RAZZA (fr. race; sp. raza; ted. Rasse, Stamm; ingl. breed, race)
complesso d'individui omogenei per i loro caratteri esteriori e per le qualità ereditarie del loro plasma germinale, così che l'aspetto somatico si trasmette invariato di generazione in generazione, salvo eventuali mutazioni. La razza è un'entità biologica subordinata alla specie e in essa compresa; due razze appartenenti alla medesima specie producono ibridi fecondi (meticci in linguaggio zootecnico), nei quali i caratteri ereditarî si trasmettono secondo le regole dell'eredità (v. eredità; genetica; ibridismo). Il concetto di razza non è stato sempre il medesimo in tutti i campi delle discipline biologiche; tuttavia la genetica moderna tende a precisarne sempre più il significato e l'estensione, per quanto la cosa riesca praticamente difficile, di fronte all'incertezza che regna circa i limiti del concetto di "specie", i quali sono spesso molto soggettivi. Un tempo la mente correva alle razze domestiche di piante e di animali, considerate come variazioni di poche specie selvagge; esse furono uno dei principali argomenti che il Darwin sviluppò a sostegno della teoria dell'evoluzione in genere e della selezione graduale. La scoperta delle mutazioni fatta dal De Vries dimostrò che una razza sorge per cambiamento improvviso ed ereditario di uno o più caratteri della specie, e le osservazioni registrate successivamente hanno dimostrato che il fenomeno è più frequente di quanto non si credesse. Il fagiano di Swinhoe dissimilis, il Pavone dalle ali nere, gli Ondulati (v. melopsittaco) gialli, azzurri, bianchi, oliva, cobalto, ecc. sono tante razze generate improvvisamente dalla rispettiva forma tipica per mutazione di uno o più fattori determinanti il colore delle penne. Altra sorgente cospicua di nuove razze è la formazione di correlazioni di caratteri determinate dall'ibridismo e differenti da quelle preesistenti. Si può supporre che ciascuna entità specifica abbia dunque avuto in origine un solo aspetto: mutazioni di uno o più fattori genetici avrebbero scisso la specie primitiva in parecchie razze e queste sarebbero aumentate ancora di numero in seguito alle nuove correlazioni determinate dall'ibridismo. Il cambiamento dei caratteri esterni e la loro diversa correlazione sono la conseguenza della mutazione di uno o più geni (fattori genetici) e della loro reciproca indipendenza. Posta la questione in questi termini, la razza è un complesso d'individui fra loro simili, e la differenza fra biotipo e razza è di misura e non di sostanza. Si suol dire "razza", quando le caratteristiche sono parecchie; molti dicono erroneamente "varietà", quando la differenza consiste in un solo carattere; per biotipo s'intende generalmente un modello che differisce da altro affine per il numero delle unità nelle quali è scomponibile un carattere multiplo. A volte "biotipo" è forse anche l'espressione di vere e proprie differenze fra due razze primitive, fra loro mescolate. La confusione tra razza e varietà, frequente nell'antica sistematica, oggi non è più possibile, dovendosi intendere per varietà qualsiasi cambiamento dovuto a cause esterne o di ambiente, cambiamento destinato a scomparire, nell individuo o nella specie, al cessare della causa che lo ha prodotto. Varietà è sinonimo di fluttuazione. Le differenze fra loro subordinate e minori di numero possono essere più opportunamente espresse usando il termine "sottorazza"; p. es., una razza di polli è scomponibile in tante sottorazze, quanti sono i colori ereditarî nei quali essa può essere distinta.
La riproduzione di una pianta per talee dà luogo a un gran numero d'individui che si somigliano tra loro come i frammenti di un medesimo organismo: qui si ha un'idea della somiglianza che dovrebbe teoricamente esistere in una razza pura. Praticamente gli organismi che si riproducono per autodivisione vanno incontro, di quando in quando, a una riproduzione sessuale, ossia a una mescolanza di plasmi germinali differenti, ond'è che, se essi vengono studiati con metodi biometrici, se ne ottiene una rappresentazione grafica eterogenea, con più di un apice. La selezione consente di separare, dalla razza studiata in massa, più linee pure, ciascuna delle quali offre un certo grado di variabilità ereditaria, che si esprime tuttavia con un grafico omogeneo, regolare, a un solo apice. Analoghe linee pure si possono isolare anche quando una specie si riproduce a mezzo di partenogenesi (v.) e di autogamia (v.); ma nell'anfigonia il caso non è teoricamente possibile, perché il germe che proviene da due gameti d'origine diversa, non ha, rispetto all'uno e all'altro dei genitori, quella grande somiglianza che caratterizza il frammento nei confronti dell'organismo da cui quello è stato separato. Tuttavia anche specie che si riproducono per anfigonia offrono, almeno rispetto a determinati caratteri, spiccata uniformità e comprendono stirpi, caratterizzate da curve di variazione ristrette e con un solo apice, che si chiamano razze pure.
Si dicono "razze locali" di una determinata specie stirpi che abitano un territorio piuttosto ristretto, dove una mutazione, salvaguardata dall'isolamento geografico, ha potuto estendersi a tutta una popolazione, formando una razza distinta, che si è sostituita a quella primitiva. Le razze locali più caratteristiche sono quelle insulari: celebri le testuggini gigantesche delle Galápagos, molto affini tra loro, ma costituenti altrettante razze distinte quante sono le isole di quell'arcipelago. Nelle maggiori isole del Dodecanneso esistono granchi d'acqua dolce (Potamon edule), ma ciascuna delle isole di Scarpanto, Rodi e Coo possiede una razza locale, i cui caratteri biometrici non coincidono con quelli delle forme delle altre isole. Anche le lepri si distinguono in tante razze quante sono le isole ora indicate, oltre a una quarta, propria di Stampalia. Specie viventi in alta montagna sono frazionate e isolate dalle pianure circostanti; viceversa le specie che vivono nelle vallate risultano separate da catene di monti. Appartengono al primo gruppo i fagiani argentati (Gennaeus) dell'Indocina, numerosissime forme dei quali sono confinate ciascuna a un massiccio montano; appartengono al secondo gruppo i fagiani reali a collo verde (Phasianus), che offrono una serie di razze locali distribuite nelle vallate comprese fra il Mar Nero e il Mar Giallo. Nelle isole Hawaii i Molluschi terrestri del genere Achatinella comprendono da 700 a 800 razze locali e ciascuna valle ha le sue forme proprie; le affinità di ciascuna di esse sono in relazione con le distanze e con l'importanza degli ostacoli che separano i rispettivi territorî. Condizioni simili sono offerte da altri Molluschi in altri paesi e il rapporto fra maggiori differenze e maggiore distanza è evidente anche nei fagiani di cui si è fatto cenno e può essere considerato fenomeno generale. Certe razze locali in via di formazione o in via di estinzione sono spesso costituite da pochissimi esemplari: p. es., il Camoscio dell'Abruzzo (Rupicapra ornata) conta circa un centinaio di esemplari e, nel momento in cui fu creato a sua protezione il Parco Nazionale, non ne contava più di 25. Quanto più un ambiente limitato offre condizioni di esistenza difficili, tanto più facilmente vi si trovano razze locali: così le caverne e le grotte ne offrono molti esempî: la stessa cosa accade in una regione divisa da numerose barriere, come fiumi, bracci di mare, montagne, mentre nelle regioni, dove non esistono ostacoli geografici notevoli, si trovano specie a larga diffusione, omogenee, che offrono soltanto variazioni individuali o direttamente collegate all'azione dell'ambiente. Agli effetti della separazione nella spazio e dell'isolamento geografico fu attribuita grande importanza nell'evoluzione delle specie da Moritz Wagner, il quale elaborò una teoria che oppose a quella della selezione naturale del Darwin. Le razze locali sarebbero, secondo il Wagner, il punto di partenza di più profondo differenziamento specifico.
Le razze umane.
È assai comune la confusione fra razza, popolo e nazione. Ora, la prima è un'entità antropologica, cioè zoologica, qualcosa della stessa natura del concetto di specie animale o vegetale (salvo l'estensione, il grado di questo raggruppamento, il cosiddetto valore sistematico o tassinomico). Pur sotto il triplice aspetto, anatomico, fisiologico, psichico, la razza è un'entità naturalistica, come è una entità naturalistica la specie "cane" o quella "cavallo" sotto il triplice aspetto dei suoi caratteri di forma, di funzione e di psiche. Popolo è un'entità sociologica, indicando un raggruppamento, la cui formazione è un processo storico-culturale, a base soprattutto linguistica (lingua comune). Uno stesso popolo può esser costituito, anzi, di regola, è costituito da più razze. Nazione è un'entità di natura politica, costituendo essa un raggruppamento, in cui possono entrare come costituenti non soltanto razze diverse, ma popoli diversi, più o meno unificati culturalmente. La base della nazione può essere geografica, un territorio più o meno definito, ma non è necessariamente tale. Necessità di esistenza, o anche di potenza, possono far sì che una nazione riunisca popoli diversi, abitanti territorî diversi. Si ricordi, ad esempio, l'Austria-Ungheria di prima della guerra mondiale o la Russia attuale. Non esiste perciò una razza, ma solo un popolo e una nazione italiana. Non esiste una razza né una nazione ebrea, ma un popolo ebreo; non esiste, errore più grave di tutti, una razza ariana (o meglio aria), ma esistono solo una civiltà e lingue ariane (sebbene, anche in questo caso, la parola abbia per i linguisti un significato più ristretto che "indoeuropeo"). La definizione delle razze è stata finora quasi esclusivamente morfologica; esse sono state delimitate, descritte, in base a caratteri di forma, sia esterni, com'è avvenuto il più delle volte, sia interni; la descrizione delle razze, cioè, ha considerato finora specialmente la loro struttura anatomica. Si cominciano ora a studiare le razze sotto il rispetto della loro attività funzionale, della loro fisiologia e in questa sfera si è particolarmente esteso un campo di ricerche: quello dei cosiddetti gruppi sanguigni. Ma, per inquadrare bene il significato di questo complesso di ricerche, gioverà stabilire fin da ora che esso riguarda un ristrettissimo insieme di caratteri fisiologici, il cui studio ha trovato largo seguito, solo perché esso è facilmente accessibile. Per il restante, la fisiologia raziale è appena iniziata. Numerosi sono anche gli studî di psicologia raziale, soprattutto in Germania, dove i movimenti diversi, più o meno collegati col pangermanismo e con la dottrina di J.-A. de Gobineau, tendono all'affermazione di differenze indelebili di mentalità e di disposizioni psichiche fra le diverse razze europee. Ma non si può non essere d'accordo con E. v. Eickstedt il più recente studioso delle razze, quando afferma che i metodi dell'indagine psicologica raziale non sono ancora così fermamente stabiliti da permettere conclusioni scientifiche. Per questi motivi ci fermeremo scarsamente su quelle questioni della psicologia raziale e poco più su quelle della fisiologia.
