindrome deriva da lesioni bilaterali dell' archicorteccia (di cui fa parte l'amigdala) e del lobo temporale mediale. Studi successivi hanno suggerito che le lesioni corti cali temporali provochino una grave agnosia visiva, e che la distruzione della amigdala alteri il comportamento emotivo e sessuale. Scimmie che avevano subito l'ablazione bilaterale della corteccia inferotemporale (TE e TEO) mostravano una acuità visiva e una soglia per il rilevamento di uno stimolo visivo normali. Queste scimmie, però, non riuscivano a svolgere un compito di discriminazione visiva, in cui dovevano memorizzare un certo oggetto e poi selezionarlo distinguendolo tra altri oggetti irrilevanti (v. il saggio di G. Humphreys, Attenzione selettiva). Le scimmie normali riuscivano invece a risolvere il compito in modo corretto. In alcuni esperimenti svolti negli anni Sessanta, E. lwai e M. Mishkin (1969) lesionarono selettivamente la regione anteriore-posteriore di IT, e dimostrarono che le lesioni posteriori provocavano una menomazione più grave ai fmi dell' apprendimento della discriminazione visiva. Va sottolineato, infine, che l'ablazione di IT provoca una menomazione sia del mantenimento di una discriminazione visiva appresa prima dell'intervento, sia dell' acquisizione di una nuova discriminazione visiva dopo l'intervento.
Anatomia funzionale della corteccia visiva umana
La tomo grafia a emissione di positroni (PET, Positron Emission Tomography) e la visualizzazione (o imaging) a risonanza magnetica funzionale (tMRl,functional Magnetic Resonance Imaging) trovano molte applicazioni nello studio di funzioni cerebrali umane come l'attenzione, la percezione, il linguaggio e la memoria; tali tecniche sono state applicate anche nello studio del sistema visivo. In tal modo, si sono potute localizzare le caratteristiche anatomo- funzionali delle diverse aree che elaborano in parallelo l'informazione visiva. Faremo ora un confronto tra i risultati degli studi di visualizzazione in vivo relativi al cervello umano e quelli relativi al cervello della scimmia. La mappa funzionale dell' area visiva sembra essersi preservata, in qualche misura, nel corso dell'evoluzione dalla scimmia all'uomo. Il lobo occipitale è, sia nel cervello umano che in quello di scimmia, un'area sensoriale che esegue le prime fasi della elaborazione visiva corticale. M.l. Sereno e collaboratori (1995) hanno dimostrato che mediante tMRl si possono localizzare i confini di ciascuna area visiva nel cervello umano, col presupposto che ogni area contenga una rappresentazione retinotopica. Le mappature funzionali così ottenute sono state correlate alle aree visive omologhe, striate ed extrastriate, riscontrate originariamente nelle scimmie (VI, V2, V3, VP e V4); in tal modo è stato possibile localizzare le aree omologhe nelle due specie deputate all'elaborazione di altre informazioni visive, come per esempio la percezione del movimento nell'area V5-MT (Medium Temporal).
Nelle scimmie la rappresentazione retinotopica scompare nella corteccia IT (area TE), per cui non si può trovare l'area omologa umana mediante una mappatura retinotopica. Di conseguenza è necessario un paradigma sperimentale da applicare sia sulle scimmie che sull'uomo. Esperimenti tMRl hanno rivelato un'attività neuronale correlata alla percezione degli oggetti in una regione vicina al confine occipito-temporale, che viene proposta come l'omologa nell'uomo di aree associative visive superiori, come V 4 o TEO, e hanno suggerito la possibilità che tale area possa rappresentare la regione IT del macaco, spostata posteriormente. Una caratteristica interessante della corteccia inferotemporale della scimmia è la presenza di neuroni con meccanismi di attivazione complessi, come quelli attivati soltanto dalla visione di una faccia. Utilizzando PET, tMRI e registrazioni intracraniche di potenziali correlati agli eventi si è cercata l'area del cervello umano attivata da stimoli di questo tipo (Allison et al., 1994). Le regioni sensibili alle facce sono state riscontrate nel giro fusiforme e in quello temporale inferiore, compresa l'adiacente corteccia delimitata dai solchi occipito-temporali. Studi recenti, basati sulla misurazione delle variazioni dinamiche del segnale tMRl, hanno dimostrato che i compiti di memoria di lavoro visiva attivano sia l'area prefrontale che quella occipito-temporale (Courteny et al., 1997). Facce umane sono state usate come stimoli in compiti di corrispondenza differita con lo stimolo campione (DMS, Delayed Matching to Sample, v. il saggio di G. Humphreys, Attenzione selettiva), e si è osservata un'attività transitoria, selettiva rispetto alle facce, nell' area che si estende dal giro fusiforme medio a quello anteriore (area 37 di Brodmann) e nel solco occipitale inferiore (aree 18 e 19 di Brodmann). Nelle scimmie la regione reattiva alle facce non si limita alla corteccia lT (v. oltre). Non si possono quindi effettuare dei confronti diretti, tuttavia regioni come il solco occipitale inferiore e il giro fusiforme inferiore, che manifestano un'attività correlata agli oggetti, potrebbero essere l'analogo umano della corteccia lT della scimmia.
Anatomia della corteccia inferotemporale della scimmia
Nella figura 2 sono illustrate la superficie ventrale e quella laterale di un cervello di scimmia, che evidenziano le aree VI, V2, V4, TEO, TE, TF/TH (corteccia paraippocampale), l'area 35/36 (area peririnale) e la corteccia entorinale. Il confine tra V 4 e TEO corrisponde a una linea verticale sul ramo ascendente del solco occipitale inferiore. L'area TEO è talvolta chiamata PlT (Posterior lnferior Temporal cortex) da alcuni ricercatori (Felleman e Van Essen, 1991). Il confine dorsale di TEO giace all'interno della sponda inferiore del solco temporale superiore (STS). L'area TEO si estende ventralmente sul solco occipito-temporale fino al giro paraippocampale. In quest'area i neuroni sono organizzati in modo debolmente visuotopico, e l'asse orizzontale nello spazio visuotopico corrisponde al bordo caudale, mentre quello verticale corrisponde approssimativamente al bordo anteriore. L'area TE si trova anteriormente aTEO. Il confine tra le aree TE e TEO si prolunga fino all'estremità anteriore del solco temporale mediale posteriore. TE si trova in posizione ventrale rispetto alla sponda inferiore di STS, e si trova in posizione medioventrale vicino alla corteccia peririnale (area 36) e alla corteccia paraippocampale (area TF). L'area che si colloca anteriormente a TE viene chiamata polo temporale. La stessa area è chiamata TG da von Bonin e Bailey, o area 38 da Brodmann, mentre alcuni ricercatori la considerano parte della corteccia peririnale. La linea che congiunge l'estremità anteriore del solco temporale superiore all'estremità anteriore del solco temporale anteriore mediale corrisponde approssimativamente al confine anteriore dell'area TE. B. Seltzer e D.N. Pandya (1978) hanno suddiviso la parte ventrale di quest'area in TE!, TE2 e TE3, e hanno distinto la parte dorsale di TE, che giace nella sponda ventrale di STS, in TEm e TEa basandosi sulla composizione citoarchitetturale e mieloarchitetturale di tali regioni. Altri ricercatori ritengono che sia difficile differenziare le suddivisioni nell'area TE solo sulla base di criteri citoarchitetturali.
L'input principale all'area TEO proviene da V4, e l'input principale di TE proviene sia da TEO che da V 4. Inoltre, la corteccia prefrontale, inclusa l'area 46, la corteccia peririnaIe, la corteccia paraippocampale, il talamo, incluso il pulvinar e i gangli basali, sono reciprocamente connessi a TE e TEO. La corteccia peririnale, TF/TH, il polo temporale e le aree profonde all'interno del solco temporale superiore inviano proiezioni di retro azione verso TE. Nella corteccia prefrontale le cellule che proiettano verso TE sono distribuite allo stesso modo negli strati superficiali e in quelli profondi.
Le aree TE e TEO forniscono gli afferenti principali alla corteccia peririnale (aree 35 e 36 di Brodmann). La connessione mostra un alto grado di convergenza, poiché ogni parte della corteccia peririnale riceve afferenze da tutte le aree appartenenti a TE e TEO. Le aree TF e TH (corteccia paraippocampale) sono situate in posizione caudale rispetto alla corteccia peririnale nel giro temporale inferiore. L'area TF riceve un input cospicuo dalle aree visive unimodali, particolarmente da V 4, TEO e dalla parte caudale di TE. L'area TH riceve un input visivo minore, e non è quasi innervata da TE e TEO; essa riceve invece degli input più intensi dalle aree uditive del giro temporale superiore. A differenza delle altre aree visive (VI, V2, V4, MT, MST, TEO), TE invia fibre direttamente all'amigdala, e le connessioni provenienti dalla parte anteriore di TE sono più dense. TE riceve connessioni dirette efferenti dall'amigdala in misura maggiore rispetto ad altre aree visive, e queste connessioni hanno origine da siti del tutto diversi rispetto alle aree destinatarie degli afferenti di TE. TE riceve anche input da strutture sottocorticali e, a sua volta, invia loro fibre. TE e TEO sono reciprocamente, e bilateralmente, connesse al pulvinar.
