Vedi RAVENNA dell'anno: 1965 - 1996
RAVENNA (Ravenna, ῾Ραβέννα, ῾Ραουέννα)
Capitale dell'Impero Romano d'Occidente dal 402-4 al 476; poi del regno di Odoacre e dal 494 del regno ostrogoto; dal 540, principale avamposto e centro propulsore della dominazione bizantina in Occidente.
Il sito geografico su cui R. sorse e si sviluppò durante la più remota antichità, può essere ricostruito solo per grandi linee. Approssimativamente si può dire che esso era piuttosto simile alle odierne formazioni costiere esistenti a N del delta padano. La città sorse con tutta verosimiglianza su un gruppo di dossi sabbiosi appartenenti ad una lunga fascia di dune che, quasi parallela alla costa, correva dalla foce del Po fino all'odierna Cervia. La città ebbe perciò carattere insulare essendo solo a S collegata con la terraferma da una stretta lingua di terra su cui, presumibilmente, passò poi la Via Popilia. I canali, che mettevano in collegamento il mare aperto con la laguna retrostante, attraversavano la città costituendone il principale sistema di comunicazioni interne. Col tempo però l'insieme della situazione geografica mutò completamente. Causa principale di ciò furono i fiumi che, sfociando nella laguna, con i loro depositi alluvionali dapprima la impaludarono e poi la prosciugarono quasi del tutto formando infine altre dune dinanzi a quelle preesistenti, cosicché il mare, nel corso dei secoli, andò sempre più allontanandosi dalla città.
Oltre gli odierni fiumi Ronco, Montone, Savio, ecc., una volta sfociava nella laguna ravennate un ramo meridionale del Po detto Padusa che, per essere stato reso navigabile da Augusto, fu detto anche fossa Augusti. Senza dubbio si trattava della canalizzazione di una vena lagunare derivante dal ramo del Po: essa correva intorno ed attraverso la città, si ramificava in essa e sfociava poi nel mare aperto e la terraferma ravennate.
La stessa formazione del porto che, secondo l'uso romano, deve essere immaginato come un bacino interno simile a quelli di Ostia e di Miseno, fu particolarmente favorita dai fattori naturali. Verosimilmente R. nei primordi dell'età imperiale era ancora vicina al mare aperto; ma già nel VI sec. ne distava circa 6 km e solo acque basse e non navigabili arrivavano a lambire le sue mura: conseguenza di ciò fu che, reso inutilizzabile il porto ubicato presso la città, tutto il traffico portuale dovette essere trasferito a Classe, situata più a S. La falda acquifera quasi affiorante e la situazione insulare resero poi necessaria, come più tardi a Venezia, l'erezione degli edifici su palafitte.
Il clima di R., salubre fin tanto che i fiumi e i canali e le maree fecero circolare intorno e dentro la città acque sempre fresche e pulite (Strab., v, 1, 7) era diventato già malsano nel V sec. a causa del progressivo impaludamento della laguna (Sidon. Apollin., op. cit., 1, 8, 23).
L'impaludamento dei luoghi circostanti si rivelò però vantaggioso per la sicurezza e la vita stessa della città soprattutto durante i periodi delle invasioni barbariche: R. allora, resa quasi inespugnabile dalla terraferma, poté continuare a svolgere indisturbata i suoi traffici con l'Oriente attraverso il mare.
Cenno storico. - Le origini della città sono avvolte dalla leggenda: fondatori ne sarebbero stati i Pelasgi (Zosim., v, 27) o i Greci della Tessaglia, che, minacciati dagli Etruschi, avrebbero poi abbandonato la città agli Umbri (Strab., v, 1, 7). Ma, secondo Giordane (Get., xxix, 147 s.), primi dominatori della città sarebbero stati gli Αἰνετοί (probabile corruzione bizantina della parola (v)eneti: αἰ = ae = e).
Le fonti tacciono di una dominazione etrusca, sebbene essa possa ritenersi probabile, dopo il ritrovamento di alcuni monumenti di arte etrusca, che tuttavia possono anche non avere avuto nulla a che fare con il carattere etnico e politico della città. Probabilmente la città fu solamente posseduta ma non abitata dagli Etruschi, se ancora in epoca romana era ben testimoniata la presenza degli Umbri (Strab., v, 1, 7: οἴ καὶ νῦν ἔχουσιν τὴν πόλιν). Questa R. umbra, in tarda età repubblicana, fu federata con Roma (Cic., Pro Balbo, xxii, 50). Essa però non era mai una colonia di Roma. R. entra per la prima volta nella storia di Roma come punto di approdo della flotta di Metello dell'anno 82 a. C. Nel 49 a. C. Cesare vi sostò con il suo esercito in attesa della risposta del senato, prima di varcare il Rubicone (Caes., Bell. civ., i, 5, 5). Decisiva per le future fortune della città fu la scelta di Augusto, che fece di R. la base navale della flotta operante nell'Adriatico e nel Mediterraneo orientale (Sueton., Aug., il, 1; Tacit., Ann., iv, 5; Veget., Epit. rer. mil., iv, 31).
Forse solo in conseguenza di tale destinazione strategica, R. divenne municipio romano, avente però amministrazione diversa da quella degli altri municipi, in quanto, molto probabilmente, l'amministrazione cittadina fu demandata al comandante della flotta (praefectus classis, Not. Dignitat. Occ., 42, 7). Secondo le epigrafi, la popolazione indigena dovette ben presto subire notevoli cambiamenti nella sua composizione ed assumere un più spiccato carattere cosmopolita in conseguenza del fatto che Illirici della Dalmazia, Greci e Asiatici, Sirî, Egizî ed Orientali in genere presero stabile o temporanea residenza in città. Il vicino sobborgo di Classe, sorto per esigenze portuali forse intorno ai Castra Praetoria Ravennatum, ancora prima della fine del II sec. d. C., contemporaneamente a Pozzuoli, ma in ogni caso prima di Milano ed Aquileia, divenne il primo centro di diffusione del cristianesimo nell'italia settentrionale. Verosimilmente la comunità cristiana vi si mantenne, per lungo tempo, limitata alla sola città di Classe e certamente all'elemento orientale. Con ciò si spiega la permanenza in Classe della sede vescovile, trasferita a R. solo alla fine del IV secolo.
Sotto la minaccia di Alarico e dei Visigoti, Stilicone consigliò all'imperatore Onorio di trasferire la capitale a R., perché questa, più sicura dalla parte della terraferma, offriva maggiori possibilità di difesa e sicuri collegamenti con la capitale d'Oriente.
Circa l'attività di Onorio in favore di R., ben poco si apprende dalle fonti. Probabilmente solo dopo la morte di costui (423 d. C.) e sotto il governo della sorella Galla Placidia, che tenne la reggenza in nome del figlio Valentiniano III (morto nel 455 a Roma), R. divenne uno dei più importanti centri culturali ed artistici dell'Occidente tardo-antico, anche se molto di ciò che è stato tramandato sull'attività dell'imperatrice sia da ascrivere a leggende medievali. Al tempo di Galla Placidia cominciò ad affermarsi la chiesa di R. con l'accresciuta importanza dei suoi vescovi che assunsero anche le funzioni di vicarî dell'Emilia, sempre però nell'ambito della giurisdizione metropolitana della chiesa di Roma. Nello stesso tempo si accrebbe l'importanza culturale della sede di R., fatto che diventa particolarmente significativo negli ultimi decennî dell'Impero d'Occidente.
Con la conquista della città da parte di Teodorico (526) cominciò per R. un periodo di grande splendore. Grande fu l'attività edilizia ed urbanistica esplicata dal re, per volontà del quale si innalzarono varie chiese, parte del palazzo, la basilica di Ercole, parte delle mura, ecc.; si restaurò l'acquedotto, si bonificarono terre paludose. Le lotte scatenatesi alla sua morte in seno alla famiglia reale ostrogota offrirono a Giustiniano, imperatore d'Oriente, il pretesto per intervenire ed iniziare una campagna per la riconquista dell'Italia: nel 540 R. fu il primo importante centro a cadere nelle mani di Belisario, comandante degli eserciti di Bisanzio. La città fu da allora in poi la sede del Praefectus praetorio per l'Italia e perciò direttamente dipendente da Bisanzio. Le diverse circostanze politiche non impedirono però una seconda fioritura delle arti ad opera dei vescovi, che dal 550 furono elevati al rango di arcivescovi metropolitani.
La conquista longobarda di tutta l'Italia settentrionale e di una parte di quella centrale (569), strinse da ogni parte la città accrescendone l'isolamento, poiché fino al 751 R. rimaneva fuori della dominazione longobarda.
Ridotta ormai ad esser solo la sede dell'esarca, ossia del governatore e luogotenente imperiale preposto al governo civile e militare dei residui possedimenti bizantini in Italia (tra cui il cosiddetto ducato di Roma), R. divenne piuttosto un punto d'appoggio militare interamente dipendente da Costantinopoli.
Gli strati archeologici. - Il completo mutamento delle caratteristiche geografiche della costa ravennate a causa delle alluvioni; l'abbassamento lento ma continuo del suolo per effetto del bradisismo, comune a molte zone costiere dell'alto Adriatico; il conseguente affiorare della falda idrica, hanno concorso a rendere molto difficile, se non quasi impossibile, la sistematica esplorazione degli strati archeologici più antichi della città. Così non è stato mai finora raggiunto il livello dell'insediamento preromano, né in alcun caso sembra sia stato individuato quello del centro romano di tarda epoca repubblicana. Con saggi di scavo, condotti a notevole profondità, in alcuni casi fino a 7 m, qualche volta è stato possibile raggiungere il livello urbano di epoca imperiale (Porta Aurea, 6-7 m; pavimentazione stradale, nei pressi di S. Francesco, 6,45 m; resti di abitazioni, tra S. Vitale e il Mausoleo di Galla Placidia, circa 2,80 m-2,65 m sotto il livello del mare; livello del I-II sec. d. C. sotto il cosiddetto Palazzo di Teodorico, 3 m).
Molto meglio conosciuto è il livello della città tardoantica, costatato e studiato meno in saggi di scavo, che in occasione di restauri e indagini condotti nelle principali chiese: la cattedrale, - 3,50 m; S. Apollinare Nuovo, circa 1,65 m; S. Croce, 1,82 m; il livello probabilmente teodoriciano del palazzo sacro, circa 1,70 m sotto il livello stradale.
Topografia. - Nessun elemento della topografia preromana è stato finora scoperto o riconosciuto. Perciò manca non solo l'idea della forma più antica ma anche il punto di partenza per seguire lo sviluppo successivo, cioè nell'età tardo-repubblicana o nei primi tempi dell'Impero.
Pertanto la supposizione del Testi Rasponi, secondo il quale sotto Augusto o Claudio, il più antico nucleo sarebbe stato trasformato in un centro urbano tipicamente romano, rimane tuttora incerta e dubbia ipotesi: perché secondo tale ipotesi l'oppidum umbro, suddiviso dai gromatici romani con il cardine ed il decumano e circondato su quattro lati di mura, sarebbe posto sotto la parte meridionale della città medievale e moderna, il cui sistema stradale sarebbe basato su quello romano. La parte settentrionale della città antica sarebbe stata delimitata dal Flumisellum e dal Flumen Padennae, confluenti ambedue, una volta, in angolo all'altezza dell'odierno mercato coperto. Forse lungo i corsi d'acqua non ci sarebbe stata alcuna protezione in muratura (Bovini). Secondo questa opinione la città sarebbe stata attraversata da un solo canale, la Fossa Amnis, il che male concorderebbe con la descrizione della città tramandataci da Strabone (v, 1, 7).
Un punto fermo di partenza per la ricostruzione della topografia di epoca imperiale è costituito dalla Porta Aurea, innalzata a Claudio nel 43 d. C., nel tratto mendionale delle mura, forse come termine della Via Popilia.
Lungo la cortina orientale della cinta muraria, dietro l'abside della cattedrale, dovrebbe essere un tratto di muro in mattoni; più a S, ma sempre nelle pertinenze del Vescovado, è ancora in piedi una torre rotonda, nella quale si suppone un avanzo della Porta Salustra.
Una strada, parallela al tratto di mura romane, avente direzione N-S, partiva da Porta Augusta e andava a finire ad un ponte che ancora in epoca medievale veniva chiamato Pons Augusti (Pontastro, Pons Austri), sicuramente di origine romana; questa strada potrebbe essere stata il cardo (secondo il Bovini, il decumanus). Mancano altri elementi per questa parte della città, riferibili ai tempi dell'Impero. Che però la città, durante l'Impero, avesse un'estensione parecchio più grande, è provato da alcuni tratti di pavimentazione stradale rinvenuti in Piazza S. Francesco, da resti di case databili tra il I ed il II sec. d. C. venuti alla luce tra S. Vitale ed il Mausoleo di Galla Placidia e sotto la parte orientale di S. Croce, dagli strati inferiori con resti di pavimenti musivi rinvenuti sotto il Palazzo a S-E di S. Apollinare Nuovo. Si potrebbe perciò supporre che la zona urbana prossima a Porta Aurea, suddivisa dai Romani con il cardo ed il decumanus, dopo la promozione della città a municipio, sia stata progettata e costruita come un quartiere nuovo in aggiunta al preesistente nucleo umbro o, in ogni caso, alle parti abitate più antiche, situate verso il mare. Così la parte nuova sarebbe rimasta separata dalla più antica, dal Flumen e dal Flumisellum Padennae. In tal modo si spiegherebbe l'eccezionale ubicazione del Campidoglio e del Foro, il primo, posto immediatamente presso lo sbocco del Flumisellum nel Flumen Padennae, ad E del cardo, e cioè al limite della supposta città romana: così ubicati, questi due centri sarebbero stati immediatamente collegati con l'abitato più antico, posto al di là dei canali, e avrebbero costituito l'elemento di congiunzione e di fusione tra quella parte di città e la più recente; la quale, come riferisce Strabone, sarebbe stata così attraversata da più canali che, nell'insieme, avrebbero costituito il suo principale sistema di comunicazioni interne.
Non si ha alcuna notizia circa il sito del più antico porto romano, di cui Plinio celebra il fuoco illuminante (Nat. hist., xxvi, 18, 83). Forse esso non era tanto lontano dal Mausoleo di Teodorico che, durante il Medioevo, fu detto Ad Farum (Agnell., Lib. Pont., vita Iohannis, HE. 304, TR. 113).
Mancano notizie anche circa l'epoca in cui fu costruito il porto meridionale, collegato con la città mediante una strada (la Via Caesaris di Sidonio Apollinare, Ep., i, 5, 5), che forse dette il nome al sobborgo di Cesarea (Iordan., Get., 29). Forse la sua costruzione era già iniziata nei primi decennî dell'Impero; esso però, ancora nel V sec. d. C., si chiamava Portus Novus (Sidon. Apollin., Ep., i, 5, 5).
Non lontano da questo porto erano presumibilmente siti menzionati nel II e III sec. d. C., i Castra Praetoria Ravenn(atum) (C.I.L., xi, 2606) o, più esattamente, i Castra Classis Praetoriae Ravennatus (= Ravennatis, v. Année Epigr., 1922, n. 135).
Dalla seconda denominazione (Castra Classis...) ebbe forse origine più tardi, il nome della città (nel mosaico di S. Apollinare Nuovo, dell'inizio del VI sec. d. C., Civi[tas] Classis, C.I.L., xi, 281); forse la civitas, come tanto frequentemente accade, si sviluppò dall'insieme delle cabannae che, col tempo, erano sorte intorno ai castra militari; la civitas, però, diversamente dalle ipotesi più recenti di G. C. Susini, non sarebbe assurta subito, e certamente non già nei primi tempi dell'Impero, ad uno stato di indipendenza amministrativa, ma sarebbe rimasta per qualche tempo soggetta a R., come induce a credere l'epigrafe di un Patronus Mun(iczpù) Ravenn(atis), del I sec. d. C., rinvenuta nella necropoli di S. Apollinare in Classe (C.I.L., xi, 19).
Degli edifici sorti nella città romana, le fonti medievali menzionano in special modo: il circo, localizzabile a S di S. Agata Maggiore; l'anfiteatro, dinanzi a Porta Aurea; un teatro (Salvian., De Gubern. Dei, vi, 49); uno Stadium Tabulae, vicino al Mausoleo di Teodorico (forse, però, di epoca tardo-antica).