Dagl'inizî del sec. XX si è venuto sviluppando un corpo di dottrine che viene chiamato biologia delle razze. In esso si comprendono soprattutto studî sull'eredità dei caratteri (morfologici, fisiologici, psicologici), studî sulla selezione e infine, ancora assai rari, studî sui fenomeni di mutazione. Questi nuovi indirizzi sono sorti dopo la riscoperta delle leggi di Mendel, sull'eredità dei caratteri negl'incroci fra razze, nel regno vegetale e animale. Il nucleo principale di questi nuovi dati è costituito dai fatti ereditarî. Si è concepita da più di uno studioso la speranza che la conoscenza delle leggi dell'eredità dei caratteri nell'uomo potesse portare qualche nuova luce e soccorso nell'elaborazione della dottrina delle razze e potesse soprattutto diminuire la portata del metodo e dell'analisi morfologica, nella costituzione della dottrina stessa. Sennonché lo studio dell'eredità nell'uomo presenta particolari difficoltà intrinseche, di cui le principali sono: 1. sull'uomo non è praticabile l'esperimento, principale strumento della certezza dei risultati degli studî sugli animali e sulle piante; 2. la lunghezza della vita di una generazione nell'uomo non concede di seguire per parecchie generazioni il decorso dei fatti ereditarî. Pur essendosi stabilito l'andamento mendeliano, cioè la regolarità stabilita dal Mendel (la quale non è, occorre ricordarlo, che una modalità fra le pensabili) per alcuni caratteri raziali, per moltissimi altri le proporzioni percentuali della frequenza dei caratteri nelle generazioni figlie, che le leggi mendeliane semplici esigono, sono, per lo meno, oscurate in grado più o meno notevole, in certi casi d'incrocio. Per ricondurre alla regolarità, voluta dalla teoria, delle proporzioni numeriche osservate, si è ricorso ad alcune ipotesi, la cui formulazione costituisce il cosiddetto mendelismo superiore (ipotesi, ad es., dei fattori eccitatori e condizionali, dei trasmutatori e dei fattori di distribuzione, dei fattori d'intensita e d'inibizione, ecc.; ipotesi comprese nella denominazione di polimeria). A complicare i risultati vengono anche le conseguenze della cosiddetta copula dei genidî e altri fenomeni, che non menzioniamo. Ne risulta la conseguenza finale, che, se l'analisi dei dati numerici di osservazione presenta già dilficoltà nelle condizioni di studio migliori (cioè per gli animali di cui si può sperimentalmente procurare l'incrocio e in cui la durata dell'esistenza è breve), nell'uomo tali difficoltà appaiono tali da non permettere finora d'arrivare a risultati stabili. Ciò vale soprattutto in riguardo alle deduzioni a ritroso, quelle, cioè, ricavate sugli elementi o componenti degli incroci del passato, i quali hanno determinato in un dato gruppo lo stato di equilibrio dei caratteri che noi osserviamo attualmente. I fattori che abbiamo accennati, in realtà, per riconoscimento degli stessi mendeliani, determinano in ogni gruppo, dopo un certo tempo, uno stato intermedio fra i caratteri opposti, il quale, in sostanza, si può considerare non diverso da quello che ammettevano i primi antropologi, allorché parlavano di miscele perfette, dopo un periodo lungo di commistione di elementi diversi. Quando l'Eickstedt parla dell'"armonizzazione" come del fattore che crea l'unità d'una razza nella fusione d'elementi originarî diversi, siamo presso a poco allo stesso punto (per ciò che riguarda i nostri mezzi d'analisi raziale) degli antichi antropologi, che ammettevano miscele iniziali, in cui gli elementi componenti erano ancora visibili e miscele antiche e perciò "omogeneizzate" come essi dicevano, in cui gli elementi non si riconoscevano più come tali. Perciò è da consentire con l'Eickstedt, non solo quando dice che la ricerca dell'eredita familiare è una cosa affatto diversa dalla ricerca dell'eredità raziale, ma è da consentire con lui anche sulla necessità di lasciare in disparte, nello stabilire le razze umane, le considerazioni sull'eredita per affidarci assolutamente al criterio e al metodo morfologici. La definizione della razza non può essere al giorno d'oggi che puramente morfologica: un gruppo cioè d'individui che presentano nella forma corporea una particolare combinazione di caratteri normali, trasmissibili e variabili entro limiti determinati. Questa definizione può trovare consenzienti fautori delle teorie opposte sulle origini umane, cioè poligenisti e monogenisti. Da un punto di vista poligenistico, sarebbe teoricamente possibile una definizione filogenetica, cioè in funzione dell'origine specifica di una razza o meglio di una razza relativamente pura (nel senso che a questa parola dà un poligenista); ma nessun autore ha sinora dato una fondata teoria e una persuasiva sistemazione in proposito, teoria e sistemazione che, allo stato attuale delle nostre conoscenze, presentano difficoltà assai gravi. (Per l'origine delle razze, v. uomo: Origine dell'uomo). L'aiuto che la filogenesi può portare alla questione specifica del numero e della discriminazione delle razze è tuttora assai scarso. Anche qui perciò siamo ridotti alla conclusione che il solo metodo morfologico ci può aiutare. È noto che, da un punto di vista poligenistico, il problema dell'origine dell'uomo s'identifica con quello dell'origine delle razze umane elementari; ma per i monogenisti i due problemi sono separati nettamente. Anche il problema dell'esistenza o meno, presente o passata, delle cosiddette "razze pure", si presenta molto differentemente per un poligenista e per un monogenista. Per un monogenista che sia conseguente, infatti, la razza pura è in sostanza una razza omogeneizzata, "armonizzata", secondo il termine dell'Eickstedt, il quale logicamente, per il suo punto di vista, così definisce la razza pura; giacché l'origine unica non può esistere senza contiguità spaziale e questa a sua volta implica contaminazioni, fra l'una e l'altra razza, quasi nell'atto stesso della loro differenziazione. Per il poligenista la razza pura è quella che ha una sua propria origine e che contiene solo elementi dell'origine stessa (da un primate speciale). Queste razze pure possono essere nell'attualità rarissime o perfino non esistere più, rigorosamente parlando, giacché gli spostamenti umani hanno portato fatalmente e dappertutto a contatti; ma per un certo tempo, non precisabile, le razze pure esistettero, per i poligenisti, e sono queste appunto che, secondo loro, l'analisi morfologica va lentamente e faticosamente ricercando e tentando di ricostruire. Occorre distinguere fra la divisione e caratterizzazione delle razze e la loro sistemazione tassinomica, cioè l'assegnazione di ognuna a divisioni di un certo valore sistematico (famiglie, generi, specie, varietà). La parola "razza" in antropologia non è intesa comunemente come una categoria sistematica, ma solo come una categoria di forma. La maggior parte dei ricercatori attuali è piuttosto fredda dinnanzi alle questioni di sistematica, che un tempo determinavano lunghe e vivaci polemiche. In realtà ciò che più conta è la distinzione dei tipi; il loro valore tassinomico importa assai meno. Però tra le categorie così determinate passano differenze di ampiezza, nel senso che possiamo distinguere grandi razze (cerchie raziali), razze, sottorazze.
Cenni storici sulle classificazioni più importanti dell'umanità. - La prima divisione dell'umanità, basata sopra un numero sufficiente di caratteri morfologici e non semplicemente o prevalentemente sul colore, è quella di J.F. Blumenbach. Essa, ancora al giorno d'oggi, rappresenta qualche cosa di più che il solo interesse storico, per quanto riguarda la descrizione dei tipi e la loro posizione reciproca, che già il Blumenbach formulava con senso morfologico assai più profondo di quello di parecchi suoi successori. Se le concezioni generali del Blumenbach non furono innovatrici, la finezza delle sue doti di osservazione morfologica rimane ancora oggi ammirabile. Egli distinse cinque razze fondamentali:
1. Razza caucasica, a pelle chiara, guance rosee, capigliatura bruna, testa rotondeggiante, faccia ovale, fronte piana, naso stretto e lievemente ricurvo, bocca piccola. Egli comprendeva in questa razza tutti gli Europei, ad eccezione dei Lapponi e Finni, tutti i popoli dell'Asia occidentale fino all'Ob, al Mar Caspio e al Gange e tutti i Nord-africani. È da osservare che il Blumenbach non pose al centro della sua varietà caucasicȧ il tipo nordico, come già aveva fatto Linneo e come fanno molti recenti autori.
2. Razza mongolica: capigliatura nera, rigida, colore della pelle bruno-giallo, testa quadrangolare, viso piatto, naso piatto. Questa razza comprende i restanti abitatori dell'Asia, ad eccezione dei Malesi, più i Finni, Lapponi ed Eschimesi.
3. Razza etiopica (questa parola è usata nell'antica accezione di Negri): pelle nera, capelli neri, lanosi, testa stretta, malari prominenti, mascellare superiore prominente, gambe curve. Comprendeva tutti gli abitatori dell'Africa, meno quelli innanzi citati.
4. Razza americana: pelle color del rame, capelli neri, rigidi, fronte bassa, naso ottuso. Tutti gl'Indiani d'America.
5. Razza malese: pelle bruno-scura, capelli neri e ricci, naso largo, bocca grande, mascellare superiore prominente. Vi appartengono tutti gli abitatori delle isole dell'Oceano Pacifico.
La razza caucasica era per il Blumenbach la razza fondamentale, di cui le altre sono deviazioni: l'etiopica in un senso, la mongolica in un altro. L'americana sarebbe intermedia fra la caucasica e la mongolica (non però in senso filogenetico) e la malese fra la caucasica e l'etiopica. Certamente in questa classificazione il sistema delle relazioni morfologiche è abbastanza bene espresso, nelle linee generali, se anche, da un punto di vista genealogico, non si potrebbe accettare senz'altro la provenienza degli altri tipi dal caucasico. Un'idea simile del resto è stata espressa in seguito sovente, per ciò che riguarda i rapporti dei tre tipi fondamentali comunemente ammessi, bianco, giallo, neġro. La meno felice delle sue distinzioni è certo quella della razza malese, ma forse più per l'estensione geografica data a questo tipo, che non per il tipo in sé.
G. Cuvier fu uno dei primi a concepire la tripartizione dell'umanità in Bianchi, Gialli, Neri, alla quale divisione principale subordinava altre secondarie. Egli fu il primo così a dare importanza fondamentale al colore cutaneo. Una delle divisioni più importanti, per il primo riconoscimento di tipi ben distinti, fu quella di L.-A. Desmoulins. Questo autore, un poligenista, ammise 16 specie umane. Molto importante è l'ammissione di una specie semitica, in cui erano, fra gli altri, gli Arabi; d'una specie atlantica, dedicata al gruppo così ben distinto dei Berberi, dei Canarî e di alcune popolazioni del Sahara; di una specie curiliena, cui assegnava gli Ainu, che hanno assunto posteriormente grande importanza in antropologia raziale; ma il suo merito più grande fu la creazione di una specie austro-africana, per il gruppo boscimano-ottentotto. Altre distinzioni importanti, oltre alla restrizione dell'estensione della specie malese, furono le specie: Negri di Oceania, in cui includeva i Moi dell'Indocina, i Neri di Celebes, della Nuova Caledonia e della Tasmania; la specie propria per i Neri della Nuova Guinea e la specie australasiana per gli Australiani. Pur prescindendo dalla sua base poligenistica, questa divisione rappresentò un grandissimo progresso.
La classificazione che, nei tempi più prossimi a noi, si può dire abbia preso in considerazione fondamentale i più significativi caratteri che fossero allora a disposizione, è quella di I. Geoffroy Saint-Hilaire, del 1861. In essa sono utilizzati: 1. la forma del capello; 2. il grado di rilievo del naso; 3. la forma degli occhi; 4. il colore della pelle, considerato soltanto per ultimo. Solamente infine, per alcuni gruppi, è preso in considerazione lo sviluppo delle membra. In questa classificazione, che fu ed è presa per modello e che si può dire veramente geniale, non soltanto sono presi in considerazione i più importanti caratteri, ma sono disposti secondo l'ordine del loro valore distintivo. L'innovazione più importante e veramente precorritrice è tuttavia quella di aver posto allo stesso livello delle tre grandi divisioni caucasica, mongolica, etiopica, una quarta divisione: l'ottentotta. Le due opinioni che regnavano allora e che in realtà ancora oggi si contrastano, senza che l'una o l'altra prevalga, che cioè gli Ottentotti siano Negri ovvero che siano Mongoli, furono respinte entrambe da I. Geoffroy Saint-Hilaire, il quale affermò che gli Ottentotti posseggono caratteri che fanno di essi la branca più profondamente separata dal tronco comune dell'umanità. Egli anzi non dissimulò di aver pensato per essi ad un filo speciale. L'innovazione di I. Geoffroy Saint-Hilaire, riguardo ai Boscimani-Ottentotti, non ha avuto un grande seguito, e solo negli ultimi tempi R. Pöch e G. Sera vi hanno aderito, ma sotto forme alquanto diverse. Dobbiamo però menzionare una singolare caratteristica della classificazione in parola. Tra le tredici razze secondarie che essa ammette e distribuisce fra i quattro tipi principali, la razza australiana è posta fra le mongoliche, il che è assolutamente da rifiutare. Una delle divisioni oggi più note e più usate è quella J. Deniker, che nella sua forma definitiva, del 1926, divide l'umanità in sei gruppi principali (categorie) e ventinove secondarî o razze. Il Deniker ha introdotto una più grande quantità di caratteri distintivi, ma le divisioni primarie hanno anche qui per base, sull'esempio dellȧ classificazione precedente, i capelli. La successione degli altri caratteri non è fissa. Le razze ammesse dal Deniker sono le seguenti: 1. boscimana; 2. negrita; 3. negra; 4. melanesiana; 5. etiopica; 6. australiana; 7. dravidica; 8. assiroide; 9. indoafgana; 10. araba (o semitica); 11. berbera; 12. europea litorale; 13. ibero-insulare; 14. europea occidentale; 15. adriatica; 16. nordeuropea; 17. europea orientale; 18. ainu; 19. polinesiana; 20. indonesiana; 21. sudamericana; 22. nordamericana; 23. centroamericana; 24. patagone; 25. eschimese; 26. lappone; 27. ugrica; 28. turanica; 29. mongola. Buona parte di queste razze corrisponde a quelle stabilite dall'Eickstedt. Due autori italiani hanno dato ognuno una classificazione delle razze, partendo da principî diversi, poligenistico l'uno (G. Sergi), monogenistico l'altro (V. Giuffrida-Ruggeri).
G. Sergi ammette 5 generi in tutta l'umanità: 1. Palaeanthropus, uomo fossile del tipo di Neanderthal (v. paleoantropologia) con 3 specie; 2. Notanthropus, con 6 specie, di cui 3 pigmee: questo genere copre tutta l'Africa, l'Arabia, l'India anteriore, l'Indonesia, la Melanesia, l'Australia, la Polinesia; per ibridazione al genere successivo, tutta l'Europa; 3. Heoanthropus, con 4 specie, di cui i ibrida per l'Europa, abbraccia il gruppo mongolico; 4. Archaeanthropus, genere estinto, che si riferisce ad alcuni reperti fossili dell'America Meneredionale (Necocher e simili); 5. Hesperanthropus, con i specie, comprende l'uomo americano attuale.
La classificazione che V. Giuffrida-Ruggeri, presenta come una semplice proposta non si addentra nella suddivisione dei gruppi. L'uomo sarebbe, secondo lui, una specie collettiva o grande specie, in cui distingue 8 specie elementari. Esse sono: 1. Homo sapiens australis: Australiani, Tasmaniani, Melanesiani; 2. Homo s. pygmaeus: tutti i Pigmei compresi i Boscimani; 3. Homo s. indoafricanus: popolazioni dell'India cisgangetica e popolazioni degli altipiani dell'Africa orientale-settentrionale (Etiopia); 4. Homo s. niger: tutti i Negri; 5. Homo s. americanus: tutti gli Americani, fatta eccezione di una zona al nord-ovest dell'America Settentrionale; 6. Homo s. asiaticus: tutti i Mongolici; 7. Homo s. oceanicus: i Polinesiani, alcuni residui nell'Indonesia, gli Ainu; 8. Homo s. indoeuropaeus: tutta l'Europa, l'Africa Settentrionale, l'Asia Anteriore.
Nel suo libro del 1933, G. Montandon dà una divisione e una descrizione delle razze umane, in cui egli ammette cinque grandi razze, con un totale di venti razze minori. Esse sono: A) la grande razza pigmoide, con: 1. la razza steatopigia (Boscimani-Ottentotti); 2. la pigmea; B) La grande razza negroide, con: 3. la razza tasmaniana; 4. la papuasica; 5. la nigritica; 6. l'etiopica; 7. la dravidica; C) la grande razza veddo-australoide, con: 8. la razza veddaica; 9. l'australiana; D) la grande razza mongoloide, con: 10. la razza paleoamerinda; 11. la neoamerinda; 12. l'eschimese; 13. la paleosiberiana; 14. la mongolica; 15. la turanica; E) la grande razza europoide, con: 16. la razza lappone; 17. l'ainu; 18. la bionda; 19. l'alpina-armenoide; 20. la bruna.
La divisione e descrizione delle razze, secondo v. Eickstedt. - La più recente divisione delle razze umane è dovuta all'Eickstedt, autore della più completa trattazione che in materia si sia finora avuta. Merito essenziale dell'autore non è soltanto quello di avere dato una descrizione di ogni razza, ben più precisa e minuta, di quanto non fosse stato fatto prima, ma di aver tentato una storia raziale strettamente connessa con l'ambiente geografico, storia che non sempre si può accettare per esatta, ma di cui bisogna riconoscere l'organicità e la ricchezza.
