Vedi RAVENNA dell'anno: 1965 - 1996
RAVENNA (v. vol. VI p. 609)
a) r. preromana, repubblicana e imperiale. - I. topografia. La traccia dell'antico lido del Ravennate nel periodo di massima ingressione olocenica è costituita dalla presenza nel sottosuolo di allineamenti ghiaiosi in corpo sabbioso. A R. la linea delle ghiaie passa a oltre 12 km dall'attuale linea di costa. La successiva graduale emersione della terra è stata contestuale al processo di popolamento, vicino alle linee di costa che man mano si formavano: nella zona pedemontana si sono rinvenute tracce antropiche risalenti a 7.000 anni or sono, nel Ravennate i reperti più antichi finora messi in luce non vanno oltre l'Età del Bronzo (1800-900 a.C.).
Ravenna. - R. era solcata da varí corsi d'acqua, che in epoca augustea possono esser identificati innanzi tutto con la Fossa Augusta, un canale artificiale realizzato per collegare la città al Po: 2 km a Ν di R. essa subiva una prima biforcazione, per cui un ramo volgeva a O e scorreva esterno alla città, l'altro proseguiva a S a sua volta biforcandosi nel Padenna, che attraversava la città, e nel ramo rettilineo che costituiva il confine orientale del centro abitato. Quest'ultimo ramo, prima di percorrere l'attuale Via di Roma, a Ν di S. Giovanni Evangelista s'immetteva nel bacino rettangolare del porto commerciale. Nel Padenna a sua volta da O confluiva il Flumisellum: il punto di confluenza si può identificare nell'attuale mercato coperto. Sempre da O, e sempre solcando l'abitato, pare sopraggiungesse, poco più a S del Flumisellum, la Fossa Lamisa, che sfociava nel Padenna sotto l'attuale Piazza Caduti.
Tanto il Padenna quanto la Fossa Augusta sboccavano a S della città nel più grande dei due bacini del porto di Augusto: in località Classe alla fine del I sec. a.C. vi era soltanto, protetta da murazzi, l'imboccatura - ottenuta tagliando la duna litoranea - del porto militare, il quale si articolava in due bacini distinti. Classe era allora disabitata e luogo di necropoli: le indagini degli anni '60 hanno permesso di sfatare la communis opinio secondo cui il porto di Augusto era ubicato a Classe e non a Ravenna. La presenza del bacino portuale interno (nella zona dell'attuale Ospedale), più piccolo dell'altro, con il ritrovamento di una banchina costituita da grossi blocchi in travertino, ha consentito a Deichmann di ubicare colà il porto di Augusto e contemporaneamente di spiegare la presenza su quel lato (SO) della Porta Aurea, costruzione di età Claudia del 42 d.C. (La Rocca, 1992), che si apriva in corrispondenza del cardo maximus a circa 200 m di distanza dal porto.
Questa parte di R. è caratterizzata da un impianto viario ortogonale frutto di una sistemazione urbana di età augustea volta a monumentalizzare una città divenuta importante grazie al porto. Tale ortogonalità va tuttavia scemando tra l'asse rettilineo Via D'Azeglio - Via Guerrini e l'asse curvo di Via Cavour, seguendo il Padenna, da Porta Adriana a Piazza Caduti: si tratta infatti di un'area dove s'incontrano un tessuto ortogonale e un altro irregolare, condizionato dall'andamento dei corsi d'acqua. Era però questa la zona centrale in epoca imperiale, con il Capitolium (dietro S. Domenico), la Basilica Herculis (presso il vecchio tribunale), la Cattedrale Ursiana, il miliarium aureum. Circa l'estensione della città augustea va riferita anche l'ipotesi del Roncuzzi secondo cui essa sarebbe stata assai più ampia di quella in seguito racchiusa dalle mura. Sull'epoca delle mura vi è tuttavia una grande incertezza, per il fenomeno della subsidenza e le modalità dei ritrovamenti. Nemmeno è chiaro se la Porta Aurea sia nata come porta o come arco onorario, in seguito inglobato nelle mura del V sec. d.C. (soluzione questa attualmente preferibile).
Se vecchi ritrovamenti di statuette bronzee (VI-IV sec. a.C.) testimoniano una presenza etrusca in città, lo scavo di due pozzi stratigrafici tra Via D'Azeglio e Via Morigia (1969) ha consentito di verificare, a circa 7 m di profondità rispetto al livello attuale del suolo, l'esistenza di un abitato su palafitte risalente alla fine del V o all'inizio del IV sec. a.C. (frammento di hydrìa attica a figure rosse); resti di altri manufatti scendono sino all'inizio del II sec. a.C. Anche la parte SE della città (Via Alberoni) potrebbe esser stata abitata dal III-II sec. a.C.: poiché recenti sondaggi a S del c.d. Palazzo di Teoderico, nei giardini pubblici, hanno rivelato uno strato di resti di mura tra - 5 e - 6 m, dell'epoca di poco posteriore alle guerre puniche (II-I sec. a.C.), la parte a E dell'attuale Via di Roma sarebbe stata abbandonata con la costruzione della città augustea e con lo scavo della Fossa Augusta. La pianificazione augustea è provata anche dai pozzi eseguiti nel 1969, che hanno evidenziato uno strato di sabbia, ben costipato artificialmente, sopra l'abitato palafitticolo del V-IV sec. a.C.
Più antiche dell'età augustea si sono rivelate le mura urbiche rinvenute fino a 7 m di profondità, per un tratto di 24 m, nello scavo del caveau della Banca Popolare (1980), larghe 2,60 m, parallele a Via R. Gessi; la struttura, realizzata in mattoni quadrangolari (cm 44 X 44 X 5 di spessore), presentava all'esterno, sul lato E, un coevo torrione difensivo; l'insieme è da mettere probabilmente in collegamento con la costruzione della Via Popilia (132 a.C.) da Rimini al Veneto, per il rafforzamento della R. quadrata.
Nello sbancamento per i garages sotterranei di Via Morigia si è verificato che il cardo maximus d'età augustea si trova a 5 m di profondità; largo 7 m, è pavimentato con trachiti ed è affiancato da edifici arretrati di altri 5 m, dalle fondazioni massicce e continue larghe ben 3 m. All'altra estremità del cardo rispetto alla Porta Aurea (il decumano era l'asse che da Porta Sallustra andava alla posterula Latronum, lungo l'attuale Via Oberdan) era il pons Augusti·, resti di questo ponte, risalente all'inizio del I sec. d.C., sono stati rimessi in luce (1983) per una larghezza di 5 m, anche se a causa della subsidenza il suo piano stradale è stato in seguito più volte rialzato. A SO del bacino più interno del porto militare di Augusto, due pozzi stratigrafici hanno restituito, da -5,70 a -7,50 m, materiali di una grande discarica dell'adiacente quartiere artigianale collegato con il porto e attivo sino alla seconda metà del I sec. d.C.
Il grave problema dell'approvvigionamento idrico fu risolto da Traiano con un acquedotto che da sopra Meldola, seguendo in parte il corso del Ronco, dopo un lungo rettifilo in pianura a O di Classe, si accostava al tracciato della Via Popilia e giungeva in centro passando probabilmente accanto all'attuale Cattedrale Ursiana.
La presenza della flotta comportava l'esistenza di una serie di edifici, dal praetorium del praefectus classis Ravennae ai castra; il praetorium, probabilmente il complesso più importante di R. sino al trasferimento della capitale, sarebbe da identificare nelle fasi più antiche (I e II sec. d.C.) dell'edificio scavato sotto e al di là della settecentesca Via Alberoni (scavi Ghirardini, 1908-1914), a E della Via di Roma; i castra sarebbero da ubicare a S del complesso. Vi passava davanti la Fossa Augusta, larga 17 m, che correva lungo l'attuale Via di Roma.
Numerosi sono i rinvenimenti di impianti abitativi privati: tra S. Vitale e il c.d. Mausoleo di Galla Placidia (I fase: fine I sec. d.C.; II fase: II sec. d.C.) e sotto S. Croce (fine I-III sec d.C.), entrambi attestanti un ampliamento della città verso Ν e non la presenza di ville extraurbane; a Largo Firenze (1981: prima metà del III sec. d.C.); tra Via Mariani e Via di Roma (IV sec. d.C.); presso S. Andrea Maggiore (forse degli inizî del III sec.); in Via Sant'Alberto, se le strutture termali recentemente rinvenute sono collegate a un impianto abitativo; nello scavo della Banca Popolare (1980 - con tre fasi: prima metà del II sec., ultimi decenni del II sec., III sec.). Quest'ultima abitazione, sicuramente a due piani, venne abbandonata in seguito a un incendio attorno alla metà del IV secolo.