Per ovviare alla penuria di acqua potabile (motivo di ironia in Marziale, Epigr., iii, 56) Traiano fece venire l'acqua dall'Appennino con un acquedotto che fu, poi, restaurato da Teodorico (Cassiodor., Var., v, 38; tubi di piombo con l'iscrizione del re, v. Bovini, in Fel. Rav., lxxii, 1956, p. 41, fig. 11; resti di pilastri esistenti ancora nel letto del fiume Ronco, a S-O della città). Termine o "mostra" dell'acquedotto, per il Bovini, sarebbero stati i ninfei che, secondo le fonti medievali, sorgevano presso il Campidoglio (Agnell., Lib. Pont., vita Iohannis, HE. 303, TR. 108).
Non rimane alcuna traccia di edifici di culto pagano, né risulta che mai ne siano state rinvenute. Agnello (Lib. Pont., vita Apollinaris, i, HE. 281) accenna ad un tempio di Apollo fuori Porta Aurea. Dalle epigrafi si ricava la notizia di un tempio di Nettuno, nonché del culto tributato a varie divinità, tra cui Giove Ottimo Massimo Dolicheno (C.I.L., xi, 2), Silvan6 (C.I.L., xi, 3), la Fortuna Primigenia (C.I.L., xi, 1) e, nelle campagne, Giove Terminale (C.I.L., xi, 531).
Più chiaro e completo si presenta il quadro della topografia di R. tardo-antica, grazie ai cospicui resti di monumenti ed alle molteplici testimonianze delle fonti medievali.
Il trasferimento della capitale da Milano a R. determinò, forse molto presto, un ampliamento del centro abitato ed un decisivo mutamento del suo carattere.
Anche se le fonti non ne parlano, si deve ritenere per certo che Onorio, durante il suo governo quasi ventennale, abbia restaurato, e forse ampliato, le vecchie mura. Agnello tramanda solo il ricordo di un ampliamento sotto Valentiniano III (Lib. Pont., vita Iohannis, HE. 305, TR. 116), mentre restauri od ampliamenti attuati forse dall'esarca Smaragdo, sono attribuiti invece a Teodorico (murus novus un tempo presso la linea ferroviaria).
L'allargamento dell'area urbana ed il conseguente ampliamento della cinta muraria resero di volta in volta necessario l'abbattimento di tratti di mura più antiche, come è da supporre sia avvenuto per la maggior parte del tratto orientale delle mura romane, all'incirca fino al Vescovado ed alla torre ivi ancora esistente. Forse sono di origine tardo-antica le denominazioni delle porte pervenuteci attraverso il Medioevo: a cominciare da N-E, Porta Artemidoris (Artenectorum, Artesnecoturum, Artemeduli, volgarizzato in Tremedula) attraverso la quale si raggiungeva il porto settentrionale ed il Mausoleo di Teodorico; Porta Palatii e Porta Vandalaria, ambedue ad E del Palazzo, Porta S. Laurentii; da cui si dipartiva la via per Cesarea e Classe; Porta Ursicina, Porta S. Mamae; Porta Aurea, che risale al tempo imperiale, come pure Posterula S. Zenonis, Porta Teguriensis, Posterula Ovilionis; Porta S. Victoris (Guarcinorum) probabilmente di epoca tardoantica.
Alcuni ponti scavalcavano i canali che attraversavano la città: i resti che di alcuni si sono trovati, appartengono però ad epoca medievale. Sul Flumen Padennae passavano il Pons Marinus, in corrispondenza di un tratto dell'odierna via omonima; il Pons S. Michaelis, vicino alla chiesa di S. Michele in Africisco, il Pons Apollinaris o Coopertus corrispondente ad un tratto dell'odierna via Romolo Gessi, nella quale furono rinvenuti, appunto, resti di antiche imposte, molto probabilmente di epoca romana; il Pons Cepitellus, all'incirca davanti alla chiesa di S. Francesco.
Sopra il Flumisellum Padennae si voltava ancora il ponte più importante, il Pons Augusti; seguiva verso O il Pons S. Stephani circa all'inizio dell'odierna via Manfredo Fanti.
La Fossa Amnis era superata dal Pons Candanavariae, la cui ubicazione non è nota; dal Pons Milvius o Calciatus, che forse attraversava la via che da Porta Augusta conduceva verso il Pons Augusti; dal Pons Pistorum per il quale però è stata avanzata l'ipotesi della sua identità con il Pons Cepitellus, cosicché esso dovrebbe esser localizzato presso la confluenza della fossa amnis con il flumen Padennae.
Il sorgere, ai limiti dell'abitato romano, di due nuovi centri di espansione quali il Palazzo imperiale e la Cattedrale con l'episcopio, determinò un deciso mutamento nel quadro urbanistico della città. La regione del Palazzo imperiale, estendendosi ad oriente del centro abitato, era limitata ad O, verso la città, da un gran tratto della via che, verso S, conduceva a Porta S. Laurentii e poi a Cesarea ed a Classe, e che nel Medioevo fu chiamato Platea Maior (attualmente via Roma).
Frutto di leggende medievali è l'esistenza di un palazzo di Galla Placidia della regione N-O della città, vicino alla basilica di S. Croce.
Del complesso del Palazzo imperiale faceva parte la Moneta Aurea. La più antica zecca di monete di bronzo, detta Moneta publica o vetus, era ubicata invece presso le chiese di S. Apollinare in Veclo e di S. Francesco. Segno distintivo della capitale, come di Roma e Costantinopoli, era il Miliarium Aureum che forse era collocato nel Foro.
La cattedrale fu innalzata dal vescovo Orso quasi a ridosso del tratto orientale delle mura romane; a S della cattedrale ed in connessione con essa, sorse l'Episcopio che in seguito assunse dimensioni sempre più vaste.
Nel corso dei secoli V e VI si moltiplicano le fondazioni di edifici sacri e memoriali, dedicati non solamente ai santi ravennati, ma anche, ed in maggior misura, a santi martiri stranieri. Gli edifici di culto si distribuiscono un po' dappertutto nei diversi quartieri della città; però, più densamente essi sorgono nella regione a N del Flumiseltum, da S. Croce a S. Vitale.
In epoca ostrogota fu innalzato entro le mura il complesso degli edifici di culto ariano, costituito dalla Cattedrale, dal Battistero e dall'Episcopio. L'insieme dei suddetti edifici, sorto forse in sostituzione di una più antica sede vescovile extra moenia esistente presso il campus Coriandri e lo stadium tabulae, col tempo divenne il centro ariano della capitale.
Fuori le mura della città, a N, si trovava forse un vicus barbaricus, al quale apparteneva anche il campus Coriandri già menzionato, per le truppe barbariche, fin dai tempi dell'Impero d'Occidente, durante il V sec., cioè prima del periodo ostrogoto; più ad E sorse il Mausoleo di Teodorico, accanto a una necropoli barbarica estendendosi fino all'odierna darsena.
A S, fuori Porta S. Lorenzo, si stendeva il sobborgo di Cesarea con l'importante chiesa di S. Lorenzo in Cesarea (forse ricordata da S. Agostino, Serm., cccxxii), con annessa una delle necropoli della città. La via Cesarea, donde con tutta probabilità la denominazione del sobborgo, proseguiva verso S e conduceva a Classe, i cui resti archeologici più settentrionali sono stati ritrovati presso l'odierno ponte sui Fiumi Riuniti. La Civitas Classis, costituita presumibilmente dai Castra e da quartieri di abitazione, si stendeva più a S: l'unica testimonianza è data dalle rovine della chiesa di S. Severo, ubicata vicino alla ferrovia, a S dei Fiumi Riuniti. La chiesa di S. Apollinare in Classe invece, con tutta sicurezza non era compresa nell'ambito dell'abitato di Classe ma era sita extra moenia, a S dell'abitato, come prova la necropoli, in parte sotto la chiesa. Circa l'ubicazione del porto, le più recenti opinioni sull'argomento sono alquanto discordi. Un tempo, la chiesa di S. Maria in Porto serviva come punto di riferimento per localizzare l'antico bacino portuale di Classe ed ancora oggi la maggior parte degli studiosi segue con ragione questo criterio.
I monumenti fino al IV sec. d. C. - L'arte preromana è scarsamente documentata. D'altra parte i pochi ritrovamenti dovuti al caso sono stati tramandati senza precise indicazioni topografiche. La più importante opera arcaica proveniente dal territorio ravennate è una statuetta bronzea di guerriero, di arte etrusca della fine del VI sec. a. C., conservata nel museo di Leida, recante l'iscrizione: ucer hermenas turuce. Ad essa si uniscono alcune statuette di bronzo, per la maggior parte più tarde (dal VI al IV sec. a. C.) conservate nel Museo Nazionale. Questi ritrovamenti fanno presupporre l'appartenenza di R. alla cerchia culturale etrusca. Per il periodo successivo e fino al tempo in cui la città diventa municipio romano, manca ogni traccia artistica.
La Porta Aurea, costruita da Claudio nel 43 d. C. e distrutta solo nel 1582, può essere ricostruita, compresa la sua epigrafe dedicatoria: [Ti(berius) Cla]udius D[rus]i F(ilius) [Caesar Aug(ustus) Germanicus Pont(zfex) Max(imus) Tr(ibuniciae) pot(estatis) II co(n)s(ul) desig(natus) III P(ater) P(atriae) dedit] (= C. I. L., xi, 4 ricostruita). La porta, a due fornici, constava di due monumentali edicole fiancheggiate dall'esterno da due pilastri e coronate da un attico ad arcate cieche.
In ciascun pilastro si apriva una nicchia rettangolare, destinata forse ad una statua, sormontata da un tondo incorniciato, destinato forse ad accogliere una testa o un busto. La Porta Aurea costituì un momento importante nello sviluppo architettonico delle porte urbiche e degli archi trionfali, nel tempo tra Augusto e i Flavi, allorché le porte urbiche, da opere prevalentemente difensive, andarono man mano trasformandosi in costruzioni più ornamentali e perciò piu simili ad archi di trionfo.
Da saggi di scavo effettuati tra S. Vitale ed il Mausoleo di Galla Placidia, sotto la parte orientale di S. Croce, sotto il tratto meridionale del più tardo palazzo imperiale, sono venuti alla luce avanzi di frammenti musivi, di buona qualità, appartenenti a case romane, a disegno semplice o complicato in bianco e nero, databili tra la fine del I e la seconda metà del II sec. d. C.
Manca ogni traccia di scultura per l'epoca tardorepubblicana, a meno che non si voglia far risalire a quell'epoca una testa virile in travertino che, però, come le stele funerarie, sarebbe piuttosto da attribuire alla prima epoca imperiale.
Solo a partire dal I sec. d. C., i reperti archeologici si fanno più consistenti: appartengono a quel tempo i resti di un fregio architettonico (altare?, arco onorario?) sul quale sono raffigurati Augusto con gli attributi di Giove, Livia con quelli di Venere Genitrice, una figura giovanile (per la quale si è pensato a Marcello, Druso, Germanico, Gaio Cesare), Agrippa in costume militare ed una figura femminile presumibilmente allegorica (Terra?, Roma?); della processione sacrificale rimane solo un frammento. Il monumento da cui tali resti provengono, forse il più importante della regione, può essere ben ritenuto come esempio dell'arte augustea, anche se si è pensato all'epoca di Claudio per l'ipotetica appartenenza dei resti stessi alla Porta Aurea. Nel caso in cui se ne voglia ammettere la lavorazione in loco, si deve convenire che furono impiegate maestranze non locali, ma chiamate dalla capitale.
Al periodo che sta fra la metà e la fine del I sec. d. C. appartiene un gruppo di stele funerarie, opere senz'altro di scultori locali che esercitano una certa influenza nei dintorni più o meno prossimi alla città.
I busti dei defunti sono racchiusi in nicchie; ogni nicchia contiene fino a tre busti, ma la stele può a volte presentare più nicchie sovrapposte fino a tre, con sotto la relativa epigrafe funebre; spesso tutta la stele è profilata da una cornice architettonica. Le acconciature appartengono al primo periodo imperiale; la durezza del lavoro, il frontalismo e il realismo delle teste risentono però ancora della tradizione ritrattistica tardo-repubblicana; la struttura architettonica è quella caratteristica dell'Italia settentrionale. Secondo la tradizione medievale (di cui è cenno anche in Petrarca), di provenienza ravennate doveva essere anche la statua equestre di imperatore romano, databile tra la fine del II e il principio del III sec., che i Longobardi trasferirono a Pavia. La statua, detta volgarmente Regisole, fu distrutta in quella città nel 1796.
Il tipo di sarcofago in uso a R. a partire dal II sec. si trova diffuso in tutto il resto dell'Italia settentrionale.
Punti di partenza per questo sarcofago sono i microasiatici decorati a rilievo su tutti e quattro i lati, sia quelli a cassettone con gli spigoli profilati da cornice e con la tabula ansata fiancheggiata da figure umane (sarcofago di Ollia Tertullia nel Museo Nazionale) sia infine quelli con pilastri angolari. Di quest'ultimi esiste anche a R. la variante, molto diffusa in alta Italia, con nicchie sulla fronte (sarcofagi di Aurelio Macedone nel Museo Nazionale, di Seda nel Museo Arcivescovile). Sulla fronte dell'esempio più importante a R., il sarcofago dei möstai di Iside G. Sosio Giuliano e della consorte Tetratia Isias, della fine del III sec., la tavola d'iscrizione, in una forma tipicamente microasiatica, è fiancheggiata da due figure sedute su cattedre; la distribuzione del rilievo sui fianchi, con rappresentazioni d'iniziazioni mistiche, è già molto simile a quella usata sui più tardi sarcofagi cristiani ravennati.
Arte tardo-antica ravennate. - L'importanza culturale e artistica di R., anche nella più tarda epoca imperiale, non è superiore a quella di un qualsiasi centro provinciale: limitata è l'influenza esercitata sui centri abitati viciniori, come è chiaramente dimostrato dall'architettura e dalla scultura funerarie. Assurta al ruolo di capitale, R. diventa uno dei centri più importanti e splendidi dell'arte e della cultura di tutto l'Occidente tardo-antico.
Architettura. - L'architettura ravennate tardoantica, per essere meglio compresa, deve essere vista nel quadro di relazioni con l'architettura dell'Italia settentrionale in generale, e con quella delle regioni dell'alto Adriatico in particolare; pur non mancando in essa chiari riferimenti all'architettura della vicina Dalmazia. Rimane soprattutto conservata nei suoi elementi essenziali la tradizione architettonica dell'Italia settentrionale e dell'alto Adriatico, anche se non è difficile scorgervi alcuni influssi, anche di carattere tecnico, di provenienza orientale.
Domina in generale il tipo di costruzione laterizia (fa eccezione il Mausoleo di Teodorico), a volte con intelaiature di legno, consistente, fino al VI sec., in mattoni rettangolari relativamente alti (6-9 cm) usati nell'Italia settentrionale, del tutto differenti dal tipo di costruzione in opus caementicium, in uso nell'Italia centrale. Solamente nel VI sec. appare il mattone piatto (alto 3-4 cm), presumibilmente mutuato da Costantinopoli. Le vòlte, come nell'Oriente greco, sono spesso costruite con mattoni disposti radialmente; però, almeno dalla fine del IV sec.; diventa sempre più frequente l'uso di costruire le vòlte con leggeri tubi fittili, come già avveniva a Milano, Roma, in Sicilia e nell'Africa del Nord.
Una delle caratteristiche dell'architettura ravennate è rappresentata dall'uso della lesena che, come già nell'architettura dell'Italia settentrionale e delle regioni costiere dell'alto Adriatico, è adoperata quasi per scandire il liscio paramento esterno degli edifici. Fatta eccezione per i mausolei, tutti gli edifici sacri del tempo hanno la finestra ad arco a pieno centro, ed anche nei colonnati è usato esclusivamente l'arco a tutto sesto.
Le poche tracce di architettura profana tardoantica, per di più note solo parzialmente ed insufficientemente pubblicate, non permettono di formulare un preciso giudizio sul suo carattere: si può dire, tuttavia, che anche qui si trovino schemi spaziali diffusi nell'architettura palatina, come la sala absidata e la cella tricora.