Pur potendosi pensare che i tagli, le linee divisorie nell'umanità, in certa maniera le "caselle" della divisione, potrebbero essere diversamente praticate, si ritiene, di fronte alla necessità di dare un'idea concreta dei gruppi umani, che le descrizioni e le divisioni dell'Eickstedt offrano una visione complessiva adeguata dell'antropologia raziale. Ciò non significa tuttavia che divisioni diverse e nuove "caselle" non possano rappresentare la realtà morfologica umana in guisa più adeguata, in un avvenire che potrebbe essere anche prossimo.
Prima di riferire le divisioni e le descrizioni dell'Eickstedt, è però necessarío esporre nelle linee generali il suo pensiero sull'origine geografica, sull'antichità e la diffusione delle razze umane. Questa esposizione, ridotta allo stretto necessario, chiarirà la sistemazione dell'autore, le sue limitazioni e le riserve con cui essa provvisoriamente si può accettare. L'Eickstedt pone la prima origine dell'uomo nella parte centrale dell'Asia, da cui le ondate antropogenetiche successive, i gruppi umani, cioè, sempre più altamente specializzati, avrebbero sciamato radialmente, respingendo dalle regioni steppose del N. verso le regioni boscose del S. i gruppi più primitivi, sciamati in precedenza. È in sostanza la stessa antica concezione dell'origine asiatica, rinnovata modernamente per i Mammiferi da W.D. Matthew.
L'Eickstedt attribuisce a fattori tettonici e climatici e specialmente alle glaciazioni l'influenza massima nella formazione dei tre gruppi fondamentali dell'umanità, o cerchie raziali: Bianchi, Gialli, Neri.
In altri termini le acmi delle glaciazioni, coprendo di un mantello di ghiaccio le montagne più importanti dell'Asia, a partire dal centro montagnoso, sito press'a poco sul Pamir, avrebbero diviso in tre parti la massa degli Ominidi, l'una orientale (Mongolidi), l'altra occidentale-settentrionale (Europidi), la terza meridionale (Negridi). Ma in realtà non vi sarebbe stata formazione di tipi puri, perché la differenziazione appena iniziata avrebbe dato luogo a nuove miscele. Così soltanto si potrebbe spiegare, secondo l'Eickstedt, che noi troviamo certe forme di miscela arcaiche nelle estremità australi dei continenti, ove esse sono state respinte a poco a poco dalle ondate di uomini più altamente specializzati, che, dall'Asia centrale, respingevano perifericamente le razze precedentemente formate. Queste forme di miscela remote, che l'Eickstedt chiama forme antiche di ognuno dei tre grandi gruppi (Altformen) sono rispettivamente: l'ainuida per gli Europidi (in cui l'altro elemento costituente sarebbe il mongolida); l'australida per il gruppo negrida (in cui l'altra componente sarebbe l'europida) e il khoisanida (parola creata da E. Fischer per indicare il gruppo boscimano-ottentotto) per il grande gruppo mongolida (in cui l'altra componente sarebbe la negrida). Ai tre grandi gruppi, o cerchie raziali, l'Eickstedt dà il valore sistematico di sottospecie. Ma in realtà, come abbiamo accennato, anche tutte le altre razze dell'Eickstedt non sono razze nel senso che per lo più è dato a questa parola, ma possono esserlo nel senso che ad essa dà l'Eickstedt; giacché egli chiama razze pure quelle in cui l'"armonizzazione" dei caratteri, cioè il loro uguagliamento in seguito alla miscela e a un complesso di altri fattori, è progredito tanto, da aver soppresso la grande variabilità che s'incontra nelle miscele recenti. A queste egli nega il nome di razze, chiamandole "popolazioni meticce o bastarde". L'attribuzione perciò delle diverse razze ciascuno dei tre tipi si deve intendere in senso largo, ma è certo che, la maggior parte delle volte, la mescolanza delle razze è avvenuta nello stesso ramo principale e non fra razze appartenenti a due rami fondamentali diversi.
Ma questo avverrebbe tuttavia, anche fra le razze più specializzate, e non solo per quelle che abbiamo già visto. Oltre ai tre gruppi o razze arcaiche di miscela, vi sono però altre razze arcaiche, che hanno una posizione marginale, cioè di respingimento da parte di razze più differenziate. L'Eickstedt ne stabilisce una per ogni grande partizione e le chiama forme particolari (Sonderformen). Così il ramo europida ha il gruppo veddida, il ramo negrida ha il gruppo pigmida (Pigmei di Africa e di Asia), il ramo mongolida ha il gruppo eschimida. Le razze restanti in ogni ramo si dividono in due parti: l'una che costituisce il gruppo delle forme più evolute e l'altra che costituisce la razza secondaria (Nebenrasse). La forma secondaria degli Europidi è data dal gruppo polinesida, quella dei Mongolidi dagl'Indianidi (Amerindî), quella dei Negridi dai Melanesidi. Queste già nominate e le altre razze seguirono nei loro spostamenti direzioni determinate dalle condizioni geografiche del rilievo e del clima, che l'Eickstedt chiama "linee biodinamiche di corrente". Egli ne enumera cinque: 1. la turanica occidentale, che dal deserto di Gobi e dal Turan portava verso l'ovest nell'Europa settentrionale; 2. l'iranica occidentale, che dal Turan e dall'Irān portava verso l'ovest all'Europa meridionale da una parte, e dall'altra all'Africa; 3. la sud-himalaiana, che, dalle stesse regioni, donde partiva la precedente, portava, verso il sud-est, alle Indie Anteriore e Posteriore e all'Indonesia; 4. la sud-mongolica, che dalla parte orientale del deserto di Gobi portava verso il sud all'India Posteriore e all'Indonesia; 5. la est-mongolica, che dall'Asia orientale, lungo la costa, portava verso il nord-est all'America.
Negli Europidi più propriamente detti egli distingue i seguenti gruppi: 1. dei Sud-europidi, con tre razze: orientalida, indida e mediterranea. I Mediterranei sarebbero pervenuti nell'Europa occidentale, seguendo la costa dell'Africa settentrionale; 2. i brachicefali centrali, in cui egli distingue quattro razze: alpina, dinarida, armenida e turanida; 3. razze depigmentate del nord: razza nordica e nordica-orientale (da altri chiamata baltica-orientale). Come abbiamo detto, a queste razze si deve aggiungere la razza secondaria dei Polinesidi.
Nel ramo fondamentale negrida l'Eickstedt distingue:
1. una razza della zona di contatto europida, l'etiopida;
2. tre razze delle zone delle savane e praterie e cioè: i Sudanidi all'ovest, i Nilotidi (Nilotici degli altri autori), i Bantuidi del sud-est;
3. i Paleonegridi, che sono i Negri di alta statura della grande foresta tropicale. Le tre razze extra-africane secondarie sono: Indomelanidi nell'India anteriore del sud-est, Neomelanesidi (Papua della Nuova Guinea) e Paleomelanesidi (restante della Melanesia).
Nel ramo fondamentale mongolida l'Eickstedt distingue:
1. una forma d'insieme (Sammelform) paleomongolida. (L'Eickstedt chiama forme d'insieme alcuni gruppi non bene ancora analizzati, ma in cui è almeno da distinguere una razza indipendente);
2. le due razze del nord più altamente differenziate, dei Tungidi (Mongoli propriamente detti) e Sinidi;
3. i Sibiridi, resti di una forma di contatto con gli Europidi.
Ma, per completare l'enumerazione delle piccole razze, bisogna ricordare che il gruppo complessivo degl'Indianidi (Amerindî), che abbiamo ricordato tra le forme secondarie, è così decomposto:
1. Brachicefali del nord, con le due razze dei Pacifidi (nord-ovest dell'America Settentrionale) e Centralidi (America Centrale e territorî meridionali degli Stati Uniti);
2. Dolicocefali del nord, con due razze: Silvidi (comprendenti gran parte dei cosiddetti Pellirosse), Margidi (California e regione sonoriana);
3. Brachicefali meridionali con due razze: andida e patagonida;
4. Dolicocefali meridionali, con due razze: brasilida e lagida. La prima si riferisce ai gruppi etnici del bacino delle Amazzoni, l'altra a quelli del massiccio ientale (gruppi di lingua ge). Complessivamente l'Eickstedt ammette trentasei razze recenti: lo specchio che diamo riassume chiaramente le sue idee.
Avendo così detto delle divisioni dell'Eickstedt, si può passare alla descrizione delle singole razze e all'indicazione sommaria della loro estensione geografica.
I. Caratteri morfologici delle diverse razze. - Incominciando dal ramo principale europida, incontriamo la:
Razza orientalida. - Essa fu assunta per la prima volta da F. v. Luschan (1911) e quindi da Fischer (1921).
Il suo tipo è caratterizzato soprattutto da caratteri delle parti molli del viso. In primo luogo, l'Eickstedt ricorda l'occhio a mandorla, determinato dal fatto che il margine palpebrale libero verso l'interno, invece di essere diritto, fa un bell'arco. L'angolo esterno dell'apertura è invece piuttosto a punta. Esiste inoltre una certa pienezza della faccia nella sua parte media. Il naso è scarsamente convesso. Negl'individui vecchi la punta del naso prende una conformazione clavata. Le forme generali sono svelte e asciutte. Dove s'incontra nel nord tendenza a forme piene, è indiziata miscela con gli Armenidi, soprattutto nelle città. Pelle, capelli scuri, questi con tendenza a formare buccole.
Il territorio di distribuzione degli Orientalidi è dato dalla zona arida e semidesertica dell'Asia occidentale e terre vicine (Arabia, Mesopotamia, Persia, Siria, Africa settentrionale); ma nell'Africa settentrionale e altrove essi sono commisti con i Mediterranei.
Gli Ebrei Sephardim sarebbero determinati ancora, oltre che da questa razza, da una componente mediterranida, mentre gli Ebrei Askenazim avrebbero una componente baltico-orientale (v. appresso).
Razza indida. - Ciò che caratterizza questa razza è la grande armonia delle forme del corpo e del viso. Anche gli strati più bassi degl'Indidi non dimostrano grossolanità di tratti. La struttura corporea è agile e gracile. Si distinguono dagli altri Sud-europidi per maggiore finezza di caratteri. Il naso è particolarmente stretto, con dorso diritto, labbra più piene che presso gli Orientalidi e Mediterranidi.
È caratteristica per il gruppo, nelle femmine soprattutto, una conformazione della palpebra superiore, per cui essa sporge verso il basso e all'innanzi, nella sua parte mediana (palpebra a foglia di loto). Il capello è lievemente ondulato. La pelle ha un colore caldo bruno chiaro, con sfumature giallo-oro. Nell'interno della razza si distinguerebbero due gruppi, di cui il Nord-indida è più alto, più chiaro di pelle e più peloso dell'Indida-gracile. La distribuzione degl'Indidi è dall'Afghānistān e Belūcistān (una delle loro sedi più antiche) fino profondamente nell'India. Il Doab e il Deccan sono così oggi profondamente indidizzati. Ma si trova sangue indida anche nelle altre regioni dell'India, abitate da altre razze, come vedremo.
Razza mediterranida. - Questa razza è la più gracile e minuta, e, nel colorito, la più intensamente scura di tutte le razze europee. I tratti sono i più regolari ed armonici. La testa è lunga e stretta più spesso che nei Nordidi. Il viso è stretto, proporzionato e finemente modellato. Il naso dimostra un dorso discretamente rilevato, ma non come nei Dinaridi e Nordidi. Le labbra sono più molli e più piene che negli altri Europei. Il mento è ben formato. Per quanto raffinato, l'effetto fisionomico non è di debolezza. Il capello è ondulato, bruno scuro, spesso nero. Le donne hanno sovente una peluria sul labbro superiore. Il dimorfismo sessuale è molto accentuato, essendo la donna assai più gracile ed infantile che non sia nei Nordidi. L'Eickstedt distingue poi una sottorazza d'aspetto più robusto, che è localizzata specialmente nella Spagna settentrionale. L'Africa settentrionale è il più esteso territorio dei Mediterranidi, che però presentano ivi intrusioni più o meno forti della razza orientalida: essi occupano inoltre la Spagna, la parte meridionale della Francia, la parte meridionale dell'Italia, le isole italiane; in sostanza per l'Europa è una localizzazione piuttosto occidentale; ma numerose sono le zone in Europa ove la componente mediterranida è forte.
Razza alpina. - Il nome alpina fu creato da G. Vacher de Lapouge; è una forma in cui si può dire che le dimensioni di larghezza sono più sensibili che d'ordinario, mentre quelle in altezza sono più piccole: statura, braccia, gambe, faccia, naso sono piccoli; la testa è rotondeggiante, ma non ha la regione occipitale verticale, bensì curva; il colore dei capelli è scuro, ma non eccessivamente, e quello degli occhi dà spesso nel grigio; il colore della pelle non è molto chiaro. Nella donna vi è un certo infantilismo dei lineamenti, che si manifesta nella forma bassa e rotondeggiante della faccia, nella bocca convessa, nel naso basso, piccolo, largo con punta rivolta in alto e dorso spesso concavo. In questa razza prevale il tipo costituzionale picnico. La zona principale di distribuzione della razza alpina è: massiccio delle Alpi, Germania meridionale-occidentale, regione centrale della Francia e una zona a forma di squadra, sita al nord del Danubio, di cui si parlerà oltre. Ma altri nuclei, più o meno estesi, si trovano per tutta l'Europa, tra cui principali quello dei Lapponi e quello dei Baschi. Inoltre nell'Africa settentrionale il tipo berbero sarebbe di razza alpina, secondo l'Eickstedt.
