Abstract
Definita la nozione di ravvicinamento delle legislazioni, si esaminano le principali disposizioni del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) che disciplinano tale fenomeno, evidenziando le finalità che persegue e il suo rapporto con il reciproco riconoscimento delle legislazioni degli Stati membri, anche alla luce del principio di sussidiarietà.
Il ravvicinamento delle legislazioni nazionali, inteso come «coordinamento tra gli ordinamenti interni degli Stati» volto a eliminarne, o comunque ridurne, le diversità più marcate o ad accentuarne le affinità dal punto di vista del contenuto sostanziale, è fenomeno che si riscontra già nel diritto internazionale (Malintoppi, A., Il ravvicinamento delle legislazioni come problema di diritto internazionale, in Riv. dir. intern., 1959, 239 ss., spec. 245), ma la portata quantitativa e qualitativa dell'opera di ravvicinamento realizzata dall'Unione Europea (UE) non ha eguali in alcun'altra esperienza sovranazionale (Mastroianni, R., Ravvicinamento delle legislazioni nel diritto comunitario, in Dig. pubbl., XII, Torino, 1997, 457 ss., spec. 459). La specificità del diritto dell'UE si riflette sulla peculiarità dell'azione di ravvicinamento, quale meccanismo normativo finalizzato all'integrazione del sistema ‘comunitario’, secondo quanto delineato nella stessa previsione originaria (art. 3, lett. h, abrogata) del Trattato CEE che lo configurava, infatti, come strumentale al funzionamento del «mercato comune» (oggi mercato interno), cui ricorrere «nella misura necessaria» alla realizzazione dell'obiettivo indicato.
La nozione di ravvicinamento è di per sé idonea a comprendere diversi fenomeni, differente potendo essere il grado di incidenza con cui si interviene sulle legislazioni nazionali, modificandole. Da un'influenza più tenue, consistente nel coordinamento, ovvero nella «mera adozione di disposizioni comuni intese non ad incidere sul contenuto delle norme interne, ma semplicemente a creare dei meccanismi per evitare che la loro applicazione divergente possa dar luogo a contrasti» (Pocar, F., Il ravvicinamento delle legislazioni nazionali nella Comunità europea, in Mistri, M.-Papisca, A., a cura di, La sfida europea, Padova, 1984, 93 ss., spec. 96), si può passare ad un'incidenza più intensa, che si manifesta con l'armonizzazione delle legislazioni, volta a modellarle su di una normativa comune (Monaco, R., Le rapprochement des législations nationales dans le cadre du marché commun, in AFDI, 1957, 558 ss., spec. 568), per giungere ad una vera e propria uniformazione delle legislazioni, con sostituzione diretta e contestuale delle diverse normative nazionali mediante una disciplina univoca. Se, di regola, l'armonizzazione delle legislazioni si persegue con l'impiego della direttiva e la loro unificazione con il regolamento (v. art. 288 TFUE), non è escluso che tale ultimo risultato possa essere realizzato anche per il tramite di direttive dettagliate e che il regolamento sia talora impiegato per soddisfare esigenze di mero coordinamento:del resto, se, come detto, il ravvicinamento è funzionale al buon funzionamento del mercato interno (o, come si vedrà, infra, §§ 2 e 5) al rafforzamento dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia(SLSG), esso deve realizzarsi con lo strumento più appropriato per il raggiungimento dell'obiettivo perseguito (v. infra, § 4).