Proprietà elettrofisiologiche della corteccia inferotemporale delle scimmie
Proprietà dei campi recettivi e attivazione dei neuroni di IT. - Nella corteccia visiva le risposte funzionali dei neuroni sono determinate da un processo di combinazione e integrazione delle informazioni, che si basa sulla convergenza degli input elementari periferici, su interazioni locali laterali tra sottoregioni della corteccia e su interazioni reciproche e parallele con aree corti cali superiori. In tal modo i processi percettivi estraggono ed elaborano ulteriormente l'informazione utile presente nell'ambiente. Le caratteristiche dei neuroni della corteccia visiva si analizzano di solito studiando le proprietà dei loro campi recettivi. Gli input dei fotorecettori convergono in modo da formare l'opposizione centro-periferia delle cellule retiniche bipolari, che viene trasmessa verso le cellule gangliari della retina e, attraverso queste, verso le cellule del nucleo genicolato laterale. Gli output di queste ultime convergono in modo da creare la selettività rispetto all' orientazione delle cellule semplici nell'area visiva primaria VI. Altri parametri che specificano il campo recettivo sono la selettività rispetto alla direzione, la frequenza spaziale e temporale ottimale, la dominanza oculare e la selettività rispetto alla disparità. Il sistema deputato all'analisi della forma degli oggetti nella corteccia visiva (tab. I) comincia in VI e passa attraverso V2 e V 4, per arrivare fino a TEO e TE (corteccia inferotemporale), come mostrato in figura (fig. 3). La dimensione del campo recettivo aumenta progressivamente lungo questo percorso. Nei livelli che precedono l'area TEO i neuroni sono organizzati in modo retinotopico, mentre nella corteccia n non si osserva una rappresentazione retinotopica. I neuroni appartenenti a IT generano risposte visive; il campo recettivo tipico è bilaterale, possiede un'apertura di 20° o più, e include sempre la regione foveale. Nel campo recettivo vi è una sottoregione che suscita risposte più intense e che comprende sempre la regione foveale. È noto che la risposta a stimoli ipsilaterali diminuisce se si recide il corpo calloso o la commissura anteriore. Molti neuroni rispondono a oggetti complessi, ma non a stimoli semplici come barre di qualsiasi tipo, orientazione, velocità, dimensione o colore. Questi neuroni non rispondono a lampi diffusi di luce. Alcuni sono selettivi rispetto a oggetti colorati, mentre altri sono selettivi rispetto alla tessitura. Oltre a queste caratteristiche relativamente semplici di selettività rispetto agli stimoli, alcuni neuroni richiedono la presentazione di oggetti più complessi per rispondere, tra i quali mani, spazzole, facce, descrittori di Fourier e frattali. Di solito, neuroni anatomicamente vicini tendono a condividere la stessa selettività per la forma, per cui due neuroni la cui attività sia stata registrata simultaneamente da un singolo elettrodo mostrano una selettività più correlata rispetto a quelli la cui attività sia stata registrata da elettrodi distanziati fra loro. I neuroni selettivi rispetto alle facce furono osservati per la prima volta nel fundus di STS (Perret et al., 1982; De Simone et al., 1984), che è diverso da TE, e quest'area venne definita area temporale superiore polisensoriale (STP, Superior Temporal Polysensory), poiché i suoi neuroni rispondono a stimoli uditivi e somatosensoriali, oltre che visivi. Questi neuroni avevano la sorprendente caratteristica di rispondere alle facce di persone diverse e di scimmie diverse, mentre non rispondevano affatto a semplici stimoli geometrici (come barre e bordi), o molto debolmente a oggetti complessi appartenenti ad altre categorie, come le mani. Alcuni di loro rispondevano selettivamente a viste frontali di facce, mentre altri preferivano i profili. Anche nell'area TE si sono trovati neuroni con proprietà simili di selettività rispetto alle facce, e si trattava di neuroni strettamente visivi, la cui risposta non era provocata da segnali di attivazione (arousal) o da altre condizioni emotive.
Comprendere la selettività rispetto alla forma di un neurone della corteccia n è molto difficile, in primo luogo perché non si sa se il neurone è realmente selettivo rispetto a particolari caratteristiche geometriche o meno, e in secondo luogo perché non sono ancora noti i parametri sufficienti a rappresentare tutte le forme che possono essere distinte e riconosciute. I parametri che coprono globalmente lo spettro dei colori o l'orientazione e l'angolo di direzione, per esempio, sono conosciuti, ma che cosa possiamo dire della forma? In termini matematici ogni contorno può essere ricostruito attraverso una combinazione lineare di descrittori di Fourier elementari di frequenza e ampiezza date. Un insieme di stimoli bidimensionali di Walsh (v. il saggio di Hertz, I risultati dell'elaborazione neuronale come fonte dell'informazione) può rappresentare ogni possibile forma alla risoluzione spaziale desiderata. D'altra parte, le risposte neuronali sono marcatamente non lineari, e non si possono trasformare nella somma lineare delle risposte relative a questi insiemi. È molto difficile scegliere un insieme di stimoli che sia rappresentativo di tutte le forme che possono essere riconosciute. Di conseguenza sono stati fatti molti sforzi per sviluppare un metodo logico e sistematico al fine di studiare il meccanismo di codifica delle caratteristiche rilevanti da parte dei neuroni appartenenti a IT.
Un metodo consiste nell'esaminare la selettività della risposta di un neurone a molti oggetti diversi. K. Tanaka e collaboratori (1991), durante la registrazione extracellulare di neuroni lT di scimmie anestetizzate, hanno mostrato agli animali migliaia di oggetti naturali tridimensionali, come facce, topi, decorazioni a forma di stella e mele. Quando trovavano un oggetto che suscitava una risposta neuronale, ne riducevano progressivamente la complessità delle caratteristiche fisiche, finché l'attività della cellula rimaneva invariata. Dopo diversi cicli di riduzione della complessità delle caratteristiche dell' oggetto, gli autori riuscivano a identificare quella necessaria e sufficiente per suscitare una risposta da parte del neurone, e la definivano come caratteristica critica. Gli stessi autori hanno considerato tali neuroni come gli elementi principali per la rappresentazione della forma. Di conseguenza, le caratteristiche critiche sono state considerate un 'alfabeto' della forma.
La combinazione delle caratteristiche critiche determina la forma di un oggetto; la corrispondente risposta della popolazione neuronale codifica l'oggetto. I. Fujita e collaboratori (1992) hanno valutato le modalità di raggruppamento dei neuroni con caratteristiche critiche simili, facendo penetrare l'elettrodo verticalmente od obliquamente, e hanno trovato che tali neuroni erano organizzati verticalmente in raggruppamenti colonnari con un diametro di circa 400 μm. Gli stessi autori hanno stimato il numero di moduli in circa 1000÷2000, suddividendo l'area della corteccia lT in porzioni di 500 x 500 μm². G. Wang e collaboratori (1996) hanno anche applicato metodi di visualizzazione ottica per misurare l'attività in questa regione corticale durante la presentazione di stimoli, aventi alcune delle caratteristiche critiche e di altri stimoli di controllo. Quando differenti oggetti venivano usati come stimoli si osservavano diversi pattern di attivazione di punti scuri, la cui dimensione era circa 0,5 mm. Gli autori hanno paragonato i punti scuri osservati mediante visualizzazione ottica con i risultati di registrazioni elettro fisiologiche, da cui le registrazioni elettro fisiologiche erano state determinate, e hanno sempre trovato un punto scuro in corrispondenza del sito di registrazione relativo alla caratteristica data.
Risposta al colore, alla dimensione, alla posizione, alla rotazione e al contrasto degli oggetti. - È possibile riconoscere la forma degli oggetti, quasi indipendentemente dalla loro dimensione, dalla posizione, dal colore, dal contrasto o dalla tessitura. Lo stesso oggetto, osservato da diverse angolazioni o in diverse condizioni di illuminazione e così via, proietta immagini molto diverse sulla retina e attiva le cellule retiniche in modo diverso. Tali differenze, tuttavia, vengono compensate nei livelli successivi di elaborazione, che sviluppano una rappresentazione centrata sull'oggetto, e non sul punto di vista. Come si può spiegare questa proprietà? La rappresentazione retinotopica dello spazio, per esempio, sembra incompatibile con la teoria di un riconoscimento degli oggetti indipendente dalla posizione. In esperimenti condotti negli anni Sessanta e Settanta (Gross, 1972) è stato dimostrato che la posizione dell'oggetto nell'ampio campo recettivo dei neuroni della corteccia lT non influenzava la selettività rispetto alla forma, anche se gli oggetti che si presentavano nella regione della fovea suscitavano di solito la risposta più intensa. L'ampiezza della risposta di un neurone cambiava a seconda della dimensione dello stimolo: di solito la risposta si intensificava per stimoli di maggiori dimensioni. Alcune cellule rispondevano solo a una dimensione particolare e rispondevano debolmente a stimoli più grandi o più piccoli. Le risposte delle altre cellule si mantenevano invariate su un ampio intervallo di dimensioni, oltre un fattore 64 in casi estremi. Per lo più la selettività rispetto alla forma veniva preservata in questo ampio intervallo.
La selettività della risposta dei neuroni rispetto al colore è stata esaminata mediante stimoli colorati che rappresentavano sistematicamente le variazioni di colore del diagramma ClE della cromaticità, un tipo di tavola ampiamente utilizzato per specificare quantitativamente i colori (v. il saggio di S. Nakauci e S. Usui, in questo volume). Molti neuroni appartenenti a lT, che rispondevano agli stimoli colorati, erano selettivi rispetto al colore. Circa la metà delle cellule che non rispondevano a stimoli colorati semplici avevano una selettività più complessa rispetto alla forma, anche se la selettività rispetto al colore di queste cellule non era stata esaminata.
La percezione della forma non varia in funzione degli indici percettivi che definiscono il contorno come, per esempio, la differenza di luminanza, il tratto del contorno, la tessitura o anche il movimento relativo. Alcuni studi hanno dimostrato che la selettività rispetto alla forma dei neuroni della corteccia lT non varia in funzione di queste caratteristiche visive (Sary et al., 1993). In questi esperimenti venivano preparate tre serie di stimoli visivi ciascuna costituita da otto figure aventi la stessa forma. Nella prima serie la forma delle figure era definita dalla differenza di luminanza, nella seconda serie dal movimento relativo dei punti e nella terza da una differenza di tessitura. Tra i neuroni che mostravano una selettività rispetto alla forma per tutte e tre le caratteristiche, il punteggio medio di preferenza per ciascuna forma, determinato dalla intensità delle risposte, era simile per le tre caratteristiche percettive utilizzate.