Ma è senza dubbio l'architettura sacra ravennate che si presta, al pari di quella di Roma, ad esser meglio osservata e conosciuta. La cattedrale Ursiana, un tempo il più notevole edificio sacro della città, era a cinque navate, senza transetto e perciò notevolmente differente dai corrispondenti edifici di R. e Milano (S. Tecla). Essa trovava piuttosto riscontro in esempî orientali (vedi la chiesa di Salamina di Cipro). Questo tipo monumentale di basilica non ebbe imitazioni, anche se alcune soluzioni proprie dell'Ursiana furono adottate nella successiva architettura sacra di R.: cosi, per esempio, la mancanza del transetto diventerà una costante dell'edificio basilicale ravennate. Altra forma comune agli edifici sacri della città sarà l'abside esternamente poligonale, di influsso costantinopolitano, che li caratterizzerà in contrasto con Roma e il restante Occidente. In comune con l'architettura orientale, l'edificio sacro ravennate ha il sistema di illuminazione diffusa uniformemente dalle finestre non solo nella parte alta della navata mediana ma anche nelle navatelle.
L'uso di costruire vani rettangolari ai lati dell'abside, molto praticato in Asia Minore, in Siria e nei paesi costieri del Mediterraneo meridionale, ma piuttosto raro in Occidente, è presente, già all'inizio del V sec., in S. Giovanni Evangelista, ed appare di poi in S. Vitale ed in S. Apollinare in Classe. In quest'ultimo edificio, come nel primo S. Giovanni, anche il nartece ha vani quadrilateri su ogni estremità. Questa caratteristica non si trovava né nelle absidi delle due cattedrali, la cattolica e la ariana, né in quelle di S. Apollinare Nuovo, di S. Agata Maggiore, di S. Michele in Africisco e, per quel che se ne sa, forse neanche nella Basilica Apostolorum. Le piante degli edifici basilicali, quando si presentano con un accentuato sviluppo longitudinale, denotano tradizioni edilizie occidentali; allorché invece il rapporto delle dimensioni della nave mediana è 1 : 2, come in S. Spirito e in S. Michele in Africisco, rinviano per la loro origine a Costantinopoli. S. Apollinare in Classe, che delle basiliche conservate è la più tarda, con la larghezza delle navatelle uguale alla metà della mediana, con il suo proporzionato alzato, colla diffusa uniforme luminosità del suo interno costituisce una delle rese più armoniose di effetto spaziale, mai più raggiunto in seguito.
Tra gli edifici a pianta centrale, i cruciformi ebbero subito un ruolo importante. La distrutta basilica di S. Croce, il più noto edificio del genere, era d'una sola navata con pianta a croce latina, senza abside, con il subsellio campeggiante libero nell'ambiente; la copertura era un soffitto ligneo. Il tipo presentava relazioni con altri consimili edifici dell'Italia settentrionale, e di Milano in special modo (SS. Nazario e Celso, S. Sempliciano). Alla tradizione architettonica dell'Italia settentrionale (Verona, Vicenza, Rimini), appartengono anche altri edifici a croce, di dimensioni più ridotte, adottati per mausolei (come quello detto di Galla Placidia) ed oratorî (cappella arcivescovile).
La pianta centrale di forma poligonale fu forse adottata già per la prima volta verso la fine del sec. IV, nella costruzione del battistero della cattedrale. In questa costruzione le nicchie a pianta quadrata, in confronto con tipi precedenti, sono ridotte, come pure ridotto è lo spessore dei muri portanti perché in origine l'edificio non era coperto da cupola: tutto sommato si tratta di una soluzione tardo-antica che trova esempî contemporanei in Italia settentrionale (Milano, Aquileia), ma che è adottata anche in Oriente (santuario di S. Mena presso Alessandria). Il più tardo battistero degli Ariani ha ambulacro a forcipe, con vani accessorî disposti lateralmente alla nicchia orientale più sviluppata a mo' di abside: sotto questo profilo l'architettura dell'edificio non trova confronti altrove sicché si deve pensare ad un'origine locale.
La soluzione spaziale del S. Vitale, eccezionale per R., trova spiegazione attraverso i rapporti diretti ed indiretti della città con Bisanzio; ma, pur ammesso che l'idea architettonica sia venuta da Costantinopoli, si deve aggiungere che essa, e per le soluzioni tecniche adottate e, soprattutto, per le proporzioni date all'edificio (verticalismo, lunghezza) non note ai prototipi orientali e, ancora, per il contrasto di accenti che ne deriva, fu interamente tradotta nel carattere dell'architettura occidentale.
Nel quadro delle vicende dell'architettura ravennate, un posto a sé occupa il Mausoleo di Teodorico che, in generale, non offre possibilità di contemporanei confronti. Forse l'idea animatrice del progetto fu derivata dalla ormai tramontata tradizione architettonica dei monumentali mausolei a due piani; nel monumento, tuttavia, sono presenti, amalgamate tra loro, alcune forme dell'architettura contemporanea (imitazione di una cupola con rinfianchi, del tipo realizzato a Bisanzio), e lo stesso apparato ornamentale non è alieno, almeno in parte, da influenze della contemporanea arte ostrogota; i tagliapietre per la maggior parte non furono ravennati, ma con molta probabilità, dalmati o dell'Asia Minore.
La maggior parte della scultura architettonica è stata importata già tutta rifinita dalla Propontide. Forse gli esempi più antichi sono: i capitelli di S. Francesco (del 458 circa), un gruppo più antico di capitelli con foglie d'acanto che sembrano avere lo spessore del cuoio (Lederblatt-Kapitelle, v. Kautzsch, n. 225); i capitelli più evoluti di S. Apollinare Nuovo hanno, compresi i marchi, gli esatti paralleli a Costantinopoli (Leier-Kapitelle, Kautzsch, n. 195 ed altri); i capitelli composti con acanto disposto a farfalla e con il monogramma di Teodorico (Piazza del Popolo e Museo Nazionale) corrispondono esattamente a quelli, di almeno venti anni più recenti, di S. Apollinare in Classe (Kautzsch, n. 470, 469), capitelli con foglie "di cuoio" a S. Maria Maggiore (521-2 - 531-2, più evoluti che i tipi Kautzsch, nn. 167, 184), come esempî della più matura arte giustinianea il capitello d'imposta lavorato a giorno di S. Michele in Africisco, nonché la ricca scelta di capitelli compositi e di imposta in S. Vitale (tra il 540 e il 546, Kautzsch, nn. 596, 6o5-o8, 629, 767-8; cornice nell'abside con acanto finemente dentellato, Kautzsch, n. 450). L'uso in S. Vitale di svariati tipi di capitelli, la ricchezza di forme concentrata verso il presbiterio, nonché l'uso del pulvino tra il capitello d'imposta e l'arco sono modi non noti alla contemporanea architettura costantinopolitana. Da Costantinopoli vengono anche le transenne dell'Ursiana (Museo Arcivescovile) e di S. Vitale (Museo Nazionale; ivi i più semplici cancelli, pure importati, con marchio greco) anche fra gli amboni, quelli di S. Agata Maggiore e di S. Apollinare Nuovo, potrebbero essere attribuiti ad officine dell'Oriente.
Solo una piccola parte della scultura architettonica ravennate proviene da officine indigene fra cui sono da menzionare i capitelli ionici, un po' più antichi, della galleria a finestre del battistero della cattedrale. Questi però sono derivati da tipi orientali, come la più tarda scultura architettonica di S. Spirito, dove i capitelli più vicini all'abside, anche come tipi base, appartengono alla tradizione occidentale e, per il loro duro rillevo e in parte per i loro motivi ornamentali, sembrano piuttosto vicini ad alcuni motivi ornamentali del Mausoleo di Teodorico. Opere di maestranze indigene, venute forse su nelle locali officine dei sarcofagi, dovrebbero essere le transenne di S. Apollinare Nuovo, del tempo di Teodorico, al pari dell'ambone di S. Spirito che ha un modello orientale, simile a quello in S. Apollinare Nuovo. Con tutta probabilità a scultori ravennati devono essere attribuiti inoltre i diversi stipiti di altare pervenutici e gli amboni di epoca più tarda (ambone di Agnello nella cattedrale, ambone proveniente da SS. Giovanni e Paolo, dell'ultimo decennio del sec. VI, nel Museo Arcivescovile).
Pittura. - Per la storia della pittura paleocristiana, i mosaici di R. hanno senza dubbio una notevolissima importanza. Come in nessun altro luogo dell'Ecumene, sono qui conservate intere decorazioni di interni, con incluse le incrostazioni marmoree e a stucco; mentre quelle pervenuteci incomplete, possono essere in buona parte ricostruite. Il Mausoleo di Galla Placidia, il Battistero della Cattedrale, il presbiterio di S. Vitale sono di ciò la testimonianza più universalmente nota. Malgrado estesi restauri, condotti a più riprese dall'antichità fino ai tempi moderni, essi costituiscono il più vivo ed impressionante documento della pittura sacra tardo-antica e permettono nello stesso tempo, attraverso alcuni quadri di soggetto aulico, come i due famosi in S. Vitale, di formulare qualche giudizio sulla perduta pittura profana, un tempo pur essa copiosa ed importante.
Le origini dell'arte musiva ravennate non sono affatto chiare. Il primo ciclo di mosaici, steso in S. Giovanni Evangelista (dopo il 423), di cui si ha notizia solo attraverso le fonti letterarie, a giudicare dal tema trionfale, deve essere considerato come risalente in massima parte all'arte aulica orientale. Dei cicli musivi conservati, il primo in senso cronologico, quello del Mausoleo di Galla Placidia, fu eseguito probabilmente nel secondo venticinquennio del sec. V: ma già in quel tempo è certo che in R. prosperavano officine e scuole che avevano elaborato da tempo un proprio stile. Come quasi sempre nella pittura tardo-antica, anche nella produzione musiva ravennate accade di poter riconoscere e distinguere diverse correnti stilistiche determinate non solo dalla diversità dei modelli usati, ma anche dalla pluralità degli artisti o dei gruppi di maestranze. A volte le varie correnti coesistono nello stesso monumento in aperto contrasto tra loro. Quadri come quello del Buon Pastore o di San Lorenzo, con la loro bellezza e la loro accurata composizione denunciano influssi di correnti auliche, derivati però verosimilmente più da Milano o Roma che da Costantinopoli. Le figure degli Apostoli, nelle lunette della vòlta centrale, concepite ed eseguite con minor finezza, mostrano un certo rapporto con le figure dei vescovi rappresentate nel martirio di S. Vittore in Ciel d'Oro in Milano, che potrebbero anche essere suppergiù contemporanee. Tutti i mosaici del mausoleo hanno in comune tratti che non si riscontrano né a Roma né in Campania e che fino al VI sec. rimangono caratteristici della produzione musiva di R.: i corpi risultano ben modellati sotto il panneggio e presentano una plasticità di volumi non rilevabile altrove, nella pittura tardo-antica dell'Occidente; i contorni delle figure son chiaramente delineati, le pieghe nettamente separate, e ciò in completo contrasto con i mosaici contemporanei di Roma, concepiti ed eseguiti con tecnica piuttosto impressionistica. Sono, nell'insieme, caratteristiche che si possono ritrovare nel plasticismo delle figure dei sarcofagi ravennati, anch'essi perciò diversi da quelli di Roma, dell'Italia settentrionale e della Provenza, mentre, per gli stessi motivi, sembrano più vicini alla scultura dell'Asia Minore e di Costantinopoli. Non è da escludere pertanto che nella formazione delle officine ravennati e nella elaborazione di uno stile pittorico locale siano intervenute sia Milano e la parte d'Occidente, sia Costantinopoli e l'Asia Minore. Il fatto che l'evoluzione stilistica non presenti un procedimento uniforme ma riveli sempre nuovi e sorprendenti rinnovamenti, sicché quasi mai un'opera riesce a collegarsi stilisticamente alla precedente, trova la sua ragione nel continuo rinnovarsi e succedersi di correnti stilistiche e di personalità artistiche. Ciò è dimostrato con evidenza dal confronto tra i mosaici del mausoleo placidiano e quelli del battistero della cattedrale eseguiti per il vescovo Neone (circa 458). In questi ultimi, nella ponderatezza delle figure, nell'equilibrio delle composizioni, nel forte movimento e nella ricchezza cromatica, si manifesta un'arte che indubbiamente risale a Costantinopoli, se addirittura non si vuole supporre che sia stata importata a R. da artisti orientali: difatti i mosaici del battistero e della cattedrale rappresentano senz'altro una delle più alte espressioni della pittura del sec. V in generale.
Il più notevole ciclo di tutta la produzione musiva ravennate, quello cristologico di S. Apollinare Nuovo, del tempo di Teodorico (493-526), esprime una maniera stilistica assai lontana dai mosaici del sec. V: le semplici e calme figure non sembrano muoversi nello spazio, né vivere in un'atmosfera, anche a causa del fondo d'oro; la rappresentazione, ridotta all'essenziale, non riempie mai la superficie, nemmeno nei casi in cui il tema trattato avrebbe giustificato una composizione più fitta e densa. È un'arte essenzialmente monumentale che, soprattutto nelle grandi figure dei Profeti, trasforma il pneuma animatore in alta espressione artistica e che perciò supera i modelli usati nella precedente pittura parietale romana. Con molta probabilità dietro i due cicli cristologici stanno creazioni più antiche dello stesso genere, eseguite nella stessa Ravenna. Una delle caratteristiche della pittura ravennate è data dall'accostamento di elementi dell'iconografia occidentale e di quella orientale; alla sua base sono prototipi non solo costantinopolitani, ma anche romani e forse siriaci. Però l'artista inventore ravennate e i suoi aiuti, nonché il gruppo numeroso dei pratici esecutori, hanno tutto amalgamato e trasformato in un proprio stile che non può essere definito se non ravennate. Le due figure di Cristo e della Madonna in trono, ambedue fiancheggiate da angeli, appartengono senz'altro al filone dell'arte sacra formatasi nel più vasto ambiente dell'arte aulica ed in continuo rapporto con essa; così che di fronte a queste due creazioni si può ammettere con sicurezza la preesistenza di modelli dell'arte imperiale di Costantinopoli.
Molto vicini ai mosaici di S. Apollinare Nuovo sono quelli, quasi contemporanei, della Cappella Arcivescovile, anche se alla loro stesura abbia atteso probabilmente una differente officina. I mosaici del Battistero degli Ariani, anch'essi del tempo di Teodorico, manifestano una corrente artistica diversa. Vi si distinguono due successive fasi di esecuzione: malgrado la loro evidente dipendenza dal ciclo del battistero della cattedrale, il loro stile è decisamente diverso e nuovo, ma poco raffinato, lontano da ogni influenza aulica, e perciò da attribuire ad una officina indigena di secondo piano.
Altro punto saliente nel contesto della pittura musiva ravennate è rappresentato dai mosaici di S. Vitale. Quelli dell'arco trionfale, del presbiterio ed infine dell'abside, si distinguono con chiarezza tra loro sia per ragioni stilistiche che tecniche: nonostante ciò, non si può mettere in dubbio l'appartenenza di tutti, forse esclusi i due quadri imperiali, ad un unico ciclo.
Mentre nei mosaici del presbiterio hanno il loro peso i ricchi accessorî e gli elementi paesistici del fondo, in quelli dell'abside dominano le maestose figure ieratiche di Cristo, degli angeli e dei santi, espressione di uno stile figurativo monumentale. Nei mosaici del presbiterio, nonostante la presenza del paesaggio, manca però ogni senso di spazio, cosicché è evidente in essi un certo rapporto stilistico con i mosaici dell'epoca teodoriciana, dai quali, tuttavia, si differenziano per le grandi figure dalla modellazione schematica, lineare ed incorporea. Le figure si staccano dal fondo grazie a una linea di colore che tutte le contorna e che, adoperata in luogo dell'ombra atmosferica, impedisce addirittura l'illusione dello spazio. Nei mosaici di S. Vitale si fondono, in preferenza, motivi dell'iconografia occidentale (evangelisti nel paesaggio, scene sacrificali del Vecchio Testamento, Cristo sul globo, ecc.) con motivi dell'iconografia orientale (fatti di Mosè, angeli fiancheggianti il Cristo, angeli sorreggenti il nimbo crociato, ecc.). Un confronto stilistico con opere orientali pressappoco contemporanee rende chiaro il carattere ravennate di questi mosaici (chiesa di S. Caterina sul Monte Sinai, chiesa di Kiti a Cipro, S. Sofia a Costantinopoli). Nei due famosi quadri di soggetto imperiale, in cui si ritrova lo stile figurativo monumentale dei mosaici dell'abside, si notano esempî di realismo ritrattistico romano, soprattutto nei volti del vescovo Massimiano e della figura maschile alla sua sinistra (praefectus praetorio?) realizzati con somma perfezione. Presumibilmente i modelli risalgono all'arte aulica orientale, ma l'esecuzione è senz'altro di mano ravennate, il che prova, se mai ce ne fosse bisogno, che nella R. del VI sec. operavano artisti di prim'ordine.