Un'analisi sistematica del Trattato CE non consentiva di rilevare alcuna univocità terminologica, per cui atti adottati su basi giuridiche facenti riferimento a diverse tra le menzionate pratiche di ravvicinamento erano sostanzialmente assimilabili sotto il profilo del dettaglio e dell'analiticità, all'identità di atto impiegato corrispondendo un'identità di tecnica redazionale. Una siffatta univocità è carente anche nel TFUE, benché oggi paia più corretto impiegare il concetto di ravvicinamento come comprensivo solo di armonizzazione e, al più, di uniformazione (con la precisazione che ai nostri fini ravvicinamento e armonizzazione saranno utilizzati come sinonimi): infatti, con le modifiche apportate dal Trattato di Lisbona, assume rilevanza autonoma – accanto alle già note competenze esclusive e concorrenti – una terza categoria di competenze dell'UE, quella di coordinamento, completamento e sostegno, rispetto alla quale il Trattato espressamente esclude la possibilità per le istituzioni di intervenire attraverso un'azione di armonizzazione delle legislazioni nazionali (v. art. 2, § 5, TFUE e infra, § 2); la definizione del fenomeno ravvicinamento e dei suoi precisi contorni appare quindi oggi di maggior interesse sostanziale rispetto al passato, non potendo andare disgiunta dall'indagine sul tipo di competenza esercitabile dall'UE.
Nel Trattato non è (né era) dato riscontrare indicazioni sul grado di intensità con cui il ravvicinamento deve realizzarsi, solo specificandosi, come visto, che esso va perseguito nella misura necessaria al soddisfacimento di determinati obiettivi. L'esame della prassi e, quindi, delle scelte operate dal legislatore dell'UE, consente di distinguere cinque tipi di armonizzazione (a seconda, di fatto, della materia regolamentata): totale (ha per oggetto tutta la materia considerata e tende ad uniformare le legislazioni nazionali), parziale o selettiva (concerne solo i requisiti essenziali della materia rilevante), opzionale (la normativa comunitaria convive con quella nazionale, potendo applicarsi in alternativa ad essa), minimale (l'UE detta solo norme minime, gli Stati membri potendo mantenere o introdurre regole più avanzate a tutela dell'interesse oggetto di ravvicinamento, senza comunque mai violare le disposizioni armonizzate) e per rinvio (l'armonizzazione, di regola totale, è rimessa ad enti di regolamentazione tecnica) (su tali tecniche di armonizzazione cfr., per tutti, Adam, R., Il diritto del mercato interno: l'art. 100 A e l'armonizzazione delle legislazioni, in Riv. dir. eur., 1993, 681 ss., spec. 717 ss.; Blumann, C., sous la coordination, Commentaire Mégret - Marché intérieur, Bruxelles, 2006, 193 ss., spec. 267 ss.; Nicolin, S., Il mutuo riconoscimento tra mercato interno e sussidiarietà, Padova, 2005, 94 ss.).
Il ravvicinamento ivi esaminato è inteso in senso tecnico, non come obiettivo in sé perseguito dall'UE, ma come strumento funzionale al processo di integrazione, caratterizzato da dinamicità, il suo contenuto e la sua intensità dipendendo dal grado di integrazione, appunto, che in un determinato momento storico gli Stati membri vogliono, rectius riescono a raggiungere (Mastroianni, R., op. cit., 460). È, peraltro, evidente che ogni intervento dell'UE incide, in misura più o meno intensa, sulle legislazioni degli Stati membri, ponendo regole comuni e contribuendo a eliminare le diversità tra ordinamenti, sotto tale profilo certamente realizzando il loro ravvicinamento, da intendersi però, in questa seconda prospettiva, in senso atecnico.
Sebbene la norma programmatica del Trattato CE che sanciva il carattere strumentale del ravvicinamento rispetto al buon funzionamento del mercato interno sia stata, come detto, abrogata, resta chiara, specie nelle previsioni di carattere generale che disciplinano tale fenomeno (cfr. artt. 114-117 TFUE), la sua funzionalità rispetto al perseguimento dell'obiettivo in parola (e, quindi, in primis, alla libera circolazione dei fattori produttivi e alla realizzazione di condizioni di concorrenza non falsata), cui si affianca, in alcune disposizioni speciali (che disciplinano il ravvicinamento in settori specifici di competenza dell'UE), la sua strumentalità rispetto al rafforzamento dello SLSG (v. infra, § 5), che del mercato interno rappresenta il complemento logico e che oggi è addirittura indicato tra gli obiettivi dell'UE prima dell'instaurazione del mercato interno (cfr. art. 3, §§ 2 e 3, TUE).