Funzioni di memoria a breve termine. - Gli studi neuropsicologici hanno dimostrato che esistono meccanismi separati per la memoria a lungo termine e per quella a breve termine, come è evidenziato dal fatto che pazienti con amnesia anterograda conseguente a danni nel lobo temporale mediale mostrano una ritenzione normale dell'informazione per alcuni secondi o minuti, ma sono completamente incapaci di ricordare per periodi di tempo più lunghi. Durante lo svolgimento di compiti DMS è stata esaminata nelle scimmie la funzione di memoria iconica a breve termine (fig. 4). ln questi esperimenti si è osservato che i neuroni nella corteccia lT mostravano attività elevate durante il periodo di intervallo, mentre poche cellule mostravano una risposta selettiva rispetto al colore in questo periodo. Y. Miyashita e H.S. Chang (1988) hanno esaminato le caratteristiche delle risposte neuronali utilizzando come stimoli 100 complesse figure artificiali create con algoritmi frattali per mezzo di un computer. Le singole unità registrate dall'area ventrale anteriore della corteccia inferotemporale AlTv (Anterior InferoTemporal ventral) rispondevano selettivamente a questi stimoli complessi. Alcuni neuroni mostravano un'attività elevata nel periodo di intervallo, durante il quale non veniva mostrato nessuno stimolo visivo (fig. 5). L'attività di scarica neuronale inoltre non variava se venivano manipolati attributi dello stimolo, quali la dimensione, l'orientazione e il colore, suggerendo una certa 'robustezza' del processo di percezione della forma. Tali risultati hanno dimostrato, innanzi tutto, che alcuni neuroni mostrano un'attività elevata selettiva rispetto alla forma, nel periodo di intervallo durante il quale la scimmia deve ricordare l'immagine, suggerendo che i neuroni della corteccia IT possano giocare un ruolo nella funzione di memoria a breve termine. In secondo luogo, queste cellule rispondono selettivamente a stimoli artificiali e molto complessi, mai visti prima dalla scimmia. Di conseguenza, si può ipotizzare che la plasticità a lungo termine della rete neuronale abbia consentito alle cellule della corteccia IT di sviluppare la selettività rispetto alla forma attraverso l'esposizione ripetuta allo stesso stimolo. Queste due caratteristiche delle cellule della corteccia IT potrebbero consentire di trovare il legame tra la memoria a breve e a lungo termine (v. oltre). Altri studi hanno esaminato l'effetto sulla memoria della modulazione della risposta dei neuroni TE da un punto di vista diverso (Gross, 1972). Già dai primi studi su scimmie anestetizzate era noto che intervalli più lunghi tra gli stimoli sono importanti per suscitare una risposta maggiore a uno stimolo visivo da parte dei neuroni dell' area TE. Studi successivi su animali svegli e attivi hanno rivelato in termini quantitativi un fenomeno di soppressione dovuto alla ripetizione. Le scimmie venivano addestrate a svolgere un compito DMS seriale, in cui più oggetti vengono mostrati in serie; la scimmia deve ricordare il primo oggetto mostratole e rispondere velocemente non appena le viene mostrato lo stesso oggetto una seconda volta. I risultati hanno dimostrato che la presentazione ripetuta dell'oggetto campione provoca la soppressione della risposta di questi neuroni. È stato ipotizzato che tale soppressione funzioni come una specie di filtro adattivo per rilevare stimoli nuovi (Baylis e Rolls, 1987). La soppressione dovuta alla ripetizione e l'attività elevata nel periodo di ritardo sopra citata sono fenomeni del tutto diversi, e hanno una importanza diversa per la memoria.
Memoria a lungo termine delle cellule IT: selettività rispetto alla forma e codifica associativa. - L'esistenza di una selettività rispetto a una caratteristica implica che quella caratteristica è codificata dal neurone, tuttavia nessuno degli esperimenti neurofisiologici trattati ha verificato se la selettività di queste risposte neuronali sia determinata in modo innato, o sia acquisita attraverso l'apprendimento. Una domanda che ci si può porre è se vi siano neuroni che rispondono selettivamente a stimoli appresi, per i quali un meccanismo innato non può aver predisposto una risposta. Dal momento in cui una scimmia nasce, osserva gli oggetti intorno a lei, come la faccia della madre, rocce rotonde, linee rette e altri oggetti naturali. Ricerche precedenti hanno dimostrato che esistono molti neuroni che rispondono in modo selettivo a queste forme. Come risponderanno le cellule a un oggetto complesso che la scimmia non ha mai visto prima?
Miyashita e Chang (1988) hanno identificato cellule nella corteccia IT che rispondono in modo molto selettivo a pattern frattali generati dal computer, in scimmie addestrate a svolgere un compito DMS utilizzando questi pattern. Misurando le risposte a un insieme numeroso di stimoli frattali, si è visto che i singoli neuroni, in genere, rispondono bene solo a una piccola frazione di essi. Per chiarire il meccanismo neuronale che genera la selettività di ciascun neurone alle caratteristiche visive, Miyashita (1988) ha addestrato delle scimmie in un compito DMS, utilizzando pattern che apparivano in una serie fissa specificata da numeri di posizione seriale. Le scimmie venivano addestrate intensivamente anche dopo aver raggiunto un buon livello di prestazione. Successivamente venivano registrate le scariche neuronali dalla porzione ventrale anteriore della corteccia inferotemporale. Tutte le cellule esaminate con successo sia con stimoli appresi che con stimoli nuovi mostravano una scarica massima, nel periodo di ritardo, più forte per gli stimoli appresi che per quelli nuovi. La natura altamente selettiva delle risposte neuronali ai pattem di stimolo si era formata con tutta probabilità durante la ripetizione del compito DMS. Si potrebbe supporre che se i pattem presentati consecutivamente avessero una tendenza ad associarsi, i pattern di risposte neuronali dovrebbero essere correlati rispetto al numero di posizione seriale, malgrado gli stimoli siano presentati casualmente durante le sessioni di registrazione. l risultati sperimentali hanno confermato questa ipotesi, poiché in effetti le risposte efficaci agli stimoli appresi si raggruppavano secondo i numeri di posizione seriale. Questo raggruppamento non era prodotto da un artefatto della procedura di analisi, poiché usando come stimoli dei pattern visivi nuovi le risposte delle stesse cellule non si mostravano raggruppate. Questi neuroni, quindi, erano probabilmente coinvolti nella memoria associativa visiva a lungo termine.
Per esaminare direttamente la memoria a lungo termine, si può imporre esplicitamente un apprendimento associativo, in compiti di associazione di coppie (fig. 6), originariamente usati per valutare la memoria dell'uomo, modificando li per essere applicati alle scimmie (Sakai e Miyashita, 1991). La figura (fig. 7) mostra 24 immagini utilizzate in uno studio, costituite dai descrittori di Fourier generati al computer. Gli stimoli sono stati organizzati in modo casuale in 12 coppie, e numerati da l e l' a 12 e 12'. L'associazione in coppia non era desumibile dalle caratteristiche geometriche. In ogni prova del compito di associazione di coppie si presentava alla scimmia uno stimolo campione al centro dello schermo per un tempo di 0,5÷1 s. Dopo un periodo di ritardo di 4÷5 s venivano mostrati due stimoli: quello abbinato allo stimolo campione (la scelta corretta) e uno stimolo irrilevante o distrattatore (la scelta sbagliata). La scimmia otteneva una ricompensa se toccava l'immagine giusta entro l÷2 s. Questo paradigma sperimentale costringe la scimmia a imparare ciascuna particolare immagine visiva e la relazione tra le coppie di immagini. L'animale non può risolvere questo problema solo impiegando la memoria a breve termine durante la prova, che, invece, consente di risolvere i compiti DMS. Dopo un addestramento intensivo le prestazioni della scimmia raggiungevano il 70% di scelte corrette, e veniva registrata l'attività neuronale nella corteccia inferotemporale ventrale anteriore. Tra le cellule che rispondevano selettivamente agli stimoli, ve n'erano alcune che rispondevano a entrambe le immagini associate in una coppia (fig. 8). Tali cellule vennero chiamate neuroni di codifica di coppia (pair coding). In questo modo si è dimostrato che neuroni singoli possono acquisire un'attività selettiva rispetto alla forma attraverso l'apprendimento associativo.
Recupero delle informazioni memorizzate e neuroni della corteccia IT. - Nella corteccia IT delle scimmie che svolgevano il compito di associazione di coppie fu identificato un altro tipo di neuroni. Tra i neuroni che rispondevano soprattutto durante l'intervallo, ve n'erano alcuni che mostravano la risposta più intensa a un' immagine durante la presentazione dello stimolo indizio, e presentavano un'attività crescente durante il periodo di intervallo, quando veniva usata come stimolo l'immagine associata alla prima. Nel compito di associazione di coppie la scimmia deve richiamare l'immagine abbinata all'immagine indizio quando quest'ultima le viene presentata. L'attività crescente durante il periodo di intervallo, nell' attesa dell'immagine associata, sembra riflettere il processo interno di richiamo di quell'immagine. Queste cellule sono state chiamate neuroni di richiamo di coppie (fig. 9), e la loro funzione potrebbe essere quella di immagazzinare la memoria a lungo termine per quell' immagine che, in seguito, potrebbe essere attivata dal processo di richiamo. La scoperta dei neuroni di richiamo di coppie è stata la prima dimostrazione neurofisiologica dell'ipotesi secondo la quale le immagini mentali sono realizzate dallo stesso meccanismo neuronale che consente il richiamo dell'informazione immagazzinata in memoria.