Razza dinarida. - Fu per la prima volta distinta dal Deniker nel 1898, col nome di razza adriatica. Mentre la sua distinzione netta dalla razza alpina è ora comunemente ammessa, non altrettanto si può dire nei riguardi dell'armenida. I caratteri più salienti di essa sono: la statura assai elevata, unita a dimensioni trasversali buone, ma non estreme, forma brachicefalica del cranio, con occipite piano e altezza molto notevole, che talvolta passa in un vero cranio a torre. Naso assai grande e rilevato. È il naso più pronunciato di tutta l'umanità, è inoltre altissimo e uncinato. La faccia è lunga, stretta, l'orecchio lungo. L'apertura oculare è media, le labbra sono piuttosto sottili, la piega nasolabiale spesso assai accentuata. In complesso è un tipo rude e robusto. Il colorito della pelle varia, andando dal nord al sud. I capelli sono lisci e scuri. Il territorio principale dei Dinaridi è la penisola balcanica e, ecologicamente parlando, coincide con l'estensione della foresta di faggi. Verso occidente va fino alle Alpi Orientali, verso il nord-est fino alla soglia ucrainica e fino alla Slesia. Questa estensione però è interrotta da una zona a squadra, al nord del Danubio, corrispondente, press'a poco, ai territorî dell'Austria e dell'Ungheria propriamente dette, zona che è occupata, secondo l'Eickstedt, dal tipo alpino.
Razza armenida. - Fu stabilita per la prima volta dal Luschan, sotto il nome di razza dell'Asia Anteriore o anatolica. I caratteri più salienti di questa razza sono: il naso assai grosso, spesso uncinato e con la punta a clava, la testa rotondeggiante, l'occipite piatto, la statura piuttosto limitata e il colore della pelle bruniccio. Visto di profilo il naso, per la conformazione delle alette, ha una forma a 6, la forma cioè che è talvolta del naso ebraico. Le labbra sono piuttosto grosse, come gli orecchi, che si staccano dal contorno facciale, nella vista dell'innanzi. Il tronco è piuttosto lungo e le gambe sono corte, l'aspetto generale è massiccio, spesso pesante. Esiste una certa disposizione alla pinguedine nella vecchiaia e, nel sesso femminile, anche in gioventù. La pelosità, discreta sulla faccia, è minore sul corpo. Il capello è ondulato e bruno. Il territorio di distribuzione degli Armenidi è l'Asia Minore, tutta la regione del Caucaso, la Transcaucasia. Questa razza costituirebbe una componente degli Ebrei.
Razza turanida. - Corrisponde alla razza turco-tatara del Deniker. La forma media di questa razza è mediocremente alta, piuttosto svelta, con viso lungo, naso forte, ma non estremo, e abbondante capigliatura; gli zigomi sporgono discretamente, costituendo così uno dei caratteri, che tradiscono un certo grado di mescolanza mongolidica. Questa non è però così forte, come un tempo si credeva e la sua intensità è del resto variabile, fra nord e sud. Così, ad esempio, nei Tagicchi delle montagne e nei Galcia del Pamir, essa scompare del tutto. Il viso diminuisce in larghezza in basso. La fronte è discretamente alta e verticale, il naso ha dorso diritto o un poco convesso e non rassomiglia né a quello dei Dinaridi, né a quello degli Armenidi. Labbra sottili, mento piccolo, ma forte. In quanto alla statura, i gruppi del sud, poc'anzi nominati, sono più alti. Capelli ondulati e bruni. Pelle bruno-chiara. L'estensione geografica di questa razza è assai grande. Il nucleo più antico è forse quello del Turkestan russo. Essa poi abita le steppe del sud-ovest della Siberia e dei Kirghisi. In forma di gruppi residuali, essa è presente nell'Altai, nell'altipiano del Pamir. Verso il nord-est gli Jakuti possono essere attribuiti a questo gruppo. Verso il sud, una zona di occupazione piuttosto recente è il Belūcistān. Ma in tempi preistorici, protostorici e storici i cavalieri di questa razza si spinsero nel cuore dell'Europa (Unni), come nell'Asia orientale.
Razza nordica. - La sua distinzione è già molto antica. Una delle sue caratteristiche è la povertà di pigmento, sia nella pelle, sia nell'iride, sia nei capelli, onde una pelle bianca, anzi rosea, un'iride azzurra o grigia e capelli più o meno biondi. Inoltre essa presenta alta statura, associata a forme svelte, viso lungo, naso stretto e alto. A differenza di altri autori, che sono i più, l'Eickstedt non attribuisce alla razza, come esclusiva, una forma allungata della testa. La forma dei capelli è a onde lunghe. Il naso ha una radice bene rilevata, dorso diritto, punta ben formata. Le labbra sono sottili, il mento è ben formato, energicamente rilevato. Nella razza nordica l'Eickstedt distingue tre sottorazze: la teutonica, la falica o dalica, la fennonordica.
Il territorio di estensione della razza nordica, allo stato relativamente puro, è: Svezia, Danimarca, Islanda, Germania del nord-ovest, quindi in parte Inghilterra, Norvegia e Stati Baltici. Ma una componente nordica si troverebbe in molti altri luoghi, anche meridionali, di Europa e persino nell'Africa settentrionale (Berberi biondi). L'estensione assegnata alla razza nordica dall'Eickstedt è però tutt'altro che stabilita, e non è neppure ammessa da tutti gli autori. Tutto sommato, pare già al giorno d'oggi assolutamente da rifiutare (Sera).
Razza europida-orientale o baltica-orientale. - Stabilita forse per la prima volta da H. Virchow nel 1874, con certezza ed ampiezza dal Deniker, col nome di razza orientale o della Vistola. L'Eickstedt respinge l'opinione di coloro che non credono all'esistenza di questa razza, come tipo a sé, ma la credono risultato di una fusione di Nordici e di Mongolidi o di Alpini. Egli ne afferma, in base a molti argomenti, l'indipendenza e la crede una forma intermedia assai differenziata, d'origine antichissima, nel territorio di contatto fra gruppi di ominidi primitivi che si differenziavano nel senso europida e mongolida, con prevalenza della prima componente. Come caratteristiche egli ritiene: il capello di colore biondo-cenere, liscio e fino, gli occhi di un grigio acquoso (bianchi), il naso un po' volto all'insù, in un viso largo, ossuto e un po' piatto, testa corta, angolosa, statura media e tronco piuttosto lungo, gambe corte. Gli occhi appaiono piccoli, la bocca è grande. Il territorio principale di estensione è la Russia Bianca, la Polessia e le parti prossime della Polonia e della Grande Russia, specialmente le terre intorno al Valdai e al Volga superiore. Di qua il tipo entra nella Siberia occidentale, con i Voguli e Ostiachi.
Razza polinesida. - L'Eickstedt prende a paradigma di questa razza i Samoani. Questi sono uomini alti, forti, di pelle bruno-chiara, con capelli lunghi, ondulati, neri e tratti fisionomici regolari, ravvivati da grandi occhi espressivi. Le figure svelte e muscolose degli uomini dimostrano in generale proporzioni europidi. Cosce e polpacci sono assai sviluppati. La struttura corporea della donna mostra una tendenza ad essere più tozza e molti osservatori hanno affermato una caratteristica assenza della piega che delimita, in basso, le natiche dalle gambe, che sono corte. Le anche sono piuttosto larghe. Il contorno della faccia è negli uomini piuttosto allungato, la fronte è larga e alta, un po' sfuggente. L'indice cefalieo è variabile. Il naso, piuttosto alto, ha una larghezza moderata e dorso prominente e diritto. Le alette non sono dilatate, ma carnose. La radice è prominente e piuttosto stretta. I malari sono prominenti in rari casi. La rima palpebrale ha il contorno dell'occhio europida; tuttavia a volte si rivela un comportamento mongoliforme nella posizione obliqua di essa, come anche nella presenza di una plica. Quasi una metà dei Polinesiani dovrebbero avere un accenno di questo carattere e nel 5% si presenterebbe pienamente. Le labbra sono un po' spesse, la bocca è grande, l'orecchio piccolo. Il colore della pelle, liscia e vellutata, è un caldo bruno chiaro, che talvolta va in toni chiarissimi; non mancano tonalità rossicce. La pelosità corporea è scarsa, al contrario la barba discreta, come le sopracciglia. La colorazione del capello, piuttosto grossolano, è bruno-scura, tuttavia si riscontra persino anche biondismo, naturalmente sporadico. Sembra tuttavia che nei bambini colorazioni più chiare siano frequenti. Nei Samoani prevarrebbe, secondo l'Eickstedt, la componente europida. Negli abitanti di altre isole, le altre due componenti, che egli ammette per la Polinesia, cioè la paleomongolida e la paleomelanesida, si manifesterebbero a volta a volta in proporzioni più sensibili. L'estensione geografica di questa razza è data approssimativamente dalla Polinesia.
Razza veddida. - Caratteristica di questa razza è lo strao-dinario infantilismo. Ne sono manifestazioni: la faccia liscia e rotondeggiante, il naso ottuso e ad alette dilatate, la bocca molle e piena, la breve, fuggente parte inferiore della faccia, col mento rotondo, le proporzioni corporee, gli occhi grandi, bene aperti. I Veddidi hanno, a ragione di questo infantilismo, una posizione analoga a quella dei Paleonegridi, per la cerchia negridica, dei Paleomongolidi per la mongolidica e possono perciò esser detti i Paleoeuropidi. La testa è lunga, la faccia piuttosto corta. Le membra dimostrano una non comune mobilità articolare. I seni femminili sono, in gioventù, ben formati, per lo più emisferici, piccoli e distanti l'uno dall'altro. L'Eickstedt distingue nei Veddidi due sottotipi: il Gondida e il Malida. Il primo è il gruppo più esteso ed ha la sua più forte concentrazione nelle stirpi Gond (onde il suo nome). In esso si trovano facce più lunghe, stature più alte, nasi meno larghi e più alti. Esso perciò può dirsi il gruppo progressivo. Il colore della pelle è, nei Gondidi, un bruno moderatamente chiaro, capelli a buccole, che nei Malidi diventano crespi. Al sottogruppo malida appartengono i Vedda propriamente detti. I Malidi posseggono una certa quantità di caratteri teromorficamente primitivi. Ad esempio le labbra sono spesso grosse ed esiste un po' di prognatismo. I Malidi inoltre sono molto più neri. Forma dei capelli più arricciata, colorito più scuro, labbra più grosse sono riferite dall'Eickstedt a un'antichissima miscela con un tipo negridico, ma nel risultato attuale, assai armonizzato, predomina l'elemento veddidico, cioè europida.
La razza veddida è stata respinta (e continua ad esserlo tuttora), dagl'Indidi, fuori delle zone alluvionali adatte ad ogni coltura, nelle zone di bosco e di monte. Ma molto sangue veddida è nelle vene degl'Indidi. I Gondidi occupano le terre montuose del Deccan. I Malidi, più meridionali, sono sul margine occidentale del Deccan.
Razza ainuida. - Il più singolare carattere raziale degli Ainuidi è senza dubbio la loro forte pelosità. Capigliatura folta e inanellata, barbe lunghe ondeggianti, pelosità abbondante sul petto e sulle gambe sorprendono nel confronto con i Mongolidi circostanti. La faccia è bassa, assai profilata, con parte frontale ben prominente, occhi incassati profondamente, naso largo e modicamente prominente, mandibola potente. Nella donna il mento è piuttosto sfuggente, aumentando così l'aspetto primitivo. Le influenze mongolidiche sono scarse. Una certa piattezza del viso potrebbe essere giudicata come un carattere primitivo. Ma essa può essere accompagnata da archi zigomatici divaricati e regione dei pomelli prominente. La plica mongolica è rarissima. Il complesso è fortemente europida e indica una diramazione assai remota dal tronco principale. Altri caratteri del gruppo sono: pelle bianca, opaca, talvolta rosea; occhi bruni, piccola statura (m. 1,58), con corporatura tozza, dolicocefalia; le labbra non sono spesse. Il naso ha sovente dorso concavo, specie nella donna e punta rivolta in su. L'estensione geografica della razza è nella parte meridionale di Sachalin, nell'isola di Yezo e nelle Kurili. Resti però di questa razza sono stati indicati in più luoghi circostanti, ed essa costituirebbe anche una componente dei Giapponesi, soprattutto nella parte settentrionale dell'Isola di Hondo.
Passando ora alla seconda grande razza incontriamo in primo luogo la:
Razzn etiopida. - È questa una forma di contatto fra il ramo negrida e l'europida. Essa sarebbe rappresentata meglio, cioè nel suo stato di armonizzazione più perfetta, dai Galla e Somali occidentali. Eccone i caratteri: statura altissima, ma con struttura robusta, e tuttavia forme svelte, viso lungo con naso bene rilevato e a dorso un po' convesso, mento ben formato. Le labbra un po' spesse e la capigliatura a onde molto strette sono caratteri negridici. Il torace è largo alle spalle, ma piuttosto stretto in basso. Mani e piedi piccoli, bacino piuttosto stretto. La muscolatura, sebbene vigorosa, è piuttosto sottile. La gamba è piuttosto lunga (carattere negridico). È rarissima la pinguedine. La testa è lunga, stretta, alta; la fronte stretta. Gli occhi sono grandi, neri. La pelle è scura, ma manifesta una tonalità rossiccia, che è opposta alla tonalità grigiastra del negro. I gruppi etnici della costa del Mar Rosso (dai Begia fino ai Somali orientali), sebhene appartenenti alla detta razza, hanno maggiore commistione di sangue orientalida, proveniente dalla sponda opposta; viceversa i gruppi più meridionali, come i Masai e gli Hima, hanno maggiore mescolanza di sangue negrida. Il territorio occupato da questa razza è l'altipiano abissinico e il tavolato della Somalia. Essa poi manda delle propaggini verso l'Uganda.
Razza nilotida. - Questa razza offrirebbe da una parte caratteri progressivi europidi, dall'altra tratti grossolani, negridi. Il naso ricorderebbe, secondo O. Reche, piuttosto il naso etiopida. L'apertura palpebrale è piuttosto bassa, sebbene lunga, il cranio è molto lungo, di aspetto piuttosto debole, con occipite molto prominente. Le alette nasali sono dilatate e separate con un solco netto, sia dalle guance, sia dalla punta del naso. Anche le labbra non sono estremamente spesse; l'orecchio è piccolo. Malgrado tutto ciò l'aspetto generale è assolutamente di Negro. La statura è altissima, accompagnata da magrezza, negli uomini specialmente. L'avambraccio è assai lungo, nell'arto inferiore entrambi i segmenti sono assai lunghi. La sproporzione delle membra, che è nei maschi, non esiste per lo più nelle femmine. In queste i seni sono emisferici, non della foggia caprina, come in altri Negri. Il bacino però è stretto sempre. Così pure sono di Negro la deficienza dei polpacci, il piede piatto. Il colore della pelle è nerissimo, il più nero di tutta l'umanità. La forma dei capelli, nerissimi anch'essi, è per lo più a "grano di pepe". La sclerotica dell'occhio, le labbra, anche all'interno, e perfino la lingua, si presentano pigmentate: questa però in punti isolati. L'Eickstedt ammette nella determinazione di questa razza una componente europida e una negrida, ma il grado della loro armonizzazione è fortissimo, perché di data assai remota. La distribuzione di questa razza corrisponderebbe sopra tutto alla regione paludosa dell'alto Nilo Bianco.