Lungo la fascia litoranea di R., a E della Fossa Augusta, erano ubicate le necropoli. Una è venuta alla luce (1964) dietro l'abside di S. Giovanni Evangelista, dunque accanto al porto commerciale, con recupero di cinerari di vetro (fine I-inizî II sec. d.C.) e cassette di marmo; essa si estendeva dall'abside della chiesa sin oltre Porta Nuova e probabilmente comprendeva anche un sarcofago di bambino della prima (Bermond Montanari, 1980) o della seconda metà (Herdejürgen, 1979) del III sec., riutilizzato nel IV (Rebecchi, 1982), rinvenuto (1973) all'incrocio tra Via Alberoni e Viale Pallavicini; è possibile che la necropoli, rimasta in uso fino al IV sec., continuasse lungo Via dei Poggi fino a S. Lorenzo in Cesarea. Una seconda, individuata a Ν della città lungo Via Sant'Alberto (1983-1984), si data entro il II sec. d.C., mentre una terza, con almeno otto tombe costituite ciascuna da due anfore tagliate, è stata rinvenuta in Via R. Serra (1971).
Cesarea. - A S di R., accanto alle banchine della Fossa Augusta, era un complesso, forse adibito a scarico delle merci, in cui è stato rinvenuto un riempimento in frammenti di anfore della fine del I sec. d.C. Nel 1989 uno scavo ha inoltre identificato un grande edificio, forse un magazzino, con fondazioni in trachite e pavimenti in cocciopesto.
Classe. - In base ai risultati degli scavi, nel I sec. d.C. il territorio di Classe, dove fu aperta l'imboccatura al porto di Augusto, era disabitato. Ciò ha confermato quanto brillantemente già sostenuto fin dal 1966 (1968) da Deichmann, il quale aveva rovesciato una tradizione consolidata che poneva a Classe il primitivo insediamento del cristianesimo e dei vescovi, donde la cattedrale sarebbe stata trasferita a R. soltanto col V sec., per propugnare che a R., e non a Classe, sarebbe giunta e si sarebbe sviluppata la fede cristiana.
La linea di costa romana correva a poche decine di metri a E dell'attuale Via Romea Vecchia. Dalla Via Popilia si dipartiva una diramazione nota nel Medio Evo col nome di Strada Reina, sul cui bordo fu edificata S. Apollinare in Classe: essa costituiva l'asse principale della zona, e attorno sorsero le necropoli. Queste, databili a partire dall'inizio del I sec. d.C., erano ubicate lungo il dosso della spiaggia, spingendosi a Ν sino alle spalle di S. Giovanni Evangelista. In origine, nuclei ben delimitati nel III-IV sec. abbracciarono tutta la zona della spiaggia, fino a S di S. Apollinare in Classe. Le tombe erano dei tipi più svariati: a cassa semplice in laterizio, sarcofagi in laterizio o in pietra, alla cappuccina, associate a stele funerarie (podere Minghetti, 1966, donde proviene la stele della metà del I sec. d.C. di Domitia Kalituce e Caelia Quincta), ossuarî in terracotta e in vetro, casse di legno, anfore, sepolture in terra, ecc.; nella necropoli delle Palazzette si riscontra l'unico caso a R. di tombe con tutti i materiali del rogo sepolti in una fossa (tipo bustum). A volte le tombe sono munite di corredo.
Nel podere Marabina si sono rinvenuti (1967-1968) anche due mausolei circolari, databili intorno alla fine del II sec. d.C.; accanto a essi, tra gli altri, un sarcofago in calcare, non finito, con tabula ansata e due edicole, e dedica di Vibio Seneca, prefetto della flotta ravennate, al suo liberto Vibio Proto, posteriore al 246 d.C. Uno scavo nell'angolo SO all'interno e nel lato destro dell'ardica di S. Apollinare in Classe ha restituito (1976) l'estremità di una necropoli in cui, assieme ai pagani, dovette esser sepolto anche il Santo. Oltre al recupero di due sarcofagi di bambini, si è potuta accertare la presenza di sovrapposizioni di tombe di vario tipo, ossarî e tombe a cassone, per le quali tra l'altro è stata riutilizzata come copertura una lastra opistografa che ¡comprende su una faccia i nomi di 65 fabri (II-III sec.) e sull'altra, datata tra il 287 e il 304 d.C., quelli di 92 membri di un collegio.
A Classe gli edifici più antichi non sono anteriori al II sec. d.C.: dunque l'abitato s'è formato progressivamente, per collegamento con servizi relativi al porto stesso, e ha ricevuto una regolarizzazione soltanto nel corso del II-III sec. Si ricordano un'abitazione di II-III sec. (individuata nel 1881), e una di III sec. all'interno del quartiere scavato nel podere Chiavichetta. Se modeste sono risultate le abitazioni a due piani, trovate nel podere Gattamorta, a E della Via Romea Vecchia e al centro dell'insediamento classicano, una lussuosa villa suburbana d'età adrianea è apparsa sotto la chiesa di S. Severo: in seguito, in età tardoromana, essa fu inglobata, all'estremità S dell'abitato, nel circuito difensivo. Tra i materiali rinvenuti negli scavi di Classe si segnalano ceramiche, lucerne, vetri, oggetti in metallo, anfore, un piede rettangolare in avorio riferibile a una situla o a una cista, recante una protome leonina, del I sec. d.C.
Sulla villa adrianea sotto S. Severo sorsero posteriormente un ambiente rettangolare e uno quadrangolare più vasto, in qualche modo collegati - pare come luogo di culto - anche cronologicamente a un sacello non anteriore ai primi decenni del IV sec., munito di lesene sui fianchi e con l'absidiola a O, non a E, probabilmente legato all'episcopato o alla morte di Severo, in cui fu sepolto il santo presule ravennate, presente al concilio di Serdica del 342-343.
II. arte d'età imperiale romana. - Circa la scultura colta va segnalato il ritrovamento, nel terreno di riempimento della Basilica Petriana di Classe, di una testa di Tyche, in marmo tasio, d'età antonina, attorno al terzo quarto del II sec. (v. aemilia, p. 69, fig. 89). L'attenzione è inoltre ritornata sui rilievi dei «troni», su quelli dei choròi femminili e sul c.d. rilievo di Augusto. Circa la serie dei rilievi dei «troni» - di cui sono stati finora individuati quelli di Saturno, Nettuno, Cerere (?), Bacco, Giove, Marte, Diana, Apollo, Ercole, e in cui non dovevano mancare quelli di Giunone, Minerva, Venere, Vesta, Mercurio, Proserpina - saremmo davanti alla preparazione dei troni in onore degli dei (sellisternium). I rilievi dei choròi femminili apparterrebbero allo stesso complesso dei precedenti e si dividerebbero in quattro gruppi: a) una teoria di donne che reca offerte al tempio rotondo di Vesta; b) fanciulle in peplo corto e kalathìskos che danzano ruotando su se stesse; c) fanciulle che danzano tenendosi per mano; d) fanciulle in ricco chitone che decorano con ghirlande un candelabro. Le due serie sono di età Claudia, con possibilità che i rilievi dei choròi siano stati copiati più volte, verso la fine del I sec. d.C. e in età antonina. Esse sono state realizzate a Roma e sono repliche fedeli di prototipi urbani che vennero eseguite per R.; inoltre fanno parte del medesimo monumento del c.d. rilievo di Augusto. I frammenti di quest'ultimo con ogni probabilità erano relativi a un altare innalzato in onore dei membri della gens giulio-claudia: il tutto costituisce dunque un mezzo utilizzato dai Ravennati per sottolineare, assieme con la costruzione della Porta Aurea, la propria fedeltà e devozione alla casa imperiale prima dell'arrivo in città, nei primi mesi del 44, di Claudio (La Rocca, 1992).