La sistematica del TFUE relativa alle due basi giuridiche generali (artt. 114 e 115), in virtù delle quali può realizzarsi il ravvicinamento, rispecchia la prassi, formatasi negli anni, del ricorso più frequente alla prima che alla seconda, e perciò codificata con Lisbona. L'art. 114 TFUE riproduce, infatti, il previgente art. 95 CE (già art. 100 A CEE), introdotto dall'Atto unico europeo (AUE – come frutto di compromesso politico, che prende le mosse dal Libro bianco del 1985 sulla realizzazione del mercato interno e dall'assiduo impiego del principio del mutuo riconoscimento dopo la sentenza Cassis de Dijon, su cui infra, § 4) per semplificare la procedura di adozione degli atti volti al ravvicinamento, senza più contenere la previsione di apertura secondo cui ad esso poteva ricorrersi «in deroga all'art. 94» e conservando, invece, il riferimento al fatto che esso si applica «se il trattato non dispone diversamente», a conferma del suo carattere generale e non più speciale e sussidiario (su cui, per tutti, cfr. Villani, U., Ravvicinamento delle legislazioni e mutuo riconoscimento nell'Atto unico europeo, in Jus, 1992, 179 ss., spec. 180). L'art. 115 TFUE ricalca il previgente art. 94 CE (già art. 100 CEE), originariamente la sola disposizione di carattere generale idonea al ravvicinamento delle legislazioni nazionali, differenziandosene però nell'incipit, che lo rende applicabile «fatto salvo l'art. 114», così attestandone il carattere ormai suppletivo e non più alternativo rispetto a tale previsione (Gattinara, G., Artt. 114-115 TFUE, in Curti Gialdino, C., a cura di, Codice dell'Unione europea operativo, Napoli, 2012, 1144 ss., spec. 1160).
L'intervento dell'UE sulla base di entrambe le disposizioni è residuale rispetto ai casi in cui è ammissibile in virtù di norme del TFUE che costituiscono base giuridica speciale per il ravvicinamento, laddove la valutazione della necessità di legiferare per eliminare o ridurre le differenze tra le normative nazionali al fine di garantire il miglior funzionamento del mercato interno o dello SLSG è già stata effettuata dal costituente (numerose sono le politiche dell'UE rispetto a cui si prevede il ravvicinamento – cfr., ad es., gli artt. 67, 81, 82 e 83 in ambito di cooperazione giudiziaria civile e penale, e 151 in tema di politica sociale – o l'armonizzazione – cfr., ad es., gli artt. 113, 128, 171, 191, rispettivamente in tema di imposte indirette, politica monetaria, reti transeuropee, ambiente; pur in assenza di indicazioni espresse, il ravvicinamento si realizza, comunque, anche, ad es., in materia di agricoltura, politica commerciale, trasporti).
L'armonizzazione delle legislazioni nazionali, ad eccezione dei casi in cui i trattati la escludono, può quindi avvenire anche in virtù della clausola di flessibilità di cui all'art. 352 TFUE (già art. 308 CE), laddove occorra realizzare uno degli obiettivi fissati dai trattati senza che essi abbiano previsto poteri specifici a tale scopo. Così, essa può perseguirsi indirettamente mediante le norme c.. di accompagnamento (artt. 116-117, cui il Trattato di Lisbona ha affiancato l'art. 118 in tema di titoli di proprietà intellettuale), inserite anch'esse nel capo 3 del titolo VII della parte III del TFUE dedicato al ravvicinamento, la cui operatività – volta ad eliminare le distorsioni alla concorrenza – implica anche, come risultato, l'eliminazione delle divergenze tra ordinamenti nazionali.
