POINCARE, Raymond
Uomo di stato francese, cugino del precedente, nato a Bar-le-Duc il 20 agosto 1860, morto a Parigi il 15 ottobre 1934. Addottoratosi alla facoltà di diritto di Parigi, si avviò alla professione di avvocato, ma assai per tempo entrò nella vita politica, poiché a ventisei anni era già capo di gabinetto del ministro dell'Agricoltura Deville (7 gennaio-31 dicembre 1886), contemporaneamente consigliere generale del cantone di Pierrefitte; quindi, nel 1887, dagli elettori di Commercy fu inviato alla Camera, in cui rimase anche nelle successive elezioni del 1889, 1893, 1898 e 1902. Schieratosi nel partito della destra repubblicana, ne fu in breve tempo uno dei rappresentanti più autorevoli. Il 4 aprile 1893 entrò come ministro dell'Istruzione pubblica, delle Belle Arti e dei Culti nel gabinetto Dupuy, il quale fu di corta durata, essendosi dimesso il 25 novembre; ma poco dopo tornò ministro, dapprima per le Finanze, nel secondo gabinetto Dupuy (30 maggio 1894-14 gennaio 1895), dipoi per l'Istruzione, le Belle Arti e i Culti nel terzo gabinetto Ribot (26 gennaio-1° novembre 1895). Rimase poi per undici anni fuori di qualunque combinazione ministeriale; fu invece eletto vice presidente della Camera per il triennio 1895-1898. Nelle elezioni del 1903 riuscì senatore della Mosa, e fu riconfermato in quelle del 1906, nel quale ultimo anno entrò nel gabinetto Sarrien in qualità di ministro delle Finanze, ma anche allora rimase in carica per pochi mesi, dal marzo all'ottobre. Avversario dei gabinetti Clemenceau e Caillaux, quando cadde quest'ultimo (10 gennaio 1912) il P. fu dal presidente della repubblica Fallières chiamato ad assumerne le veci (14 gennaio); e il P., tenendo per sé la presidenza e il Ministero degli affari esteri, formò un gabinetto che era l'emanazione del partito dell'unione repubblicana, poiché ebbe per collaboratori il Briand, il Millerand, il Delcassé e altri autorevoli parlamentari. Più che dalle questioni interne, il gabinetto P., fu assorbito da quelle estere. Erano allora vive le preoccupazioni riguardanti il trattato franco-tedesco che fu approvato il 5 febbraio 1912, e il protettorato francese sul Marocco: l'accordo, concluso a Fez il 30 marzo, fu approvato dalla Camera il 1° luglio.
Proprio all'inizio del nuovo ministero, vi furono anche gli attriti con l'Italia che era allora in guerra con la Turchia e aveva iniziato la conquista della Libia: attriti sorti per il sequestro delle due navi Carthage e Manouba (16 e 19 gennaio 1912), la prima perché trasportava un aviatore francese col suo apparecchio, certamente destinato alla Turchia, la seconda perché aveva a bordo sedici turchi i quali si recavano sul campo della guerra; ma sostanziati, in realtà, dalla malcelata diffidenza con cui da parte francese si vedeva la conquista italiana della Libia. In questo periodo le relazioni franco-italiane entrarono in una fase di oscuramento, mentre divenivano ancor più intime le relazioni della Francia con l'Inghilterra e con la Russia (accordi navali franco-russo e franco-inglese). In genere, l'attività del P. fu rivolta a rafforzare al massimo la Triplice Intesa, a potenziarne l'efficienza politica e militare: per questo finì con l'assumere un carattere aggressivo e con il contribuire alla formazione di quello stato di cose e di quello stato d'animo che, nel 1914, avrebbe reso inevitabile la conflagrazione europea. Intanto nel gennaio del 1913 si presentò candidato alla presidenza della Repubblica, ma la sua elezione fu molto contrastata dagli avversarî della sua politica; infatti, negli scrutinî preparatorî egli era rimasto soccombente di fronte al Pams, ma in quello finale ebbe il sopravvento sul suo competitore (17 gennaio). Fin dai primi mesi del suo settennato il P. si attenne scrupolosamente alle norme costituzionali, per quanto il suo temperamento lo spronasse a varcarle; ma era destino che quando egli assumeva il potere gravi nubi si addensassero e minacciassero la pace in Europa. L.'assassinio dell'arciduca Francesco Ferdinando avvenuto a Sarajevo il 28 giugno 1914 fu l'inizio del dramma; e fu allora che il P. decise il suo viaggio in Russia per intrattenersi con l'alleato della Francia. A Cronstadt, dove giunse il 20 luglio insieme col presidente del Consiglio Viviani, ebbe lunghi colloquî con lo zar Nicola II, proprio nei giorni in cui Guglielmo II, interrotta la sua crociera nel Mare del Nord, tornava a Berlino, e l'Austria richiamava il suo ministro da Belgrado. Furono giornate decisive: il P., con l'assicurare alla Russia l'appoggio francese in caso di conflitto, raffermò il governo russo nei suoi propositi intransigenti (v. guerra mondiale). Il 23 luglio il P. lasciava la Russia per visitare a Stoccolma re Gustavo V di Svezia, il quale lo assicurò che avrebbe fatto l'impossibile per salvaguardare la neutralità del suo paese (25 luglio); colà ebbe notizia dell'ultimatum dell'Austria alla Serbia, e due giorni dopo ricevette vive istanze dai ministri francesi perché affrettasse il suo ritorno in patria, dove giunse il 29 luglio. Quando il 2 agosto