Per la scultura funeraria meritano attenzione le stele e i sarcofagi. Le prime sono state raccolte e catalogate, sino alla metà degli anni '60, dal Mansuelli, il quale le ha distinte in architettoniche e con ritratti (prima età imperiale), e in «anarchitettoniche» (I-III sec. d.C.), sottoponendole a una complessa scansione tipologica. Per le stele «la zona ravennate costituiva il polo di fusione per la produzione dei territori gravitanti sull'alta fascia adriatica» (Rebecchi, 1972, pp. 190-191). Tra le stele architettoniche più significative si segnalano quella dei Longidieni (Mansuelli, 1967, n. 12), di età augustea, quella di Domitia Kalituce e Caelia Quincta, di cui si è detto, il frammento con due ritratti (ibid., n. 14), della metà I sec. d.C., quella dei Firmii e dei Latronii (ibid., n. 8), della seconda metà del I sec. d.C. Dalla varietà tipologica dell'alta età imperiale, il segnacolo funerario a stele col tempo tende a standardizzarsi: si abbandona il ritratto, si verifica una drastica riduzione dei simboli, per dar luogo quasi soltanto all'impaginazione del testo epigrafico.
Più importante è la produzione dei sarcofagi, la cui analisi ha ricevuto nuovi impulsi dalla monografia di Gabelmann e dai contributi di Rebecchi. Dalle cave del Proconneso giungevano - e il fenomeno appare cospicuo in Italia settentrionale dalla prima metà del II sec. d.C. - pezzi già sbozzati, così come a R. approdava anche una trachite grigiastra estratta presso Assòs nella Troade: è questo un aspetto da non trascurare per valutare l'opera di rifinitura eseguita nelle botteghe locali, al pari della presenza di sarcofagi importati già completamente lavorati, com'è il caso di un esemplare cario a ghirlande, ora nel Lapidario del Duomo di Modena, del 150-170 d.C. Non è nemmeno improbabile che i due sarcofagi più antichi, di età adrianea, della serie cispadana, di Ulpia Pusinnica e di Cesidia Ionis, da Voghenza, per le loro caratteristiche (cassa più bassa dei successivi esemplari ravennati, spioventi del coperchio meno inclinati, acroteri più piccoli) e per essere decorati semplicemente da una cornice sulla fronte della cassa, possano esser stati importati nelle condizioni attuali. A R. un'attività delle botteghe locali si può seguire senza soluzione di continuità dall'epoca di Adriano sino a quella tetrarchica: di età costantiniana si può indicare soltanto il piccolo sarcofago di Licinia Valeria, della necropoli di S. Apollinare a Classe, mentre il IV sec. è caratterizzato dal diffondersi dell'abitudine di reimpiegare sarcofagi di età precedente per deposizioni di solito plurime, e gli stessi cristiani riutilizzavano arche pagane dopo aver eraso figurazioni e simboli precedenti.
È probabile che nel periodo di massima diffusione dei manufatti (fine ΙΙ-metà III sec.) da R. partissero pezzi rifiniti soltanto in alcune parti per altri centri che, come Modena o Pesaro, fossero in grado - nella funzione di vere e proprie filiali - sia per quantità di richieste, sia per importanza e organizzazione, di completare le sculture sul posto; ma in tutte le altre località, p.es. Voghenza o Voghiera, dalle botteghe ravennati, anche nei momenti di maggiore richiesta, venivano esportati sarcofagi già rifiniti. Dalla metà del III sec., con la crisi economica e la contrazione delle richieste, la chiusura delle filiali comportò una produzione unicamente ravennate, con conseguente esportazione di opere preventivamente completate. È attualmente possibile prospettare una sequenza cronologica più articolata dei principali sarcofagi ravennati tra l'età adrianea e il III sec. d.C.: al 140-160 i sarcofagi di C. Didius Concordianus del Museo Arcivescovile e Rasponi in S. Maria Maggiore; al 150-170 il frammento di Rimini, Museo Civico, con tabella biansata ed erote, il sarcofago di Piazza Matteotti a Modena, quello non terminato nel giardino di S. Vitale, quelli di L. Peducea Iuliana e di Clodia Plautilla a Modena; alla seconda metà del II sec. il sarcofago della famiglia Del Sale in S. Francesco; al 180-200 il sarcofago di Martino Strozzi davanti a S. Francesco; all'inizio dell'età severiana il sarcofago della famiglia Valentini a Modena; dopo il 200 il sarcofago di M. Aufidio Frontone a Pesaro; al 220-240 il sarcofago di Annia Faustina da Voghenza; alla tarda età severiana la fronte del sarcofago riutilizzato nel sepolcro di Marco Pio in S. Francesco a Carpi; nel secondo quarto del III sec. il sarcofago di Martinus Dux a Rimini; al 240-250 i sarcofagi di Aurelia Eutychia a Ferrara e dei Canonici nel cimitero di R.; al 250 c.a il sarcofago Rasponi di Torri di Mezzano; al 250-270 i sarcofagi di Sosia Iuliana nel Museo Nazionale, di Vettio Sabino a Modena, di Viale Tiberio a Rimini (frammento); all'età tetrarchica avanzata i sarcofagi a 3 e 4 nicchie in S. Apollinare in Classe e di Pizacharus a Modena.
III. cristianesimo. - Il cristianesimo è organizzato a R. dal protovescovo S. Apollinare (fine II o inizî III sec. d.C.); un suo successore, il dodicesimo nell'elenco dei vescovi ravennati, Severo, è attivo nel 342-343. Tra le più antiche epigrafi cristiane vanno ricordate quelle di Antifonte (CIL, XI, 320), del III sec., e di Valeria Maria (CIL, XI, 332), entrambe nel Museo Arcivescovile. Il vescovo Orso (m. 396) fece costruire la grande cattedrale a cinque navate, che prese il suo nome (distrutta nel XVIII sec. per essere sostituita dall'attuale, modesta), e sul lato sinistro il coevo battistero, tuttora conservato, ma in origine più basso e con tetto ligneo, mentre al vescovo Neone (terzo venticinquennio del V sec.) si devono il rialzamento dei muri e la cupola mosaicata. Una così grandiosa costruzione con l'annesso battistero prima della fine del IV sec., cioè prima dello spostamento della capitale da Milano a R., è testimonianza evidente dell'importanza mantenuta dalla città e anzi accresciutasi nel corso del IV sec. in seguito alla fondazione di Costantinopoli, dato il suo ruolo privilegiato nel collegamento col mondo orientale; e ha altresì fondamentali conseguenze per la storia dell'arte di R., in quanto la cattedrale presentava caratteristiche (assenza di transetto, abside esternamente poligonale) che rimandano all'Oriente greco, e soprattutto a Costantinopoli. Ne deriva pure un sostegno alla datazione dei sarcofagi cristiani più antichi proposta dal de Francovich, a partire dal sarcofago di Liberio oggi altare di S. Francesco, assegnato al 380 circa, inoltre per quello nella navata sinistra di S. Francesco e per quello Pignatta nel quadrarco di Braccioforte, tutti importati da Costantinopoli o eseguiti a R. da parte di maestranze costantinopolitane.
b) r. dall'inizio del ν sec. d. c. - I. topografia. - Ravenna. - Al momento dello spostamento della capitale da Milano (402), la situazione era profondamente mutata: la subsidenza aveva reso acquitrinoso tutto il territorio, assicurando alla città, malgrado i disagi che procurava e gli interventi indispensabili che sollecitava, un'imprendibilità che in qualche modo favorì la scelta di Onorio.
Con la costruzione delle attuali mura nel corso del V sec. si dovette procedere a rialzare il suolo di circa m 1,5, e poiché l'utilizzazione del porto di Augusto era legata al flusso delle maree, esso fu abbandonato, e al suo posto fu ristrutturata e ampliata l'imboccatura augustea nella località di Classe: è il portus nouus di cui parla nel 468 Sidonio Apollinare (Epist., I, 5, 5). All'inizio del V sec. il ramo rettilineo della Fossa Augusta lungo il lato E dell'abitato fu interrato e divenne un asse viario di primaria importanza (la plateia maior, attuale Via di Roma). Ma nei primi decenni del V sec. doveva essere ancora in funzione il porto commerciale a Ν di S. Giovanni Evangelista, dato che la chiesa fu costruita sulla sponda meridionale del bacino subito dopo il ritorno di Galla Placidia a R. nel marzo del 426, come soluzione di un voto al Santo in seguito al salvataggio miracoloso dell'imperatrice e dei suoi figli da una tempesta scoppiata durante il viaggio in mare. Ma interratosi anche il ramo della Fossa Augusta a Ν di R., tale porto fu pure abbandonato e prosciugato, e Teoderico fece scavare dal Po un nuovo canale, il Padoreno, forse la fossa Gothorum, che, largo 50 m, passava a pochi metri dal Mausoleo di Teoderico e sfociava nel porto Coriandro. Nel rialzamento di quota della città, sotto le nuove fondazioni fu effettuata una palificazione per consolidare il banco delle macerie accumulate con le demolizioni degli edifici precedenti, anche fuori del perimetro delle mura; in qualche caso i pali vennero collocati orizzontalmente su pezzame di pietra d'Istria (scavo magazzini Upim, in Via di Roma).