Come accennato, esistono anche casi in cui il TFUE espressamente vieta la possibilità di procedere all'armonizzazione delle legislazioni: oltre che nella previsione generale che fissa le competenze di coordinamento, completamento e sostegno (art. 2, § 5), indicazioni puntuali si trovano rispetto a singoli settori di intervento (cfr., ad es., gli artt. 84, 153, 166, 167, 173, 195, 196, 197, rispettivamente in tema di prevenzione della criminalità, specifici interventi di politica sociale, formazione professionale e cultura, industria, turismo, protezione civile, cooperazione amministrativa).
Perché si possa procedere al ravvicinamento non è necessario che tutti gli Stati membri abbiano già un'esplicita disciplina sulla materia oggetto di intervento dell'UE (per la legittimità del ricorso all'art. 95 CE laddove solo due Stati, sugli allora dodici, avevano una normativa siffatta cfr. C. giust., 13.7.1995, C-350/92, Spagna c. Consiglio); secondo alcuni (Caruso, F., Artt. 94-95 CE, in Tizzano, A. a cura di, Trattati dell'Unione europea e della Comunità europea,Milano, 2004, 651 ss., spec. 652) è addirittura possibile che nessuno Stato membro abbia una legislazione che sarà riguardata dall'armonizzazione.
Le due disposizioni in esame soddisfano la stessa ratio, mirando le misure di ravvicinamento – come visto – all'instaurazione e al funzionamento del mercato interno. Il rapporto tra le norme (utilizzate soprattutto per realizzare la libera circolazione delle merci, eliminando gli ostacoli tecnici) è qualificato come «virtuale» (Nicolin, S., op. cit., 90), tendendo a coincidere, ratione materiae, i loro ambiti di applicazione (che sono ‘trasversali’, perché definiti in funzione della finalità), anche se la sfera di operatività dell'art. 114 pare, in linea di massima (fatte salve le eccezioni di cui al suo § 2, su cui infra, § 3.2), più ampia, perché il ravvicinamento che essa persegue concerne le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative (solo quelle di carattere generale, con esclusione degli atti amministrativi individuali: cfr. Monaco, R., op. cit., 560) degli Stati membri «che hanno per oggetto» i suddetti instaurazione e funzionamento e non solo «un'incidenza diretta» su di essi, come disposto dall'art. 115, con attenuazione del vincolo strumentale tra le misure nazionali da armonizzare e la realizzazione del mercato interno (cfr. Condinanzi, M., Artt. 94-95 CE, in Pocar, F., a cura di, Commentario breve ai Trattati della Comunità e dell'Unione europea, Padova, 2001, 496 ss., spec. 498). Nella giurisprudenza è peraltro abbastanza evanescente l'indicata distinzione, l'intervento ex art. 114 o art. 115 in sostanza dipendendo dalle maggioranze di voto disponibili (cfr. Gattinara, G., op. cit., 1160).