la Germania inviò la dichiarazione di guerra alla Francia, il P., in un messaggio alla nazione, dopo di avere stigmatizzato "l'aggressione brutale e premeditata della Germania", dichiarò che la Francia combatteva in nome del diritto, di cui nessuno poteva disconoscere l'immensa potenza morale; e sostenne dopo che respingeva da sé l'idea di una "vittoria indecisa, di una pace precaria". Di fronte all'invasione tedesca fu contrario al trasporto della sede del governo da Parigi a Bordeaux, ma, fedele al rispetto delle forme costituzionali, dovette cedere alle pressioni dei suoi ministri. Andò più volte al fronte per animare con la sua presenza e la sua calda parola i combattenti nelle trincee. Alle angosce per le alterne vicende della Francia, s'aggiungevano per il P. quelle per le condizioni interne del paese, caratterizzate dal continuo succedersi di cambiamenti ministeriali e di quelli dell'alto comando. Nonostante le precedenti rivalità, il 16 novembre 1917 accettò che il Clemenceau assumesse la presidenza del governo; con lui, cessata la guerra, intraprese nel dicembre del 1919 un viaggio per le provincie liberate. Il 19 febbraio 1919 presiedette a Parigi i lavori della conferenza per la pace, che fu firmata a Versailles il 28 giugno successivo, e in quell'occasione pronunciò un grande discorso, in cui insistette sulla necessità della solidarietà nella pace:, come nella guerra. Sceso il 18 febbraio 1920 dal seggio presidenziale, che fu occupato dal Deschanel, il P., che nel frattempo era stato rieletto al Senato, ebbe la nomina a delegato della Francia nella commissione per le riparazioni, quindi quella di presidente della commissione senatoriale degli affari esteri. Il 15 gennaio 1921, dimessosi il Briand, assunse la formazione d'un nuovo ministero che ebbe lo speciale compito di definire la questione monetaria, quella riguardante l'osservanza, da parte della Germania, dei trattati che le erano stati imposti, di fronteggiare nei riguardi della Francia le molteplici competizioni, specialmente in Oriente e nei nuovi stati della Russia, infine di contribuire alla ricostruzione economica d'Europa. Per la seconda di tali questioni il P. fu di grande inflessibilità, riuscendo, d'accordo col Belgio, a occupare i terreni carboniferi della Ruhr (21 gennaio 1923). Si dimise il 26 marzo 1924, in seguito a una discussione parlamentare, nella quale era rimasto soccombente il de Lasteyrie, ministro delle Finanze, ma subito dopo ebbe incarico di formare un nuovo ministero, che durò ben poco (28 marzo-1° giugno 1924). Si tenne allora per due anni in disparte dalle lotte politiche, osservando in silenzio le convulsioni dei partiti, caratterizzate da un continuo succedersi di effimeri ministeri, che si dibattevano tra difficoltà finanziarie, risultate dall'inflazione monetaria.
Il 23 luglio 1926, data la sua grande autorità, fu chiamato a un quarto suo ministero che fu detto dell'unione nazionale, e che durò in carica fino al 27 luglio 1929. Procedendo per gradi al risanamento finanziario, il P., creò nuove risorse fiscali, impose sagge e rigorose economie nei varî bilanci e condusse a termine altre operazioni finanziarie. Il 6 novembre 1928 era stato costretto a dimettersi di fronte alle lotte politiche sostenute contro il partito radicale socialista, ma cinque giorni dopo era riuscito a formare un nuovo gabinetto. Sennonché, la sua salute era già scossa, e dovette ritrarsi dalla politica attiva.
Negli ultimi anni attese a scrivere articoli per la Nación di Buenos Aires; ma già prima aveva attivamente collaborato alla Revue des Deux Mondes e ad altre riviste, anche straniere. Possono considerarsi come le sue memorie i dieci volumi da luí pubblicati col titolo: Au service de la France, neuf années de souvenirs (Parigi 1926-1933), in cui si rivela storico efficace, ma talvolta partigiano. Dal 9 dicembre 1909 era stato ammesso all'Accademia, succedendo al Gebhart.
Coltissimo, informatissimo delle questioni a cui poneva mano, intelligenza lucida e precisa, il P. ebbe a caratteristica, come uomo di governo, la logicità stringente del ragionamento e la solidità tecnica dell'argomentazione: ma la sua logica fu, spesso, più quella, rigida, del giurista che non quella, più duttile, del politico; e della mentalità giuridica rimase impregnata l'opera del P., portato a vedere le questioni dal punto di vista del diritto astratto più che a piegarle alle esigenze della realtà di fatto. Con tutto ciò, per le doti d'ingegno e, non meno, per la dirittura del carattere, il P. rese grandi servizî alla sua patria.
Bibl.: L. Madelin, Un Lorrain: R. P., in Revue Hebdomadaire, II (1913), pp. 247-60; H. Elmer Barnes, P., Iswolski e la guerra mondiale, in Nuova Rivista Stor., 1925, pp. 557-84; Veracissimus, Il quinto volume delle memorie di P., in Nuova Antologia, 263 (1929), pp. 69-78; H. Salomon, Quatre ans d'histoire vécue, par R. P., in Revue de Synthèse historique, II (1920), pp. 87-104; G. Suarez, Clemenceau et P., in Revue de Paris, I (1930), pp. 766-92; H. Girard, R. P., Parigi 1933. E cfr. guerra mondiale.