L'arrivo della corte comportò la realizzazione di una serie di palazzi per i sovrani e gli uffici. A parte una dimora di Galla Placidia presso la chiesa di S. Croce, i complessi imperiali s'insediarono a E della plateia maior, tra S. Giovanni Evangelista a Ν e S. Maria in Porto. Si tratta dei seguenti complessi: il Palazzo di Onorio, impiantato nel praetorium del praefectus classis Ravennae, grande edificio militare del I sec. d.C.; il Palazzo di Valentiniano III ad, Laureta, costruito tra il 438 e il 450 a S di quello di Onorio, a S di Via Alberoni e a Ν di S. Maria in Porto; una parte del Palazzo di Onorio prese successivamente il nome di Palazzo Teodericiano. La porticus sacri palatii, ricordata nel pap. Tjäder 35 (II, 1982, p. 112), del 572, era a N, vicina allo scubitum e a S. Giovanni Evangelista; lo scubitum (excubitum, caserma degli excubitores, cioè della guardia di palazzo) si trovava non lontano dalla moneta aurea, dato che tali guardie avevano il compito di custodire il tesoro; la moneta aurea, a sua volta, essendo in porticu sacri palatii, si trovava pure a E della plateia maior (Via di Roma), a S di S. Giovanni Evangelista. A N, presso il portico del palazzo e la moneta aurea, dovevano esservi anche gli scrinia dell’officium sacrarum largitionum, mentre tutti gli altri uffici erano probabilmente ubicati nel Palazzo di Valentiniano III. La Chalkè, raffigurata nel mosaico della parete destra di S. Apollinare Nuovo (la cappella palatina fatta costruire da Teoderico) e di cui non sappiamo quanto rientrasse rispetto alla plateia maior, potrebbe localizzarsi tanto sull'asse del peristilio compreso tra Via Alberoni e S. Apollinare Nuovo (il portico settentrionale era aderente nel suo prolungamento al fianco destro della chiesa), come lo ha tracciato il De Angelis d'Ossat, quanto più a S, dato che più di metà del palazzo verso Via di Roma non è stato scavato e verso S oltrepassava Via Alberoni; in quest'ultimo caso la Chalkè verrebbe a coincidere col sito della posteriore chiesa di S. Salvatore detta significativamente ad Calchi.
Tra gli edifici di abitazione entro le mura - oltre alle ristrutturazioni compiute da Teoderico nel palazzo di Onorio - va segnalata la recentissima e importante scoperta, di cui si hanno soltanto notizie preliminari, d'una parte di una grande dimora d'epoca teodericiana (Via D'Azeglio), senz'altro residenza di un dignitario di corte, con ricca pavimentazione a mosaico e a opus sectile, estesa per più di 600 m2: tale dimora, la cui esistenza durò per tutto il VI sec., copriva parzialmente il precedente quartiere romano, di cui a un livello inferiore sono stati trovati mosaici pavimentali d'una più antica abitazione d'età imperiale. Altre case rinvenute: in Via Rasponi (1983), della fine probabilmente del VI sec., con un ninfeo; nello scavo della Banca Popolare (1980), con un piccolo, modesto bagno privato (Deichmann, 1989), non certo i bagni del vescovo Vittore; in Via Sant'Alberto (1983), con un impianto termale del VI sec.; tra Via di Roma, Via Diaz e Via Mariani (1969), in cui l'ampio edificio nella prima fase ha restituito un pavimento a mosaico bianco-nero non più antico della seconda metà del III sec. e nella seconda fase, del VI sec., ebbe anche un portico (erronea è stata la sua iniziale identificazione con la moneta aurea).
singoli monumenti: S. Giovanni Evangelista (v. vol. VI, p. 630). - La chiesa fu costruita in due tempi: nel V sec. comprendeva nove colonne per lato ed era preceduta da un atrio sporgente,/più basso di 0,30 m rispetto al livello della chiesa; alla fine del VI sec., sotto l'arcivescovo Mariniano, di cui nei lavori a partire dal 1919 fu visto pure un tratto di mosaico pavimentale, l'edificio fu allungato di tre campate comprendendo lo spazio dell'atrio, demolendo i corpi sporgenti di questo, murando le aperture sui fianchi e utilizzando le sei colonne sulla fronte nei due colonnati, tre per lato. L'annosa discussione circa l'epoca e l'apertura o non della polifora a sette arcate nell'abside, di fronte a tre finestre murate più in basso nel poligono, trova probabile soluzione nell'accertata presenza della semicalotta absidale costituita di tubi fittili, ciò che comporta una funzione puramente decorativa della loggetta superiore: essa era però coeva alla restante muratura, date le constatazioni del Gerola nel 1921; inoltre l'apertura originaria delle tre finestre ora murate con conseguente invisibilità interna della polifora era resa inevitabile dall'ampio programma decorativo del mosaico absidale quale ci è stato tramandato dalle fonti. Infondata appare una recente tesi, secondo cui i due pastoforî ai lati dell'abside sarebbero stati in realtà due biblioteche.
S. Croce (v. vol. VI, p. 631) - Scavi a partire dal 1970 hanno permesso di delineare per gran parte la pianta della costruzione placidiana, cruciforme, a navata unica, abside quadrangolare e forse pastoforî ai lati, fiancheggiata da portici e con un atrio espanso alle cui estremità erano a S il c.d. Mausoleo di Galla Placidia (v. vol. vi, p. 631), a Ν il monasterium S. Zachariae. Si sono rinvenuti bei pavimenti musivi e ancor più a opus sedile, resti del bancale a semicerchio per il clero, parecchi frammenti della decorazione parietale a stucco e alcuni piccoli lacerti dei mosaici parietali, tutti del V sec.; posteriormente citiamo soltanto l'impianto d'una cripta di epoca romanica.
Basilica Apostolorum (S. Francesco: v. vol. VI, p. 632). - Fu costruita probabilmente sotto Galla Placidia e Valentiniano III, essendo vescovo Pietro Crisologo, ma la sepoltura di Neone in chiesa potrebbe far pensare a suoi lavori di completamento. Nel 1973 si è potuto chiarire o confermare, in indagini nella cripta odierna, che l'originario pavimento a mosaico del presbiterio del V sec. sottostà di 3,40 m alla quota del pavimento attuale; che la pianta della chiesa aveva un'abside rettangolare, per via delle partizioni dei riquadri musivi; che la tomba di Neone fu spostata nel IX sec., all'epoca dello storico Agnello, davanti al luogo della cattedra, e fu nell'occasione realizzata a mosaico, per risarcire il pavimento antico, un'epigrafe a ricordo della presenza del sottostante sepolcro; che altre due tombe del V sec. esistevano, oltre alla primitiva di Neone, sotto il pavimento a mosaico, sul lato destro. Nel IX-X sec. fu costruita l'abside poligonale all'esterno e semicircolare all'interno, entro cui fu installata una prima cripta, con pavimento della chiesa alla quota di -2,70 m. Quando intorno al Mille o subito dopo si rialzarono i colonnati con le basi, i capitelli e 1 pulvini a -1,70 m, si allungò verso O la cripta nella forma attuale e si rifecero le fiancate della nave maggiore con terminazione ad archetti pensili binati (non ad arcate cieche), ripetuta più tardi quando si provvide anche a rimpicciolire le finestre.