Razza bantuida. - Questo gruppo è meno bene delimitabile, trascorrendo esso per passaggi insensibili negli altri gruppi africani ed essendo stato il suo territorio, assai esteso, aperto a incursioni di altre forme. I Bantuidi possono dirsi un tipo d'insieme (come i Paleomongolidi e i Siberidi). La descrizione però di questa razza è data dall'Eickstedt come un primo saggio. In essa egli ammette un elemento passivo, d'origine paleonegrida e più localizzato nel nord dell'estensione del tipo, e un elemento attivo europida, più diffuso nell'est e sud-est e proveniente dalla regione abissino-somala. Il tipo bantuida per molti caratteri ha un'apparenza intermedia tra quello dei Nilotidi e quello dei Paleonegridi, ma non raggiunge la specializzazione dei Sudanidi. I Bantuidi hanno statura non estrema, membra più corte in proporzione e colore più chiaro che i Nilotidi; hanno naso più corto e viso più basso, ma non sono così massicci e non hanno il naso largo dei Paleonegridi. Gli uomini hanno spalle larghe, torace potente e forte muscolatura. La testa è lunga, piuttosto alta, l'occipite è mediocremente prominente. Le bozze frontali, evidenti, non sono molto approssimate l'una all'altra. Il viso negli uomini ha tendenza alla forma quadrangolare, nelle donne ha la forma rotondo-ovale. Il mento è profilato debolmente. La fessura palpebrale è piuttosto piccola. Anche il naso, sebbene diritto nel dorso, conferma l'impressione di scarsa profilatura del viso; la bocca è grande, ma le labbra modicamente cercinose. Nel tronco è frequente un certo grado di lordosi, cioè un'insellatura della regione lombare. Il colore della pelle è assai variabile, oscillando intorno a un bruno-scuro, moderatamente intenso. Barba, sopracciglia, pelosità corporea moderate. La forma dei capelli è a spirale piuttosto stretta. Il territorio centrale odierno di abitato coincide con l'estensione della zona della foresta asciutta sud-africana; quindi l'intero territorio non corrisponde a quello dell'estensione delle lingue bantu, perché queste sono diffuse anche nella zona delle foreste umide del Congo.
Razza sudanida. - La razza sudanida è caratterizzata prima di tutto dall'alta statura e dalla robusta struttura, da un naso estremamente largo, a nari dilatate, da labbra estremamente cercinose, da prognatismo e pelle scurissima, infine da dolicocefalia. Si tratta quindi di una specializzazione particolarissima nel senso negro, cioè dei più negroidi di tutti i Negridi. L'intervento di un elemento europida è certo, ma sicuramente non nella misura in cui avvenne per le due precedenti razze. Il cranio è lungo, stretto e alto, con occipite prominente. La fronte è verticale, ma assai stretta. La faccia è grande e piuttosto lunga. Siccome essa si restringe in basso, ne risulta una forma a losanga del contorno della faccia, vista dall'innanzi. La radice nasale e la regione glabellare sono piatte. Il dorso del naso è massiccio, basso e largo, ma diritto nel profilo. Le alette nasali sono assai dilatate.
È frequente, secondo il Weninger, una forma del naso detta "ad imbuto", che dà alla faccia un aspetto brutale. Nella donna sono frequenti i seni di foggia caprina. I polpacci sono, in entrambi i sessi, ben formati. Il bacino però è anche qui stretto. Il colore della pelle è sempre scurissimo, ma le mucose (labbra) non hanno quella pigmentazione intensa, che vedemmo nei Nilotidi.
Il capello è nero sempre e a spirale non molto piccola, onde la capigliatura a "grano di pepe" è piuttosto rara. Il territorio principale di distribuzione è nel Sudan centro-occidentale e cioè Senegambia, territorio del Niger e Nigeria. Il Sudan orientale dimostra un più intenso frazionamento etnico.
Razza paleonegrida. - Questa razza si distingue da tutte le altre negridiche per la sua mesocefalia. Il tronco è anche più lungo e gli arti inferiori più corti, essendo l'aspetto generale più massiccio. Le labbra sono meno spesse, il naso meno largo, il colore cutaneo più chiaro. La faccia negli uomini è grossolana e prognata. L'Eickstedt distingue, nella razza, due sottogruppi, uno, più esteso, congolese, l'altro meno esteso, guineano. Il primo sarebbe il più caratteristico e, tutto sommato, più grossolano e primitivo. La fronte è verticale e stretta. Il contorno della faccia angoloso e la faccia piuttosto bassa. La radice nasale è più o meno depressa, l'occhio sito piuttosto profondamente. Il dorso del naso è basso, la punta ottusa. La bocca è grossa, ma sia l'aspetto cercinoso, sia il prognatismo, non sono così forti come nei Sudanidi.
Il sottogruppo guineano manifesta soprattutto una certa dolicocefalia. Il tipo congolese si dimostra strettamente connesso con l'area della foresta primitiva e quindi con l'area pigmoide. Tuttavia, sebbene non siano esclusi contatti con i Pigmei, l'Eickstedt tende a non crederli essenziali per la produzione della razza.
La gamba è, più che l'avambraccio, lunga; mani e piedi sono gracili. Caratteristiche sono le mammelle nella donna, che tendono, con l'avanzare dell'età, ad essere delle pieghe cutanee triangolari, invece di avere la forma emisferica dei Nilotidi. La pelle è spessa e relativamente più chiara. Il capello è a spirale stretta, spesso a "grano di pepe", sempre nero e corto. La pelosità è più sensibile che presso tutte le altre razze negridiche. La distribuzione di questa razza si può indicare brevemente, dicendo che è quella della foresta equatoriale umida.
Razza indomelanida. - Pelle assai scura, fino al nero, capelli fortemente ondulati, ma senza variazioni in un senso o nell'altro. La faccia è ad angoli retti, piuttosto bassa, a mandibola larga. La parte frontale, verticale, è portata fortemente all'innanzi e giace perciò avanti alla radice nasale, che è stretta, ma non molto prominente. Il dorso del naso, diritto, è invece più prominente e la parte inferiore è modicamente larga. Il mento, sebbene debole, non è sfuggente. La rima boccale è larga, le labbra piene. La statura media, la testa lunga e le forme dell'apertura palpebrale potrebbero esser dette europidi. Così si arriva alla conclusione paradossale, dice l'Eickstedt, che questa razza si potrebbe attribuire al ramo europida, se non fosse nera. Secondo l'Eickstedt, negrida in questo tipo umano sarebbe il colore della pelle, intermedî la forma del contorno del naso, le labbra, il mento, la forma del capello; europidi il taglio della faccia, il dorso del naso. A ragione della forte progressività dei caratteri melanidi, l'Eickstedt crede che questa razza vada più strettamente riattaccata alla melanesida. La distribuzione geografica di essa è in due zone. L'una è nell'angolo orientale del triangolo formato dall'altipiano del Deccan, l'altra è nel sud-est della Penisola Indiana. Appartengono alla prima zona, detta dall'Eickstedt Kolida, i Santal e gli Ho. Questo gruppo però sarebbe, secondo l'Eickstedt, alquanto mongolizzato. La zona meridionale sarebbe soprattutto occupata dai Tamil.
Razza melanesida. - I Melanesidi hanno pelle molto scura, statura piuttosto alta, testa allungata, con i capelli a spirale larga e piuttosto corti, eon il viso lunghetto, il naso prominente, ma nello stesso tempo largo e spesso a dorso curvo.
L'Eickstedt ritiene che questo tipo umano sia il pendant dell'etiopida e, come quello, sia una forma di contatto fra il ramo negrida e l'europida. È frequente la presenza di un naso semitoide o a forma di 6. Le estremità sono piuttosto lunghe, grossolani e ossuti mani e piedi. La vòlta del piede è poco formata. Vi è scarso dimorfismo sessuale, in guisa che viaggiatori riferiscono che spesso, visti dalle spalle, si scambiano gli uomini con le donne. Il pene, al contrario che nei Negri, è piuttosto piccolo, e la maturità sessuale, al contrario di ciò che ci si aspetterebbe, dato il clima, è più tardiva che negli Europei del nord. Nel colorito della pelle, vi è spesso un tono rossiccio, e nel rossiccio dà talvolta la capigliatura; in certi gruppi queste colorazioni s'incontrano con forte frequenza, onde spesso si è parlato di Papuani biondi. La distribuzione dei Melanesidi è quasi limitata alla Nuova Guinea.
Razza paleomelanesida. - Queta razza ha pelle scura e capello a spirale; è di media statura e di corporatura piuttosto massiccia, con testa grande e brutale, con una faccia ovale corta, sulla quale sporge poco un naso carnoso e largo. Occhi piccoli, profondamente incassati sotto la fronte. L'Eickstedt ritiene che dei due elementi esistenti nei Melanesidi, i Paleomelanesidi rappresentino meglio quello inferiore, occupando così una posizione perfettamente analoga a quella del Paleonegrida nell'Africa. Solo che in quest'ultimo la primitività è prevalentemente di tipo infantile, mentre nel Paleomelanesida è di tipo teriomorfo. La fronte però non è affatto primitiva, ma alta, larga, piuttosto verticale. I cercini sopraorbitarî sono piuttosto pronunciati, secondo l'Eiekstedt. Il dorso nasale è per lo più concavo, talvolta diritto; le alette nasali non sono separate dalla punta del naso; la bocca, sebbene carnosa, non è cercinosa. Malgrado l'aspetto massiccio, l'arto inferiore non è corto; l'arto superiore è lungo. Alcuni autori pongono in rilievo che queste genti camminano con il tronco inclinato verso l'innanzi, come incapaci di completa stazione eretta, ma ciò è poco ammissibile. La barba è piuttosto forte, e anche la pelosità corporea è discreta. La distribuzione dei Paleomelanesidi è negli arcipelaghi della cosiddetta Melanesia.
Un gruppo meridionale di essi era rappresentato dai Tasmaniani, ora scomparsi.
Razza pigmida. - Partendo dalle due constatazioni che tutte le forme certamente pigmee (con medie di statura sotto 1,50) si presentano nella zona di distribuzione, passata o presente, della cerchia di razze negridi e che la loro morfologia è più o meno negridica, l'Eickstedt pensa che tutti i Pigmei appartengano a una stessa cerchia di forme, a una forma d'insieme, che, per il momento, si può chiamare razza pigmida. I caratteri di essa sono: statura piccola, capigliatura crespa, pelle assai scura, forte lordosi lombare, labbra mediocremente spesse, quello superiore convesso, lobulo dell'orecchio sessile e una serie di caratteri primitivi infantili, come: fronte verticale, mento poco pronunciato, punta del naso rotonda, alette nasali dilatate. Questo tipo è diviso dall'Eickstedt in due sottorazze, i Pigmidi africani, o Bambutidi, e i Pigmidi asiatici o Negritos. Il tipo a piccola statura delle montagne della Melanesia (il cosiddetto Bergtypus) non è introdotto nella razza pigmida, ma è solo una variante del tipo a statura più alta. I Bambutidi hanno testa relativamente grossa; tronco piuttosto lungo; arti inferiori corti, ciò che l'Eickstedt pone in rapporto con la dimora nelle foreste; fronte bassa e verticale, forte distanza fra gli angoli della mandibola. Il naso è il più grosso e grossolano dell'umanità (in contrasto con quello dei Pigmidi asiatici). Il suo indice raggiunge medie di 112 (con l'antica tecnica però). Radice stretta e base larghissima dànno un contorno nasale a triangolo equilatero. Le labbra non sono affatto negridi e non esiste neppure forte prognatismo; la bocca è larga; gli occhi grandi e brillanti sono piuttosto ravvicinati; il collo è corto, il tronco largo anche alla cintola; avambraccio e gamba sono sottili; l'arto superiore lungo, scimmiesco; la lordosi lombare è forte; la capigliatura è a "grano di pepe"; la barba è più forte che presso tutti i Negridi e i Negritos. La colorazione della pelle è raramente affatto nera, per lo più bruniccia; una peluria ricopre l'intiero corpo. I Bambutidi furono divisi da L. Poutrin in tre gruppi: occidentali, orientali e centrali. Gli orientali sono i più primitivi. I Pigmidi asiatici sono divisi dall'Eiekstedt nei tre gruppi tradizionali degli Andamanesi, Semang e Aeta. Essi si distinguono dagli Africani per una minore lunghezza del tronco, per la testa meno grossa e per i lineamenti facciali assai più fini. Fra essi, più puri si sono conservati gli Andamanesi, di cui ecco i principali caratteri: il corpo è muscoloso, ma agile nello stesso tempo e magnificamente proporzionato, malgrado la piccolezza (statura 147 cm. in media nei maschi, 138,5 nelle femmine). Hanno testa piuttosto corta (indice 81-83); la faccia è mediocremente alta; il naso ben rilevato e modicamente largo, medio-alto, con punta ottusa. Sono scarsi i caratteri di primitività; la pelle è nera, i capelli a spirale stretta. Il tipo delle Filippine sarebbe più grossolano.