Una scimmia deve utilizzare la memoria a breve termine per risolvere il compito DMS, poiché deve tenere a mente lo stimolo campione durante il periodo di intervallo, frnché non vengono mostrati i due stimoli per la scelta. La risposta selettiva rispetto allo stimolo campione, che si ha nel periodo di intervallo, potrebbe essere l'immagine tenuta in mente dalla scimmia. Anche quando svolge il compito di associazione di coppie la scimmia deve tenere a mente alcune informazioni sullo stimolo indizio; potrebbe mantenere in memoria lo stimolo stesso durante il periodo di intervallo. Dopodiché la scimmia vede i due stimoli tra cui scegliere, li confronta con lo stimolo indizio ricordato retrospettivamente e può così scegliere lo stimolo giusto abbinato all'indizio (codice retrospettivo).
Un'altra possibilità è che la scimmia possa rievocare gli stimoli associati in coppia appena dopo aver visto lo stimolo campione. In tal modo, l'animale deve mantenere in memoria gli stimoli richiamati in modo prospettico, abbinati durante il periodo di intervallo, e può scegliere quello giusto tra i due (codice prospettico). l neuroni di richiamo di coppie sono probabilmente coinvolti nella rappresentazione interna della scimmia dell'immagine sintetizzata in senso prospettico.
Per controllare esplicitamente il momento di inizio del richiamo dalla memoria, I. Naya e collaboratori (1996) hanno addestrato delle scimmie a rievocare gli stimoli associati in coppia in risposta a un segnale particolare. Questi autori hanno modificato il compito di associazione di coppie combinandolo con quello DMS. La scimmia doveva svolgere uno dei due compiti secondo le istruzioni fornite durante il periodo di intervallo; questo paradigma, definito compito di associazione di coppie con cambio di colore (P ACS, Pair Association with Color Switch), è esemplificato nella figura (fig. 10). Gli stimoli erano 12 coppie di descrittori di Fourier, e ogni coppia conteneva un'immagine verde e una azzurra. Appena la scimmia tirava una leva veniva mostrata sullo schermo, per mezzo secondo, un'immagine indizio, verde o azzurra. Dopo la scomparsa di tale immagine, lo schermo mostrava lo stesso colore di quella, e la scimmia doveva ricordare l'immagine indizio durante un periodo di intervallo di 5 s. Se il colore dello schermo non cambiava, al momento della scelta venivano mostrate due immagini dello stesso colore, di cui una (quella che la scimmia doveva scegliere) era uguale allo stimolo campione (condizione DMS). D'altra parte, se il colore dello schermo durante il periodo di intervallo cambiava da verde ad azzurro o viceversa, non veniva più mostrata l'immagine indizio al momento della scelta. Venivano invece mostrate due immagini, una delle quali era quella abbinata al campione, e la scimmia doveva scegliere quella corretta (condizione P ACS). Registrando le scariche extracellulari nella corteccia inferotemporale ventrale anteriore, gli autori hanno identificato le cellule che mostravano effetti di rievocazione a coppie innescati dal cambiamento di colore. La figura (fig. 11) mostra una cellula il cui indizio ottimale era V7 (v. figura 11a). Questa cellula non mostrava alcuna attività durante il periodo di intervallo, eccetto che per V7 e la sua associata B7 (v. figure 11c, 11d). Nella condizione PACS l'immagine B7 suscitava un aumento di attività dopo il segnale di innesco del cambiamento di colore. La figura 11a mostra anche l'effetto di soppressione dell'attività nel periodo di intervallo dopo il cambiamento di colore che ordinava alla scimmia di ricordare B7. Sia l'effetto di rievocazione a coppie che quello di soppressione innescato dal segnale di innesco dovrebbero riflettere la rappresentazione interna in atto della memoria iconica.
La formazione e il mantenimento della memoria associativa nel lobo temporale mediale
Neuropsicologia
I danni di MTL provocano l'amnesia anterograda, cioè la perdita della capacità di ottenere nuova memoria dichiarativa. Il primo, e più documentato, caso che mostra la relazione tra le lesioni di MTL e l'amnesia anterograda è il caso di un paziente che aveva subito una resezione bilaterale di MTL, a causa di un'epilessia intrattabile, e dopo l'intervento chirurgico divenne profondamente amnesico verso tutto ciò che era avvenuto dopo l'operazione. D'altra parte, egli era ancora in grado di ricordare chiaramente eventi precedenti l'intervento, come la casa in cui viveva, le strade nei dintorni e altri aspetti della sua vita. La sua intelligenza era normale, e il suo punteggio nella scala d'intelligenza WAIS (Weschler Adult lntelligence Scale) era 118, cioè sopra la media. Inoltre, era capace di migliorare la sua abilità motoria, come nel compito di disegno allo specchio e sapeva risolvere il problema della torre di Londra proprio come i soggetti normali. Recentemente S. Corkin e collaboratori (1997) hanno esaminato il suo cervello mediante la visualizzazione a risonanza magnetica (MRI, Magnetic Resonance lmaging), che ha rivelato in modo più preciso l'entità del danno alle strutture di MTL. La lesione era bilaterale e includeva la corteccia polare temporale mediale, la maggior parte del complesso amigdalare, quasi tutta la corteccia entorinale e, approssimativamente, metà dell' estensione rostro-caudale della porzione intraventricolare della formazione ippocampale. I 2 cm caudali del corpo dell'ippocampo erano intatti, sebbene atrofici. La corteccia peririnale ventrale era risparmiata e la corteccia paraippocampale (area TF/TH) era, in gran parte, intatta. La gravità della menomazione della memoria in questo paziente potrebbe essere legata alla lesione di porzioni della sua corteccia entorinale e delle regioni adiacenti, compresa la corteccia peririnale.
Si sono cercate, nella scimmia, le strutture precise responsabili dell'amnesia anterograda. Le tecniche chirurgiche usate per provocare lesioni altamente selettive hanno permesso di valutare l'effetto del danno in ogni regione di MTL. La memoria di riconoscimento visivo si esamina spesso mediante i già citati compiti DMS o con compiti di non corrispondenza (DNMS, Delayed Non-Matching to Sample), utilizzando stimoli diversi e unici in ciascuna prova. La prestazione in questi compiti viene menomata solo leggermente dopo l'ablazione bilaterale dell'ippocampo o dell'amigdala. La menomazione aumenta in seguito a una successiva lesione entorinale bilaterale, ed è esasperata da lesioni peririnali e paraippocampali. Le lesioni nella formazione ippocampale (giro dentato, ippocampo vero e proprio e subiculum) producono solo menomazioni moderate della memoria nel compito DMS, meno gravi di quelle conseguenti a lesioni corticali entorinali o peririnali. Lesioni limitate bilateralmente alla corteccia entorinale hanno solo effetti modesti e transitori sulla memoria di riconoscimento. Studi recenti suggeriscono che la lesione della corteccia peririnale sia in gran parte responsabile della menomazione della memoria legata al riconoscimento.
Codifica e rievocazione delle informazioni in memoria: studi di visualizzazione funzionale del cervello umano
Il processo di memorizzazione si può suddividere in tre fasi: codifica, consolidamento e rievocazione. I pazienti con amnesia anterograda conseguente a lesioni di MTL possono rievocare informazioni già acquisite, ma non possono apprendere nuovi ricordi. L'ippocampo e le altre strutture di MTL giocano, quindi, un ruolo più importante nella codifica e nel consolidamento che nella rievocazione. Recentemente le tecniche PET e fMRI sono state utilizzate per chiarire il ruolo di MTL e di altre aree nel funzionamento della memoria.
Le regioni appartenenti a MTL si attivano durante la codifica della memoria episodica. Durante la fase di apprendimento di nuove immagini, la fMRI ha rivelato l'attivazione bilaterale della formazione ippocampale e della corteccia paraippocampale. Studi PET hanno dimostrato che in un compito di codifica delle facce si attiva una regione nella parte destra dell'ippocampo e la corteccia adiacente. Anche nella fase di rievocazione si è dimostrata un'attivazione delle strutture di MTL. Per analizzare la funzione di rievocazione della memoria si è utilizzato un compito di completamento della radice di una parola, in cui si chiede ai soggetti di memorizzare delle parole prima della visualizzazione funzionale tramite PET o fMRI, con una presentazione visiva o uditiva. Durante la scansione, si mostrano ai soggetti i primi tre caratteri delle parole e si chiede loro di completarle e di pronunciarle. Gli studi PET effettuati da R.L. Buckner e collaboratori (1995) hanno dimostrato che durante questo compito, quando si chiedeva ai soggetti di completare le parole viste in precedenza, si rilevava l'attivazione di MTL destro. La stessa area si attivava anche durante un compito di riconoscimento di parole.
Anatomia
La figura (fig. 12) mostra la visione ventrale e la sezione coronale di MTL. Questo consiste nel complesso ippocampale (giro dentato, ippocampo vero e proprio, e subiculum), nella corteccia entorinale (area 28 di Brodmann), nella corteccia peririnale (aree 35 e 36 di Brodmann) e nella corteccia paraippocampale (aree TF e TH). L'amigdala è situata in profondità nel lobo temporale anteriormente all'ippocampo, ed è densamente connessa con questo e con le altre regioni di MTL. Quest'ultimo si trova in posizione medioventrale rispetto alla corteccia inferotemporale, appartiene al sistema limbico e fa parte del circuito di Papez. Il lobo temporale mediale è densamente connesso con la corteccia prefrontale, con la corteccia inferotemporale, con la corteccia temporale superiore, con la corteccia parietale e con varie strutture sottocorticali.