S. Agata (v. vol. VI, p. 632). - Lavori (1963-1964), restauri (1979-1989) e uno scavo (1985) nel presbiterio e nella sagrestia, hanno provveduto a chiarire le vicende della chiesa, esistente già al tempo del vescovo Giovanni (m. 494). L'abside, con la sua semicalotta in tubi fittili completamente riempiti di malta e la sua decorazione (perduta nel terremoto del 1688), risale al tempo dell'arcivescovo Agnello (556-569). Lo scavo ha consentito di raggiungere la quota del presbiterio del VI sec., a -2,104 m rispetto al pavimento odierno, frutto del rialzamento dei colonnati nel 1492-1494. Il presbiterio era pavimentato con opus sedile, di cui si sono visti resti di marmo bianco e di verde antico, delimitato da una fascia curveggiante in marmo in corrispondenza del bancale per il clero, rialzato di due gradini rispetto al presbiterio; al centro era il luogo della cattedra. Le pareti dell'abside erano pure rivestite di opus sedile e decorate con stucchi policromi, di cui si sono raccolti parecchi frammenti, così come numerosi sono stati i lacerti del mosaico absidale ritrovati. Si sono recuperati pure assai rari vetri da finestra, di color verde, con motivi a quadrati dai lati concavi e losanghe interposte, legati tra loro con strisce di piombo.
Battistero degli Ariani (v. vol. VI, p. 634). - Lavori effettuati nel 1970 hanno permesso di raggiungere il battuto di sottofondo del pavimento a opus sedile, a -2,31 m dal piano stradale attuale, entro cui si sono rinvenute cinque tombe e la traccia della vasca battesimale.
S. Maria Maggiore (v. vol VI, p. 634). - E suggestiva, ma non probabile, l'ipotesi del De Angelis d'Ossat che l'abside sia uno dei torrioni d'ingresso a una residenza regia nella Regione II, con abitazione di Galla Placidia vicino a S. Croce; fu fondata da Ecclesio dopo la Pasqua del 526 e non oltre il 532, anno di morte del presule, raffigurato nel mosaico absidale (scomparso dopo il 1613 e parecchio prima del 1664). All'epoca di Pietro III (569-578) il suddiacono Lorenzo per sciogliere un voto fece realizzare il portale della chiesa, eliminato pare nel 1676.
S. Michele in Africisco (v. vol. VI, p. 635). - Costruito con la nuova tecnica muraria a mattoni sottili importata con la conquista bizantina del 540 e consacrato il 7 maggio del 545, presenta una pianta a tre navate scompartite da pilastri, non da colonne, le cui proporzioni, così come la dedica e la muratura, rimandano a Costantinopoli: gli stessi pilastri e le loro ampie arcate non derivano dalla Siria ma dal mondo greco-costantinopolitano, con paralleli nell'Istria. Il mosaico absidale del VI sec. fu venduto nel secolo scorso, ma a Berlino si troverebbe una copia eseguita a Venezia nel 1850-1851: del mosaico antico rimarrebbero le teste di Michele e Gabriele nel Museo di Torcello, quella di Cristo al Victoria and Albert Museum di Londra (Andreescu). La piccola chiesa fu fondata da Giuliano Argentario - non soltanto un semplice banchiere, dato il ruolo da lui rivestito nella costruzione degli edifici di R. in età giustinianea, dopo il 540, e ancor prima in quella di S. Maria Maggiore - assieme a un tal Bacauda, e fatta erigere privatamente e tutta a proprie spese, senza sfarzi (pilastri in luogo di colonne e capitelli), mentre S. Vitale e S. Apollinare in Classe, chiese ufficiali, sono non soltanto enormemente più grandi ma anche splendidamente attrezzate e decorate, evidentemente con denari non personali.
S. Vitale (v. vol. VI, p. 635). - Capolavoro progettato da un architetto costantinopolitano e realizzato da maestranze greco-costantinopolitane dopo la conquista del 540, che vede però all'opera artefici ravennati nella grande cupola in tubi fittili. I monogrammi del vescovo Vittore (538-15 febbraio 545) sui pulvini del pianterreno, non certo frutto (come vorrebbe una recente ipotesi non fondata) di una rilavorazione, sono la prova della costruzione in pochi anni dell'edificio. Non appare convincente dal punto di vista tecnico un'altra recente tesi secondo cui i lavori erano già completati, e Massimiano alla fine del 547-inizî del 548 avrebbe fatto sostituire col suo, aggiungendo anche la scritta, il volto di Vittore nel pannello a mosaico con Giustiniano, e in più avrebbe fatto inserire tra sé e Giustiniano il ritratto del comandante Giovanni.
Cesarea: S. Lorenzo. - I sondaggi hanno identificato la chiesa di S. Lorenzo, ricordata anche da S. Agostino (Serm., 322: PL, 38, c. 1444), attorno alla quale si formò il sobborgo; uno scavo ha mostrato l'esistenza di un grande piazzale, probabilmente in origine rivestito di lastre di marmo, sul fianco Ν della chiesa.
Classe. - La località assunse consistenza soltanto nel tardo impero, in seguito all'abbandono dei bacini del porto di Augusto e alla ristrutturazione portuale dell'imboccatura augustea. L'abitato di epoca tardoromana e bizantina occupò la zona a S di Via Marabina e dei Fiumi Uniti, a E della statale Romea, fino a Via del Muro lungo; non pare si estendesse a Ν della Fossa Augusta. Nel corso del V sec. fu circondata da mura, ma in un documento del 480 nel pap. Tjäder 4-5 (1, 1955, p. 208) si legge ancora «in Classe, castris praetorio, Rav(ennae)»: la prima menzione certa di Classe come civitas non compare nel mosaico teodericiano di S. Apollinare Nuovo, poiché la scritta è frutto in parte di un restauro, ma in altro documento del 552 nel pap. Tjäder 4-5 (1, 1955, p. 214), dove si cita un Deusded.it «for(ensi) civitatis) Classis Rav(ennae)». Gli scavi hanno consentito di identificare il tracciato curvilineo delle mura a S, secondo l'andamento del lato S del canale portuale. Importanti si sono rivelati gli scavi condotti dal 1974 nel podere Chiavichetta, sull'isola formata dal canale portuale di Classe: essi ci hanno restituito darsene, bacini di carenaggio, magazzini pilastrati e con facciate porticate, opifici diversi (tra cui una fornace e una fabbrica di vetro), strade in basoli di trachite, con fognature e drenaggi efficienti, rivelando una continuità di attività dal V al VII secolo. Assai interessante è apparso l'abbondante materiale di cui era costituito il rialzamento del sistema fognario: ceramiche (in massima parte scarti di cottura), lucerne, di cui due in bronzo (delle altre, in terracotta, pochissime provengono dall'Oriente, più numerose dalla Tunisia, molte sono di produzione locale o regionale), vetri (numerosissimi di produzione locale, alcuni di lusso di produzioni orientali del IV-V sec., altri non di lusso, come bicchieri, coppe, vasi potori, di produzione siriaca del V-VI sec.). Tale materiale mette in risalto collegamenti commerciali ramificati tra R. e la Grecia e le isole greche, Asia Minore, Palestina, Siria, Egitto, meno evidenti con Costantinopoli, più problematici con le coste africane (le ceramiche non oltrepassano infatti il V sec.). Ricerche recenti hanno messo in evidenza cospicui resti di edifici di culto.
singoli monumenti: Basilica Petriana. - La grande chiesa, fondata da Pietro Crisologo nel secondo quarto del V sec. e portata a termine dal successore Neone, non è da considerare la cattedrale di Classe, che non ebbe mai un proprio vescovo, ma la chiesa della comunità dei fedeli di Classe, alla maniera della grande chiesa del Lechaion, il porto di Corinto, anche con un battistero (Deichmann): a Classe il battistero della Basilica Petriana fu costruito soltanto da Pietro II (494-520). Sorgeva vicino al lato S del canale portuale, leggermente a E rispetto all'isola nel podere Chiavichetta: sondaggi nel 1964 ne hanno delineato una pianta a tre navate e con quadriportico, per una lunghezza complessiva, compresi gli spessori murari, di 133 m circa e una larghezza di 40 m circa: si attendono scavi di conferma. Ai fianchi della basilica erano due monasteria dedicati agli apostoli Matteo e Giacomo, secondo un abbinamento singolare che trova riscontro nel Martyrologium Hyeronimianum al 1° maggio e proviene evidentemente dalla Chiesa di R. (Lucchesi).