I mosaici di S. Apollinare in Classe, se non contemporanei, certo solo di pochi anni più tardi, rivelano una certa evoluzione stilistica i cui primi sintomi sono avvertibili già nei mosaici del presbiterio di S. Vitale. Alla stesura dei mosaici classensi attese certamente un'officina locale, distinta però, da quelle di S. Vitale e, per alcuni tratti stilistici, vicina a quella dei mosaici di Parenzo. È rilevabile un più accentuato schematismo nella costruzione delle figure, ancora monumentali, e dei volti. Nell'elemento vegetale, alberi, arbusti, ecc., come anche nelle figure degli arcangeli in paludamento imperiale nell'arco trionfale, a tutta prima potrebbe essere avvertibile un apporto dell'arte contemporanea di Costantinopoli, specialmente se si confrontano con cose simili dell'Oriente. Quasi un abisso separa da tutta la precedente produzione musiva ravennate i mosaici delle vergini e dei martiri che l'arcivescovo Agnello fece eseguire in S. Apollinare Nuovo in sostituzione di quelli del tempo di Teodorico.
Nella lieve flessione delle figure, così come nelle ricche vesti delle martiri, si rispecchiano indubbiamente elementi dell'arte costantinopolitana: senonché tutto appare piatto e irrigidito, estremamente schematico, rielaborato in uno stile che chiaramente si rifà a quello di S. Apollinare in Classe con in più un'accentuata tendenza provinciale: nella scultura un esempio analogo è costituito dall'ambone dell'arcivescovo Agnello nella cattedrale.
Questo stile, che non rivela diretti contatti con Costantinopoli o con altri centri artistici contemporanei, si esaurisce nei mosaici della seconda metà del VII sec. (mosaico dell'Autocefalia in S. Apollinare in Classe, scene sacrificali, mosaici della parte superiore dell'arco trionfale nella stessa chiesa classense) che, grossolani e duri, rivelano il carattere schiettamente provinciale della tarda pittura musiva ravennate, soprattutto se confrontata con la contemporanea produzione di Roma e dell'Oriente, e se si guarda alla grande tradizione locale del passato.
Scultura. - La scultura statuaria tardo-antica a R. è rappresentata solamente da un torso acefalo di imperatore in costume militare, di porfido, databile alla fine del IV o al principio del V sec., da considerarsi però non come opera di artista locale ma, come la maggior parte delle tarde sculture in porfido, importata da Alessandria d'Egitto. Di particolare preziosità è il rilievo rappresentante Ercole e la cerva, uno dei pochi della tarda antichità conservati, del VI sec., presumibilmente di artista orientale, con evidenti rapporti con un più grande rilievo di Ercole e il cinghiale, incastrato nella facciata occidentale di S. Marco a Venezia: l'uno e l'altro ultime testimonianze, note attraverso le fonti letterarie, del ciclo di Ercole nella tarda antichità.
Sorprendentemente numerosi sono invece, sia in R. che nei dintorni, i sarcofagi di marmo che, con quelli di Roma e della Provenza, costituiscono il gruppo più ricco ed importante di sarcofagi tardo-antichi decorati a rilievo, distinti dai rimanenti dell'Occidente perché decorati a rilievo su tutte e quattro le facce. La struttura del sarcofago ravennate, che appare forse già verso la fine del IV, o certamente all'inizio del V sec., quando cioè la produzione di sarcofagi decorati a rilievo era in decadenza a Roma, si rifà solo in generale a quelle dei più antichi sarcofagi dell'Italia settentrionale. In realtà il rinnovato impulso è accompagnato dall'accettazione di nuove forme strutturali (sarcofago a colonne) e decorative (rilievo plastico), provenienti dall'Oriente. La qualità artistica dei sarcofagi ravennati cristiani supera di gran lunga quella dei più antichi e contemporanei dell'Italia settentrionale, nonché quella dei sarcofagi contemporanei del restante Occidente. Nonostante gli estesi studi più recenti (M. Lawrence, G. Bovini, J. Kollwitz, G. de Francovich) non si è raggiunto l'accordo circa la probabile linea di sviluppo del sarcofago ravennate perché nessuno di essi è databile, e poche sono le possibilità di una loro approssimativa datazione attraverso il confronto stilistico con altre opere di scultura. È certo, comunque, che la produzione di sarcofagi istoriati non si protrasse oltre la metà del V sec., allorché fu sostituita da quella di sarcofagi a decorazione simbolica. Questi ultimi, invero, appaiono già prima della metà del V secolo. È già accertato che tutti i sarcofagi ravennati sono opere di officine locali che avevano elaborato una propria tradizione stilistica distinta da quella orientale e da quella più antica occidentale.
Tra la fine del V e il principio del VI sec. ritornano ancora in auge forme strutturali della più antica tradizione norditalica, come attestano i monumentali sarcofagi di Classe, con decorazione simbolica, che in qualche modo sembrano collegarsi stilisticamente alle transenne di S. Apollinare Nuovo. Che le officine locali di scultura fossero ormai in decadenza è provato anche dalla citata produzione di amboni, tra cui quello dell'arcivescovo Agnello.
Pezzi principali: appartengono al gruppo più antico i sarcofagi di S. Francesco (de Francovich: intorno al 380-90; Kollwitz: sarcofago nella navatella sinistra dopo il 400, influenzato da Costantinopoli); il sarcofago di Liberio rielaborato nei tempi moderni nonché il sarcofago dei Pignatta presso S. Francesco e il sarcofago con la rappresentazione della Traditio legis nel Museo Nazionale (de Francovich: 390-400; Kollwitz: gruppo più antico, dopo il 400, struttura e plastica microasiatica, specialmente il secondo esempio sotto influenza occidentale); di qualche tempo più tardi sarebbero il sarcofago di Esuperanzio nella cattedrale (de Francovich: 410-20; Kollwitz: un po' più tardi, corrente secondaria locale) nonché il sarcofago di S. Rinaldo, anch'esso nella cattedrale (de Francovich: 420-30; Kollwitz: intorno al 440 fusione di correnti microasiatiche e costantinopolitane), il sarcofago dei dodici apostoli a S. Apollinare in Classe (de Francovich: 430-40; Kollwitz: un po' più tardi; ultimo sarcofago a figure umane, insieme con quello nel duomo di Ferrara); sarcofagi simbolici: secondo il de Francovich i più antichi sarebbero i cosiddetti sarcofagi di Onorio e di Costanzo nel Mausoleo di Galla Placidia (intorno al 425-6, sulla base di un confronto con gli agnelli del mosaico del Buon Pastore), secondo il Kollwitz lo sarebbero però il sarcofago del Museo Nazionale n. 695 e il sarcofago di S. Gavino (Fusignano, secondo il de Francovich solo del 44o-6o). Al principio del VI sec. appartiene, secondo l'opinione della maggior parte degli studiosi, il grande sarcofago con gli agnelli a S. Apollinare in Classe.
Monumenti. - 1. Sacrum Palatium. Pur nel silenzio delle fonti, la fondazione di un palazzo imperiale da parte di Onorio è da ritenere molto probabile, se si considera che la Corte trasferendosi a R. non vi trovò certamente edifici adatti alle proprie esigenze. Un siffatto edificio dovette essere ubicato tra S. Apollinare Nuovo e S. Giovanni Evangelista, se è vero che Galla Placidia fece erigere quest'ultima chiesa vicino al Sacrum Palatium. Secondo Agnello (Lib. Pont., vita Iohannis, xx, HE. 305, TR. 115) anche Valentiniano III (423-455) avrebbe fatto costruire un palazzo detto ad lauretum, vicino alla plateia maior civitatis. In questo palazzo risiedeva Odoacre quando fu assassinato da Teodorico ed anche questi lo elesse a sua residenza (Agnell., Lib. Pont., vita Iohannis, xx, HE. 304, TR. 113). È probabile, però, che Valentiniano, più che costruire un nuovo palazzo, abbia ampliato quello di Onorio; ciò che può dirsi anche per Teodorico, il quale avrebbe portato a compimento l'intero complesso edilizio, pur senza riuscire ad inaugurarlo (Anon. Vales., xxii: ad perfectum fecit, quem non dedicavit). Forse a quest'ultima fase della costruzione servirono quei marmi che, come risulta da un editto del re, furono trasferiti dalla Domus Pinciana di Roma a R. (507-9, Cassiodor., Var., iii, 10). Durante tutto il Medioevo l'intero complesso si chiamò Palatium Theodoricianum. Del Palatium le fonti ricordano le seguenti parti: Porticus circa Palatium (Anon. Vales., xxii), frons regiae quae dicitur ad Calchi, con la prima porta palatii, sulla quale era mosaicata l'immagine equestre del re (Agnell., Lib. Pont., vita Petri senioris, xxviii, HE. 337, TR. 228-29). La denominazione della parte detta ad calchi riecheggiava certamente quella dell'edificio di ingresso del palazzo imperiale di Costantinopoli (Chalke) e, al pari di questo, anche l'edificio di R. fu destinato ad accogliere alcuni ulfici della Corte (in R.: Sicrestum = σήκρεστον = secretarium); la sua ubicazione è precisata dalla facciata della chiesa di S. Salvatore in Chalchi (cosiddetto Palazzo di Teodorico, a S di S. Apollinare Nuovo). Fra le due ricordate chiese, era ubicato anche il corpo di guardia del Palazzo (excubitum = nel Medioevo ad scubitum); vicino a questo era la Moneta aurea attraverso la quale è localizzabile una porticus sacri palatii (Papiro Marini, n. 120, del 572 d. C.). Degli ambienti costituenti il palazzo, Agnello ricorda un triclinium ad mare, probabile sala da pranzo di Teodorico. Gli scavi condotti dal 1908 al 1914 a S-E di S. Apollinare Nuovo, parzialmente pubblicati, non forniscono una chiara visione di questo complesso, che certamente costituisce solo una parte del palazzo, entro la quale, collocati intorno ad un peristilio, si trovarono a S forse delle terme, a N una sala absidata nonché una cella tricora che, secondo un'epigrafe nel mosaico pavimentale e a causa della vicinanza di un vano destinato a cucina, deve essere stata una sala da pranzo. Questo mosaico appartiene al terzo periodo del complesso che può essere bene attribuito al principio del V sec., durante il quale furono operati profondi cambiamenti nell'edificio, appartenente, nel suo primitivo stato, al II sec. d. C. Al periodo teodoriciano invece sarebbero da attribuire i sovrapposti mosaici ornamentali del quarto periodo.
Bibl.: Per la ricostruzione della parte del palazzo raffigurato nel mosaico a S. Apollinare Nuovo; fronte del palazzo, con portici: K. M. Swoboda, Römische und romanische Paläste, Vienna 1919, p. 145 s.; ricostruzione come cortile per le cerimonie auliche: E. Dyggve, Ravennatum Palatium Sacrum: la basilica ipetrale per cerimonie, in Det Kgl. Danske Videnskaberns Selskab. Arch. - Kunsth. Meddelelser, III, 2, Copenaghen 1941; contro l'ultima ipotesi, con nuova analisi delle fonti: N. Duval, Que savons-nous du palais de Théoderic à Ravenne?, in Mélanges d'Archéologie et d'Histoire, LXXII, 1960, p. 337 ss.; K. M. Swoboda, The Problem of Iconography of Late Antique and Early Medieval Palaces, in Journal of the Society of Architectural Historians, XX, 1961, p. 78 ss.; ricostruzione come basilica di palazzo coperta: P. Lampl, Schemes of Architectural Representation in Early Medieval Art, in Marsyas, IX, 1961, p. 6 ss.; e, rifiutando la sua precedente ipotesi, N. Duval, La représentation du palais dans l'iconographie du Bas-Empire, in VI. Congr. Int. di Arch. Crist., Ravenna 1962 (riassunti dei rapporti), p. 110 s.; scavi: G. Ghirardini, Gli scavi del Palazzo di Teodorico a R., in Monumenti Antichi, XXIV, 1916 (1917-8), c. 737 ss.; M. Mazzotti, Il cosiddetto Palazzo di Teodorico, in Corsi di cultura, cit. in bibl., 1956, fasc. I, p. 81 ss.; id., La seconda fase degli scavi al c. d. Palazzo di Teodorico, ibid., 1957, fasc. II, p. 63 ss. Il cosiddetto Palazzo di Teodorico cioè la chiesa di S. Salvatore in Calchi: P. Verzone, S. Salvatore di R., in Palladio, II, 1938, p. 201 ss.
2. La cattedrale. L'edificio fu fondato dal vescovo Orso, morto, secondo Agnello, non più tardi del 396 (Lib. Pont., vita Ursi, xvi, HE. 288 s., TR. 6S ss.; il Testi Rasponi, correggendo il testo di Agnello, supponeva gli anni 426 o 429, molto probabilmente a torto), dopo il trasferimento della sede episcopale da Classe a R.: ut plebs christianorum quae singulis teguriis vagabat in unum ovile collegeret pastor. La basilica, a cinque navate, molto rimaneggiata e restaurata dal Medioevo in poi, fu abbattuta nel 1733, per far posto all'edificio odierno, che, nella superficie, corrisponde all'incirca al precedente (livello originario = 13,50 m). Dell'antica basilica rimangono il muro absidale, interrato, transenne del VI sec. nel Museo Arcivescovile, l'ambone dell'arcivescovo Agnello (556-570) nella navatella meridionale; è dubbia l'appartenenza di alcuni capitelli a due zone, attualmente nel Museo Arcivescovile.
Bibl.: G. L. Amadesi, Metropolitana di R., 1748; G. Gerola, Alcune considerazioni sulla Basilica Ursiana, in Atti e Memorie della R. Deputazione Storia Patria per le provincie di Romagna, ser. IV, VIII, 1918, p. 165 ss.; C. Ricci, L'antico Duomo di R., in Felix Rav., XXXVII, 1931, p. 7 ss.; C. Ricci, Tavole Storiche dei mosaici di R., fasc. VIII, 4, Basilica Ursiana, 1937; M. Mazzotti, La cripta della Basilica Ursiana di Rav., in Felix Rav., LV, 1951, p. 5 ss.; G. Bovini, Qualche appunto sull'antica Cattedrale di R., ibid., LXI, 1953, p. 59 ss.; G. De Angelis d'Ossat, in Studi Ravennati, 1962, p. 7 ss.
3. Battistero della cattedrale. L'edificio fu costruito al tempo della cattedrale (livello più antico = -3 m, con la piscina originaria, internamente rotonda). L'interno ottagono a nicchie, originariamente coperto da un soffitto piano, ai tempi del vescovo Neone (circa il 458) fu coperto con una cupola di tubi fittili. Forse fu in quell'occasione che si rinnovò tutta la decorazione dell'interno. Questa, quasi tutta conservata (sono andati distrutti solo i mosaici delle quattro absidiole che rappresentavano il Buon Pastore, Cristo nell'atto di lavare i piedi a S. Pietro, l'assoluzione dei peccati secondo il Salmo 31, e Cristo nell'atto di incedere sulle acque del mare) si svolge in tre zone: la zona degli archi inferiori, rivestita di mosaico ad arabeschi con otto figure di profeti; la zona delle finestre, decorata da rilievi a stucco formanti sedici edicole intorno ad altrettante figure di profeti; la zona, infine, emisferica della cupola in cui intorno al medaglione centrale con il battesimo di Gesù nel fiume Giordano, personificato nella figura di un vecchio, è rappresentata la processione degli Apostoli guidata da Pietro e da Paolo e, poi, una sequenza di prospetti architettonici racchiudenti alternativamente quattro altari su cui si aprono i quattro evangeli, e quattro troni coperti da drappo purpureo e segnati da un disco crociato. Forse la rappresentazione ha il valore simbolico della dominazione del Nome e del Verbo di Cristo nelle quattro direzioni del cielo e perciò in tutto il mondo.