Diverse cortecce associative nei lobi temporale, parietale e frontale inviano input convergenti alla corteccia peririnale e a quella paraippocampale. Queste aree forniscono buona parte dell'input corticale all'adiacente corteccia entorinale. La corteccia entorinale è la principale sorgente di fibre afferenti per la formazione ippocampale, e invia importanti connessioni di retro azione alla corteccia peririnale e a quella paraippocampale; essa dunque riveste il ruolo di un sistema di controllo per l'ippocampo. La corteccia entorinale trasmette quindi gli input polisensoriali alla formazione ippocampale attraverso la via perforante.
Le funzioni di MTL e la corteccia IT
Gli studi neuropsicologici e quelli anatomici sulle connessioni tra MTL e altre aree hanno rivelato molte informazioni su questa struttura, ma vi sono poche osservazioni fisiologiche dirette sulla funzione espletata da MTL nella formazione della memoria a lungo termine. Qual è la funzione dei neuroni MTL nella codifica della memoria? I correlati neuronali della memoria iconica e di quella associativa sono già stati identificati, come abbiamo detto, nella corteccia sensoriale associativa, cioè in TE. Può una lesione nell'area MTL influenzare i codici mnemonici neuronali in queste aree? Per esaminare questa possibilità è stato effettuato un esperimento di registrazione da singolo neurone su una scimmia con una lesione corticale rinale. Un problema è però rappresentato dal fatto che, come abbiamo visto, le lesioni bilaterali di MTL alterano la capacità di svolgere un compito di memoria visiva. S. Higuci e Y. Miyashita (1996) hanno effettuato l'ablazione unilaterale della corteccia entorinale e di quella peririnale, e hanno studiato l'effetto di questa lesione sui neuroni della corteccia IT ipsilaterale. L'area studiata, prima dell'esperimento presentava molti neuroni di codifica di coppie. Lo svolgimento di un compito visivo di associazione in coppie notoriamente dipende dal funzionamento di MTL. La commissura anteriore contiene fibre che collegano le aree IT dei due emisferi cerebrali; recidendo la, la corteccia IT sul lato della lesione non può ricevere segnali da MTL (fig. 13). Le risposte neuronali a pattern complessi non erano influenzate da questa commissurotomia anteriore, così come risultavano inalterate le correlazioni agli stimoli associati in coppia. Dopo un'ablazione unilaterale della corteccia entorinale e peririnaIe con microiniezione di una neurotossina (acido ibotenico), la scimmia era in grado di imparare a svolgere il compito di associazione in coppie utilizzando un nuovo insieme di stimoli visivi. Gli indici elettrofisiologici riguardanti la frequenza di scarica spontanea e la frequenza di scarica massima suggerivano che la risposta dei neuroni in quell'area dopo una lesione limbica non fosse anormale, il che è stato anche confermato dallo studio istologico della corteccia nel sito di registrazione. La selettività visiva era un altro fattore che avrebbe potuto influenzare le proprietà di codifica di coppia di una cellula. D'altra parte, la percentuale di cellule con selettività visiva non risultava significativamente diversa prima e dopo la lesione. I neuroni di codifica di coppia erano praticamente assenti nel lato lesionato (fig. 14). Questo fatto sembrava riflettere la scomparsa dei segnali efferenti da MTL di ritorno verso la corteccia inferotemporale, rafforzando l'ipotesi secondo la quale i segnali di retro azione provenienti da MTL giocano un ruolo cruciale nella formazione del codice mnemonico associativo nei neuroni appartenenti alla corteccia IT.
Per acquisire una nuova memoria associativa deve avvenire un cambiamento nelle connessioni tra neuroni che ne sono alla base. La riorganizzazione dei circuiti neuronali sembra indispensabile per l'ottenimento di una nuova e robusta memoria a lungo termine. Studi compiuti sia su invertebrati che su vertebrati hanno messo in luce il fatto che per la formazione della memoria a lungo termine è necessaria la sintesi di nuove proteine e di mRNA, mentre al contrario tale sintesi proteica non è necessaria per la formazione della memoria a breve termine. La sintesi di proteine e mRNA per la memoria a lungo termine suggerisce che le attività neuronali indotte dall' apprendimento inneschino una cascata di espressione genica. Si pensa che il primo passo della cascata genica sia l'espressione di geni precoci immediati (IEG, Immediate Early Genes), una classe di geni che mostra un rapido e transitorio aumento della trascrizione indipendenti dalla sintesi proteica. È stata avanzata l'ipotesi che i fattori di trascrizione codificati dagli IEG, come Fos, Jun e Zit268, giochino un ruolo nel determinare cambiamenti a lungo termine delle proprietà delle sinapsi. In diversi studi si è riusciti a identificare la distribuzione dell'attività funzionale nel sistema nervoso monitorando gli IEG. H. Okunoe Y. Miyashita(1996) hanno cercato di studiare nei primati le aree cerebrali in cui venivano espressi gli IEG durante la formazione della memoria visiva a lungo termine. Questi autori hanno addestrato alcune scimmie ad apprendere dei compiti cognitivi di memoria visiva, e hanno analizzato con tecniche di immunoistochimica l'espressione dei prodotti proteici degli IEG. Le scimmie imparavano a svolgere un compito visivo di associazione di coppie o un compito di discriminazione visiva utilizzando un insieme di immagini generate al computer. Per studiare la formazione della memoria associativa degli stimoli visivi, escludendo dall' analisi la memoria per abilità o quella legata alle abitudini (skill-based o habit-like memory), incidentale nel paradigma sperimentale usato, le scimmie prima imparavano la 'regola' o la 'strategia' del compito, che si considera parte dell 'ultimo tipo di memoria, utilizzando un insieme di 24 immagini (insieme di addestramento). Dopo che la scimmia aveva raggiunto un livello stabile di prestazione sull'insieme di addestramento, si introduceva un nuovo insieme di stimoli, per analizzare la formazione della memoria associativa per i nuovi stimoli visivi. Per esaminare l'attivazione genica durante il periodo di apprendimento del secondo insieme di immagini, le scimmie venivano sacrificate immediatamente dopo il completamento della sessione di test, prima che le prestazioni raggiungessero un livello stabile. La figura (fig.15) mostra l'espressione di Zif268 nel giro temporale inferiore della scimmia. Durante l'apprendimento visivo dell'associazione in coppie si sono attivate chiazze di neuroni immunopositivi a Zif268 sulla superficie ventrale del giro temporale inferiore (v. figure 15c, 15d). Mediante tecniche di analisi delle immagini si è visualizzata la distribuzione dell' espressione di Zif268 su una mappa bidimensionale (fig. I 6). In ognuna delle scimmie che avevano appreso l'associazione di coppie, Zif268 risultava espressa ad alti livelli in una striscia parallela al solco rinale, lungo un asse antero-posteriore. Al contrario, dopo l'apprendimento della discriminazione visiva, le cellule immunopositive per Zif268 non mostravano una distribuzione a chiazze nel giro temporale inferiore. L'espressione di Zif286 nel giro temporale inferiore ha suggerito che esso possa prendere parte alla cascata genica legata alla formazione della memoria associativa visiva nelle scimmie. Questi risultati hanno aperto la strada a un nuovo approccio per la visualizzazione della riorganizzazione dei circuiti neuronali durante l' acquisizione di nuove memorie associative nella scimmia.
La corteccia prefrontale
Una componente ampiamente riconosciuta delle funzioni della corteccia prefrontale PFC (PreFrontal Cortex) è la memoria di lavoro. Questa funzione cognitiva consiste nella capacità di mantenere attivamente in memoria degli elementi per un breve periodo, e di utilizzarli in modo dipendente dal contesto e orientato alla soluzione di un problema. In questo paragrafo illustreremo in dettaglio le ricerche elettro fisiologiche che hanno dimostrato il coinvolgimento dei neuroni della corteccia prefrontale nella memoria di lavoro. Passeremo anche in rassegna i progressi recenti compiuti presso il nostro laboratorio nella comprensione della funzione esecutiva della corteccia prefrontale, legata al controllo e alla modulazione top-down dell'attività della corteccia associativa posteriore.
Neuropsicologia della corteccia prefrontale
Nel 18° secolo, l'era della frenologia, si pensava che il lobo frontale fosse il centro del cervello legato all'intelligenza superiore. Questa ipotesi fu però messa in discussione dall'osservazione che i risultati dei test d'intelligenza rimanevano invariati dopo estese lesioni frontali. Il primo caso clinico di deficit comportamentali e cognitivi derivanti da lesioni del lobo frontale fu quello del signor Phineas Gage, un operaio di un'impresa di costruzioni di ferrovie sopravvissuto a un'esplosione accidentale. Il suo lobo frontale sinistro venne danneggiato da una sbarra di ferro che gli aveva colpito la testa. Sebbene dopo l'incidente egli riuscisse ad adattarsi alla vita normale, la sua personalità e il suo comportamento sociale subirono importanti cambiamenti. La sindrome causata da danni estesi nel lobo frontale consiste nella menomazione o nella perdita di diverse funzioni cognitive, come la capacità di rispondere alle domande in modo originale e creativo (pensiero divergente), la capacità di memorizzare l'ordine temporale di eventi recenti (danneggiamento della memoria recente) e la capacità di utilizzare gli stimoli dati per regolare le proprie azioni. Tale sindrome comprende anche il danneggiamento dell'apprendimento associativo condizionale, la perdita di inibizione socio-affettiva, una diminuzione dell'attenzione, la vulnerabilità rispetto alle interferenze, disturbi nella vita affettiva ed emotiva, e così via.
l pazienti con lesioni dei lobi frontali riescono a ricordare fatti nuovi, ma anche a rammentare eventi vecchi. Il loro problema è come estrarre l'essenza della memoria a breve termine immagazzinata e utilizzarla in modo dipendente dal contesto e orientato alla soluzione di un problema.