Proprio in questa prospettiva, il ricorso più frequente all'art. 114 si spiega con il fatto che esso richiede la procedura legislativa ordinaria (con possibilità di delegare l'adozione dell'atto alla Commissione ex art. 290 TFUE: v. §§ 4 e 5 della norma in esame; nonché ad un ente di regolamentazione tecnica, come un’agenzia: cfr., da ultimo, C. giust., 22.1.2014, C-270/12, Regno Unito c. Parlamento e Consiglio), riconoscendo un ruolo paritetico al Consiglio – che delibera a maggioranza qualificata – e al Parlamento europeo (PE), con consultazione del Comitato economico e sociale (CES), anziché quella speciale, con deliberazione unanime del Consiglio e mera consultazione del PE e del CES: tale prassi è in linea con la giustificazione che spinse all'introduzione della norma in parola nel trattato CEE, ovvero quella di snellire, accelerare, «democratizzare» (in quest'ultimo senso cfr. Cafari Panico, R., Il principio di sussidiarietà e il ravvicinamento delle legislazioni nazionali, in Riv. dir. eur., 1994, 53 ss., spec. 57) l'adozione delle misure di ravvicinamento, anche a fronte dell'ingresso di nuovi Stati nell'UE, che avrebbe reso più difficile conseguire l'unanimità dei consensi. Ad ogni modo, le istituzioni godono di un ampio margine di discrezionalità nell'individuazione della base giuridica più appropriata (ne è escluso l'impiego congiunto data la diversa procedura di adozione prescritta: cfr. C. giust., 29.4.2004, C-338/01, Commissione c. Consiglio, punto 58), implicando essa «scelte di natura politica, economica e sociale» rispetto alle quali sono richieste valutazioni complesse per cui solo «la manifesta inidoneità di una misura ... in relazione allo scopo ... persegui[to], può inficiar[n]e la legittimità» (cfr. C. giust., 10.12.2002, C-491/01, BAT, punto 123). Certo non si può ricorrere all'art. 115 laddove si rientra nella sfera applicativa dell'art. 114 per escludere il ruolo più incisivo che il PE ha in base a tale disposizione. È possibile, invece, il ricorso all'art. 114 in combinato con basi giuridiche speciali, che prevedano la stessa procedura legislativa di adozione degli atti (amplius, cfr. Gattinara, G., op. cit., 1148 s.).
Quest'ultima disposizione ammette l'adozione di «misure» e, quindi, tanto di direttive quanto di regolamenti (oltre che di decisioni), specie laddove vi sia l'esigenza di introdurre normative uniformi o si voglia ovviare ai ritardi e ai difetti di trasposizione propri delle direttive (cfr. Adam, R., op. cit., 694), che sono invece il solo atto emanabile ex art. 115. In una dichiarazione allegata all'AUE, la CIG chiedeva comunque alla Commissione di privilegiare, anche nella nuova procedura ex art. 100 A (oggi art. 114), il ricorso alle direttive, più rispettoso dei principi di sussidiarietà e proporzionalità (v. infra, § 4).
Come accennato (supra, § 3.1), l'art. 114 – secondo quanto specificato nel suo § 2 – non può essere impiegato come base giuridica per il ravvicinamento inerente «alle disposizioni fiscali, a quelle relative alla libera circolazione delle persone e ... ai diritti ed interessi dei lavoratori dipendenti», con riguardo alle quali può procedersi, tuttavia, ai sensi dell'art. 115 (nonché ex art. 352) o, comunque, se esistenti, sulla base di norme ad hoc nei settori in parola (cfr., ad es., l'art. 113 in tema di fiscalità indiretta o l'art. 153, § 2, co. 1 e 2, rispetto ai lavoratori subordinati). Se si procede ex art. 114 (ma anche ex art. 115) esiste, poi, un limite implicito all'azione di ravvicinamento, che può essere intrapresa anche per prevenire futuri ostacoli al funzionamento del mercato interno, a patto che la loro insorgenza sia probabile (cfr. C. giust., 12.7.2005, C-154/04 e C-155/05, Alliance for Natural Health, punto 32; C. giust., 22.1.2014, C-270/12, punti 100-106).
Il § 3 dell'art. 114 inserisce, invece, una clausola di qualità, stabilendo che in materia di sanità, sicurezza, protezione dell'ambiente e protezione dei consumatori, il ravvicinamento deve basarsi su un livello di protezione elevato, tenuto conto di sviluppi fondati su riscontri scientifici. Si tratta di un'efficace arme de négotiation di cui dispone la Commissione nell'esercizio del suo potere di iniziativa, che dovrebbe limitare il ricorso da parte degli Stati membri alle deroghe di cui ai seguenti §§ 4 e 5, assicurando l'effetto utile del ravvicinamento, specie evitando che – a fronte di delibere a maggioranza qualificata – sia perseguito al ribasso (cfr. Mattera, A., L'harmonisation des législations nationales: un instrument d'intégration et de reconnaissance mutuelle, in Rev. dr. UE, 2010, 679 ss., spec. 693 s.).