Bibl.: Opere generali, periodi e struttura: G. Gerola, L'alzamento e la cupola del Battistero Neoniano, in Atti del R. Istituto Veneto, LXXVI, 1916-17, p. 311 ss.; C. Ricci, Tavole Storiche dei mosaici di R., fasc. II, Il Battistero della Cattedrale, 1931; C. Capezzuoli, R.: Battistero di Neone. Indagini interessanti la struttura muraria dell'edificio, in Le Arti, II, 1940, p. 41 ss.; G. Casalone, Ricerche sul battistero della Cattedrale di R., in Riv. Ist. Arch. St. Arte, N. S., VIII, 1959, p. 202 ss.; confutato da M. Mazzotti, Il Battistero della Cattedrale di R.: problemi architettonici e vicende del monumento, in Corsi di cultura, cit. in bibl., 1961, p. 255 ss.; decorazione musiva: F. Ficker, Der Bildschmuck des Baptisterium Ursianum in R., in Byzantinisch-Neugriechische Jahrbücher, II, 1921, p. 319 ss.; S. Bettini, Il Battistero della Cattedrale, in Felix Rav., LII, 1950, p. 41 ss.; C. O. Nordström, Ravennastudien, Stoccolma 1953, p. 32 ss.; L. de Bruyne, La décoration des baptistères paléochrétiens, in Actes Ve Congrès Intern. d'Arch. Chrét., 1954, 1957, p. 348 ss.; K. Wessel, Zur Interpretation der Kuppelmosaiken des Baptisteriums der Orthodoxen, in Corsi di cultura, cit. in bibl., 1957, fasc. I, p. 77 ss.; A. W. Byvanck, Recherches sur l'art du Bas-Empire, II, Le Baptistère de la Cathédrale de Ravenne, in Bulletin van de Vereeninging tot Bevordering der Kennis van de anticke Beschaving te 's-Gravenhage, XXXVII, 1962, p. 73 ss.
4. Episcopio. L'edificio, con annesso l'oratorio di S. Andrea, ricordato per la prima volta al tempo del vescovo Orso, forse fù costruito insieme alla cattedrale, a S di essa, vicino ad una torre romana (Porta Salustra?) ed alla Fossa Amnis. Il vescovo Neone (circa il 458) aggiunse all'edificio un triclinium quinque agubitas (= accubitas = letti per mangiare), decorato dai seguenti mosaici: 1) Laudate Dominum in coelis; 2) moltiplicazione dei pani e dei pesci; 3) creazione del mondo; 4) storia dell'apostolo Pietro (Agnell., Lib. Pont., vita Neonis, xviii, HE. 292, TR. 78 ss.). Il vescovo Pietro II (494-519) iniziò la costruzione di una nuova ala del palazzo, detta Tricoli (Agnell., Lib. Pont., vita Petri, xxi, HE. 312 s., TR. 149 s.), continuata dai suoi successori Aureliano, Ecclesio, Ursicino, Vittore e completata da Massimiano (Agnell., Lib. Pont., vita Maximiani, xxvi, HE. 328). Il vescovo Vittore (537-544) rinnovò le terme dell'episcopio e le fece ornare con marmi e mosaici (Agnell., Lib. Pont., vita Victoris, xxv, HE. 324, TR. 183).
Di tutto il complesso edilizio tardo-antico non rimane altro che l'oratorio, risalente a Pietro II (494-519), (la dedica a S. Andrea, riferita da Agnello, forse non è originaria), che si trova al terzo piano di una costruzione tardo-antica. Consta di un piatto pronao e di un vano a croce greca absidato, con copertura a vòlta. Dell'originaria decorazione musiva del pronao rimane solo la parte superiore di una figura di Cristo, che in origine poggiava i piedi sulle cervici di un leone e di un serpente, e nella vòlta alcune figure di svariati uccelli in campo d'oro. Completa, anche se restaurata, appare la decorazione del vano a croce: nella vòlta centrale, a fondo d'oro, quattro angeli, alternati dai simboli degli. evangelisti, sorreggono un clipeo con il monogramma di Cristo; sugli intradossi degli arconi di O e di E, dodici medaglioni con i busti degli Apostoli si distribuiscono in egual numero ai lati di due medaglioni col busto di Cristo; sugli intradossi degli arconi di S e di N, dodici medaglioni di santi e di sante si distribuiscono nello stesso modo ai lati di due dischi con il monogramma di Cristo.
Bibl.: Riassunto delle fonti presso R. Farioli, R. paleocristiana, in Felix Rav., LXXXII, 1960, p. 47 ss. Oratorio di S. Andrea: architettura: G. Gerola, Il ripristino della Cappella di S. Andrea nel Palazzo Vescovile di R., in Felix Rav., XL, 1932, p. 71 ss.; mosaici: C. Ricci, Tavole Storiche dei mosaici di R., fasc. V, La Cappella arcivescovile, Roma 1934; L. B. Ottolenghi, La Cappella Arcivescovile in R., in Felix Rav., LXXIII, 1957, p. 5 ss.
5. S. Giovanni Evangelista. La chiesa fu costruita dopo il 426 da Galla Placidia e dai suoi figli Valentiniano III e Giusta Grata Onoria, in ringraziamento per lo scampato pericolo corso in mare, di ritorno da Costantinopoli (epigrafe dedicatoria, una volta collocata nell'abside, Agnell., Lib. Pont., vita Iohannis, xx, HE. 307, TR. 128 = C.I.L., xi, n. 276 = Dessau, Inscr. Lat. Select., 1, n. 818). La chiesa, che ha subìto continue modifiche, è stata interamente restaurata dopo l'ultima guerra. A tre navate, con abside affiancata da rettangolari pastofori, essa aveva un tempo anche il nartece, incorporato poi nell'edificio. Del ciclo di mosaici che ornava l'abside e l'arco trionfale non rimane alcuna traccia perché totalmente distrutto nel 1568; è possibile tuttavia ricostruirne le linee essenziali grazie a notizie medievali, e valutarne l'importanza ai fini di una storia dell'iconografia: sulla fronte dell'abside, era Cristo che consegnava a Giovanni Evangelista il Libro dell'Apocalisse; a destra ed a sinistra, in mare vitreum, due vascelli con S. Giovanni al timone e con a bordo i membri della famiglia imperiale (chiara allusione ai motivi della fondazione); nel catino dell'abside, Cristo in trono; sempre nell'abside, ma all'altezza delle finestre, i simboli degli evangelisti. Di grande interesse dovevano essere i quadri raffiguranti i membri della famiglia imperiale teodosiana, sull'arco di trionfo, nonché quelli sulla parete inferiore dell'abside, in cui apparivano Arcadio ed Eudossia, Teodosio ed Eudocia nell'atto di offrir doni (vasi liturgici?). In mezzo a loro era la figura del vescovo Pier Crisologo in preghiera davanti all'altare: primo esempio di una lunga serie di vescovi ravennati ritratti nelle chiese da loro fondate o consacrate.
Bibl.: Architettura: G. Gerola, L'architettura deuterobizantina in R., in Ricordi di R. medioevale, 1921, p. 68 ss.; L. Crema, S. Giovanni Evangelista di R. alla luce delle ultime indagini, in Corsi di cultura nell'arte ravennate bizantina, 1958, fasc. I, p. 55 ss.; R. Ballardini, San Giovanni Evangelista a R., in L'Architettura, II, 1956-7, p. 132 ss.; G. De Angelis d'Ossat, in Studi Ravennati, 1962, p. 14 ss.; musaici: C. Rizzi, Tavole Storiche dei mosaici di R., fasc. VIII, i, S. Giovanni Evangelista, Roma 1937; A. Grabar, L'empereur dans l'art byzantin, Parigi 1936, p. 28 s.; id., Martyrium, II, Parigi 1946, pp. 50; 106; G. Bovini, Mosaici parietali scomparsi degli antichi edifici sacri di R., in Felix Rav., LXVIII, 1955, p. 57 ss.; Ch. Ihm, Die Programme der christlichen Apsismalerei vom 4. Jh. bis zur Mitte des 8. Jh., Wiesbaden 1960, p. 169 ss.
6. S. Croce. Secondo Agnello (Lib. Pont., vita Iohannis, xx, HE. 305 s., TR. 121) l'edificio sarebbe stato una fondazione di Galla Placidia: mancando però ogni traccia di epigrafe dedicatoria, la notizia può considerarsi anche leggendaria. Tutto però concorre a datare la costruzione alla prima metà del V secolo. Dell'antica costruzione a croce sono stati rinvenuti resti del braccio orientale, non absidato e con libero subsellio, nonché del pronao, alla estremità meridionale del quale era legato il cosiddetto Mausoleo di Galla Placidia. Sempre secondo Agnello, che ne ha tramandato i tituli, i mosaici di cui era decorata rappresentavano: sull'arco trionfale, il battesimo di Cristo; sull'entrata principale, la figura di Cristo sul leone e sul serpente, fiancheggiato dai quattro Veggenti dell'Apocalisse.
Bibl.: In generale: G. Bovini, Note intorno alla chiesa ravennate di S. Croce, in Felix Rav., LX, 1952, p. 44 ss.; scavi della parte orientale ed architettura: F. di Pietro, R. sepolta, Ravenna 1927, p. 27 ss.; P. Verzone, L'architettura religiosa dell'alto Medio Evo in Italia Settentrionale, Milano 1942, p. 9 s.; E. Weigand, in Byz. Zeitschr., XXXII, 1932, p. 72 ss.; A. Grabar, L'empereur dans l'art byzantin, Parigi 1936, p. 238 s.; P. Künzle, L'epigramma nell'arco di S. Croce a Ravenna riportato da Agnello, in Studi Romagnoli, III, 1952, p. 79 ss.; G. Bovini, Mosaici parietali scomparsi degli antichi edifici sacri di R. in Felix Rav., LXVIII, 1955, p. 64 ss.; Ch. Ihm, Die Programme der christlichen Apsismalerei vom 4. Jh. bis zur Mitte des 8. Jh., Wiesbaden 1960, p. 171 ss.
7. Mausoleo di Galla Placidia (cosiddetto). Di questo monumento, sorto in epoca successiva all'estremità meridionale del pronao di S. Croce, le fonti non tramandano la data di fondazione né sono note la destinazione e la dedica originarie. Forse la dedica ai martiri milanesi Nazario e Celso, nota dal Medioevo, non è la prima nel tempo. La notizia del seppellimento dell'imperatrice in quest'edificio si basa, secondo Agnello (Lib. Pont., vita Iohannis, xx, HE. 306, TR. 128), sulla tradizione orale e perciò è presumibilmente leggendaria. Che l'edificio fosse sin dal principio destinato ad essere un mausoleo potrebbe essere provato dalla sua relazione topografica con la chiesa di S. Croce e dall'acroterio mediano a forma di pigna: è dubbio comunque se i sarcofagi visti nell'edificio dall'inizio del XIV sec. siano appartenuti ad esso sin dal principio. L'edificio attualmente risulta interrato di circa 1,40 m; perciò lo zoccolo leggermente aggettante che esternamente corre attorno ad esso rimane del tutto nascosto. All'interno, sulla base di tracce sicure, è stato possibile ricostruire tutto il paramento a incrostazione marmorea, mentre i mosaici, contemporanei all'edificio, devono essere considerati tra i meglio conservati di Ravenna.
Il ciclo trova il suo culmine nel quadrato della vòlta a vela: nella lunetta del braccio lungo, a settentrione, è rappresentato il Buon Pastore, attorniato dal suo gregge, sullo sfondo di un paesaggio rupestre; nella lunetta di contro è S. Lorenzo con la croce e col codice, accanto alla graticola del suo martirio e ad un armadietto aperto che custodisce i quattro evangeli; le vòlte di questi due bracci sono mosaicate con motivi floreali riproducenti preziosi tappeti; nelle lunette degli altri due bracci, sono due cervi che si dissetano alla Fonte della Vita (Ps. 42, 2); le vòlte soprastanti si adornano di lussureggianti racemi vitinei che avviluppano quattro figure di santi (i quattro grandi profeti?) e due medaglioni con il chrismòn. Nei quattro lunettoni del vano centrale, sono raffigurati otto apostoli, tra cui Pietro e Paolo in quello di oriente, tutti acclamanti l'apparizione della Croce, sorta da Oriente nel cielo, precorritrice del secondo avvento di Cristo; nei pennacchi della vòlta a vela, sono i quattro Veggenti dell'Apocalisse, da taluno ritenuti simboli degli evangelisti.
Bibl.: Opere generali: S. Chigi, Il Mausoleo di Galla Placidia, Bergamo 1910; G. Gerola, Mausoleo detto di Galla Placidia, in Felix Rav., V, 1912, p. 211 ss.; id., Galla Placidia e il cosiddetto suo Mausoleo in R., in Atti e Mem. della R. Deputazione di Storia Patria per le provincie di Romagna, IV s., II, 1912, p. 273 ss.; C. Ricci, Il sepolcro di Galla Placidia in R., in Boll. d'Arte, VII, 1913, pp. 389 ss.; 429 ss.; VIII, 1914, p. 141 ss.; S. Muratori, Il sacello e l'avello di Galla Placidia, in Felix Rav., XX, 1915, p. 839 ss.; A. Testi Rasponi, Il monasterium Sancti Laurentii Formosi du R., in L'Arte, XXVIII, 1925, p. 71 ss.; G. Bovini, Il cosiddetto Mausoleo di Galla Placidia in R., Città del Vaticano 1950; per la dedicazione, v. anche M. Mazzotti, Ferrettiana. Note di storia e di archeologia ravennate, in Felix Rav., LXIX, 1955, p. 39 con nota 24; architettura: P. Verzone, L'architettura religiosa dell'alto Medio Evo nell'Italia Settentrionale, Milano 1942, p. 11 s.; mosaici: C. Ricci, Tavole Storiche dei mosaici di R., fasc. I, Il sepolcro di Galla Placidia, Roma 1930; P. Courcelle, Le gril de Saint Laurent au Mausoleé de Galla Placidia, in Cahiers Arch., III, 1948, p. 29 ss.; C. O. Nordström, Ravenna-studien, Stoccolma 1953, p. 12 ss.; mosaici e sarcofagi: G. de Francovich, Studi sulla scultura ravennate, in Felix Rav., LXXIX, 1959, p. 5 ss.; L. Mircovič, Die Mosaiken des Galla Placidia-Mausoleums in Rav., in Bogoslovlje, 1960, p. 7 ss.
8. S. Francesco. Fondata dal vescovo Neone (circa il 458) la chiesa fu dedicata agli apostoli; onde l'antica denominazione di Basilica Apostolorum (Agnell., Lib. Pont., vita Neonis, xviii, HE. 293, TR. 69); il suo più antico livello doveva essere a 3,40 m al di sotto dell'attuale (epitaffio di Neone nella cripta). Nell'abside, secondo Agnello, si dispiegava un tempo una decorazione musiva con la rappresentazione degli apostoli Pietro e Paolo. Ciò che presumibilmente rimane di più antico nell'attuale edificio, risalente al Medioevo, non è finora noto; alcuni capitelli corinzî con pulvino, insieme ai fusti di colonna, provengono con molta probabilità dall'edificio tardo-antico.
Bibl.: M. Mazzotti, La basilica Apostolorum in R., in Corsi di cultura, cit. in bibl., 1959, fasc. II, p. 137 ss.
9. S. Agata. La tradizione concernente la fondazione della chiesa non è chiara. La notizia secondo cui sopra il trono episcopale era il ritratto del vescovo Giovanni (477-494; Agnell., Lib. Pont., vita Iohannis, xx, HE. 308, TR. 132) e l'uso del tempo di mettere nella chiesa il ritratto del fondatore, avvalorano l'ipotesi, piuttosto probabile, che fondatore di S. Agata sia stato il vescovo Giovanni, per quanto una tradizione più tarda voglia che a fondare la chiesa sia stato il vescovo Esuperanzio (477). Un pulvino adoperato nella chiesa porta il monogramma di Pietro II (494-519) successore di Giovanni, ciò che starebbe a significare che egli portò a compimento l'edificio. I muri perimetrali, compresi i pilastri iniziali e terminali dei colonnati, e l'abside appartengono all'edificio originario; il resto risale ai molteplici restauri apportati all'edificio durante i secoli. Il mosaico che un tempo ornava l'abside è andato perduto: si sa però che rappresentava Cristo in trono, in uno schema compositivo simile a quello di S. Apollinare Nuovo.
Bibl.: Architettura: G. Gerola, Il quadriportico di S. Agata, in Felix Rav., XLIV, 1934, p. 85 ss.; G. De Angelis d'Ossat, in Studi Ravennati, 1962, p. 19 ss.; i mosaici scomparsi: C. Ricci, Tavole Storiche dei mosaici di R., fasc. VIII, S. Agata, Roma 1937; G. Bovini, Note sull'antica decorazione musiva di S. Agata Maggiore a R., in Studi in onore di A. Calderini e R. Paribeni, III, Milano 1956, p. 753 ss.; Ch. Ihm, Die Programme der christ. Apsismal., Wiesbaden 1960, p. 174 s.