Visualizzazione funzionale della corteccia prefrontale
La corteccia prefrontale viene attivata in diverse circostanze, e le tecniche di visualizzazione dell'attività funzionaIe del cervello in vivo possono essere utilizzate anche per studiare l'attività di questa regione cerebrale in relazione alla memoria e alla percezione visiva.
Studi effettuati mediante tecniche PET e tMRl hanno messo in evidenza il fatto che l'attivazione della corteccia prefrontale avviene durante lo svolgimento di compiti che coinvolgono la memoria di lavoro, nelle sue sotto componenti di memoria visuospaziale e verbale. Attraverso la PET, si è trovato che il flusso sanguigno aumenta nelle aree prefrontale, occipitale, parietale e premotoria nel corso di un compito di memoria di lavoro spaziale. Le funzioni di memoria sono state ulteriormente analizzate tentando di differenziare la fase di codifica da quella del recupero della memoria a lungo termine. L'attivazione della corteccia prefrontale destra durante il recupero della memoria episodica sembra in contrasto con l'attivazione della corteccia prefrontale sinistra durante la codifica delle informazioni in questo tipo di memoria. Da questo schema di attivazione si è estrapolato un modello definito asimmetria emisferica della codifica e del recupero (HERA, Hemistheric Encoding-Retrieval Asymmetry).
La corteccia prefrontale dell'uomo e delle scimmie
La corteccia frontale umana costituisce circa la metà di tutta la neocorteccia, ed è definita come l'area anteriore al solco centrale e dorsale rispetto alla scissura di Silvio. Anteriormente rispetto al solco centrale si trova la corteccia motoria precentrale, che comprende le aree 4 e 6 di Brodmann. La corteccia prefrontale si colloca anteriormente alla corteccia motoria, ed è definita sia dal punto di vista citoarchitetturale che attraverso le sue connessioni.
Esaminando il cervello di molte specie di mammiferi Rose e Woolsey definito la corteccia prefrontale come l'area più anteriore della corteccia cerebrale che riceve sempre proiezioni dal nucleo talamico mediodorsale.
Le connessioni tra le diverse aree cerebrali nel cervello umano sono poco conosciute, sebbene sia stata effettuata da molti autori la suddivisione in aree del lobo frontale sulla base della sua cito architettura e della sua mieloarchitettura (Petrides e Pandya, 1994). Al contrario, si sono effettuate molte osservazioni sul cervello della scimmia, riguardanti la cito architettura e la mieloarchitettura, le fibre di connessione, la fisiologia e l'organizzazione funzionale; tali informazioni sono usate come modelli per la comprensione del cervello umano. Da Brodmann in poi, molti autori hanno suddiviso il cervello della scimmia secondo schemi e criteri utilizzati per quello umano. Sebbene i cervelli delle due specie appaiano molto simili, almeno per le caratteristiche anatomiche generali, bisogna considerare che le aree omologhe non hanno sempre la funzione corrispondente; per esempio, le funzioni della regione frontale del cervello di scimmia omologa all'area 44 (area di Broca) non sono note mentre si sa che nel cervello umano tale area svolge funzioni legate al linguaggio.
Anatomia della corteccia prefrontale della scimmia
La corteccia prefrontale è situata in posizione rostrale rispetto alla corteccia premotoria e si estende dal solco arcuato al polo frontale sulla superficie laterale, anteriormente alla corteccia motoria supplementare sulla superficie mediana, e in posizione rostrale rispetto al polo temporale e all'insula anteriore sulla superficie basale. La corteccia prefrontale è suddivisa, dal punto di vista citoarchitettonico, in diverse aree. La cito architettura e la mieloarchitettura della corteccia prefrontale sono state analizzate in dettaglio a partire dalla prima metà del 20° secolo. Sono state proposte molte suddivisioni; quella che adottiamo qui segue il lavoro di Petrides e Pandya (1994).
La corteccia prefrontale della scimmia è divisa in quattro sottoregioni (tab. 2), la corteccia prefrontale laterale, la corteccia prefrontale ventromediale, l'area periarcuata e l'area frontopolare (fig. 17). La corteccia prefrontale laterale comprende la regione dorsolaterale (la regione mediodorsolaterale e il campo oculare frontale), l'area del solco principale e la regione ventrolaterale. Qui non ci occuperemo del campo oculare frontale (area 8b), né della funzione motoria della regione posteriore della corteccia prefrontale dorso laterale. La corteccia frontale ventromediale comprende il giro anteriore del cingolo, il giro subcallo sale e il giro retto. L'area più frontale, la corteccia frontopolare designata come area 10, stabilisce connessioni reciproche con altre strutture della corteccia prefrontale. Ancora non sono stati effettuati studi basati su lesioni limitate all'area 10, né studi elettro fisiologici su quest'area; di conseguenza le sue funzioni precise non sono state ancora determinate. La corteccia prefrontale riceve input da molte strutture corticali posteriori e proietta verso altre strutture corticali, limbiche e sottocorticali. La corteccia prefrontale ventrolaterale riceve informazioni visive dalla corteccia inferotemporale e informazioni somatosensoriali dal lobo parietale inferiore rostrale e dalla corteccia parietale opercolare. L'informazione visiva spaziale proveniente dalla corteccia parietale più posteriore si proietta direttamente all'area del solco principale. La regione ventrolaterale è anche connessa reciprocamente al lobo temporale mediale, sia direttamente che indirettamente, attraverso connessioni con i nuclei anteriore e mediodorsale del talamo. La figura (fig.15) riassume le connessioni della corteccia prefrontale con altre strutture connesse alla memoria di lavoro visiva degli oggetti e alla memoria associativa.
Studi basati su lesioni prefrontali nella scimmia
Per precisare il ruolo della corteccia prefrontale sono stati effettuati molti studi su soggetti con lesioni. Negli anni Trenta si vide che l'ablazione della corteccia prefrontale riduceva le prestazioni delle scimmie nello svolgimento di compiti di risposta ritardata. Ciò indicava che la corteccia frontale era necessaria per la memoria di lavoro visuospaziale. Studi successivi, più selettivi, hanno dimostrato che lesioni nella porzione mediana dell'area del solco principale determinavano una menomazione della memoria di lavoro, fondamentale per compiti di risposta ritardata o di alternanza ritardata. Si pensava inoltre che una lesione corticale ventrolaterale provocasse una menomazione nello svolgimento di compiti che coinvolgono la memoria di lavoro non spaziale, come i compiti DMS o quelli di alternanza ritardata di oggetti. In seguito però, si è dimostrato che lesioni più selettive, limitate alla regione ventrolaterale, provocavano soltanto una menomazione temporanea nei compiti DNMS. La corteccia prefrontale ventromediana presenta caratteristiche citoarchitettoniche che indicano una stretta relazione con la regione limbica di MTL. Le due aree sono connesse direttamente o indirettamente attraverso i nuclei anteriore e mediodorsale del talamo. Una lesione nella corteccia frontale ventromediana causa una menomazione grave rispetto ai compiti DNMS.
La resezione chirurgica di fasci di fibre di connessione tra aree cerebrali è un metodo efficace per l'analisi delle funzioni delle aree coinvolte. Il fascicolo uncinato è una via anatomica importante che collega il lobo temporale inferiore alla corteccia prefrontale. Eacott e Gaffan hanno disconnesso la corteccia prefrontale dalla corteccia inferotemporale tagliando il fascicolo uncinato bilateralmente; in seguito a questo intervento le scimmie riuscivano ad apprendere un compito di discriminazione visiva o DMS, ma non riuscivano a imparare un compito condizionato del tipo dell'associazione di coppie o un compito di condizionamento visuomotorio. I. Hasegawa e collaboratori (1998) hanno ipotizzato che i processi di controllo top-down che hanno origine nella corteccia prefrontale potrebbero regolare il recupero delle informazioni dalla memoria a lungo termine. In esperimenti effettuati su scimmie il cui corpo calloso era stato parzialmente reciso, questi autori hanno verificato se la corteccia prefrontale può, attraverso il corpo calloso anteriore, ordinare all'emisfero contro laterale di recuperare informazioni dalla memoria a lungo termine. Le fibre commissurali visive occipito-temporali, cioè lo splenio del corpo callo so e la commissura anteriore, vennero tagliate, mentre il corpo callo so anteriore, che connette le cortecce prefrontali dei due emisferi, venne lasciato intatto. Le scimmie furono sottoposte a una versione interemisferica del compito di associazione visiva stimolo-stimolo che, cioè, impegnava entrambi gli emisferi (fig. 19). In questo caso lo stimolo iniziale veniva presentato in un emicampo visivo, mentre gli stimoli tra cui si doveva effettuare la scelta venivano presentati nell' emicampo opposto. Lo stimolo iniziale e i due successivi stimoli per la scelta venivano quindi percepiti da emisferi cerebrali separati; di conseguenza, per poter effettuare la scelta corretta, questi dovevano comunicare in qualche modo tra loro. Tutte le scimmie che avevano subito la resezione callosale e commissurale riuscivano a risolvere questo compito. Per scoprire se queste prestazioni dipendevano realmente da interazioni cortico-corticali mediate dal corpo calloso anteriore, fu sezionato anche quest'ultimo e furono ulteriormente esaminate le prestazioni delle scimmie in questo compito. Dopo l'operazione di separazione completa dei due emisferi le prestazioni nel compito interemisferico crollarono a un livello casuale, mentre le prestazioni che implicavano un solo emisfero rimanevano inalterate. Questi risultati dimostrano quindi che il recupero della memoria di oggetti dalla corteccia associativa posteriore selettiva rispetto alla modalità è sotto il controllo operativo della corteccia prefrontale.