Razza australida. - L'Australida è alto, magro, a gambe lunghe, a colore della pelle scuro, a capigliatura ricca e inanellata. Da una fronte bassa, piatta e sfuggente sporge una prominenza trasversale sopraorbitaria (toro sopraorbitale) che copre gli occhi scuri e brillanti. La parte inferiore della faccia è prognata, e anche la mandibola, possente, è a mento sfuggente e talvolta sporge a foggia di un vero muso. Così i caratteri teriomorfi del cranio cerebrale e del cranio facciale si riuniscono per determinare un tipo selvaggio e arcaico. Nella parte mediana del viso però il teriomorfismo non è forte. La regione malare è come nell'Europeo, il dorso nasale è persino salientissimo, per lo più diritto, non raramente convesso e in molti casi la punta del naso non è ottusa. Sicché, quando la barba copre la parte mediana e inferiore del viso, il profilo australiano dà all'ingrosso un'impressione di Europida. Ma il naso è insieme assai largo e, contrariamente a quello dei Melanesiani, largo anche nella sua parte mediana. Le alette sono dilatate, e un profondo solco nasolabiale aumenta l'aspetto bestiale. Giustamente H. Klaatsch rilevò che la faccia australiana riunisce tratti europei e antropoidici. Nelle donne spesso i caratteri teriomorfici sono più evidenti, soprattutto per l'assenza della barba, che nel maschio li dissimula. Il cranio è stretto, lungo, alto e possiede un notevole spessore e forte resistenza. Lo sviluppo della muscolatura è piuttosto scarso, l'adipe assente, lo scheletro piuttosto gracile. I polpacci sono piccoli e altrettanto le natiche. Le spalle sono strette, ad angolo e site in alto; il bacino stretto. La colonna vertebrale gode di una straordinaria pieghevolezza. I piedi sono stretti e lunghi, spesso alquanto prensili, cioè con alluce un po' opponibile. Il tronco è relativamente corto e gli arti inferiori molto lunghi. Il capello è frequentissimamente inanellato, ma è molto variabile, presentandosi tanto forme lanose, quanto forme quasi lisce. La pelosità corporea è sempre assai forte. La pelle dimostra un colore bruno scuro, come i capelli. Ma questi nel neonato sono, come la peluria che lo ricopre, spesso chiari.
Passando ora alla trattazione della terza cerchia di razze, incontriamo in primo luogo la:
Razza sibirida. - È caratterizzata da piccola statura e da scarsa manifestazione di caratteri mongolidi. Non si riscontrano perciò vere e proprie pliche mongoliche, né obliquità degli occhi. La piega di copertura è invece spesso presente ed è presente la ristrettezza della rima. L'impressione di piatto che fa il viso dipenderebbe, secondo l'Eiekstedt, da una forte distanza interoculare e da una forte divaricazione degli zigomi. Il naso è ordinariamente mesorrino a dorso rilevato, talvolta concavo, con la punta rivolta in su. Sono presenti però diversi tratti nord-europidi, come il colorito azzurro o grigio degli occhi (persino nel 35% dei casi in molti gruppi occidentali), capigliatura ondulata e bruna, talvolta con toni rossicci, nella barba specialmente. Mancano veri caratteri primitivi. Il tronco è lungo, le spalle larghe. Le differenze che passano tra Sibiridi orientali e oecidentali vengono da autori diversi attribuite a miscele con le razze prossime. L'Eickstedt riconosce la giustezza della divisione di G. Montandon in tre sottogruppi: uno mongolo-sibirida, centrale; uno europeo-sibirida, occidentale, e uno amerindo-sibirida, orientale. Ma a parte questi contatti, l'Eickstedt ritiene che una compartecipazione di protonordici e di antichi elementi mongolidici abbia determinato questa forma, prima dei contatti presumibili. Egli distingue un'ala occidentale, che conduce a poco a poco alla sua razza europida-orientale ed un'ala orientale, che porta agli Ainuidi e che eontiene inclusioni eschimidiche. L'enorme spazio compreso fra l'una e l'altra ala del tipo è abitato da genti appartenenti alla razza tungida e parlanti o tunguso o jakuto.
Razza tungida. - Caratterizzano questa razza: forte brachicefalia; statura media e alquanto tarchiata; capigliatura nera e rigida; pelosità scarsa sulla faccia e sul corpo; tonalità gialla della pelle pallida; viso largo e piatto, con orecchie piuttosto staccate. Ciò si unisce a una plica mongolica fortemente pronunciata, una rima sempre stretta, con un angolo esterno assai affilato. Al contrario non si trova mai quella posizione obliqua degli occhi, che è così tipica per alcuni Sud-mongolidi (Paleomongolidi). Le sopracciglia sono situate in alto. I due malari, portati assai all'esterno, presentano un angolo assai accentuato con le parti laterali della faccia. La piattezza del viso è aumentata dalla scarsa prominenza della radice nasale e da una certa superficialità del globo oculare. Malgrado la scarsa salienza della radice, il naso, nella sua parte mediana e inferiore, è mediocremente prominente e con la punta un po' rialzata; il dorso nasale è diritto e solo qualche volta concavo; le labbra sono un po' più piene che negli Europei. L'Eickstedt distingue tre gruppi di Tungidi: il primo, il più specializzato, dei Ghiliaki e Aleuti; il secondo dei Mongoli proprî, Buriati e Calmucchi; il terzo dei Manciù e Tungusi. La distribuzione del tipo risulta abbastanza da questa divisione.
Razza sinida. - I caratteri mongolici della razza sinida sono indeboliti tutti; così la strettezza della rima palpebrale, la piattezza della faccia, la brachicefalia (che l'Eickstedt pone ancora fra i mongolismi), la statura tozza e la grossolanità angolosa della faccia. Il Sinida è relativamente alto e svelto, con membra lunghe, con testa alquanto lunga e faccia piuttosto stretta; i malari sono molto meno prominenti ed angolati che nei Tungidi, anche la plica mongolica è molto meno accentuata e il dorso nasale è di media prominenza e stretto. La punta del naso è però alquanto ottusa, le alette un po' dilatate. Il mento è meno ben formato che presso i Tungidi. Le labbra sono piuttosto sottili, le sopracciglia site più in basso. Il colore della pelle nei Sinidi è di un giallo-bruniccio chiaro. Sono rare le guance rosee. Le piu antiche popolazioni della Cina, di razza paleomongolida, sono più scure. I capelli dei Sinidi sono rigidi, neri, a sezione rotonda. La specializzazione dei Sinidi, in confronto dei Tungidi, andrebbe nel senso europida. L'estensione geografica della razza corrisponde all'ingrosso a quella della Cina, salvo che nelle parti meridionali di essa, dove è presente la razza paleomongolida.
Razza paleomongolida. - Una moderata primitività caratterizza questa razza; vale a dire, da una parte, la presenza d'infantilismi, dall'altra la mancanza di caratteri di specializzazione. Questo tipo, col persistere in stadî filogenetici più antichi, avrebbe conservato potenzialità di differenziazioni diverse. Non si presenta né la plica mongolica dei Mongolidi, né il naso bene rilevato degli Europidi. La statura è piccola, talvolta massiccia. Il cranio è modicamente corto, la capigliatura bruno-nera, liscia, non rigida. Il viso è basso ed essendo anche la larghezza bigoniaca piuttosto sensibile, la faccia ha una forma rettangolare arrotondata. Il naso è mesorrino, con dorso piuttosto basso; alette dilatate e punta rialzata sono frequenti. La plica palpebrale è piuttosto stretta ed è presente una pesante piega di copertura. Mancano i malari piatti ed angolati dei Tungidi. La bocca, dalle labbra piene, è portata all'innanzi leggermente; il profilo del mento è un po' sfuggente. Nella donna i caratteri di primitività si rafforzano. Il viso diviene quasi rotondo, le labbra sono piegate verso il basso (bocca infantile), il mento è più sfuggente, il dorso del naso quasi evanescente. Il colore della pelle è un bruno chiaro, con una lieve tonalità nel giallo. Il principale territorio occupato dai Paleomongolidi si estende sui monti boscosi tropicali dell'Asia del sud-est, quindi nella Birmania settentrionale e nella Cina meridionale. Più verso il sud, questo tipo sarebbe mescolato col veddida e formerebbe così le popolazioni dell'India Posteriore e dell'Indonesia, con formazione di tipi locali. Più a oriente (Timor e Molucche) intervengono influenze melanidiche. Al nord, influenze paleomongolidiche passano dalle Filippine a Formosa, alle Ryū-kyū, al Giappone, dove la razza paleomongolida forma il fondo della popolazione, soprattutto di tipo morfologico basso (Satsuma). Ad occidente la razza paleomongolida occuperebbe anche il Tibet.
Razza silvida. - La razza silvida abbraccia gl'Indiani dei boschi canadesi e delle praterie del Nord. L'Eickstedt afferma che questa è la razza meno conosciuta di tutta l'umanità. Solo gl'Indiani Sioux sono noti a sufficienza. I Silvidi hanno figure alte, pesanti, con facce grandi, piatte, a vertice del cranio piuttosto depresso. Occhi piccoli e piuttosto stretti. L'impressione mongolica che producono è indebolita da un naso grande, prominente e spesso convesso. Da questa riunione si comprende come l'attribuzione raziale sia stata e sia assai diversa da autore ad autore. La testa, grossa, è mesocefalica; la fronte piuttosto bassa e sfuggente; i cercini sopraorbitarî sono modici e, mentre la radice nasale è anche moderatamente saliente, il naso è, in basso, assai prominente e grosso alla punta. Le alette nasali però non sono dilatate. Le pieghe nasolabiali sono fortissime e contribuiscono in misura forte a caratterizzare la faccia del Silvida. Anche il mento forte e quadrato contribuisce insieme con i caratteri suddetti a dare al volto un aspetto di grande energia. La piega marginale è presente nei bimbi e nelle donne giovani, ma per lo più scompare con l'età. I malari non sono soltanto divaricati, ma anche alti, prominenti verso l'innanzi e piatti, in guisa che una sezione orizzontale della faccia non ha la forma appuntita del tipo europeo. La bocca è grande; le labbra mediocremente o poco spesse; le orecchie grandi. Rispetto alle proporzioni, il tronco è piuttosto corto, ma largo, e gli arti lunghi. La struttura ossea è grossolana, anche nella donna. I capelli raggiungono spesso una considerevole lunghezza; sono neri, fini e lisci, anzi rigidi. La pelle è bruniccia-chiara. La denominazione di Pellirosse proviene dal fatto che i primi Indiani portati in Europa si colorivano in rosso per il loro costume guerresco. La maggior parte del territorio silvida è occupato dagl'Indiani, appartenenti alle famiglie linguistiche algonchina, sioux e irochese, oltre ai Na-dené centro-orientali.
Razza pacifida. - Struttura forte, tarchiata, unita a statura medioalta, caratteri però non così accentuati come nella razza silvida. Testa grossa e corta; il viso è assai largo e lievemente rettangolare nel contorno; ha la parte inferiore massiccia e potente; i malari solo moderatamente sollevati. Il naso diritto e il colorito non raramente chiaro, quasi come nei nord-europei, dànno spesso un abito affatto europide a questa razza. Fronte alta, larga, un po' inclinata; cercini sopraorbitarî sviluppati; occhi piccoli, ma plica mongolica assente. La forma del naso è diversa da quella europea soltanto per un dorso alquanto più largo, una base più larga e una punta più rotonda. Il rilievo del dorso nasale sulla faccia è considerevole, già nella regione della radice; il dorso è per lo più diritto; mancano i nasi aquilini dei Silvidi. Labbra sottili; bocca grande; mento potente, duro, senza essere molto prominente; pieghe nasolabiali assai accentuate. Il tronco è corto e tarchiato, le braccia lunghe. La capigliatura è bruno-scura, solo talvolta con una tendenza a toni chiari, fine e per lo più un po' ondulata. Sopracciglia e pelosità pubica sono forti, ma la barba è scarsissima; il colore della pelle è bruno-chiaro; specialmente chiari hanno fama di essere i Kwakiutl. Nelle stirpi settentrionali (Tlingit, Tsimshian) il cranio è basso, i malari più prominenti, il naso più piatto, la pelle gialliccia, la plica marginale è presente spesso, dimostrando così una componente mongolidica più intensa. Le stirpi centrali (Kwakiutl, Nutka) e le Salish sono, di tipo, europidi. Verso il sud, il colorito chiaro e gli altri caratteri scompaiono con l'affacciarsi del tipo margida. L'estensione principale di questo tipo abbraccia tutta la costa del Pacifico, al di sopra di 40° lat. N. e molto del retroterra, in guisa che tutta l'Alasca è occupata da esso.
Razza margida. - Nel tipo dei Margidi mancano la forza e la durezza dei Pacifidi e Silvidi; tutti i tratti appaiono dilavati e uguagliati, ma non perciò più fini, come nei Centralidi. Con una pronunciata dolicocefalia e piccolezza del cranio, si unisce una faccia piuttosto bassa, con forti cercini sopraorbitarî, naso piuttosto largo e pure prominente, statura bassa. La fronte è bassa e sfuggente, sebbene il contorno del cranio, nella norma laterale, sia alto. Gli occhi sono piccoli, ma affatto europidiformi; anche la prominenza dei malari è piccola, ma la loro divaricazione è sensibile. La radice del naso giace profonda, sotto la fronte prominente; il dorso nasale è diritto o persino concavo e mediocremente rilevato; la punta del naso tende all'ottusità e le alette sono un po' dilatate. Le labbra, moderatamente spesse, appaiono molli; il mento, poco formato, è talvolta sfuggente. Si manifestano così in questa razza una quantità di caratteri primitivi, che nell'America Settentrionale in genere non si riscontrano. Esiste però, secondo l'Eickstedt, un sottotipo, sonoriano, ad alta statura, che si presenterebbe anche nella Florida. Questo sottotipo sarebbe più progressivo. Assai scuro è il colore della pelle e quello dei capelli, che sono neri, lunghi, lisci; la pelosità corporea è scarsa. La razza margida è diffusa in tutta la California, compresa la penisola dello stesso nome, la regione sonoriana, fino alla Sierra Madre del Messico. Altri frammenti sono sul versante atlantico ed altri più a sud nell'America Centrale, come all'opposto, al nord, nel Grande Bacino delle Montagne Rocciose.