Basilica della Casa Bianca. - Rinvenuta nel 1965 a 2 km a SO di S. Apollinare in Classe e a 800 m a O della Strada Statale 16 assieme a un battistero ottagonale sul lato sinistro, doveva essere la chiesa della comunità di un vicus distante 9 km da Ravenna. Sondata ma soltanto parzialmente scavata, aveva tre navate scompartite da dodici colonne per lato; compresi gli spessori murari era lunga complessivamente 64 m circa e larga 22 m circa, con un quadriportico espanso per abbracciare anche due porticati laterali. Questa importante chiesa, che presentava anche una recinzione presbiteriale, un ciborio sopra l'altare e due pastoforî ai lati dell'abside, era pavimentata nelle navate e nel recinto (sopraelevato di 0,40 m) con lastre di marmo, con tappeti musivi nei porticati e nel quadriportico. La pianta a tre navate appare una replica di S. Apollinare Nuovo, dunque posteriore agli inizî del VI secolo. Finora si è creduto che le fasi costruttive fossero due, la prima, degli inizî del VI sec., comprendente la parte con pavimentazione marmorea, la seconda, verso la metà del VI sec., con i pavimenti a mosaico; in realtà si tratta di due momenti di un'unica costruzione, dato che i mosaici sono anche nel quadriportico, sicuramente appartenente alla supposta prima fase, ed espanso appunto in funzione dei due porticati laterali: una moneta di Giustino I o di Giustiniano, trovata sotto il pavimento del porticato laterale S, fissa l'unica fase costruttiva dell'intero complesso al VI sec., prima della metà.
S. Probo. - Chiesa cimiteriale a 190 m a SE di S. Apollinare in Classe, donde provengono le stele di Antifonte e di Valeria Maria. Sondaggi del 1964 e saggi di scavo del 1970 hanno individuato una pianta a tre navate, di dimensioni considerevoli (circa 70 X 32 m), ma in attesa di essere verificata con scavi sistematici.
S. Apollinare (v. vol. VI, p. 637). - La grande basilica classense, edificata con la nuova tecnica muraria da artefici greco-costantinopolitani, con i quali cooperarono anche maestranze locali nelle parti tra le finestre della navata centrale, e consacrata da Massimiano il 9 maggio del 549, fu edificata dopo la conquista del 540, come è stato definitivamente provato da una moneta del 540- 541 ritrovata nello scavo del 1976. Negli scavi del 1968 si scoprì la strada romana, l'asse viario principale di Classe, sul cui margine fu costruita la chiesa, e si poté ricostruire la pianta del quadriportico antistante, di poco posteriore alla chiesa, che determinò l'inagibilità della strada. In antico sui fianchi vi furono forse due porticati, come a S. Croce e alla Casa Bianca. Importanti sono le scoperte (1970-73) riguardanti il mosaico absidale: in un primo tempo al centro della conca si provvide a tracciare una sorta di disegno di colore rosso direttamente sui mattoni, costituito da una linea verticale centrale di squadra, da una serie di cerchi concentrici e da una piccola croce all'interno; similmente all'altezza della zona con S. Apollinare e le pecorelle si delineò dapprima un abbozzo che conteneva una serie di uccelli e volatili e al centro una croce. Ma il committente, cioè il vescovo Massimiano, scartò quest'abbozzo iniziale, e sugli strati di calce (sull'ultimo dei quali, di allettamento del mosaico, come a S. Apollinare Nuovo, a S. Vitale, a S. Agata, vennero eseguiti i disegni preparatori, tutti campiti di colore onde permettere d'inserire nelle superfici tessere spesso della stessa tonalità) venne realizzata l'attuale composizione, con sostituzione audacissima di S. Apollinare alla croce e delle pecorelle agli uccelli, in modo da mutare completamente il significato sepolcrale del primo progetto. Lo scavo del 1976 ha fatto credere che il luogo di sepoltura di S. Apollinare fosse stato individuato, prima che il suo sarcofago fosse trasferito da Massimiano sotto l'altare al centro della chiesa all'altezza dell'abside (ancor oggi, nella cripta della seconda metà del IX sec., si conserva al suo posto una parte del coperchio), nel lastrone affiancato dai sarcofagi di due bambini; si tratta di una identificazione non convincente, poiché il sepolcreto esplorato ha tutte le caratteristiche per esser considerato non anteriore al IV secolo.
Severo. - Il «luogo di culto» sorto accanto al sacello del Santo fu decorato alla fine del V-inizio del VI sec. con un mosaico pavimentale, un abbellimento connesso con la monumentalizzazione del sacello mediante il triforio in facciata e un nuovo pavimento, evidentemente a seguito dell'affermarsi del culto di S. Severo, sottolineato anche da una duplice citazione nel Martyrologium Hyeronimianum. Al sacello del santo si addossò a S un altro sacello con abside a E, e all'epoca di Pietro III (569-578) fu demolito il «luogo di culto» e al suo posto sorse la grande basilica a tre navate divise da dodici colonne per lato, delle dimensioni - compresi gli spessori murari - di m 64,70 X 27,30, con abside poligonale all'esterno e un recinto presbiteriale; mosaici pavimentali (ne sono stati rinvenuti ampi lacerti) decoravano anche l'interno e l'esterno del sacello del santo (dove compare pure il nome di Severo in epigrafi musive). La consacrazione della basilica a Severo ebbe luogo a opera di Giovanni III il 17 maggio del 582 con la traslazione del corpo del Santo dal sacello - che venne a trovarsi all'estremità S dell'ardica - all'altare maggiore immediatamente al di fuori della proiezione della corda dell'abside.
Il territorio ravennate. - Alcuni scavi e gli studi degli ultimi vent'anni hanno consentito di ricuperare ed evidenziare una serie di edifici di culto nel territorio, i quali rappresentano un fenomeno veramente unico, sotto il segno della continuità, nelle ricerche dell'architettura in Italia a partire dal VI secolo. Quello delle pievi non è un fenomeno minore, ma partecipa assieme all'architettura del centro a un processo unitario, con sincronismo di presenze nelle morfologie architettoniche, in un tessuto territoriale tanto compatto. Ci si limita in questa sede agli edifici compresi entro il VI secolo. Ancora del V sec. è la fase primitiva, relativa alla parte inferiore dell'abside, di S. Michele in Acerboli a Sant'Arcangelo di Romagna. Per il VI sec., nella tipologia a navata unica è possibile oggi indicare, agli inizî del secolo, il sacello dedicato a S. Michele ritrovato nel 1962 nell'angolo SE dell'odierno complesso monastico di Pomposa; seguono il sacello sottostante la chiesa di S. Giorgio di Argenta di età agnelliana e S. Maria in Padovetere affiancata a sinistra dal coevo battistero a undici lati, sicuramente fondata tra il 520 e il 521 dal vescovo ravennate Aureliano e riscoperta nel 1956 nella zona dell'antica Spina. Alla metà del VI sec. o subito dopo, quindi riferibile alla stessa epoca degli edifici giustinianei di R., e costruito con la nuova tecnica muraria a mattoni sottili, è il S. Michele in Acerboli a Sant'Arcangelo di Romagna, frutto d'un valente architetto costantinopolitano; è un edificio d'importanza eccezionale sia per la sottigliezza della pianta e del progetto, in cui l'articolazione delle pareti esterne rimanda direttamente ai prototipi di S. Giovanni di Studios e di S. Sofia nella capitale d'Oriente, sia per aver conservato - unico tanto a R. e nel suo territorio quanto a Costantinopoli - integra la spazialità originaria interna per la tipologia a una sola navata. Seguono poco dopo la seconda chiesetta di Pomposa, rinvenuta durante i restauri degli anni '20 sotto la navata sinistra della chiesa odierna, cui è possibile attribuire l'altare a cippo al centro dell'attuale abside maggiore. Risale alla fine degli anni sessanta del VI sec. il S. Giorgio di Argenta, scoperto nel 1982 sotto l'edificio attuale e di cui restano, oltre all'altare in chiesa (e a pilastrini d'iconostasi di recente rubati), lacerti del mosaico pavimentale dell'abside; alla medesima epoca o subito dopo il S. Martino di Barisano (scavi 1987 e 1993); inoltre due edifici a una navata (scavi 1955) sotto la pieve di S. Procolo al Ponte sul Senio, distrutta durante l'ultima guerra; e forse della fine del VI sec. i resti di S. Maria di Bazzano, ritrovati in uno scavo del 1980 nel podere Danesi a S. Zaccaria, a S di Ravenna. Per la tipologia a tre navate, la recentissima e importante acquisizione all'epoca del S. Giorgio di Argenta e del S. Martino di Barisano dei resti più antichi visibili di S. Maria in Acquedotto presso Forlì, divisa da due file di pilastri a T, ha avuto come conseguenza ancor più importante, per le caratteristiche che l'edificio presenta, la definitiva attribuzione cronologica entro la fine del VI sec., assieme al suo altare, del S. Pietro in Sylvis di Bagnacavallo, la più nota, e più integra, delle pievi ravennati.
