razionale
Definisce prima di tutto, in D., la parte più elevata dell'anima, perfettissima di tutte l'altre (Cv III Il 14), che riassume in sé e perfeziona l'anima vegetativa e sensitiva, da cui è, nell'ordine, preceduta, secondo l'insegnamento aristotelico del De Anima (II 3 ss., 412b ss.; si rinvia comunque a RAGIONE): è da sapere che questo seme divino [la nobiltà] ... ne la nostra anima incontanente germoglia, mettendo e diversificando per ciascuna potenza de l'anima, secondo la essigenza di quella. Germoglia dunque per la vegetativa, per la sensitiva e per la razionale... infino al punto che, con quella parte de la nostra anima che mai non muore, a l'altissimo e gloriosissimo seminadore al cielo ritorna (IV XXIII 3; cfr. IV XXIV 2); III VII 8 in quelle operazioni che sono proprie de l'anima razionale, dove la divina luce più espeditamente raggia. È da ricordare che D., ignorando la distinzione tomista fra natura r., propria dell'uomo, e natura intellettuale, propria dell'angelo, considera l'uomo simile all'angelo proprio per la sua razionalità, per la parte più elevata dell'anima, grazie alla quale si colloca al vertice della gerarchia degli esseri, animati e inanimati che compongono la creazione, riassumendone tutte le caratteristiche, secondo la dottrina antica dell'uomo microcosmo, ma straordinariamente nobilitate, in quanto risolte in una natura divina: cfr. III III 2 ss., ove D. dimostra come si possa attribuire all'uomo ogni specie diversa di amore naturale, che caratterizza ogni categoria di enti, dal corpo semplice al corpo composto, alla pianta, all'animale, per concludere infine (§ 11): E per la quinta e ultima natura, cioè vera umana o, meglio dicendo, angelica, cioè razionale, ha l'uomo amore a la veritade e a la vertude. Si ricorda che in III II 19 la mente, equivalente all'anima r., è stata definita quella fine e preziosissima parte de l'anima che è deitade (per una distinzione, nell'ambito delle nature animali, fra la natura r., cioè l'uomo, e la natura delle bestie, cfr. IV X 4 e XXII 5).
L'anima r. è per D. intelletto e volontà al tempo stesso, il che non deve ritenersi una nuova distinzione introdotta all'interno della più elevata potenza dell'anima, bensì una precisazione circa le finalità morali della funzione intellettiva, in una concezione in cui l'attività morale è indissolubile dall'attività della ragione. Così in Cv IV XXII 10, che prende l'avvio da una discussione sul significato del termine ‛ animo ' (in un testo aristotelico, infatti [Polit. VII 12], viene identificato con l'appetito sensitivo: " animus enim et voluntas, adhuc autem et concupiscentia et mox natis existunt pueris, ratiocinatio autem et intellectus, procedentibus nata sunt fieri ").
Tommaso d'Aquino, nel relativo commento, distingue una priorità ontologica dell'intelletto, a cui l'appetito sensitivo risulta quindi sottomesso, analoga alla priorità della forma sulla materia, e uno sviluppo reale, nel tempo, del composto umano, in cui la superiorità dell'intelletto si afferma successivamente: " est dicendum... quod prius dicitur aliquid alio, hoc quidem secundum substantiam et perfectionem - et sic intellectus praecedit appetitum, sicut movens motum, et forma materiam... aut secundum quod regulatur in actu, et sic posterior est sicut compositum simplici ": E non dicesse alcuno che ogni appetito sia animo; ché qui s'intende animo solamente quello che spetta a la parte razionale, cioè la volontade e lo intelletto; sì che se volesse chiamare animo l'appetito sensitivo, qui non ha luogo, né instanza puote avere, ché nullo dubita che l'appetito razionale non sia più nobile che 'l sensuale, e però più amabile [v. APPETITO]... Veramente l'uso del nostro animo è doppio, cioè pratico e speculativo... l'uno e l'altro dilett[os]issimo, avvegna che quello del contemplare sia più (per quanto riguarda la necessità di un accordo fra intelletto e volontà nella pratica della virtù, concepita aristotelicamente come ricerca del giusto mezzo fra due estremi, cfr. in Alberto Magno [In Eth. VI I 2] la polemica contro una dottrina che considera la sapientia, la saggezza morale, antecedente o conseguente alla volontà: " secundum eos virtus haberet esse virtutis a voluntate, et non a ratione: quod quam impossibile sit patet ex omnibus quae... determinata sunt: esse enim virtutis est ratio medii