Razza centralida. - Questa razza è estremamente brachicefalica, a statura medio-piccola, assai più scura degl'Indiani del Nord, più gracile, ma anche a tratti più fini e più regolari. La larghezza della faccia non è forte e i malari sono meno prominenti; il naso è diritto o convesso; la fronte è alta, diritta e verticale; i cercini sopraorbitarî poco prominenti. Sebbene gli occhi siano qualche volta obliqui, la rima è raramente stretta e la plica mongolica è assente. Il tipo complessivo perciò appare assai europidico. Nelle labbra non è infrequente un contorno rilevato. Le parti superiori e medie del naso sono spesso piuttosto larghette, e il naso non presenta mai la forma dei Silvidi. In alcuni gruppi del Messico meridionale (Huave, Chinanteco) s'incontrano nasi lunghi e finemente incurvati. Il viso ha spesso un contorno ad angoli retti, anziché essere ovale, e spesso la fronte stretta e alta dà ad esso un che di sproporzionato e insolito. La curporatura è piuttosto tozza. La larghezza delle spalle e delle anche è grande, il torace è ampio. Malgrado la statura piuttosto bassa, il tronco non è lungo. Gli occhi sono bruno-scuri e brillanti; i capelli neri e lisci, ma con tendenza a formazione di onde lunghe. Barba e pelosità corporea sono scarse; il colore della pelle è straordinariamente variabile e mostra diversità nei gruppi della stessa stirpe, abitanti l'altipiano o le terre basse. La diffusione di questo tipo va dall'oriente degli Stati Uniti, col gruppo dei Muskogi, verso occidente nei Pueblos e nei Caddo, passando al Messico, dove gli appartengono i Chichimeco, i Pima, i Nhkua e quindi, negli altri stati dell'America Centrale, altri gruppi noti, come i Maya, i Mixtec, ecc.
Razza andida. - La razza andida è prossima alla centralida, ma non ne ha i lineamenti fini. Si notano in essa un naso lungo, spesso ricurvo e sporgente abbastanza dal viso; malari fortemente prominenti. La parte superiore della faccia è caratterizzata da una fronte relativamente bassa, mentre il vertice del cranio è elevato. I cercini sopraorbitarî non sono forti; gli occhi, piuttosto piccoli e non molto profondi, sono del tipo che O. Aichel chiamò indianida, cioè privo di plica marginale, ma in cui il margine della palpebra superiore, più diritto che nell'occhio europeo, copre la caruncola. La bocca è piuttosto larga; ma le labbra sono sottili, il mento è buono, non mai alto. Il contorno della faccia, piuttosto grande, è ovale; gli orecchi sono grandi, stretti e impiantati obliquamente. La struttura corporea degli Andidi è piuttosto massiccia, la statura piccola, il collo corto, il torace ampio, spalle e anche larghe in entrambi i sessi. Il tronco è lungo e lunghe sono pure le braccia, mentre l'arto inferiore, sopra tutto nelle gambe, è corto; i polpacci sono fortemente sviluppati; le caviglie poco bene disegnate. La forza muscolare è piuttosto piccola. Gli individui di questa razza pare abbiano un'esistenza di durata piuttosto lunga. Il colore della pelle è negli abitanti dell'altipiano olivastro-bruniccio, in quelli delle valli più chiaro. Iridi bruno-scure; eapigliatura rigida e lunga, nera; pelosità nulla. Il territorio occupato da questo tipo è indicato dal suo nome, tuttavia esso nel nord (Colombia) s'ingrana col tipo centralida.
Razza brasilida. - La statura media nei maschi è piccola. Testa mesocefalica; viso ovale di media lunghezza; fronte mediocremente alta, diritta, piuttosto larga; cercini sopraorbitarî scarsamente pronunciati; malari poco prominenti. La rima palpebrale non è molto grande e mostra, in molti gruppi, piuttosto un aspetto europida. La plica mongolica si presenta raramente e solo nei giovani di certi tipi locali. Questa formazione di tipi locali è frequente. Il naso nei Brasilidi è di media altezza; radice e dorso sono discretamente rilevati, ma già insieme un po' larghi; le narici sono leggermente dilatate; la punta del naso dimostra un certo arrotondamento. Le labbra sono un poco più piene che non nei Mediterranidi e il mento, modicamente grande, è arrotondato e lievemente sfuggente all'indietro. L'Eickstedt sintetizza il suo giudizio dicendo che il tipo brasilida è una forma di passaggio europida-mongolida, di più forte somiglianza europida, tuttavia, e con alcuni accenni d'infantilismo. La struttura corporea è fortissima, spalle larghe, torace largo e profondo, tronco lungo, muscolatura fortemente sviluppata, l'arto anteriore è più lungo; la gamba sottile, più che negli Europei. È caratteristica una discreta insellatura lombare, per cui il ventre si spinge all'innanzi, le natiche all'indietro. Queste sono molto piccole. Il tipo non presenta sensibile restringimento del tronco alla cintola. Il colore della pelle si dimostra di un caldo bruniccio-giallo, che prende una sfumatura rossiccia nelle zone della cute più chiare. I Brasilidi ed i Lagidi hanno, tra tutti gl'Indianidi, il tono più giallo e più chiaro della pelle; gli Andidi e i Pampidi sono più scuri di essi, ma dobbiamo anche ricordare che gli abitatori delle savane sono più scuri di quelli dei boschi. La capigliatura è liscia in genere, ma nei Caribi del Nord prevalgono persino forme ondate. La pelosità corporea è scarsissima. Lo stesso vale per la barba. La molteplicità dei tipi all'interno di questa razza si riferisce anche al lato psichico. In quanto al territorio su cui si estende, si può dire che essa occupa all'incirca i bacini delle Amazzoni (fatta eccezione dell'Araguaya) e dell'Orinoco, inoltre le Antille e una bordura atlantica, intorno all'abitato della razza lagida (Tupi).
Razza lagida. - Il nome di questa razza deriva da Lagoa Santa, località della provincia Minas Geraes, nel Brasile, dove furono trovati alcuni cianî e ossa subfossili, che diedero luogo alla creazione di una cosiddetta razza di Lagoa Santa, più o meno imparentata con gli abitatori dell'altipiano orientale del Brasile (compresi i bacini dell'Araguaya e del S. Francisco) e del bacino superiore del Paraná. La faccia è primitiva e grossolana, con cercini sopraorbitarî forti, larghezza bizigomatica forte. Il cranio è lungo; la rima palpebrale è stretta e lunga; il dorso nasale è meno rilevato che nei Brasilidi e trapassa nella regione dei malari, che è piena e prominente. Il naso, di solito diritto, è talvolta concavo e con punta all'insù. Le alette nasali sono carnose e un po' dilatate. Il vertice del capo è sempre alto, il contorno del viso piuttosto squadrato. Bocca grossa, labbra piene. Il mento è basso, grosso, talvolta sfuggente. La statura sembra essere alquanto maggiore che nei Brasilidi. Per quanto i documenti positivi scarseggino, la struttura corporea sembrerebbe più slanciata che nei Brasilidi, braccia e gambe però sarebbero assai più muscolose. Negli uomini si riscontrerebbe un forte sviluppo dei pettorali, come nei Paleonegridi. La muscolatura della nuca e del tronco è straordinariamente forte. Il colore della pelle è un bruno-giallo chiaro. I capelli sono lisci, ma interviene quasi sempre una leggiera ondatura, quando sono fatti crescere; hanno colore nero. La pelosità corporea e la barba sono scarse.
Lo stanziamento principale della razza lagida è costituito dal territorio poc'anzi indicato. Occorre però osservare che la costa atlantica presenta una bordura brasilida (Tupi). Ma resti lagidi si trovano, secondo l'Eickstedt, in molti altri luoghi dell'interno del Brasile, come, ad esempio, nel Matto Grosso e nell'estrema punta dell'America Meridionale, nella Terra del Fuoco, presso gli Alakaluf.
Razza pampida. - La fronte è piena, bassa e larga; i cercini sopraorbitarî bene sviluppati; la rima palpebrale piccola, stretta e allungata. La larghezza bizigomatica e la bigoniaca sono forti, onde la faccia è angolosa. La bocca è larga; il naso è, in contrasto, poco largo. Così nella faccia, piatta, rimane un grande spazio per i pomelli alti e prominenti, i quali dànno alla faccia pampida l'impressione di massiccia e piatta. Il naso diritto o convesso, di altezza media, non può dirsi poco rilevato, mento e faccia inferiore sono potenti. Le labbra sono, in entrambi i sessi, spesse e piene. A una statura medio-forte (di 174 cm. nei maschi) si unisce una larghezza delle spalle assai sensibile, un torace ampio e un collo grosso e muscoloso, in guisa che la figura è atletica. L'avambraccio e la gamba sono relativamente lunghi, le differenze sessuali non sono molto pronunciate nei lineamenti fisionomici, bensì nella statura. Il colore della pelle è un bruno-olivastro, come negli Andidi, ma mancano i toni rossastri. I capelli sono neri, lunghi, spessi, lisci; la barba e la pelosità corporea sono scarse.
Questa razza occupa le steppe asciutte e le zone erbose del Chaco, delle Pampas e della Patagonia. Il tipo dei Patagoni la rappresenta bene.
Razza eschimida. - Testa assai grossa, talvolta sproporzionata, lunga e alta, sopra un corpo piuttosto tarchiato o tozzo. Anche la parte facciale è non soltanto assai larga, ma anche assai lunga. Oltre a questi caratteri, più propriamente specifici, si ha posizione anteriore dei malari rima palpebrale stretta e tono gialliccio della pelle, caratteri questi dei Mongolidi. Inoltre si ha: dorso nasale piuttosto prominente, rilievo facciale discreto, colorito roseo delle guance, caratteri questi degli Europidi, ai quali gli Eschimidi somigliano anche per la forma dell'angolo dell'occhio. Si deve perciò considerare, dice l'Eickstedt, questa razza come una forma di contatto europi da-mongolida, di alta specializzazione e quindi di grande antichità. Il cranio ha un'elevazione mediana e sagittale, una cresta si potrebbe dire, in modo che il contorno della testa, superiormente, è a tetto. La plica mongolica si trova solo talvolta; più frequente è la posizione obliqua della rima, infine la strettezza di essa è sempre presente. La strettezza della rima è aumentata dall'abitudine di contrarre le palpebre, per ripararsi dai riflessi della luce sui campi di neve. Le sopracciglia sono molto abbondanti e assai elevate, in guisa che fra esse e il margine libero palpebrale è un forte spazio pianeggiante. Sotto gli archi zigomatici, divaricati fortemente, appare un potente muscolo massetere. Le labbra, rosse, sono piuttosto spesse. Esiste una certa profatnia. Gli angoli mandibolari sono fortemente distanziati; il mento, mediocremente profilato, è verticale. La grossolanità del viso, perciò, proviene soprattutto dalla forte distanza bizigomatica e bigoniaca e dallo sviluppo del massetere. La differenza sessuale è spesso piccola nella fisionomia. La statura va da m. 1,58 a 1,66, passando dai gruppi orientali a quelli occidentali (Alasca), e l'indice cefalico va da 72 a 79. Il tronco è lungo e gli arti brevi, soprattutto le cosce. Mani e piedi corti e straordinariamente piccoli. Torace grande, a muscolatura forte. Non vi è tendenza all'adiposità. Il colore della pelle è più chiaro che negl'Indianidi che abitano più a sud, ma è sempre piuttosto forte, per un gruppo vivente in regioni polari. La tonalità oscilla fra il giallo-bruno e il bruno-rossiccio. Le guance, rosee, nei fanciulli sono addirittura rosso vivo. L'espressione generale è piuttosto piacevole. L'occhio è bruno. Il capello è per lo più rigido, occasionalmente dimostra onde larghe; è brillante, nero, corto. Barba e pelosità scarse. L'estensione geografica del tipo è dall'Alasca alla Groenlandia orientale, lungo le coste dell'America Settentrionale e delle numerose isole vicine.
Razza khoisanida. - L'Eickstedt descrive innanzi tutto il sottogruppo dei San. Questi hanno figure piccole, magre e di un colore giallo pallido, con testa grossa, meso-brachicefalica e viso estremamente piatto, con rima palpebrale stretta. La fronte larga, bassa, verticale, e contemporaneamente la forte larghezza bigoniaca, unite a un mento sfuggente, fanno sì che il contorno della faccia, dall'innanzi, sia quadrangolare. La palpebra superiore, ricca di tessuto adiposo, forma una piega di copertura assai notevole. Accanto a questa, si trova anche assai spesso all'angolo interno dell'occhio una vera e propria piega mongolica. L'obliquità della rima si trova solo in certi tipi locali. I malari, angolati, sporgono bene verso l'innanzi e la radice nasale presenta il massimo grado di appiattimento, che si riscontri nell'umanità. La punta del naso sporge dalla faccia, appiattita, come un bottone rivolto all'insù; la bocca, di media grandezza e piena, sporge, come una sorta di corta proboscide, verso l'innanzi, ma non è cercinosa come nei Negridi. Il prognatismo è soltanto alveolare. L'orecchio è specifico: piccolo, corto e largo, privo di lobulo, con elice fortemente accartocciato. La statura è in media di 145 cm. ed è press'a poco uguale per maschi e femmine. Il tronco lungo, le gambe corte, la testa grossa costituiscono caratteri d'infantilismo. È anche tale la posizione orizzontale e la piccolezza del pene, come la posizione rivolta verso l'innanzi della rima pudendi nella femmina. Ma ancora più caratteristica è la lunghezza delle piccole labbra. La lordosi lombare è la più forte che si riscontri nell'umanità. Il sacro è disposto quasi orizzontalmente anche nei maschi, onde, già per questi due caratteri, le natiche sporgerebbero fortemente all'indietro, ma la loro sporgenza è ancora aumentata dalla presenza della steatopigia, che è un accumulo di grasso, localizzato nelle natiche e nella parte superiore esterna delle cosce. Il ventre è spesso enorme, a causa di un'irregolare alimentazione in cui periodi di fame si alternano con periodi di enorme introduzione di cibo. I seni femminili sono conici, lunghi, siti piuttosto in alto. Mani e piedi sono piccoli, stretti: i piedi, a buona vòlta (v. scheletro). Il colore della pelle è relativamente chiaro, cioè di poco più scuro di quello degli Europei del sud. La tonalità è giallastra. La pelle ha, già nei soggetti giovanili, forte tendenza a formare grinze. Il capello è nero, fino e fortemente crespo, corto (15 mm.) e riunito a batuffoli, cioè a "grano di pepe". Il sottogruppo dei Khoin differisce da quello dei San per questi caratteri: statura più alta, quasi media, viso lungo, con mento aguzzo e avente quindi, visto dall'innanzi, un contorno a losanga, dolicocefalia, mancanza di proporzioni infantili, assenza dell'orecchio boscimano. Queste differenze non sono perciò grandi. La distribuzione geografica della razza è approssimativamente la parte occidentale dell'Unione Sudafricana.