II. la cultura scritta: Produzione libraria. - Un aspetto che in una capitale come R. non può esser trascurato è quello relativo alla cultura scritta e alla produzione libraria, specialmente dopo gli studi specifici di G. Cavallo. In epoca teodericiana il goto Viliaric nella sua bottega copia un'opera di Paolo Orosio (Firenze, Bibl. Laurenziana, cod. 65.1). Dalla stessa bottega è uscito il Paris, lat. 2235 (S. Girolamo); in collegamento con essa il Paris, lat. 2769 (ff. 1-23) + Paris, lat. 4808 (ff. 53-65) (Cosmographia di Onorio) e il cod. XXXIX (37) della Biblioteca Capitolare di Verona (Complexiones di Cassiodoro). Due codici di lusso per Teoderico furono il Codex Argenteus della Biblioteca Universitaria di Uppsala (evangeliario purpureo goto) e l'evangeliario purpureo latino della Biblioteca Queriniana di Brescia; però anche altri manoscritti latini di alto livello furono forse eseguiti nella R. gota. Tra i testi letterari e tecnico-strumentali prodotti a R. vanno ricordati il cosiddetto Virgilio Romano (Vat. lat. 3867), della metà circa del VI sec., e il cosiddetto Virgilio Palatino (Vat. Pal. lat. 1631), degli inizî del VI sec., usciti entrambi da una stessa officina libraria; ma vi fu pure una grande attenzione a testi di aritmetica, geometria, gromatica, architettura e medicina. Possono esservi stati prodotti codici greci come il cod. 847 dell'Österreichische Nationalbibliothek di Vienna, contenente la parte superstite d'un Tetraevangelio greco. Evidentemente v'erano committenti di testi d'alto livello tra la classe dirigente del VI sec., la cui cultura si manifestava nel promuovere l'esecuzione di oggetti di lusso. V'era poi il filone dei libri e testi della cultura ecclesiastica, a partire dall'epoca del vescovo Pietro Crisologo, e all'epoca di Massimiano era attivo pure uno scriptorium vescovile; dei libri di produzione ecclesiastica va ricordato almeno il codice con opere di S. Ambrogio conservato nell'Archivio Arcivescovile di Ravenna.
Epigrafia. - Un posto particolare merita la splendida epigrafe del 549 relativa alla traslazione delle reliquie di S. Apollinare nell'omonima chiesa di Classe: «Questa esaltazione della scrittura monumentale ... si spiega ove se ne ammetta una funzione ideologica ... legata sia ... alla politica giustinianea verso la Chiesa ravennate ... sia ... alla nuova affermazione del potere imperiale in Italia di cui Ravenna era sede capitale» (Cavallo, 1984, p. 120). Tra le epigrafi greche, frutto della cultura scritta di palazzo è quella incisa sul coperchio di un più antico sarcofago riutilizzato come sepoltura dell'esarco Isacio (625-643).
III. arte d'età paleocristiana. - Il nodo più importante, il problema decisivo per la comprensione e l'interpretazione dell'arte di R. capitale è costituito - come già si vede nei primi monumenti cristiani verso la fine del IV sec. - dai rapporti con Costantinopoli. Dalla soluzione di tale nodo dipende la valutazione globale del «fenomeno» Ravenna. La tesi finora più accreditata, con cui confrontarsi per approfondire lo studio, è quella del Deichmann, secondo cui R., indipendente da Roma, pur ricevendo continuamente nel corso del V e VI sec. stimoli e manufatti dalla capitale d'Oriente, li amalgama con il sostrato locale e le realizzazioni norditaliche precedenti per creare una realtà artistica dotata di una propria caratteristica fisionomia. All'inizio del V sec., data la nuova funzione di capitale, vi convennero artisti delle più varie provenienze, non soltanto occidentali ma anche orientali, per cui le forze «indigene» ebbero maggior spazio nell'architettura che nelle arti figurative e applicate. Ma l'arte di R. conserva sempre una sua fisionomia, e negli stessi mosaici del battistero della cattedrale, dell'epoca di Neone, di alta qualità, nonostante i probabili rimandi a Costantinopoli e nonostante ogni possibile influsso, potrebbe manifestarsi innanzi tutto lo spirito artistico della capitale occidentale. Una tesi invero già espressa nel 1914 da P. Toesca.
Mosaici. - Lo studio dei mosaici ha ricevuto un nuovo impulso dalla loro lettura in chiave greco-costantinopolitana offerta dal Kitzinger, il quale nel c.d. Mausoleo di Galla Placidia ha colto la distinzione tra bidimensionalità e tridimensionalità, tra accettazione e negazione della superficie, p.es. nei mosaici delle lunette col Buon Pastore e S. Lorenzo (non S. Vincenzo secondo una recente, infondata, proposta) rispetto alle decorazioni delle volte a botte; questo rapporto è in qualche modo rotto a favore della bidimensionalità - nell'intrecciarsi dei due schemi decorativi a partizioni radiali e a bande concentriche, spazialmente incompatibili - nel battistero della cattedrale. Il conflitto tra accettazione e negazione della superficie appare risolto a favore dell'accettazione nel Battistero degli Ariani, la cui decorazione da ultimo per M. Andaloro si deve a maestranze occidentali, forse di radice romana. Immobilità e solenne ostentazione sono per Kitzinger le caratteristiche dei mosaici di S. Apollinare Nuovo, anche secondo M. Andaloro eseguiti da maestri giunti dall'Oriente. Ritrattistica semplice e atemporale unitamente al congelamento dell'azione compaiono pure nei mosaici della cappella arcivescovile (opera di Pietro II), per Kitzinger sempre collegati con l'Oriente greco. In S. Vitale i mosaici, incarnazione della sintesi giustinianea, sviluppano un rapporto tra «quadri» e «cornici» e mostrano gran copia di elementi «naturali», ma la superficie, la bidimensionalità, non viene mai interrotta davvero, e la «conciliazione dell'inconciliabile» tra ordine astratto e vita organica è elaborata con consumata perizia, raggiungendo il vertice nel pannello di Giustiniano: per Kitzinger il progettista di tali mosaici, «uno dei grandi artisti del primo millennio dell'era cristiana» (1977, p. 88), doveva esser originario dell'Oriente greco o comunque in stretto contattò con quanto accadeva in quell'area. A S. Apollinare in Classe il mosaico absidale, in cui nella giustapposizione degli elementi viene decisamente ribadita la superficie bidimensionale, al pari del mosaico di S. Caterina al Sinai, opera di maestranze costantinopolitane, segna per Kitzinger il trionfo dei principi astratti del disegno. Espressione di maestranze occidentali sarebbero dunque soltanto i mosaici del Battistero degli Ariani.
Arredo scultoreo. - L'arredo scultoreo delle chiese sarebbe, secondo il Deichmann, in parte d'importazione costantinopolitana, in parte di produzione locale, più o meno influenzata da Costantinopoli. È questo un problema «internazionale», data l'area interessata alle esportazioni costantinopolitane; l'esame nel suo complesso ha portato a una soluzione di segno divergente del rapporto con Constantinopoli, non soltanto a R., ma anche nel bacino superiore dell'Adriatico, a Roma, in Palestina, almeno per il VI sec.: accanto a prodotti importati da Costantinopoli già rifiniti, vi sarebbe l'attività di maestranze greco-costantinopolitane, oltre a quella delle maestranze locali, nel duplice aspetto di imitatori o di non imitatori dei prodotti dei greco-costantinopolitani. Ne risulta un quadro sensibilmente diverso, che implica la mobilità delle maestranze accanto a quella dei prodotti e delle idee e l'esecuzione a R. da parte di artefici stranieri di tutta una serie di opere ritenute eseguite dai Ravennati. I capitelli appaiono in buona parte importati; in una luce diversa vanno considerati invece i pulvini, nel duplice aspetto di prodotti in loco di maestranze straniere (come gli stessi quattro pulvini con gli agnelli nel pianterreno del presbiterio di S. Vitale) e di prodotti di maestranze locali d'imitazione, al pari dei portali. Tra gli amboni, quello di S. Apollinare Nuovo, degli inizî del VI sec., è opera importata da Costantinopoli, mentre quello coevo di Santo Spirito, in calcare, è stato eseguito a R. da maestranze greco-costantinopolitane, come quello in marmo proconnesio dell'arcivescovo Agnello nella cattedrale (in tutto o in parte eseguito a Ravenna). Gli altari appaiono, nella loro sequenza, da quello di cui restano due frammenti in S. Francesco, degli inizî del VI sec., a quello a cippo di Bagnacavallo, della fine del secolo, prodotti tutti a R. da greco-costantinopolitani. Tra i plutei e le lastre, importato appare quello frammentario del Museo Nazionale (inv. 680), verso la metà del VI sec.; probabilmente importato - piuttosto che lavorato a R. da greco-costantinopolitani - il frammento del Museo Nazionale (inv. 631), all'incirca della fine del V sec.; mentre eseguite da maestranze locali come prodotti d'imitazione, sono, intorno alla metà del VI sec. o poco dopo, la lastra reimpiegata nella vasca del battistero della cattedrale e quella con colombe nel Museo Arcivescovile.