virtutis: medii autem ratio, rationis est sine omni voluntate ". Segue una distinzione fra la volontà comunemente intesa, come la destinazione naturale di ogni cosa, secondo la quale può dirsi " quod arbor vult florere... intellectus intelligere et voluntas vult velle ", e una volontà che si propone le sue finalità, per le quali è necessaria la determinazione della ragione: " voluntas unquam procedit ad actum volendi nisi in initio facto de fine iudicio. Ante omnem ergo actum voluntatis oportet quod voluntas informetur per nuntium. Hanc autem informationem non habet nisi per rationem vel rectam vel perversam: et sine hac informatione voluntas non est voluntas, sed confusus quidem appetitus "). L'espressione più elevata, dal punto di vista morale, di questo accordo fra intelletto e volontà è la virtù della giustizia: onde, avvegna che ciascuna vertù sia amabile ne l'uomo, quella è più amabile che in esso è più umana, e questa è la giustizia, la quale è solamente ne la parte razionale o vero intellettuale, cioè ne la volontade (Cv I XII 9). Per le stesse ragioni la discrezione, intesa come abito di vertude, sì morale come intellettuale (I XI 7; cfr. Eth. Nic. II 1, 1103a " Duplici autem existente virtute, hac quidem intellectuali, hac autem morali "), assolve, per l'anima r., la funzione dello sguardo nell'anima sensitiva (I XI 3), costituisce lo più bello ramo che de la radice razionale consurga (IV VIII 1).
Le operazioni che si dicono r. sono quelle che rispecchiano, della natura umana, questa duplice attitudine, speculativa e operativa, pensiero e volontà: la parola cioè, che esprime direttamente il pensiero, e il comportamento (Cv III VII 8 Onde è da sapere che solamente l'uomo intra li animali parla, e ha reggimenti e atti che si dicono razionali, però che solo elli ha in sé ragione. Segue un rifiuto circa la possibilità di attribuire la parola ad alcuni uccelli, soprattutto la gazza e il pappagallo, o di riconoscere qualcosa di simile al comportamento umano nella scimmia, possibilità prospettata, ad esempio, da B. Latini: cfr. I libri naturali del Tesoro, Firenze 1917, 131 e 185; cfr. Alb. Magno Animal. XXI 1, 3-5. Per quanto riguarda la parola come manifestazione esclusiva dell'intelletto e della ragione, cfr. Pd XXVI 127-132; Arist. Perihermen. I 2, 16a 25). Ancor più circostanziato l'elenco delle quattro operazioni cui la ragione è ordinata, d'ispirazione chiaramente tomista, in Cv IV IX 5 E a vedere li termini de le nostre operazioni, è da sapere che solo quelle sono nostre operazioni che subiacciono a la ragione e a la volontade; che se in noi è l'operazione digestiva, questa non è umana, ma naturale [cfr. Tommaso In Eth. I lect. I 3 " Dico ... operationes humanas quae procedunt a voluntate hominis secundum ordinem rationis. Nam si quae operationes in homine inveniuntur quae non subiacent voluntati et rationi, non dicuntur proprie humanae, sed naturales, sicut patet de operationibus animae vegetativae "]. Ed è da sapere che la nostra ragione a quattro maniere d'operazioni, diversamente da considerare, è ordinata: ché operazioni sono che ella solamente considera, e non fa né può fare alcuna di quelle, sì come sono le cose naturali e le sopranaturali e le matematice; e operazioni che essa considera e fa nel proprio atto suo, le quali si chiamano razionali, sì come sono arti di parlare; e operazioni sono che ella considera e fa in materia fuori di sé, sì come sono arti meccanice. E queste tutte operazioni, avvegna che 'l considerare loro subiaccia a la nostra volontade, elle per loro a nostra volontade non subiacciono: ché, perché noi volessimo che le cose gravi salissero per natura suso... non sarebbe; però che di queste operazioni non fattori propriamente, ma li trovatori semo. Altri l'ordinò e fece maggior fattore. Sono anche altre operazioni che la nostra [ragione] considera ne l'atto de la volontade, sì come offendere e giovare, sì come star fermo e fuggire a la battaglia ... e queste del tutto soggiacciono a la nostra volontade; e però semo detti da loro buoni e rei (con qualche differenza nell'ordine, D. segue da vicino Tommaso In Eth. I lect. i 1-2).
Per altri usi del termine r., cfr. Vn XX 3 4 (ove l'espressione com'alma razionai santa ragione vuoi indicare qualcosa d'impossibile); Cv IV VIII 6 e 9 (in una contrapposizione fra senso e ragione, sensuale e r.).