10. S. Apollinare Nuovo. L'edificio fu fondato da Teodorico (493-526) come chiesa ariana di corte e dedicato a Cristo (Agnell., Lib. Pont., vita Agnefli, xxvii, HE. 335 = C.IL., xi, n. 280 = Diehl, Inscr. Lat. Christ. Vet., n. 1793); fu trasferito e riconciliato al culto cattolico dall'arcivescovo Agnello (570) in conseguenza di un editto di Giustiniano del 561: in quell'occasione si provvide a distruggere una parte dei mosaici perché di significato eretico. Perciò i mosaici conservati appartengono a due periodi. La basilica, a tre navate, ha l'abside, di recente ricostruita, esternamente poligonale. Le colonne ed i capitelli corinzî provengono da Costantinopoli e allo stato attuale risultano innalzati di circa m 1,20 sul livello primitivo. Fatta eccezione per le due teorie di martiri e di vergini, eseguite al tempo dell'arcivescovo Agnello in sostituzione di preesistenti mosaici teodoriciani, tutta la decorazione musiva appartiene al tempo di Teodorico. Essa si stende continua su ambedue le pareti della navata mediana e si distingue in tre zone sovrapposte. Nella zona più bassa della parete destra, si susseguono la rappresentazione di R., con il Palatium (fra le arcate del portico sono visibili i contorni delle figure cancellate al tempo della riconciliazione; l'insieme rappresentava forse lo svolgimento di una cerimonia in presenza di Teodorico), la processione dei Santi martiri e, vicino all'abside, Cristo in trono fra quattro angeli. Nella corrispondente zona di sinistra, in contrapposizione, si susseguono la rappresentazione della Civitas Classis con il porto (anche qui sono stati rilevati i contorni delle figure cancellate), la processione delle Sante vergini e, in prossimità dell'abside, la Madonna in trono fra quattro angeli. Nella zona mediana, negli spazi tra le finestre, sia sulla parete di destra che su quella di sinistra, sono rappresentate trentadue solenni figure, probabilmente di Profeti, biancovestite e con in mano rotuli o codici. Nella zona più alta al di sopra delle finestre, alternate da pannelli decorativi, sono disposte, sulla parete di sinistra, tredici scene della vita e dei miracoli di Gesù, sulla parete di destra altrettante scene della sua passione e resurrezione. Il rispettivo ordine di successione, iniziando dall'abside, è il seguente: 1) Nozze di Cana, 2) Moltiplicazione dei pani e dei pesci, 3) Chiamata di Pietro e Andrea, 4) Guarigione di due ciechi, 5) Guarigione dell'emorroissa, 6) Colloquio di Gesù con la Samaritana, 7) Resurrezione di Lazzaro, 8) Preghiera del Fariseo e del Pubblicano, 9) Obolo della vedova povera, 10) Cristo giudice separa le pecore dai capretti, 11) Guarigione del paralitico di Cafarnao, 12) Guarigione dell'ossesso, 13) Guarigione del paralitico di Betesda; i) Ultima cena, 2) Preghiera nel Getsemani, 3) Tradimento di Giuda, 4) Gesù condotto in giudizio, 5) Gesù dinanzi a Caifa, 6) Annuncio della negazione di Pietro, 7) Negazione di Pietro, 8) Pentimento di Giuda, 9) Gesù davanti a Pilato, 10) Andata al Calvario, 11) Pie donne al sepolcro, 12) Viaggio verso Emmaus, 13) Apparizione di Cristo agli Apostoli e incredulità di Tommaso.
Nessuna notizia è giunta circa il mosaico absidale e i soggetti in esso trattati.
Bibl.: Architettura: G. Tura (G. Gerola), A proposito dell'abside di S. Apollinare Nuovo, in Felix Rav., XX, 1915, p. 867 ss.; C. Ricci, Per la storia di S. Apollinare Nuovo, I: L'alzamento delle colonne, ibid., 2° Suppl., 1916, p. 33 ss.; G. Gerola, La facciata di S. Apollinare Nuovo attraverso i secoli, ibid., 2° Suppl., 1916, p. 111 ss.; G. Bovini, L'antica abside e la cripta di S. Apollinare Nuovo in R., in L'Arte del I millennio, Torino 1952, p. 118 ss.; G. De Angelis d'Ossat, in Studi Ravennati, 1962, p. 26 ss.; mosaici: C. Ricci, Tavole Storiche dei mosaici di R., fasc. IV, S. Apollinare Nuovo, Roma 1933: O. G. v. Simson, Sacred Fortress, Chicago 1948, p. 69 ss.; G. Bovini, L'aspetto primitivo del mosaico teodoriciano raffigurante la "civitas Classis" in S. Apollinare Nuovo, in Felix Rav., LV, 1951, p. 57 ss.; G. Bovini, Osservazione sul frontone del Palatium di Teodorico figurato nel mosaico di S. Apollinare Nuovo di R., in Beiträge zur älteren europäischen Kulturgeschichte I, Festschrift R. Egger, Klagenfurt 1952, p. 206 ss.; C. O. Nordström, Ravennastudien, Stoccolma 1953, p. 55 ss.; L. B. Ottolenghi, Stile e derivazioni iconografiche nei riquadri cristologici di S. Apollinare Nuovo a R., in Felix Rav., LXVII, 1955, p. 5 ss.; LXVIII, 1955, p. 5 ss.; G. Bovini, Note sul presunto ritratto musivo di Giustiniano in S. Apollinare Nuovo di R., in Annales Universitatis Saraviensis, V, fasc. I, Saarbrücken 1956, p. 50 ss.; G. Bovini, Mosaici di Sant'Apollinare Nuovo - Il ciclo cristologico, Firenze 1958; F. W. Deichmann, Mosaici di S. Apollinare Nuovo, in Corsi di cultura, cit. in bibl., 1962, p. 233 ss.
11. Spirito Santo. Secondo Agnello (Lib. Pont., vita Agnelli, xxvii, HE. 334, TR. 217) la chiesa di culto ariano ubicata vicino all'episcopio fu trasferita al culto cattolico dopo il 561 e dedicata a S. Teodoro. Doveva trattarsi perciò della chiesa cattedrale ariana ubicata in città almeno in epoca teodoriciana. La basilica a tre navi (il cui originario livello è a -1,82 m) ha l'abside libera da vani accessorî laterali.
Bibl.: C. Capezzuoli, Vicende belliche e restauri alla Cattedrale ariana dei Goti in R., in La Pié, XIX, 1950, p. 130 ss.; M. Mazzotti, La "Anastasis Gothorum" di R. ed il suo Battistero, in Felix Rav., LXXV, 1957, p. 25 ss.; G. De Angelis d'Ossat, in Studi ravennati, 1962, p. 22 ss.; F. W. Deichmann, Zu den Proportionen der Grundrisse einiger ravennatischer Basiliken, in Römische Quartalschrift, LVII, 1962, p. 69 ss.
12. Battistero degli Ariani. L'edificio costituiva sicuramente un annesso della cattedrale ariana (il suo livello originario è a 2,25 m, di 0,43 m più basso della chiesa). In origine esso si componeva di una costruzione ottagona con sui lati alterni quattro nicchie, di cui quella orientale più profonda e quindi con funzioni di abside, e di un ambulacro a ferro di cavallo che avvolgeva tutto il nucleo centrale, lasciandone libera la sola parte absidata. Dell'ornato musivo che un tempo copriva parte delle pareti, rimane solo quello della cupola che, a simiglianza del battistero cattolico, presenta un medaglione centrale con la scena del battesimo di Cristo; intorno è la processione dei dodici apostoli, i quali, ad eccezione di Pietro e Paolo che guidano la processione recando rispettivamente le chiavi ed un rotulo, recano tutti delle corone. Il duplice movimento processionale converge verso un trono sul cui cuscino si erige la croce gemmata con il manto purpureo di Cristo.
Bibl.: In generale: G. Ghigi, Il Battistero degli Ariani in R. (secolo VI), in Atti e Mem. R. Deputazione di Storia patria per le provincie di Romagna, s. IX, VI, 1915-16, p. 278 ss.; G. Gerola, Il restauro del Battistero degli Ariani, in Studien zur Kunst des Ostens, Vienna 1923, p. 112 ss.; C. Ricci, Tavole Storiche dei mosaici di Ravenna, fasc. III, Il Battistero degli Ariani, Roma 1932; G. Bovini, Note sulla successione delle antiche fasi di lavoro nella decorazione musiva del Battistero degli Ariani, in Felix Rav., LXXV, 1957, p. 5 ss.
13. Mausoleo di Teodorico. L'edificio fu eretto come mausoleo da Teodorico (Anon. Vales., 96) vicino al Faro, fuori Porta Artemidoris (Agnell., Lib. Pont., vita Iohannis, xx, HE. 304, TR. 113). Egli però, come chiaramente rivela lo stato del monumento, non lo portò a compimento. È il solo, tra gli edifici tardo-antichi di R., ad essere costruito non in mattoni, ma in pietra calcarea d'Istria, ottimamente lavorata. Si compone di due ordini sovrapposti corrispondenti a due vani. L'inferiore, decagonale all'esterno con profonde nicchie rettangolari su ciascun lato, ha l'interno cruciforme; il superiore, arretrato rispetto al piano sottostante sì da lasciar spazio sufficiente ad un ambulacro, anch'esso decagonale all'esterno ma circolare nell'interno; quivi è collocata una vasca imponente di porfido, entro cui si presume fosse sepolto il re. L'edificio è coperto da un unico masso di calcare poggiante su una cornice decorata con fregi a tenaglia. Il monolite che funge da cupola presenta all'esterno dodici attacchi, simili a maniglie, ricavati a sbalzo nella pietra stessa. Le epigrafi con i nomi dei dodici apostoli sono forse di origine medievale. Molto discussa è la ricostruzione del piano superiore, sia con arcate ornamentali cieche sia con galleria a colonne.
Bibl.: A. Haupt, Das Grabmal Theoderichs des Grossen zu R., 1913; riassunto di tutte le fonti ed ipotesi presso G. Bovini, Il mausoleo di Teodorico a R., Ravenna 1959; ved. inoltre R. Heidenreich, Das Grabmal Theoderichs zu Ravenna, in Kriegsvorträge d. Rhein. Friedrich-Wilhelms Universität Bonn, fasc. 102, 1943; E. Dyggve, Mausoleo di Teodorico: Le origini della cupola, in Corsi di cultura, cit. in bibl., 1957, fasc. II, p. 67 ss.; ultimo tentativo di ricostruzione, G. De Angelis d'Ossat, Il mausoleo di Teodorico, in Studi ravennati, 1962, p. 93 ss.
14. S. Maria Maggiore. Ecclesio, di ritorno dalla missione a Costantinopoli, compiuta insieme a papa Giovanni I (526) per volere di Teodorico, fondò la chiesa in sua proprietatis iura (Agnell., Lib. Pont., vita Ecclesii, xxiii, HE. 318, TR. 163 S. = C.I.L., xi, n. 284). Dell'antico edificio rimane solo una costruzione laterizia dodecagonale che costituisce l'abside della chiesa attuale, a tre navate. Si ha notizia dell'esistenza, fino al XV sec., di un mosaico, già allora molto danneggiato, in cui appariva il vescovo Ecclesio nell'atto di offrire alla Madonna il modello della chiesa, come in quello di S. Vitale. Non si sa a quale parte dell'edificio (atrio?, portico?), appartenessero colonne con capitelli e basi, adoperate nella moderna basilica che, a causa delle loro dimensioni, minori di quelle comunemente osservate, non sembrano attribuibili al colonnato principale di una basilica.
Bibl.: P. Verzone, L'architettura religiosa dell'alto Medio Evo nell'Italia Settentrionale, Milano 1942, p. 66 s.; M. Mazzotti, La basilia di S. Maria Maggiore in R., in Corsi di cultura, cit. in bibl., 1960, fasc. II, p. 253 ss.
15. S. Michele in Africisco. La chiesa fu votata e dedicata all'arcangelo Michele da Giuliano Argentario e da Bacauda; aperta al culto il 17 maggio 545, fu però consacrata solo sotto il vescovato di Massimiano (Agnell., Lib. Pont., vita Maximiani, xxvi, HE. 329; epigrafe dedicatoria anche nel C.I.L., xi, n. 287 = Diehl, Inscr. Lat. Christ. Vet., n. 1794). Dell'antico edificio a tre navi è rimasta solamente l'abside con scarsi avanzi di muri adiacenti; un capitello e parte del mosaico pavimentale sono conservati nel Museo Nazionale; il mosaico absidale, più volte restaurato, è nei Musei di Stato di Berlino. Esso rappresenta la figura del Christus Victor, imberbe, fra gli arcangeli Gabriele e Michele, che lo acclamano; al di sopra del catino absidale si sviluppa la più antica rappresentazione conosciuta del Giudizio Universale, con in mezzo la figura del Cristo barbato in trono, fiancheggiato da due arcangeli recanti strumenti della Passione e da altri angeli che suonano le trombe.
Bibl.: In generale: G. Bovini, Un'antica chiesa ravennate: S. Michele in Africisco, in Felix Rav., LXII, 1953, p. 5 ss.; architettura: F. W. Deichmann, Zu den Proportionen der Grundrisse einiger ravennatischer Basiliken, in Römische Quartalschrift, LXII, 1962, p. 68 ss.; mosaici: O. Wulff, Das ravennatische Mosaik von S. Michele in Africisco im Kaiser Friedrich Museum, in Jahrbuch d. Preuss. Kunstsammlungen, XXV, 1904, p. 374 ss.; R. Bartoccini, Il mosaico pavimentale di S. Michele in Africisco, in Felix Rav., XXXVI, 1930, p. 11 ss.; C. Ricci, Tavole Storiche dei mosaici di R., fasc. VIII, 2, S. Michele in Africisco, Roma 1937; K. Wessel, Das Mosaik aus der Kirche S. Michele in Africisco zu R., Berlino 1955; Ch. Ihm, Die Programme der christl. Apsismal., Wiesbaden 1960, p. 161 ss.
16. S. Vitale. L'edificio ottagonale dedicato ai santi Vitale, Gervasio e Protasio, fu eretto, su mandato del vescovo Ecclesio (521/2-531/3), da Giuliano Argentario sul luogo di una piccola memoria del V sec,; fu consacrato dal vescovo Massimiano nell'anno 547 (Agnell., Lib. Pont., vita Maximiani, xxvi, HE. 330, Tr. 198 = C.I.L., xi, nn. 289, 292 = Diehl, Inscr. Lat. Christ. Vet., n. 1795). La struttura unitaria dell'edificio e la presenza del monogramma del vescovo Vittore (537-544) su molti pulvini inducono però a ritenere che l'esecuzione del progetto dovesse essere attuata, in massima parte, durante il vescovato del suddetto Vittore e, forse, solo dopo la conquista di R. da parte di Bisanzio (540). Finanziatore dell'opera fu Giuliano Argentario; la diffusa supposizione secondo cui egli si sarebbe accinto a ciò su mandato e con i mezzi finanziarî di Giustiniano, già sotto la dominazione ostrogota, non trova la minima conferma nell'epigrafe dedicatoria, formulata con molta precisione; essa deve perciò ritenersi del tutto infondata. La chiesa un tempo era preceduta da un atrio chiuso su tre lati da portici a pilastri, sul quarto, quello orientale, del nartece, ancor oggi in parte visibile sebbene molto restaurato. Il centro ottagonale è circondato da sette nicchie che sporgono nel largo ambulacro, anche esso ottagonale con matroneo. Al posto dell'ottava nicchia, ad oriente, si apre il presbiterio che, elevandosi per due piani, congiunge l'aula centrale con l'abside. L'abside è fiancheggiata da due vani rettangolari che immettono in altrettanti vani rotondi a cupola, probabili mausolei del fondatore e dei vescovi committenti.