I §§ da ultimo menzionati (da interpretare – come sempre accade nel caso di previsioni derogatorie – restrittivamente e, comunque, poco utilizzati nella prassi) subordinano al soddisfacimento di condizioni rigorose la possibilità per gli Stati membri di invocare deroghe alle norme armonizzate, bilanciando l'esigenza di ravvicinamento con quella di tutela (più elevata) di interessi nazionali in settori sensibili. Rappresentano anch'essi un contrappeso alla regola dell'adozione degli atti ex art. 114 a maggioranza qualificata (cfr. conclusioni AG Tesauro, 26.1.1994, C-41/93, Francia c. Commissione, punto 4), consentendo agli Stati contrari o astenuti (e solo ad essi, secondo la dottrina prevalente, anche se tale impostazione confligge con quella dell'impugnabilità degli atti anche da parte degli Stati che hanno votato a favore e rischia, con riguardo alla deroga di cui al § 5, che lo Stato voti contro la delibera o si astenga solo per poter invocare la deroga; sulle varie posizioni dottrinali cfr., per tutti, Adam, R., op. cit., 703 ss.) di i) mantenere «disposizioni nazionali giustificate da esigenze importanti di cui all'articolo 36 [TFUE, che sono più stringenti delle esigenze imperative di cui alla giurisprudenza Cassis de Dijon, essendovi già una normativa armonizzata: cfr. conclusioni AG Tesauro, 26.1.1994, C-41/93, cit., punto 5] o relative alla protezione dell'ambiente o dell'ambiente di lavoro» (§ 4) o ii) di introdurre «disposizioni nazionali fondate su nuove prove scientifiche inerenti alla protezione dell'ambiente o dell'ambiente di lavoro, [e] giustificate da un problema specifico» sorto dopo l'adozione delle misure di armonizzazione (§ 5; sulla necessaria sussistenza di entrambe le condizioni in parola, più stringenti di quelle di cui al § 4, essendo già vigente una normativa armonizzata: cfr. C. giust., 13.9.2007, C-439/05 P e C-454/05 P, Land Oberösterreich, punto 58; per la possibilità di richiedere non solo il mantenimento, ma anche l'introduzione di misure derogatorie già prima del Trattato di Amsterdam, che codifica tale evenienza: cfr. C. giust., 1.6.1999, C-319/97, Kortas).
In siffatte circostanze, lo Stato interessato deve notificare alla Commissione le misure rilevanti (a fronte di diverse soluzioni derogatorie, occorre scegliere la meno pregiudizievole per il mercato interno), precisando i motivi che lo hanno indotto alla richiesta, e l'istituzione, entro sei mesi (prorogabili per un massimo di altri sei se la questione è complessa e purché non vi sia pericolo per la salute umana; nel senso che la rapidità dei tempi decisionali, in una procedura che – lo si ricordi – è senza contraddittorio, soddisfa l'interesse sia dello Stato richiedente, sia del buon funzionamento del mercato interno cfr. C. giust., 20.3.2003, C-3/00, Danimarca c. Commissione, punti 49-50), deve adottare una decisione motivata (impugnabile ex art. 263 TFUE) di approvazione o diniego della deroga (§ 6). Tale decisione ha valore costitutivo, pertanto, sinché non è concessa la deroga, lo Stato è tenuto ad applicare – se in vigore – la normativa armonizzata, altrimenti viola il diritto UE (cfr. C. giust., 17.5.1994, C-41/93, cit., punti 29-30; 1.6.1999, C-319/97, cit., punti 27-28). In caso di autorizzazione della deroga, la Commissione esamina immediatamente l'opportunità di adeguamento della normativa «derogata» (§ 7). Analogamente, essa valuta l'opportunità di proporre misure appropriate al Consiglio quando uno Stato solleva un problema specifico di pubblica sanità in un settore oggetto di armonizzazione (§ 8).