Sarcofagi. - Il Kollwitz nel suo volume rimasto incompiuto ritiene che vi sia stata una continuità nella produzione dei sarcofagi a R., prima pagani, poi, soltanto dopo lo spostamento della capitale da Milano, cristiani, a partire da quello Pignatta; ma, dopo gli studi sulla produzione pagana, che s'arresta alla fine del III sec., e con la considerazione delle caratteristiche spiccatamente costantinopolitane dei più antichi esemplari cristiani e del loro elevato livello qualitativo, tale conclusione dev'essere abbandonata a favore di un'interruzione di almeno ottant'anni nell'esecuzione di sarcofagi a R. e di una ripresa dovuta a maestranze greco-costantinopolitane. Al pari di quella dei mosaici, l'originalità, fin dagli esordi, dei sarcofagi cristiani di R., rispetto alla coeva produzione occidentale, può difficilmente esser spiegata con una presenza di maestranze greco-costantinopolitane limitata al momento iniziale dello spostamento della capitale da Milano, a parte il fatto che i sarcofagi più antichi appaiono anteriori, oltre naturalmente all'importazione di sculture già rifinite: in realtà nelle officine ravennati l'afflusso di maestranze greco-costantinopolitane dev'essere stato continuo. La stessa impossibilità, sostenuta dal Deichmann, di basare la ricostruzione di un quadro cronologico evolutivo sull'analisi formale comparativa, dal momento che all'assoluta mancanza di indizî delle personalità artistiche si accompagna quasi sempre l'assenza d'un sicuro punto di appoggio cronologico esterno, è destinata a essere rivista. Vi sono intanto alcuni sarcofagi di II-III sec. cristianizzati tra la fine del V e il VI sec., la cui lavorazione a R. è dunque certa: p.es. quello Traversari nel quadrarco di Braccioforte, del 190 c.a, cristianizzato nel 470-480 c.a; quello a tre e quattro nicchie in S. Apollinare in Classe, cristianizzato alla fine del V-inizio del VI sec.; quello dell'arcivescovo Grazioso in S. Apollinare in Classe, in cui l'attuale retro e l'attuale fianco sinistro ricevettero una prima lavorazione cristiana intorno alla metà del VI sec., a opera di maestranze greco-costantinopolitane; quello che oggi funge da altare in cima alla navata destra di S. Agata, del III sec., cristianizzato nella seconda metà del VI secolo. Rimangono poi parti di tre sarcofagi che si possono datare al 545-547, per i vescovi Ecclesio (m. 532), Ursicino (m. 536), Vittore (m. 545), ma eseguiti tutti dopo la morte di quest'ultimo, per S. Vitale, da parte di maestranze greco-costantino- politane. Un'altra opera che si può senz'altro datare alla fine del V-inizî del VI sec., per il preciso confronto con due lastre di S. Apollinare Nuovo, l'una ancora in chiesa, l'altra nel Museo di Faenza, è il sarcofago degli agnelli in S. Apollinare in Classe. Anteriore al sarcofago di Ecclesio e opera di maestranze ravennati si rivela invece la fronte del sarcofago con gli agnelli e corona in S. Apollinare in Classe. Così al V-VI sec. si collocano di conseguenza quello a sei nicchie nella basilica classense, quello a nicchie nel Museo Arcivescovile, quello della famiglia Bebi in S. Antonio a Padova, mentre non oltre la metà del VI sec. va posto quello del Palazzo Vescovile di Imola, e al V sec. risale il frammento di coperchio di quello riutilizzato per l'arcivescovo Sergio. Su tali basi si potrà in futuro lavorare per precisare le cronologie e le pertinenze artistiche dell'intera serie. E con un'avvertenza, che è già emersa nello studio globale delle sculture architettoniche e liturgiche: la necessità di tener conto dell'interazione uomo-ambiente, vale a dire della permeabilità delle maestranze greco-costantinopolitane, della loro reattività agli stimoli del contesto in cui si trovano a operare, con tutte le tradizioni di carattere culturale e storico che questo presenta.
Avori. - Per Volbach esistevano a R. officine di manifattura dell'avorio, tesi negata dal Deichmann, il quale ritiene che tali prodotti giungessero dagli ateliers di Roma: una situazione che però forse muta all'epoca teodericiana. La celeberrima cattedra di Massimiano per Volbach sarebbe stata eseguita a R. da artista costantinopolitano, mentre secondo Deichmann, che riprende alcune idee già sostenute da Kitzinger, è assai più probabile che sia stata ordinata a Costantinopoli, dal momento che vi hanno lavorato più artefici, e di differenti livelli artistici, in una stessa bottega.
Architettura. - Nel campo dell'architettura vengono considerati dal Deichmann tutti gli elementi che indicano gli stretti legami con Costantinopoli e il mondo orientale, e del pari quelli che accostano l'architettura di R. all'Occidente, specialmente a Treviri e a Milano. Sono altresì sottolineati tutti i punti, sia tecnici sia formali, che dividono R. dai predetti centri. Mentre sono certi gli impulsi venuti dall'Oriente, soprattutto da Costantinopoli, ma pure dalla Grecia, dalla zona egea e dall'Asia Minore meridionale, non vi sono elementi per provare che Milano abbia recato un contributo importante alla nascita dell'architettura ravennate, così che tale questione rimane aperta. Il Deichmann giunge alla conclusione che a R. influenze di diversa natura si siano fuse con la tradizione architettonica locale norditalica e che sia derivata da tale incontro un'architettura paleocristiana con un suo peculiare carattere, senza uno sviluppo conseguente nel V e VI secolo. Neppure dopo la conquista del 540 è ammessa dallo studioso la presenza di maestranze e di architetti greco-costantinopolitani, ma solo l'intervento di unità del genio di stanza a Ravenna. L'esame della tecnica muraria porta invece a concludere a favore di una presenza massiccia di artefici stranieri a R. a partire dal 540, anzi l'interazione uomo-ambiente e ancora più l'interazione uomo-uomo - cioè gli effetti e le conseguenze della collaborazione di maestranze di origine, formazione culturale e tecnica, capacità diverse che si verificano non soltanto quando queste s'incontrano e cooperano alla realizzazione di un medesimo monumento, ma anche quando maestranze locali non restano insensibili ad alcune delle novità apportate dalla componente straniera in occasione di costruzioni precedenti - sono le uniche in grado di spiegare l'esecuzione della cupola in tubi fittili a S. Vitale o l'intervento dei Ravennati nelle murature tra le finestre della navata centrale di S. Apollinare in Classe.
E mentre a parere di Deichmann per la stessa chiesa di S. Vitale le proporzioni e i mutamenti di pianta e alzato rispetto ai progetti costantinopolitani portano a concludere che orientale è il modello, ma occidentali sono architetto, struttura ed essenza di tutta l'opera, la soluzione è invece data dalla considerazione che un architetto costantinopolitano recepisce metodi di costruzione diversi e sperimenta soluzioni spaziali nuove. Il complesso sacro è dovuto a un grande architetto costantinopolitano: basterebbe la straordinaria invenzione del nartece che insiste su uno degli spigoli e non su uno dei lati dell'ottagono, così che chi entra volge naturalmente il capo verso destra, e grazie ai principi della percezione vengono migliorati la visione e la lettura dello spazio interno, allungando l'invaso spaziale con l'inserimento del fattore tempo.
Il mondo greco-costantinopolitano ha svolto dunque un ruolo fondamentale nelle vicende artistiche di R. a partire all'incirca dalla fine del IV sec. sino a tutta l'epoca giustinianea e anche oltre.
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