Proprietà elettrofisiologiche della corteccia prefrontale
Le proprietà della corteccia prefrontale sono state studiate nell'uomo e nella scimmia mediante diverse tecniche elettrofisiologiche, quali, per esempio, le registrazioni superficiali dei potenziali evocati, la stimolazione elettrica delle aree sensoriali primarie e le registrazioni da singole unità da scimmie non anestetizzate e attive. In questo modo è stato dimostrato il coinvolgimento dei neuroni prefrontali nell' elaborazione degli eventi sensoriali. Vi sono neuroni che rispondono a stimoli visivi, uditivi, somatosensoriali, olfattivi e gustativi. Le risposte dei neuroni della corteccia prefrontale a questi stimoli non stupiscono, se si considerano le connessioni convergenti che arrivano alla corteccia prefrontale dalle varie aree della corteccia, comprese le aree associative sensoriali. La corteccia prefrontale è dunque l'area associativa multimodale, e riceve fibre afferenti da molte strutture corticali e sottocorticali. Oltre alle risposte sensoriali si sono studiate anche, con diversi metodi, le funzioni mnestiche dei neuroni appartenenti alla corteccia prefrontale.
Negli studi sulla corteccia prefrontale si usano molto spesso compiti che coinvolgono la memoria di lavoro; in questi studi si registra l'attività dei neuroni nella corteccia prefrontale mentre la scimmia svolge il compito. Si possono così analizzare la memoria di lavoro spaziale e la memoria di lavoro legata agli oggetti. Non vi sono, d'altra parte, molti studi sui neuroni della corteccia prefrontale che si focalizzino sulle funzioni di memoria diverse da quelle legate alla memoria di lavoro. Per poter considerare studi di questo tipo è necessario conoscere molto dettagliatamente le funzioni della corteccia prefrontale, come, per esempio, la codifica del significato dello stimolo. Alcuni autori avanzano l'ipotesi che un neurone della corteccia prefrontale possa codificare il significato comportamentale degli stimoli. Qui di seguito riassumeremo i risultati di questi studi.
Attività nel periodo di intervallo durante compiti di memoria di lavoro. - Gli studi sulle lesioni hanno mostrato l'importanza della corteccia prefrontale per i compiti con risposta differita e, a partire dai primi anni Settanta, si sono effettuati studi elettro fisiologici per investigarne le basi neuronali. Una parte dei neuroni della corteccia prefrontale dorsolaterale cambia la frequenza di scarica durante il periodo di intervallo, nel quale le scimmie devono ricordare la posizione o l'oggetto indicati dallo stimolo iniziale. La figura (fig. 20) mostra i risultati degli esperimenti compiuti da IM. Fuster e G.E. Alexander (1971) e da K. Kubota e H. Niki (1971). Mentre una scimmia svolgeva il compito di risposta differita e quello di alternanza ritardata sono state registrate le risposte neuronali dalla corteccia prefrontale. S. Funahashi e collaboratori (1989) hanno esaminato ulteriormente la memoria di lavoro spaziale nella corteccia prefrontale dorsolaterale, usando un compito di risposta differita in cui la risposta consisteva in un movimento saccadico. La scimmia doveva memorizzare la posizione di un punto luminoso che appariva vicino al bordo di uno schermo, mentre essa fissava un punto in posizione centrale; l'animale doveva continuare a fissarlo per pochi secondi dopo la scomparsa dello stimolo e successivamente compiere un movimento saccadico verso la posizione in cui lo stimolo era apparso. In questo modo sono stati identificati alcuni neuroni nell'area del solco principale che esibivano un'attività selettiva rispetto alla posizione durante il periodo di intervallo. La posizione nel campo visivo che suscitava la risposta nel periodo di intervallo fu chiamata campo di memoria della cellula.
F.A.W. Wilson e collaboratori (1993) hanno dimostrato che, nella convessità inferiore della corteccia prefrontale, i neuroni che partecipano alla codifica della memoria di lavoro sono in numero inferiore rispetto a quelli della corteccia prefrontale dorsolaterale. Gli stessi autori hanno dimostrato, invece, che più della metà dei neuroni nella convessità inferiore mostravano attività selettive per le immagini usate come stimolo iniziale, durante il compito di risposta differita ai pattern. Sembra, quindi, che nella corteccia prefrontale sia possibile elaborare separatamente l'informazione relativa all'identità degli oggetti e quella relativa alla posizione. In seguito, però, S.c. Rao e collaboratori (1997) hanno evidenziato una diversa proprietà dei neuroni della corteccia prefrontale. Alcune scimmie sono state addestrate a svolgere un compito di memoria di lavoro che implicava l'elaborazione sia dell'informazione spaziale che di quella relativa all'oggetto. In questo compito, la scimmia premeva una leva per far apparire un oggetto indizio al centro del campo visivo. Dopo un primo intervallo (il ritardo del 'cosa') apparivano in diverse posizioni sullo schermo due oggetti, uno dei quali era l'indizio. Dopo il secondo intervallo (il ritardo del 'dove') la scimmia doveva compiere un movimento saccadico verso la posizione corretta dell'indizio. Successivamente veniva registrata l'attività dei neuroni della corteccia prefrontale laterale, comprese la regione dorsolaterale, l'area del solco principale e la convessità inferiore e, adottando come criterio la selettività rispetto all'indizio e quella rispetto alla posizione, si potevano dividere i neuroni in due gruppi, uno di neuroni sensibili agli oggetti e uno di neuroni sensibili alla posizione. Oltre metà dei neuroni prefrontali esibivano, durante l'intervallo, un'attività selettiva sia per gli oggetti che per la posizione. Inoltre, non si poteva osservare nessuna differenza nella distribuzione delle risposte nella popolazione neuronale, tra la corteccia prefrontale dorsolaterale, l'area del solco principale e la convessità inferiore. Secondo gli autor questi risultati suggeriscono che la risposta dei neuroni della corteccia prefrontale non sia definita a priori, ma si formi in conseguenza di esigenze comportamentali (fig. 21).
Codifica del significato dello stimolo. - I neuroni prefrontal sensibili agli stimoli visivi ri spondono non solo al patten geometrico, ma anche al signifi cato dell'immagine visiva (Watanabe, 1986). Alcune scimmie venivano addestrate a svolgere un compito differito condizionale di discriminazione. In questo compito uno dei due pattern di stimolo veniva presentato come stimolo discriminativo, dopo un segnale colorato di comando. La scimmia doveva rispondere o non rispondere a un pattern di stimolo identico, o fornire la stessa risposta a diversi pattern di stimolo, a seconda del colore del segnale di comando presentato in precedenza. Le scimmie, inoltre, dovevano ricordare la risposta corretta per 2,5 s dopo il secondo stimolo, per poter dare la risposta giusta. L'autore, registrando l'attività dei neuroni nell'area del solco principale, nella regione periarcuata e nella convessità inferiore, ha potuto identificare classi di neuroni che rispondevano alla seconda immagine in modo diverso, a seconda che il segnale avesse il significato di go oppure no go. Lo stesso autore ha dimostrato recentemente che la risposta dei neuroni della corteccia prefrontale dorso laterale durante il compito di risposta ritardata riflette non solo la memoria spaziale a breve termine, ma anche l'aspettativa della ricompensa.
La collaborazione tra corteccia inferotemporale e quella prefrontale: raffreddamento della corteccia prefrontale
È difficile analizzare le interazioni funzionali tra le aree corticali. Non vi sono, perciò, molte osservazioni dirette delle interazioni tra la corteccia prefrontale e altre aree associative. L' inattivazione reversibile di un'area corticale è una tecnica efficace per esaminare le interazioni dirette tra le aree corticali. Un metodo usato per l'inattivazione chimica consiste nella microiniezione di acido gammamminobutirrico (GABA, Gamma Ammino Butyrric Acid) o di agonisti del GABA. Il raffreddamento della corteccia è un'altra tecnica di inattivazione usata. J.M. Fuster e collaboratori (1985) hanno addestrato delle scimmie a riconoscere il colore di un bottone corrispondente al colore di uno stimolo campione, mostrato alcuni secondi prima (compito DMS con stimoli colorati). Mentre la scimmia svolgeva il compito, le aree del solco principale nella corteccia prefrontale venivano raffreddate bilateralmente e si esaminavano gli effetti del raffreddamento sullo svolgimento del compito e sulla risposta dei neuroni della corteccia inferotemporale. Gli autori hanno esaminato anche gli effetti del raffreddamento della corteccia inferotemporale sui neuroni della corteccia prefrontale. In presenza di raffreddamento di una delle due aree le prestazioni della scimmia peggioravano. Le risposte di più della metà dei neuroni della corteccia inferotemporale risultavano influenzate dal raffreddamento della corteccia prefrontale. In alcuni casi le risposte venivano soppresse, durante la presentazione del campione o durante il periodo di intervallo. In altri casi, al raffreddamento di aree remote corrispondeva un incremento della risposta. La conseguenza più frequente del raffreddamento della corteccia prefrontale era la diminuzione della risposta dei neuroni della corteccia inferotemporale durante il periodo di intervallo. Sebbene tali risultati non siano molto chiari, questo studio ha permesso di osservare, allo stesso tempo, gli effetti del raffreddamento sul comportamento della scimmia e sulla risposta dei singoli neuroni, in aree del cervello distanti da quella raffreddata.