Ancora, il § 10 della norma in esame consente l'inserimento, nelle misure di armonizzazione, di una clausola di salvaguardia che autorizza gli Stati membri ad adottare, per uno o più dei motivi di carattere non economico di cui all'art. 36 TFUE (specie per ragioni di salute e di sanità pubblica: cfr. Mattera, A., cit., 698), misure provvisorie soggette a procedura di controllo dell'UE (sulla possibile applicazione combinata di tale clausola e delle deroghe ex §§ 4 e 5, cfr. Nicolin, S., op. cit., 118 s.).
Infine, il § 9, in deroga alla procedura di infrazione ex artt. 258-259 TFUE, ovvero senza la fase precontenziosa che la caratterizza (di fatto sostituita dalle procedure di controllo di cui ai citati §§ 4-6 e 10), legittima Commissione e Stati membri ad adire direttamente la Corte di giustizia se ritengono che uno Stato membro faccia un uso abusivo dei poteri concessi dall'art. 114 (ad es., introducendo o mantenendo misure derogatorie senza notificarle alla Commissione).
Benché abrogato l'art. 3 CE, resta invariata – come visto – la funzionalità del ravvicinamento al buon funzionamento del mercato interno, così come il ricorso ad esso nella misura necessaria al soddisfacimento dell'obiettivo perseguito. L'opera di armonizzazione deve essere, dunque, rispettosa dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità (ex art. 5 TUE e art. 296 TFUE), intrapresa solo se necessaria e con lo strumento meno invasivo delle prerogative nazionali, che comunque assicuri l'efficacia della misura (cfr. C. giust., 10.12.2002, C-491/01, cit., punti 179-185); in linea di principio, la direttiva dovrebbe essere preferita al regolamento e la direttiva quadro a quella dettagliata.
Finalizzato allo stesso risultato (realizzare il mercato interno, eliminando gli ostacoli alle libertà di circolazione: cfr. Rossi, L. S., Il “buon funzionamento del mercato comune”. Delimitazione dei poteri fra la CEE e gli Stati membri, Milano, 1990, 55 ss.; Villani, U., op. cit., 732 e 748), ma più rispettoso delle tradizioni giuridiche degli Stati membri, e quindi dei principi menzionati, è il principio del reciproco riconoscimento delle legislazioni nazionali, elaborato dalla Corte di giustizia (cfr. sentenza 20.2.1979, C-120/78, Cassis de Dijon) e di cui poi l'AUE ha codificato l'applicazione normativa – come strumento complementare al ravvicinamento – nell'art. 100 B, secondo cui il Consiglio, deliberando ai sensi dell'art. 100 A, può decidere che talune disposizioni in vigore in uno Stato membro devono essere riconosciute come equivalenti a quelle applicate da un altro Stato membro (su tale norma, oggi abrogata, cfr., per tutti, Baratta, R., L'equivalenza delle normative nazionali ai sensi dell'art. 100 B del trattato CE, in Riv. dir. eur., 1993, 727 ss.).
Il ravvicinamento evita il rischio della concorrenza al ribasso discendente dal mutuo riconoscimento (pur a fronte del limite delle esigenze imperative di cui alla giurisprudenza da ultimo citata: cfr. Condinanzi, M., op. cit., 496) e con esso si può incidere anche sull'eliminazione delle misure indistintamente applicabili che, seppur non discriminatorie, per tutelare le esigenze imperative, sono comunque limitative delle libertà di circolazione (cfr. Gattinara, G., op. cit., 1146). L'armonizzazione totale non lascia spazio al reciproco riconoscimento, ammissibile invece ancora, sempre con il limite delle menzionate esigenze, in caso di armonizzazione parziale, minimale e opzionale (v. supra, § 1). Nell'ottica di assicurare al meglio il rispetto del principio di sussidiarietà, e come la prassi stessa conferma, un'iniziale «combinata» operatività del ravvicinamento e del mutuo riconoscimento può essere sostituita – raggiunto un certo livello di armonizzazione – dall'operatività sola di quest'ultimo (cfr. Mastroianni, R., op. cit., 469).
