RAPSODI
. L'epopea greca, nella forma nella quale è giunta a noi, esametrica e ampiamente narrativa, fu senza dubbio fissata fin da principio per iscritto (v. epopea: Epopea greca, XIV, pp. 120-21). Ma altrettanto certo è che i Greci, tranne poche eccezioni, sino alla fine del sec. V non conobbero Omero ed Esiodo dalla lettura, ma qualche parte dal dettato dei maestri (Omero è il primo libro scolastico), i poemi interi dalla recitazione del rapsodo. Rapsodo (ραψῳδός) si chiama appunto da un certo tempo in poi il recitatore professionale.
La parola non è molto antica. Omero chiama ancora i poeti e i recitatori di canti epici (che sono lo stesso) aedi (ἀοιδοί), "cantori"; ma quest'espressione è già per lui tradizionale, perché i poemi omerici sono scritti per la recitazione, non per il canto. Tuttavia il nome perdura ancora secoli: ancora il poeta dell'inno omerico ad Apollo, il cieco di Chio identificato dalla novella con Omero (v. omero, XXV, 338), chiama sé stesso cantore. I primi esempî sicuri di "rapsodo" appartengono al sec. V, e la parola è anche foneticamente recente. Siccome essa è formata da ῥάπτω "saldo, cucio" e da ᾠδή "canto", i moderni hanno costruito un'opposizione tra l'aedo poeta e il rapsodo recitatore. Ma dal nome non si può indur nulla, perché già in Omero ῥάπτω "saldo" ha anche il significato di "escogito, invento con arte"; può dunque avere indicato originariamente il poeta, l'aedo. E il luogo forse più antico in cui il vocabolo è non adoperato, ma parafrasato, un frammento "esiodeo" (del resto relativamente recente, perché, fraintendendo l'Esiodo autentico, inventa una gara tra esso e Omero), dice appunto dei due poeti che essi "saldarono il canto in nuovi inni", usa dunque ῥάπτειν di poesia originale. Gli antichi aedi o rapsodi erano non solo recitatori ma poeti. Gli autori degli "inni" o meglio proemî omerici preludiano con questi alla recitazione di un episodio epico celebre. Anche Esiodo, l'Esiodo autentico, è rapsodo, anzi narra di aver preso parte a un agone rapsodico; né del resto si spiegherebbe altrimenti com'egli, beota, adopri il verso e la lingua omerica per argomenti a essi originariamente estranei. Né (lasciando stare mutamenti inconsci, inevitabili ogniqualvolta si reciti a memoria) i rapsodi si saranno mai fatto scrupolo d'"interpolare" (v. interpolazione) passi grati al loro auditorio. Essi saranno divenuti pretti recitatori, man mano che nella letteratura greca non si componeva più epopea, ma elegia, giambo, prosa.
Nell'Odissea l'aedo fa parte del personale di corte; finché durò la civiltà ionica, i rapsodi saranno rimasti per lo più fermi nel loro paese, tranne ad allontanarsene per prodursi in fiere (πανηγύρεις) o in agoni. A Chio essi erano organizzati in una "gilda" o "arte", che chiamava sé stessa Omeridi; la forma genealogica del nome dev'essere, come così spesso in Grecia, fittizia, perché ad Omero non fu data per patria Chio se non per colpa di un'erronea identificazione del cantore dell'inno ad Apollo: Omeridi sono, del resto, per Pindaro tutti gli aedi o rapsodi che anch'egli, come lo pseudo-Esiodo, identifica. Ma ad ogni modo un'organizzazione suppone un domicilio fisso. Già dal sec. V in poi il rapsodo è (come il medico e il sofista) un errabondo che va di paese in paese: quale errabondo Platone, probabilmente il Platone autentico, rappresenta, non senza derisione, il rapsodo Ione.
Al tempo di Platone le persone colte non avranno più avuto bisogno del rapsodo per conoscere Omero. Ma il rapsodo rimane ancora a lungo il beniamino dei volghi, come era stato un tempo caro a tutto il popolo. Agoni rapsodici fanno parte delle feste più antiche, p. es., delle Panatenee (dove, a quel che pare, una legge assai antica prescriveva che i canti omerici fossero da essi recitati in ordine), come delle più recenti. Anzi la prima età ellenistica pare attribuire ad agoni tra rapsodi un'importanza maggiore che la precedente, mostrandosi così anche in questo (come, p. es., nella lingua) continuatrice piuttosto della civiltà ionica che di quella attica. E tali agoni divengono più rari solo dal sec. II a. C. in poi.
I rapsodi più antichi erano recitatori; già Platone considera Ione quale un attore, anzi lo chiama ὑποκριτής. E Omero fu con l'andar del tempo recitato in forma sempre più drammatica. Gli "omeristi" (‛Ομηρισταί) addirittura lo rappresentavano. Di tali rappresentazioni, insopportabili a un gusto raffinato, si compiaceva il Trimalchione di Petronio; ma Omeristi sono ancora nominati in papiri greci d'Egitto del sec. III d. C.
Bibl.: In genere, W. Aly, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., I-A, col. 244. Sul senso originario della parola, H. Fränkel, in Glotta, XIV (1925), p. 3 (non ancora confutato). Sugli Omeridi, G. Pasquali, in St. it. di fil. class., serie 1ª, XX (1913), p. 91; F. Jacoby, in Herm., LXVIII (1933), pp. 16, 35. Menzioni epigrafiche di agoni rapsodici raccolte da E. Reisch, De musicis Graecorum certaminibus, dissert., Vienna 1885; J. Frei, De certaminibus thymelicis, diss., Basilea 1900. Su Omeristi, A. Calderini, in Rendiconti dell'Istituto Lombardo, 1911, p. 713; H. Blümner, in Münchner Sitz.-Ber., 1918, 6, p. 5.