La decorazione musiva che non sembra sia stata più estesa di quella che ancor oggi si ammira, occupa tre zone distinte, se pur collegate tra loro; l'arco trionfale, con i medaglioni di Cristo, dei dodici apostoli e dei santi Gervasio e Protasio, presunti figli di S. Vitale; il presbiterio che contiene: nella lunetta inferiore della parete meridionale, il sacrificio di Abele e di Melchisedec, in quella della parete dirimpetto il sacrificio di Isacco e Abramo che ospita gli angeli presso la quercia di Mambre; nella zona superiore ancora dirimpetto Isaia e Geremia, ancora una volta dirimpetto la vocazione di Mosè e la Traditio legis sul Sinai; all'altezza del matroneo i quattro evangelisti, sopra i loro simboli, in un paesaggio montuoso; nelle lunette della vòlta, viti, mentre, nel centro della vòlta stessa, il medaglione celeste con l'agnello divino sorretto da quattro angeli, circondato da tralci d'acanto ravvivati da animali di diverse specie; il catino dell'abside: il Cristo imberbe seduto sul globo sopra il monte del Paradiso, tra due angeli, di cui quello di sinistra accompagna il vescovo Ecclesio recante nelle mani il modello della chiesa, quello di destra, il santo titolare Vitale, che riceve da Cristo la corona del martirio. Nelle pareti laterali dell'abside sono i quadri imperiali: a N, Giustiniano preceduto dal vescovo Massimiano e da due diaconi, e seguito da alcuni dignitari e dalla guardia del corpo; a S, Teodora ed il suo seguito. Ambedue recano vasi liturgici, rispettivamente una patena ed un calice, che presumibilmente furono da essi donati in occasione della consacrazione della chiesa e che perciò sembrano costituire la vera ragione della collocazione dei due quadri da parte di Massimiano.
Bibl.: La memoria precedente: G. Gerola, Il sacello primitivo di S. Vitale, in Felix Rav., X, 1913, p. 427 ss.; XI, 1913, p. 459 ss.; F. di Pietro, Il prisco sacello di S. Vitale, in Boll. d'Arte, XIX, 1925-26, p. 241 ss.; fondazione, datazione e carattere dell'edificio: O. G. von Simson, Sacred Fortress, Chicago 1948, p. 23 ss.; F. W. Deichmann, Giuliano Argentino, in Felix Rav., LVI, 1951, p. 5 ss.; F. W. Deichmann, Gründung und Datierung von S. Vitale, in L'Arte nel I millennio, Torino 1953, p. 111 ss.; K. Wessel, S. Vitale in Ravenna - Ein Bau Theoderichs des Grossen?, in Zeitschrift für Kunstgeschichte, III, 1959, p. 201 ss.; cfr. recensione di F. W. Deichmann, in Byz. Zeitschr., LIII, 1960, p. 412 ss.; Ch. Delvoye, Sur la date de la fondationd es Saints Serge-et-Bacchus de Costantinople et de Saint-Vitale de Ravenne, in Hommages à L. Herrmann, in Latomus, XLIV, 1960, p. 263 ss.; G. De Angelis d'Ossat, Le antiche chiese palatine ed il S. Vitale, in Studi Ravennati, 1962, p. 59 ss.; architettura: P. Maioli, Il tempio di S. Vitale in R.: scoperta del quadriportico e ricomposizione della facciata, Faenza 1903; C. Ricci, La Cappella detta Sancta Sanctorum nella chiesa di S. Vitale in R., in Rassegna d'Arte, IV, 1904, p. 104 ss.; G. Gerola, Le volte delle logge e le decorazioni delle pareti di S. Vitale, in Atti del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, LXXV, 1915-16, p. 827 ss.; G. Gerola, Il rivestimento marmoreo dei piloni di S. Vitale, in Felix Rav., XXI, 1916, p. 879 ss.; R. Bartoccini, Restauri in S. Vitale a R., ibid., XXXVIII, 1931, p. 77 ss.; LI, 1932, p. 133 ss.; G. Jonescu, Il problema planimetrico della chiesa di S. Vitale in R., ibid., LIII, 1934, p. 35 ss.; altare: M. Mazzotti, L'altare d'alabastro in S. Vitale, ibid., LXIV, 1954, p. 65 ss.; mosaici: C. Ricci, Tavole Storiche dei mosaici di R., fasc. VI, S. Vitale, Roma 1935; S. Muratori, Mosaici ravennati della chiesa di S. Vitale, 1945; P. Toesca, S. Vitale in R.: i mosaici, Milano 1952; C. O. Nordström, Ravennastudien, Stoccolma-Uppsala 1953, p. 88 ss.; H. Michaelis, Zur Ikonographie der Mosaiken des Presbyteriums von S. Vitale in R., in Wissenschaftliche Zeitschrift der Ernst-Moritz-Arndt-Universität Greifswald, V, 1955-56, p. 63 ss.; G. Bovini, S. Vitale di R., Ravenna 1955; L. Mirkovič, Die Mosaiken von S. Vitale zu R., in Akten des XI. Internationalen Byzantininstenkongress 1958, Monaco 1960, p. 396 ss.; F. Gerke, Nuovi aspetti sull'ordinamento compositivo dei mosaici del presbiterio di S. Vitale, in Corsi di cultura, cit. in bibl., 1960, fasc. II, p. 85 ss.; Ch. Ihm, Die Programme der christ. Apsismal., Wiesbaden 1960, p. 163 ss.; G. Bovini, Significato dei mosaici biblici del presbiterio di S. Vitale di R., in Corsi di cultura, cit. in bibl., 1962, p. 193 ss.; M. Lawrence, A Note on the Mosaics of S. Vitale in R., in VI Congr. Int. di Arch. Crist. 1962 (riassunti dei rapporti), p. 124; mosaici imperiali: A. Grabar, L'empereur dans l'art byzantin, Parigi 1936, p. 106 ss.; G. Rodenwaldt, Bemerkungen zu den Kaisermosaiken in S. Vitale, in Jahrbuch, LIX-X, 1944-45, 1949, p. 88 ss.; C. Cecchelli, Le "imagines" imperiali in S. Vitale, in Felix Rav., LIV, 1950, p. 5 ss.; F. W. Deichmann, Contributi all'iconografia e al significato storico dei mosaici imperiali in S. Vitale, ibid., LX, 1952, p. 5 ss.; S. Bettini, "Quadri di consacrazione" nell'arte bizantina di R., in Arte del I millennio, Torino 1953, p. 152 ss.; A. W. Byvanck, I mosaici imperiali di S. Vitale di R., in Corsi di cultura, cit. in bibl., 1958, fasc. I, p. 49 ss.; S. Stričević, Iconografia dei mosaici imperiali a S. Vitale, in Felix Rav., LXXX, 1959, p. 5 ss.; K. Hauck, Un'immagine imperiale a S. Vitale non ancora identificata, ibid., LXXX, 1959, p. 28 ss.; A. Grabar, Quel est le sens de l'offrande de Justinien et de Théodora sur les mosaïques de Saint-Vital?, ibid., LXXXI, 1960, p. 63 ss.; G. Stričević, Sur le problème de l'iconographie des mosaïques imperiales de Saint-Vital, ibid., LXXXV, 1962, p. 80 ss.
17. S. Apollinare in Classe. La chiesa fu eretta immediatamente a N di una necropoli, in cui forse ebbe la prima sepoltura il corpo di S. Apollinare, primo vescovo e missionario del Cristianesimo nella regione di Classe e Ravenna. L'incarico della costruzione fu affidato a Giuliano Argentario dal vescovo Ursicino (532-3-535-6); la consacrazione della basilica ebbe luogo il 9 maggio 549, in una con la traslazione delle spoglie del santo titolare entro la chiesa (Agnell., Lib. Pont., vita Maximiani, xxvi, HE. 330, TR. 198 C.I.L., xi, n. 294 Diehl, Inscr. Lat. Christ. Vet., n. 695; l'epigrafe conservata della traslazione, C.I.L., xi, n. 295). L'ampia basilica a tre navate, dall'abside poligonale fiancheggiata da pastofori, ha un nartece, arbitrariamente restaurato, che in passato era preceduto da un atrio porticato. La decorazione musiva, limitata all'abside ed all'arco trionfale, risale ai secoli VI e VII. Al primo periodo appartengono la rappresentazione contenuta nel catino absidale, le figure dei vescovi ravennati Severo (343 in Sardica), Orso (morto 396 circa), Ecclesio ed Ursicino, recanti ognuno un vangelo, intercalate tra le finestre absidali, ed i due arcangeli dell'arco trionfale. Notevole la rappresentazione del catino, nella quale, sullo sfondo di un paesaggio paradisiaco, appaiono, in basso, la figura orante di Apollinare in mezzo a dodici agnelli, e gli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni, anch'essi sotto forma di agnelli; in alto la visione della trasfigurazione di Cristo sul monte Tabor, in cui Cristo è sostituito da una croce gemmata inserita nel disco celeste, e tra le nuvole Mosè ed Elia. Al VII sec. appartengono i due quadri musivi, l'uno con la consegna dei privilegi dell'autocefalia all'arcivescovo Mauro nell'anno 666, da parte degli imperatori bizantini, l'altro con il sacrificio dei tre giusti, Abele, Abramo e Melchisedec, nonché la parte dell'arco trionfale sovrastante alle figure dei due arcangeli.
Bibl.: In generale: M. Mazzotti, La basilica di S. Apollinare in Classe, Città del Vaticano 1954; cripta e problemi connessi: M. Mazzotti, La cripta di S. Apollinare in Classe, in Riv. di Arch. Crist., XXXII, 1956, p. 201 ss.; mosaici: C. Ricci, Tavole Storiche dei mosaici di R., fasc. VII, S. Apollinare in Classe, Roma 1935; A. Grabar, Martyrium, II, Parigi 1946, passim; O. G. v. Simson, Sacred Fortress, Chicago 1948, p. 40 ss.; C. O. Nordström, Ravennastudien, Stoccolma-Uppsala 1953, p. 120 ss.; Ch. Ihm, Die Programme der christl. Apsismal., Wiesbaden 1960, p. 165 ss.; E. Dinkler, Das Apsismosaik von S. Apollinare in Classe, in Arbeitsgemeinschaft zur Forschung des Landes Nordrhein-Westphalen, Abhandlung, 1963; quadro storico: G. Gerola, Quadro storico nei mosaici di S. Apollinare in Classe, in Atti e Mem. della R. Dep. di Storia Patria per le province di Romagna, IV s., VI, 1915-16, p. 60 ss.; A. Grabar, L'empereur dans l'art byzantin, Parigi 1936, p. 108 ss.
Musei. - Museo Arcivescovile. È la più antica raccolta di antichità della città, allestita nel vescovado dopo la distruzione dell'Ursiana (1733), per conservare i monumenti risparmiati in quell'occasione. Nel corso del tempo è stato arricchito con opere d'arte di proprietà della Chiesa ravennate; tra le cose più notevoli, la ricca collezione di epigrafi (epigrafi cristiane tra le più antiche da Classe), iscrizioni sepolcrali dei vescovi Giovanni (morto 494) e Agnello (morto 570); i frammenti di rilievi romani (rilievo con troni di divinità, con figure muliebri ecc.), il torso in porfido di un imperatore tardo-romano, capitelli paleocristiani, il calendario di Natale, le transenne dell'Ursiana, l'ambone della chiesa dei SS. Giovanni e Paolo; l'opera più insigne è costituita dalla cattedra eburnea dell'arcivescovo Massimiano (546-566?), tutta istoriata, attribuita un tempo ad una officina locale, ma che molto più verosimilmente sarà stata lavorata ad Alessandria o a Costantinopoli, su commissione di Massimiano.
Museo Nazionale. Deriva dalla collezione di antichità del convento camaldolese di Ravenna. La raccolta, accresciuta dalla munificenza e dalla passione di alcuni cittadini, rappresenta la più ricca e vasta collezione di antichità ravennati. È in proprietà dello Stato dal 1887. Conglobando i ritrovamenti dovuti al caso, il materiale proveniente da S. Vitale e da altre chiese e da donazioni private, l'attuale museo è stato sistemato nel convento di S. Vitale. Da segnalare: la raccolta di epigrafi sepolcrali dalle necropoli di Classe e Ravenna, importante per la conoscenza della flotta romana; le stele funerarie con ritratti nonché i sarcofagi appartenenti al periodo dal II al VI sec.; ancora, i resti di Porta Aurea, il fregio imperiale con Augusto e la sua famiglia, i bronzi etruschi e romani, varie opere di scultura (fra cui meritano particolare menzione le erme trovate in mare presso Porto Corsini, tra cui notevole quella di Milziade, finite in acqua durante il loro trasporto da Roma a Ferrara nel Seicento), vetri antichi, resti della chiesa di S. Michele in Africisco, opere varie provenienti da S. Vitale (transenne, l'antica croce di bronzo del tetto, avanzi di vetri dalle finestre) nonché una ricca collezione di monete.
Bibl.: Bibliografia anuale, continuamente aggiornata: G. Bovini, Principale Bibliografia su Ravenna romana, paleocristiana e paleobizantina, in Corsi di cultura sull'arte ravennate e bizantina (dal 1956).
Fonti: la fonte letteraria più importante per la storia delle vicende e dei monumenti di R. nell'epoca tardo-antica è la cronaca di Andrea Agnello (prima della metà del IX sec.); edizioni principali: i. Agnelli Liber Pontificalis Ecclesae Ravennatis, ed. O. Holder-Egger, in Monumenta Germaniae Historica, Script. rer. italicarum et langobardicarum, Hannover 1878, pp. 265-391, citato = HE; Codex Pontificalis Ecclesiae ravennatis ed. A. Testi Rasponi, in Rerum Italicarum Scriptores, 2a ed., Bologna 1924, fasc. CIVC-CIIIC e CC (incompleto), citato sopra = TR.; documenti medievali, con riferimenti specialmente topografici: M. Fantuzzi, Monumenti ravennati de' secoli di mezzo per la maggior parte inediti, I-VI, Venezia 1801; vecchie opere fondamentali sui monumenti e sulle vicende di R. nel passato: D. Spreti, De amplitudine, eversione et restauratione Urbis Ravennae libri tres, i° ed., Venezia 1489, 2a ed., Ravenna 1793; T. Tomai, Storia della città di R., 1a ed. 1574; H. Rubei (G. Rossi), Historiarum Ravennatum libri decem, Venezia 1589; G. Fabri, Le sagre memorie di R. antica, Venezia 1664; id., R. ricercata, ovvero compendio storico delle cose notabili dell'antica città di R., Bologna 1678; A. Zirardini, Degli edifici profani di R., Ravenna 1726; id., De antiquis sacris Ravennae aedificiis, Ravenna 1908-9 (ed. postuma); A. Tarlazzi, Memorie sacre di R. in continuazione di quelle pubblicate dal canonico G. Fabri, Ravenna 1852.
Situazione geografica, in generale: O. Marinelli, Le curiose vicende del delta del Po, in Le Vie d'Italia, XXX, 1924, p. 353 ss.; C. Errera, I lineamenti geografici di R. antica, in Boll. della R. Società Geografica Italiana, 1929, p. 663 ss.; M. Baratta, Ravenna Felix, in La Geografia, XVIII, 1930, n. 1-6, p. 5 ss.; G. A. Mansuelli, La situazione geografica e storica di R. nell'antichità, in Studi Romagnoli, I, 1950, p. 257 ss.; G. Bovini, Le origini di R. e lo sviluppo della città in età romana, in Felix Rav., LXX, 1956, p. 38 ss.; L. Gambi, Cosa era la Padusa, Faenza 1950; ultimo ben fondato tentativo di ricostruzione della situazione geografica antica: G. Gambi, Considerazioni sui recenti rilievi aerei nella zona di Classe, in Studi storici, topografici ed archeologici sul "Portus Augusti", Ravenna 1961, p. 203 ss.; G. Schmiedt, Contributo della fotografia aerea alla ricostruzione della situazione geografico-topografica di R. nell'antichità, in Convegno per lo studio della zona archeologica di Classe a mezzo dell'aerofotografia, 1962, p. 45 ss.; sulla questione del continuo abbassamento del suolo: G. Salvioni, Primo contributo sulla comparazione dei risultati fra la nuova rete altimterica fondamentale e la vecchia livellazione di precisione, in Bollettino di Geodesia e Scienze affini, XII, 1953, p. 87 ss.