Composto di diversi volets, lo SLSG contempla espressamente un'azione di armonizzazione solo agli artt. 81-83 TFUE. L'art. 81, inerente alla cooperazione giudiziaria in materia civile, legittima il ricorso al ravvicinamento delle legislazioni nazionali per rafforzare tale cooperazione, in uno con l'operatività del reciproco riconoscimento delle decisioni adottate negli Stati membri, già oggetto dell'originario art. 220 CEE, e oggi fondamento di siffatta cooperazione, così come di quella intrapresa in ambito penale (cfr. già conclusioni del Consiglio europeo di Tampere, 15-16.10.1999, punto 33). Tale azione può essere intrapresa (con procedura legislativa ordinaria), «in particolare se necessario al buon funzionamento del mercato interno», per garantire «la compatibilità delle regole applicabili negli Stati membri ai conflitti di legge e di giurisdizione» (art. 81, § 2, lett. c, TFUE).
Con riguardo alla cooperazione giudiziaria penale, la funzionalità del ravvicinamento delle legislazioni rispetto al rafforzamento dello SLSG è sancita già dall'art. 67, § 3, TFUE e specificata negli artt. 82, § 2, e 83. La prima norma regolamenta l'armonizzazione delle legislazioni penali nazionali sotto il profilo processuale, in ipotesi tassativamente indicate, suscettibili di ampliamento con deliberazione unanime del Consiglio previa approvazione del PE. Le direttive che, mediante procedura legislativa ordinaria, possono essere adottate, contengono (solo) norme minime, legittimando gli Stati a mantenere o introdurre (senza la necessità di procedure analoghe a quelle di cui all'art. 114) livelli più elevati di tutela delle persone (cfr. art. 82, § 2, ult. co.), che devono tuttavia essere rispettosi del primato e dell'effettività del diritto UE (secondo l'interpretazione che la Corte di giustizia ha recentemente dato all'art. 53 della Carta dei diritti fondamentali dell'UE, che ha una formulazione equivalente a quella in esame: cfr. sentenza 26.2.2013, C-399/11, Melloni).
L'art. 83, § 1, in tema di ravvicinamento delle legislazioni penali sul piano sostanziale, non esplicita, come invece l'art. 82, § 2, la sua strumentalità rispetto al reciproco riconoscimento delle decisioni penali, ma è comunque evidente che anche le norme minime sulla definizione di reati e sanzioni in sfere di criminalità particolarmente grave a dimensione transnazionale, pur dotate anche di finalità proprie (in primis, evitare il forum shopping e la disparità di trattamento tra i criminali, a seconda dello Stato del foro), contribuiscono anche a semplificare l'applicazione del menzionato principio e a rafforzare, quindi, lo SLSG. Anche nella materia in esame vale, quindi, il ragionamento di cui sopra (§ 4) quanto all'operatività combinata di ravvicinamento e reciproco riconoscimento, in ossequio al principio di sussidiarietà.
Quest'ultimo deve essere rispettato anche qualora il ravvicinamento sostanziale sia indispensabile, ex art. 83, § 2, per assicurare l'attuazione efficace di politiche dell'UE già oggetto di armonizzazione, il ricorso alla sanzione penale dovendo operare come ultima ratio (cfr. COM (2011) 573 def.).
In tutti i casi di ravvicinamento menzionati, come contropartita dell'adozione degli atti a maggioranza qualificata, lo Stato membro che ritenga che un progetto di direttiva «incida su aspetti fondamentali del proprio ordinamento giuridico penale» può investire della questione il Consiglio europeo e, se essa non è risolta entro quattro mesi, l'iter normativo si blocca, salvo che almeno nove Stati membri non decidano di instaurare una cooperazione rafforzata (artt. 82, § 3, e 83, § 3).
Artt. 114-115, 352 TFUE, nonché, inter alia, artt. 81, 82, 83 TFUE.
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