Conclusioni
In questo saggio, abbiamo descritto alcuni risultati recenti sul ruolo di tre strutture corticali, l'area TE nella corteccia inferotemporale, il lobo temporale mediale e la corteccia prefrontale, con particolare riguardo alla memoria associativa a lungo termine. Queste tre strutture cooperano nel realizzare le funzioni di codifica dello stimolo, la formazione, l'immagazzinamento e il recupero della memoria. La figura (fig. 22) illustra schematicamente il flusso di informazioni che viaggiano dalla corteccia prefrontale e da MTL verso la corteccia inferotemporale e che, elaborati in parallelo alle informazioni che viaggiano in direzione opposta, danno luogo alla percezione visiva e alla memoria a lungo termine. L'area visiva primaria e quella prestriata fungono, nella visione, da analizzatori di caratteristiche. Le aree associative temporali non solo trasformano gli attributi analizzati in una configurazione unica che consente la percezione, ma fungono anche da 'magazzini' per le rappresentazioni centrali degli oggetti, grazie anche al ruolo svolto dalla corteccia prefrontale e da MTL. Singoli neuroni nella corteccia inferotemporale possono codificare oggetti presentati visivamente e associazioni visive tra oggetti, sulla base della selettività della risposta. Speciali meccanismi, deputati al consolidamento delle informazioni, consentono di conservare una rappresentazione durevole di un oggetto o di un'associazione nella corteccia inferotemporale. Il lobo temporale mediale gioca un ruolo nella formazione della memoria, grazie alla sua plasticità, alle forti connessioni neuronali con la corteccia associativa visiva superiore e alla natura fortemente convergente delle fibre nervose che provengono da altre aree corticali e sottocorticali. Le osservazioni neuropsicologiche sull'uomo, lo studio delle lesioni nelle scimmie e gli esperimenti di visualizzazione funzionaIe hanno confermato il ruolo di MTL nel consolidamento della memoria. È stato anche possibile studiare le interazioni tra MTL e la corteccia inferotemporale nella formazione della memoria direttamente al livello del singolo neurone. D'altra parte, per il recupero della memoria è necessaria la sintesi delle rappresentazioni interne delle immagini a partire dall'engramma. Il processo di recupero della memoria si può rilevare, su scala più ampia del singolo neurone, mediante visualizzazione funzionale dell' attività del cervello umano e si è così dimostrato il coinvolgimento della corteccia prefrontale e del lobo temporale mediale. Si sono anche scoperti neuroni singoli nella corteccia inferotemporale che codificano la dinamica del richiamo della memoria. La corteccia prefrontale è un'area associativa multimodale connessa con le aree associative posteriori; per esempio, le interazioni tra la corteccia prefrontale e la corteccia inferotemporale sembrano indispensabili ai fini della percezione visiva, della formazione delle immagini mentali e delle funzioni di memoria. Come abbiamo accennato, le funzioni delle connessioni anatomiche di ritorno dalla corteccia prefrontale e da MTL alla corteccia inferotemporale sono ancora oggetto d'indagine. Per chiarire la natura della computazione neuronale che è alla base della rappresentazione e dell' attivazione della memoria visiva, sarà necessario analizzare ulteriormente e caratterizzare meglio i segnali che viaggiano tra queste strutture. Ringraziamenti Un particolare ringraziamento è rivolto al dottor Seiki Konishi per aver letto la versione preliminare di questo saggio.
Bibliografia citata
ALLISON, T., GINTER, H., MCCARTHY, G., NOBRE, A.C., PUCE, A., LUBY, M., SPENCER, D.D. (1994) Face recognition in human extrastriate cortex. J. Neurophysiol., 71, 821-825.
BAYLIS, G.C., ROLLS, E.T. (1987) Responses of neurons in the inferior temporal cortex in short term and serial recognition memory tasks. Exp. Brain Res., 65, 614-622.
BUCKNER, R.L., PETERSEN, S.E., OJEMANN, J.G., MIESIN, F.M., SQUlRE, L.R., RAICHLE, M.E. (1995) Functional anatomical studies of explicit and implicit memory retrieval tasks. J. Neurosci., 15, 12-29.
CORKIN, S., AMARAL, D.G., GONZALEZ, R.G., JOHNSON, KA., HYMAN, B.T. (1997) H.M.'s mediaI temporallobe lesion: findings from magneti c resonance imaging. J. Neurosci., 17, 3964-3979.
COURTNEY, S.M., UNGERLEIDER, L.G., KEIL, K., HAXBY, J.V. (1997) Transient and sustained activity in a distributed neural system for human working memory. Nature, 386, 608-611.
DESIMONE, R., ALBRIGHT, T.D., GROSS, C.G., BRUCE, C. (1984) Stimulus-selective properties of inferior temporal neurons in the macaque. J. Neurosci., 4, 2051-2062.
FELLEMAN, D.J., VAN ESSEN, D.C. (1991) Distributed hierarchical processing in the primate cerebral cortex. Cereb. Cortex, l, 1-47.
FUJITA, I., TANAKA, K, HO, M., CHENG, K (1992) Columns for visual features of objects in monkey inferotemporal cortex. Nature, 360, 343-346.
FUNAHASHI, S., BRUCE, C.J., GOLDMAN-RAKIC, P.S. (1989) Mnemonic coding ofvisual space in the monkey's dorsolateral prefrontal cortex. J. Neurophysiol., 61, 331-349.
FUSTER, J.M., ALEXANDER, G.E. (1971) Neuron activity related to short-term memory. Science, 173, 652-654.
FUSTER, J.M., BAUER, R.H., JERVEY, J.P. (1985) Functional interactions between inferotemporal and prefrontal cortex in a cognitive task. Brain Res., 330, 299-307.
GROSS, C.G. (1972) In Handbook of sensory physiology, a c. di Jung R., Berlino-New Y ork, Springer Verlag, voI. 7, pp. 451-482.
HASEGAWA, I., FUKUSHIMA, T., IHARA, T., MIYASHITA, Y. (1998) Science, 281, 814-818.
HIGUCHI, S., MIYASHITA, Y. (1996) Formation ofmnemonic neuronal responses to visual paired associates in inferotemporal cortex is impaired by perirhinal and entorhinal lesions. Proc. Natl. Acad. Sci. USA, 93, 739-743.
IWAI, E., MISHKIN, M. (1969) Further evidence on the locus ofthe visual area in the temporallobe of monkey. Exp. Neurol., 25, 585-594.
KUBOTA, K., NIKI, H. (1971) Prefrontal cortical unit activity and delayed altemation performance in monkeys. J. Neurophysiol., 34, 337-347.
MIYASHITA, Y. (1988) Neuronal correlate of visual associative long-term memory in the primate temporal cortex. Nature, 335, 817-820.
MIYASHITA, Y., CHANG, H.S. (1988) Neuronal correlate of pictorial short-termmemory in the extrastriate cortex. Nature, 331,68-70.
NAYA, Y., SAKAI, K, MIYASHITA, Y. (1996) Activity of primate inferotemporal neurons related to a sought target in pair-association task. Proc. Natl. Acad. Sci. USA, 93, 2664-2669.
OKUNO H., MIYASHITA Y. (1996) Expression of the transcription factor Zif268 in the temporal cortex of monkeys during visual paired associate leaming. Eur. J. Neurosci., 8,2118-2128.
PERRET, D.L, ROLLS, E.T., CAAN, W. (1982) Visual neurons responsive to faces in the monkey temporal cortex. Exp. Brain Res., 47, 329-342.
PETRIDES, M., PANDYA, D.N. (1994) Handbook oJneuropsychology, voI. 9, a c. di Boller F., Spiunler H., Hendler J.A., Arnsterdam-New York, Elsevier, pp. 17-58.
RAO, S.C., RAINER, G., MILLER, E.K (1997) Integration of what and where in the primate prefrontal cortex. Science, 276, 821-824.
SAKAI, K., MIYASHITA, Y. (1991) Neural organization forthe longterm memory of paired associates. Nature, 354,152-155.
SARY, G., VOGELS, R., ORBAN, G.A. (1993) Cue invariant shape selectivity of macaque inferior temporal neurons. Science, 260, 995-997.
SELTZER, B., PANDYA, D.N. (1978) Afferent cortical counections and architectonics of the superior temporal sulcus and surrounding cortex in the rhesus monkey. Brain Res., 149, 1-24.
SERENO, M.L, DALE, A.M., REPPAS, J.B., KWONG, KK, BELLIVEAU, J.W., BRADY, T.J., ROSEN, B.R., TOOTELL, R.B.H. (1995) Borders of multiple visual areas in humans revealed by functional magnetic resonance imaging. Science, 268, 889-893.
TANAKA, K., SAlTO, H., FUKUDA, Y., MORIYA, M. (1991) Perirhinal and parahippocampal cortices of the macaque monkey: cortical afferents. J. Neurophysiol., 66, 170-189.
WANG, G., TANAKA, K., TANIFUJI, M. (1996) Optical imaging of functional organization in the monkey inferotemporal cortex. Science, 272, 1665-1668.
WATANABE, M. (1986) Prefrontal unit activity during delayed conditional Go/No-Go discrimination in the monkey. Brain Res., 382, 1-14.
WILSON, F.A.W., O SCALAIDHE, S.P., GOLDMAN-RAKIC, P.S. (1993) Dissociation of object and spatial processing domains in primate prefrontal cortex. Science, 260, 1955-1958.
Bibliografia generale
BADDELEY, A.D. Working memory, Oxford, Clarendon Press, and New York, Oxford University Press, 1986.
MISHKIN, M. (1982) A memory system in the monkey. Philos. Trans. R. Soc. Lond. Biol. Sci., 298, 85-95.
MIYASHITA, Y. (1993) Inferior temporal cortex: where visual perception meets memory. Annu. Rev. Neurosci., 16, 245-263.
PETRIDES, M. Frontal lobes and working memory: evidence from investigations on the effects of the cortical excisions in nonhuman primates. In Handbook of neuropsychology, voI. 9, a c. di Boller F., Spiunler H., Hendler lA., Arnsterdam-New York, Elsevier, 1994.
SQUlRE, L.R., ZOLA-MoRGAN, S. (1991) The mediaI temporallobe memory system. Science, 253, 1380-1386.
TANAKA, K (1996) Inferotemporal cortex and object vision. Annu. Rev. Neurosci., 19, 109-139.