Storia: storia antica in generale e d origini: A. Rosenberg, R., in Pauly-Wissowa, I, A, i, 1914, c. 300 ss.; G. A. Mansuelli, Demografia e paleografia emiliana, in Atti e Memorie della Deputazione di Stor. Patria per le provincie di Emilia e Romagna, s. IX, 1944-5, 1948, p. i ss.; F. Altheim, Der Ursprung der Etrusker, Baden-Baden 1950, p. 14; S. Ferri, Il problema di R. preromana, in Corsi di cultura sull'arte ravennate e bizantina, 1957, fasc. II, p. 89 ss.; epoca romana: G. Mancini, Le Colonie ed i Municipi romani dell'Emilia occidentale, loro ordinamento amministrativo e vita civile: R., in Emilia Romana, II, 1944, p. 98 ss.; G. Finsler, R. in der römischen Kaiserzeit, Zurigo 1885; sull'amministrazione di R. romana, fondamentale: E. Bormann, in C.I.L., XI, p. 6; O. Hirschfeld, Die kaiserlichen Verwaltungsbeamten2, Berlino 1905, p. 225 ss.; contro le tesi del Bormann, recentemente una non ben fondata ipotesi sull'indipendenza dell'amministrazione classense già in prima epoca imperiale: G. C. Susini, La Comunità di Classe e l'amministrazione romana di R., in Felix Rav., LXXXI, 1960, p. 100 ss.; sugli orientali, nelle epigrafi: G. C. Susini, Indicazioni dell'epigrafia per la storia romana di Classe, in Studi storici, topografici ed archeologici sul "Portus Augusti", 1961, p. 33 ss.; sull'amministrazione tardo-antica: Th. Mommsen, Ostgothische Studien, IV: Der römische Senat und die Verwaltung von Rom und R., in Gesammelte Schriften, VI, Berlino 1910, p. 423 ss.; E. Stein, Beiträge zur Geschichte von R. in spätrömischer und byzantinischer Zeit, in Klio, XVI, 1920, p. 40 ss.
Storia ecclesiastica: A. v. Harnack, Mission und Ausbreitung des Christentums, 4a ed., Lipsia 1924, pp. 8, 870, 872; L. M. Hartmann, Geschichte Italiens im Mittelalter, I, Lipsia-Gotha 1897, p. 399 ss.; R. Massigli, La création de la Métropole ecclésiastique de Ravenne; in Mélanges d'Archéologie et d'Histoire, XXXI, 1911, p. 277 ss.; E. Stein, op. cit.; F. Lanzoni, Le Origini delle diocesi d'Italia, I, Faenza 1923; H. Brandi, R. und Rom, in Archiv f. Urkundenforschung, IX, 1924, p. i ss.; A. Testi Rasponi, Annotazioni sulla storia della chiesa di R. dalle origini alla morte di S. Gregorio Magno, in Felix Rav., XXXIII, 1929, p. 29 ss. Agiografia: H. Delehaye, L'hagiographie ancienne de Ravenne, in Analecta Bollandiana, XLVII, 1929, p. i ss.; G. Lucchesi, Note agiografiche sui primi Vescovi di R., Faenza 1941.
T o p o g r a f i a: la base di tutti gli studî topografici è ancora il commentario del Testi Rasponi, del Codex Pontificalis di Andrea Agnello (TR.) nonostante le evidenti manchevolezze soprattutto metodiche; quadro d'insieme, aggiornato bibliograficamente e corretto: G. Bovini, Le origini di R. e lo sviluppo della città in età romana, in Felix Rav., LXX, 1956, p. 38 ss.; LXXII, 1956, p. 27 ss.; notizie di rinvenimenti, scavi ecc., durante gli ultimi secoli: S. Muratori, Antiche notizie archeologiche, in Riv. Ist. Arch. St. Arte, I, 1922, p. 41 ss.; i porti antichi di R. in generale: G. Bermond Montanari, La ricerca del porto di R. e le fonti antiche, in Studi storici ed archeologici sul "Portus Augusti", 1961, p. 15 ss.; O. Fiebiger, in Pauly-Wissowa, III, 2, 1899, c. 2630 ss., s. v. Classis, n. i; V. Valvassori, Con la fotografia aerea alla ricerca del Porto di Augusto, in Studi sul "Portus Augusti", cit., p. 133 ss.; non accettato da G. Gambi, Considerazioni sui recenti rilievi aerei nella zona di Classe, ibid., p. 203 ss.; G. Cortesi, Il porto di Classe attraverso le fonti medievali e notizie di antica topografia classicana, in Studi sul "Portus Augusti", cit., p. 107 ss.; id., Campagna archeologica nella zona di Classe, in Convegno per lo studio della zona archeologica di Classe, Ravenna 1962, p. 199 ss.
I m o n u m e n t i f i n o a l I V s e c. d. C.: bronzo di Leida: G. Bovini, Le origini di R. e lo sviluppo della città in età romana, in Felix Rav., LXX, 1956, p. 41; M. Pallottino, Testimonia linguae Etruscae, Firenze 1954, n. 709; altri bronzi etruschi: G. Mazzotti, Un bronzetto etrusco nel Museo Nazionale di R., in Felix Rav., LXVII, 1955, p. 43 ss.; bronzetti etruschi del Museo Nazionale di R., in Felix Rav., LXIX, 1955, p. 21 ss.; P. Ducati, Storia di Bologna, I, I tempi antichi, Bologna 1928, 184; presumibilmente di R. è una gorgone di bronzo: K. O. Müller - W. Deecke, Etrusker, 2a ed., Stoccarda 1877, I, 138; Porta Aurea: H. Kähler, Die Porta Aurea in R., in Röm. Mitt., L, 1935, p. 172 ss. (trad. italiana di L. Cavalcoli, 1959); scavi di Porta Aurea: G. Rosi, Ricerche intorno a Porta Aurea, in Felix Rav., IL, 1939, p. 31 ss.; i mosaici pavimentali romani: G. Nave, Avanzi di edificio romano rimesso in luce fra il tempio di S. Vitale ed il Mausoleo di Galla Placidia, in Not. Scavi, 1915, p. 235 ss.; F. di Pietro, La scoperta di S. Croce in R., 1927, p. 29 ss.; G. Ghirardini, Gli scavi del Palazzo di Teodorico a R., in Monumenti antichi, XXIV, 1916, 1917-8, c. 817 ss.; fregio di Augusto: F. Poulsen, Porträtstudien in norditalienischen Provinzmuseen, Copenaghen 1928, p. 61 ss.; L. Curtius, Ikonographische Beiträge zum Porträt der römischen Republik und der julisch-claudischen Familie, in Röm. Mitt., XLVIII, 1933, p. 240 s.; Catalogo della Mostra Augustea della Romanità, Roma 1934, p. 129, n. 25; C. Pietrangeli, La famiglia di Augusto, Roma 1938, 18; V. H. Poulsen, Studies in Julio-Claudian Iconography, in Acta Archaeologica, XVII, 1946, p. 22 ss.; M. Santangelo, Contributo all'iconografia dei principi Giulio-Claudii, in Boll. d'Arte, XXXIV, 1940, p. 200 ss.; G. A. Mansuelli, Problemi della scultura romana nell'Emilia, in Atti e Memorie della Deputazione di Storia Patria per le province di Romagna, N. S., IV, 1953, p. 263 ss.; G. Bovini, Il riordinamento del primo chiostro del Museo Naz. di Rav., in Felix Rav., LXIV, 1954, p. 23 ss.; stele funerarie: F. Poulsen, Porträtstudien in norditalienischen Provinzmuseen, Copenaghen 1928, p. 65 ss.; G. Bovini, Il riordinamento ecc., in Felix Rav., LXIV, 1954, p. 5 ss. (con le epigrafi); G. A. Mansuelli, Genesi e caratteri della stele funeraria padana, in Studi in onore di A. Calderini e R. Paribeni, III, 1956, p. 365 ss.; La civilisation en Italie septentrionale après la conquête romaine (IIe-Ier s. av. J. C.-Ier s. ap. J. C.), in Rev. Arch., 1962, I, p. 141 ss.; G. C. Susini, Nuove prospettive storiche. A proposito di alcune scoperte romane in Emilia, in Atti III Congr. Int. di Epigr., gr. e lat., 1959, p. 333 ss., 338 s. Rilievi con i troni di deità e il rilievo con figure femminili nel Museo Arcivescovile: C. Ricci, Marmi ravennati erratici, in Ausonia, IV, 1909, p. 249 ss.; statua del cosiddetto "Regisole", bibliografia presso G. Bovini, Le origini di R. e lo sviluppo della città in età romana, in Felix Rav., LXXII, 1956, p. 38 s. Sarcofagi: G. Rodenwaldt, Sarkophagprobleme, in Röm. Mitt., LVIII, 1943, p. 22 ss.; J. Kollwitz, La cronologia dei primi sarcofagi cristiani di R., in Corsi di cultura, cit., 1956, p. 55 s.; sarcofago di G. Sosio Giuliano: R. Egger, Zwei oberitalienische Mystensarkophage, in Mitt. des Deutschen Archäologischen Instituts, IV, 1951, p. 35 ss.; G. de Francovich, Studi sulla scultura ravennate, in Felix Rav., LXXIX, 1959, p. 74 ss.
Storia dell'arte tardo - antica: R. tardo - antica, opere generali: C. Ricci, Guida di R., 1a ed., Bologna 1884; 6a ed., 1923; W. Goetz, R. Lipsia 1901; Ch. Diehl, Ravenne, 3a ed., 1908; C. Ricci, R., Bologna 1912; A. Colasanti, L'arte bizantina in Italia, Milano 1912; G. Gerola, I monumenti di R. bizantina, Milano 1930; O. G. v. Simson, Sacred Fortress. Byzantine Art and Statecraft in R., Chicago 1948; G. Bovini, I monumenti antichi di R., 3a ed., Ravenna 1955; G. Bovini, Chiese di R., Fiume 1957; W. F. Deichmann, Frühchristliche Bauten und Mosaiken von R., Baden-Baden 1958 (volume delle tavole); architettura, opere generali: P. Verzone, L'architettura religiosa dell'alto medio evo nell'Italia settentrionale, Milano 1942; A. de Capitani d'Arzago, L'architettura dei sec. IV e V in Alta Italia, Milano 1944; G. De Angelis d'Ossat, Posizione dell'architettura paleocristiana ravennate, in Studi Ravennati, Problemi di architettura paleocristiana, 1962, p. 3 ss.; tecnica edilizia: M. Mazzotti, Caratteristiche delle strutture murali degli edifici di culto di R., in Corsi di cultura, cit., 1955, fasc. I, p. 40 ss.; G. De Angelis d'Ossat, Nuovi dati sulle volte costruite con vasi fittili, in Palladio, V, 1941, p. 241 ss. = Studi Ravennati, 1962, p. 135 ss.; G. Bovini, L'impiego dei tufi fittili nelle volte degli antichi edifici di culto ravennati, in Corsi di cultura, cit., 1959, fasc. I, p. 27 ss. Problemi speciali: F. W. Deichmann, Caratteristiche dell'architettura protobizantina in Occidente, ibid., 1957, fasc. II, p. 53 ss.; P. Verzone, Rapporti fra l'architettura bizantina e quella italiana del V e VI secolo, ibid., 1958, fasc. II, p. 127 ss.; E. Arslan, Milano e R.: due momenti dell'architettura paleocristiana, in Felix Rav., LXXXIV, 1961, p. 5 ss.; G. Gerola, l'orientazione delle chise di R. antica, in Rivista Ist. Arch. St. Arte, V, 1936, p. 242 ss.; N. Petrovič, Rapports et proportions dans les plans des basiliques du Ve e VIe siècles de Ravenne et du Littoral septentrional de l'Adriatique, in Felix Rav., LXXXV, 1962, p. 40 ss.; F. W. Deichmann, Zu den Proportionen der Grundrisse einiger ravennatischer Basiliken, in Römische Quartalschrift, LVII, 1962; capitelli: R. Kautzsch, Kapitellstudien, Berlino-Lipsia 1936, passim; altari: M. Mazzotti, Gli altari paleocristiani degli edifici di culto ravennati, in Corsi di cultura, cit., 1960, fasc. II, p. 237 ss.; amboni: G. Tura (G. Gerola), A proposito dell'ambone di Agnello, in Felix Rav., VII, 1912, p. 265 ss.; G. Bovini, Frammento inedito d'un ambone ravennate conservato nel Museo Naz. di R., in Miscellanea Belvederi, Città del Vaticano 1955, p. 365 ss.
M o s a i c i: i n g e n e r a l e: J. Kurth, Die Mosaiken von R., 2a ed., Monaco 1912; M. van Berchem-E. Clouzot, Mosaïques chrétiennes du IVe au Xe siècle, Ginevra 1924, passim; G. Galassi, Roma o Bisanzio, I: I musaici di R. e le origini dell'arte italiana; 2a ed., Roma 1953; S. Muratori, Musaicisti ravennati, Bergamo 1939; E. Uehli, Die Mosaiken von R., i ed., Basilea 1934, 4 ed., 1957; A. Grabar, La peinture byzantine, Ginevra 1953, p. 53 ss.; W. Sas-Zaloziecky, L'importanza della decorazione musiva nell'architettura ravennate e il suo posto nella pittura tardo-romana, in Felix Rav., LII, 1950, p. 5 ss.; G. de Francovich, I mosaici del bema della chiesa della Dormizione di Nicea. Considerazioni sul problema: Costantinopoli, Ravenna, Roma, in Scritti di storia dell'arte in onore di L. Venturi, Roma 1956, p. 3 ss.; A. W. Byvanck, Kerkelije Mozaieken in Italie uit de vijfde en uit de eerste helft van de zesde eeuw, in Mededelingen van de Kon. Vlaamse Academie van Belgie, XIX, i, 1957; J. Kollwitz, Ravenna zwischen Orient und Occident, in VI Congr. Int. di Arch. Crist., 1962 (riassunti dei rapporti), p. 64 s. Mosaici scomparsi: E. Müntz, The Lost Mosaics of Ravenna, in Am. Journ. Arch., I, 1885, p. 115 ss.; G. Bovini, Mosaici parietali scomparsi dagli antichi edifici sacri di R., in Felix Rav., LXVIII, 1955, p. 54 ss.; LXIX, 1955, p. 5 ss.
Scultura tardo - antica: statua di porfido: R. Delbrück, Antike Porphyrwerke, Berlino 1932, p. 111 ss.; G. Bovini, La statua di porfido del Museo Arcivescovile di R., in Corsi di cultura, cit., 1960, fasc. I, p. 39 ss.; rilievo di Ercole: O. Demus, The Church of S. Marco in Venice, Dumbarton Oaks 1960, p. 127; sarcofagi: H. Duetschke, Ravennatische Studien, Lipsia 1909; M. Lawrence, The Sarcophagi of R., New York 1945; M. Mazzotti, Il sarcofago di S. Ecclesio nella basilica di S. Vitale, in Felix Rav., LXII, 1953, p. 38 ss.; G. Bovini, Sarcofagi paleocristiani di R. - Tentativo di classificazione cronologica, Città del Vaticano 1954; G. Bovini, Sculture paleocristiane ed altomedioevali conservate a Ferrara, in Felix Rav., LXV, 1954, p. 22 ss.; M. Lawrence, Two Ravennate Monuments in American Collections, in Studies in Art and Literature for Belle da Costa Greene, Princeton 1954, p. 138 ss.; J. Kollwitz, Die Sarkophage Ravennas, Friburgo 1956; id., Cronologia dei primi sarcofagi cristiani in R., in Corsi di cultura, cit., 1956, fasc. II, p. 55 ss.; G. de Francovich, Studi sulla scultura ravennate, in Felix Rav., XXVII-VIIII, 1958, p. 5 ss.; LXXIX, 1959, p. 5 ss.; M. Mazzotti, Un sarcofago inedito nella cattedrale di R., in Boll. Economico della Camera di Commercio di R., 1961, n. 10, p. 670 ss.; J. Kollwitz, R. zwischen Orient und Occident, in VI Congr. Int. di Arch. Crist., 1962 (riassunto dei rapporti), p. 61 ss.
I monumenti: riassunto, soprattutto delle fonti concernenti gli edifici scomparsi: R. Farioli, R. Paleocristiana scomparsa, in Felix Rav., LXXXII, 1960, p. 5 ss.; LXXXIII, 1961, p. 5 ss.
Museo Arcivescovile: A. Amadesi (Buonamici), Metropolitana di R., Bologna 1748, tav. E ss.; per la cattedra di Massimiano cfr. la bibliografia presso W. F. Volbach, Elfenbeinarbeiten der Spätantike und des frühen Mittelalters, 2a ed., Magonza 1952, p. 68 s., n. 140.
Museo Nazionale: S. Muratori, Guida del Museo Nazionale di Ravenna, 1937; G. Bovini, Il riordinamento del primo chiostro del Museo Nazionale di Ravenna, in Felix Rav., LXIII, 1953, p. 33 ss.; LXIV, 1954, p. 5 ss. (catalogo, unicamente per il primo chiostro e la sala di Porta Aurea).