Alla classificazione dell'Eickstedt si possono fare obiezioni generali e particolari; ma esse sono, su per giù, le stesse obiezioni che si devono fare a molte altre classificazioni di altri autori. Cominciando dalle generali, occorre dire che la tripartizione fondamentale in Europidi, Mongolidi, Negridi manifesta ormai di non corrispondere più. E ciò per i seguenti motivi: 1. I caratteri, per i quali venne e viene assunto il gruppo dei Negridi, sono il colore della pelle scuro-nero e il tipo del capello (ricciuto "lanoso"). Il discreto grado di correlazione ambientale che questi due caratteri dimostrano, per non dire di altre osservazioni in proposito (come quella del Fischer, che farebbe sorgere il capello cosiddetto lanoso politopicamente), certi fatti dell'anatomia delle parti molli (H. Vallois) fanno ritenere che fra Negridi ed Europidi non vi sia quel distacco, che si vuole da alcuni ancora vedere al giorno d'oggi. Il Sera pensa che, in realtà, quest'opinione sia dovuta a pregiudiziali sentimentali e persino di natura politica (soprattutto in Germania, dove si tende a dimostrare il profondo distacco dei Nordici dal resto dell'umanità). 2. Molto più profondo parrebbe il distacco fra Europidi e Mongolidi, ma il carattere su cui esso è soprattutto fondato dai più, la presenza cioè della piega mongolica, è veramente capace di darci la distinzione essenziale? Se così fosse, noi dovremmo assolutamente porre fra i Mongolidi i Boscimani, come coerentemente ha fatto l'Eickstedt. Per sfuggire a questa asserzione, cui la gran parte degli autori giustamente ripugna, molti hanno creduto di poter negare la plica ai Boscimani, ma questa negazione non costituisce che una prova della potenza di deformazione che hanno le teorie su certi spiriti, giacché negare la presenza della plica nei Boscimani equivale a negare la stessa evidenza.
Non si è scorta così la terza alternativa, che il problema dei Boscimani (che è del resto un problema che involge le più grosse questioni dell'antropologia raziale e generale) consente, per eludere la difficoltà: l'ipotesi, cioè, che la plica cosiddetta mongolica non sia un carattere essenziale e proprio al tipo mongolico. In realtà una teoria morfologica interpretativa della plica mongolica rimane, come da anni ha affermato il Sera, uno dei punti più importanti della morfologia antropologica, se non il più importante; ma è un compito ancora incompiutamente soddisfatto. In realtà, sistematicamente parlando, la soluzione di I. Geoffroy-Saint-Hilaire, con la creazione di un quarto tipo per i Boscimani-Ottentotti, è oggi la più accettabile. 3. Tanto il complesso europida, quanto quello mongolida vanno scissi in tipi che hanno solo somiglianze generiche e superficiali fra loro e che solo sommariamente si possono disporre nei due aggruppamenti tradizionali (Sera). Altre riserve occorrerebbe fare riguardo all'origine asiatica dell'umanità e alle influenze dei fenomeni glaciali per la suddetta tripartizione dell'umanità; ma, involgendo queste asserzioni fatti e ipotesi filogenetiche, non è qui la sede per parlarne.
Per ciò che riguarda le singole razze, poi, occorre anche dire che talvolta appare dubbia l'attribuzione di qualcuna di esse ad uno dei tre tipi fondamentali. Così, ad es., l'attribuzione della razza australiana al gruppo negrida sembra determinata da ragioni di simmetria, nella sistemazione delle razze. Il negridismo degli Australiani non è certo grande. Lo stesso valga per l'attribuzione dei Sibiridi alla cerchia mongolidica. Con ciò non si nega la grande difficoltà dell'analisi di questo gruppo, che contiene resti di tipi umani diversi. Così ancora gli Etiopidi sono assegnati ai Negridi, per l'importanza, evidentemente eccessiva, data a certi caratteri, come il colore della pelle e il tipo di capello. Che questa osservazione sia ben fondata, risulta anche dall'esitazione dell'Eickstedt nell'assegnare gl'Indomelanesidi allo stesso tipo generale. Ma lasciando in disparte osservazioni particolari e riconosciuto che le razze dell'Eickstedt coincidono spesso con determinazioni precedenti di altri autori, occorre dire che dette razze spesso dànno l'impressione di gruppi piuttosto geografici che strettamente biologici. Ciò vale soprattutto per le razze dell'America. Non senza ragione il Fischer, descrivendo nel 1922 i gruppi umani, non volle esplicitamente descrivere delle razze, ma dei gruppi o cerchie geografiche.
Con ciò non si vuol togliere nulla alle benemerenze dell'Eickstedt, il quale per primo ha dato un quadro preciso e colorito delle diversità di forma nell'umanità, ponendole nella loro cornice geografica; ma in sostanza non bisogna dimenticare che fondamentalmente il concetto di razza è concetto di elemento. La sistemazione dell'Eickstedt, come del resto quelle precedenti, più che avvicinarci agli elementi, ci ha prospettato una molteplicità di combinazioni, più o meno stabili.
II. Caratteri fisiologici delle razze umane. - Certamente caratteri di natura fisiologica distinguono le diverse razze umane, come le distinguono i caratteri morfologici; ma la ricerca di essi si può dire appena iniziata, e per una sola categoria è alquanto avanzata. Questa categoria è data dai fatti relativi alla cosiddetta iso-agglutinazione del sangue, fatti più noti sotto il nome di dottrina dei gruppi sanguigni. Qui si discutono solo i rapporti che i risultati raggiunti finora hanno con la teoria morfologica delle razze, cioè i rapporti delle cosiddette razze serologiche con le razze morfologiche, di cui abbiamo parlato in precedenza. Per la trattazione propria della teoria dei gruppi sanguigni e per l'esposizione dei risultati delle ricerche, v. ematologia; sangue. È opportuno però ripetere che detti fatti rappresentano (per quanto il loro numero si sia negli ultimi tempi enormemente accresciuto) solo una ristrettissima categoria dei fatti fisiologici, che sarebbe desiderabile fossero approfonditi.
Si può certo affermare che ormai disponiamo di una lunga serie di dati relativi alla distribuzione dei tipi sariguigni (O, A, B, AB) nei diversi gruppi etnici. P. Steffan, nel trattato del 1932, ha pubblicato un lungo elenco di serie etniche, di cui sono date le percentuali di O, A, B, AB, non solo, ma anche le percentuali dei geni p, q, r, i fattori cioè relativi ai tipi sanguigni A, B, O, secondo l'ipotesi del Bernstein.
Ma più importanti sono per noi le conclusioni che alcuni autori hanno tratto relativamente a presunte razze serologiche, costruendole in base a certi rapporti di percentuali degli anzidetti tipi sanguigni, o ancora dei geni stessi.
Così l'Ottemberg distinse sei tipi (o anche razze) serologici: 1. L'europeo, con 39% di O, 43% di A, 12% di B. 2. L'intermedio con 40% di O, 33% di A, 20% di B. Ad esso apparterrebbero Arabi, Turchi, Russi ed Ebrei spagnoli. 3. L'indo-manciuriano, con 30% di O, 19% di A, 38% di B. A questo tipo apparterrebbero Coreani, Manciù, Cinesi del nord, Zingari e Indiani. 4. L'africano-sudasiatico, con 42% di O, 24% di A, 28% di B. Vi apparterrebbero Negri del Senegal, Malgasci, Indocinesi, Giavanesi, Sumatrani. 5. Il tipo Hu-nan, con 28% di O, 39% di A, 19% di B. A questo apparterrebbero: Giapponesi, Cinesi del sud, Ungheresi. 6. Il tipo Pacifico-Americano, che sarebbe senza B e quasi completamente costituito di O. L'autore non pretendeva però di fare una classificazione antropologica, ma solo un ordinamento dei risultati, pur dando nomi etnici ai gruppi. Dall'esposizione fatta è visibile come la gran parte dei gruppi accolgano tipi antropologicamente assaí diversi e come sia evidente un piuttosto scarso accordo con i dati antropologici.
Lo Steffan affermava che il gruppo A corrisponde antropologicamente ai Nord-Europei. Egli chiamò questo tipo "atlantico". Il gruppo B lo chiamò "gondwanico" (dal nome del continente ammesso da molti paleogeografi - Gondwana -) e abbraccerebbe territorî che vanno da Pechino, per la Birmania, per l'India, fino all'Africa verso l'ovest e fino all'Australia verso l'est. Ammise anche due poli serologici raziali, di cui l'uno (A) sarebbe al sud della Norvegia, l'altro, il polo gondwanico (B), sarebbe a Pechino. In tempi remoti però un'ondata di sangue A, proveniente dall'Europa, sarebbe passata da ovest ad est, al nord del polo gondwanico, e avrebbe determinato le forti percentuali di tipo A, che si trovano all'estremo oriente asiatico. Viceversa, dal territorio gondwanico sarebbero partite influenze verso l'Europa, che si farebbero sentire, con percentuali di B progressivamente decrescenti, verso l'occidente, sino nel cuore dell'Europa. I Mongolici sarebbero i più importanti portatori del tipo B.
Dal punto di vista antropologico, occorre fare molte riserve a questa concezione. L'identificazione del tipo A con i Nord-Europei è più che discutibile. In realtà le più alte percentuali di A si riscontrano fra i Lapponi e fra gli Alpini; viceversa le più forti percentuali di B non sono fra i Mongoli, ma proprio in popolazioni in cui la componente mongolica è tenue o mediocre, ad es. fra i Mari (Ceremissi) con il 53%, negli Ainu col 40%, o addirittura assente, come negl'Indidi, con proporzioni intorno a 40%.
Lo Snyder, in base alla distribuzione dei geni p, q, r (e non più dei genotipi O, A, B, AB) nei diversi gruppi etnici, arrivò ad una classificazione di razze serologiche, che corrisponde, su per giù, a quella tentata dall'Ottemberg. Lo Snyder, per spiegare l'assenza di B e la scarsezza di A negl'indigeni americani, supporrebbe che essi abbiano emigrato in America prima che le mutuazioni A e B si fossero prodotte da una razza di tipo O. Quest'ultimo sarebbe considerato, con Bernstein, il tipo primitivo, da cui proverrebbero gli altri. Quest'ultima opinione è molto diffusa. Infine lo Steffan, nel 1932, sopra dati assai più estesi, ha fatto un tentativo di raccordo con i dati antropologici, che conviene menzionare. Con un metodo grafico di rappresentazione delle proprietà p, q, r, in base al cosiddetto luogo serologico (il quale non è altro che il punto, che, in un certo sistema di coordinate, è determinato dai valori di p, q, r, per un certo gruppo etnico) egli ha distinto 8 zone almeno (il loro numero potrebbe però aumentare) di costituzione genotipica serologica. Egli confronta queste zone con una divisione dell'umanità, fornitagli dall'antropologo O. Reche e per cui l'umanità è divisa in 12 grandi gruppi: arriva alla conclusione che i suoi gruppi serologici 3° (Micronesiani), 4° (Mongoli dell'Asia centrale), 5° (Finno-Ugri), 8° (Amerindî) corrispondano ai gruppi antropografici del Reche; mentre nei gruppi i°, 2°, 6° e 7° alcuni comprendono popolazioni che finora non sono state poste in stretto legame antropografico (ad es., gruppo i°: Ainu e Veddidi; gruppo 2°: Negri africani, Malgasci, Filippini), altri riuniscono insieme materiale antropograficamente eterogeneo (ad es., gruppo 6°: Europei orientali; gruppo 7°: popolazioni influenzate dai Nordici).
Lo Steffan opina che gli esempî di concordanza genotipica serologica fra gruppi etnici antropograficamente assai diversi dimostrino chiaramente che la considerazione comparativa dei rapporti serotipici non è sufficiente da sola a chiarire le questioni di affinità raziale. Tuttavia egli dice che i casi di concordanza genotipica in razze apparentemente non parenti sono eccezioni. Il che pare al Sera un'opinione alquanto ottimistica. In realtà le concordanze fra i due ordini di classificazione, serologica e morfologica, sono scarse e poco convincenti. Ma occorre fare a questo proposito alcune considerazioni: non tutti i dati serologici che possediamo sono utilizzabili senza riserve: una buona parte di essi furono stabiliti con tecnica che oggi si può dire un po' invecchiata. Per molte parti della superficie terrestre, e importantissime, come per l'America Meridionale, soprattutto nel versante atlantico, non sappiamo nulla di positivo. A questo proposito un'indagine di Rahm, sopra i Yahgan (Fuegini), ha fornito un dato che costituisce una sorpresa, una proporzione cioè quasi esclusiva del tipo B, in contrasto con tutto ciò che si conosce per l'America. Il dato è così contrastante ed è fondato sopra un numero così scarso di osservazioni, che è prudenza attendere nuovi materiali; ma per lo meno esso ammonisce di attendere ancora prima di trarre conclusioni di vasta portata.
L'opinione che O rappresenti il gruppo primitivo non pare al Sera, finora almeno, giustificata. Le ricerche recenti del Pijper sui gruppi sanguigni dei Boscimani hanno dimostrato una proporzione sensibile di A, in un gruppo quindi che morfologicamente è assai primitivo. Il Gates concede (1934) che difficilmente si può credere che la presenza di A nei Boscimani sia dovuta a una miscela. D'altra parte però bisogna dire che il punto di vista di alcuni morfologi esclusivisti, che negano ogni valore antropologico ai gruppi sanguigni, è erroneo. La mancanza di evidenti concordanze fra i due ordini di fatti potrebbe dipendere, secondo il Sera, anche in buona misura dall'imperfezione, anzi persino dall'insufficienza della classificazione antropologica. Ed è ciò che molti morfologi dimenticano. Ad ogni modo, però, può ben darsi che i due ordini di fenomeni, serologici e morfologici, abbiano, in generale, un andamento indipendente l'uno dall'altro, e il primo indichi un'evoluzione funzionale, che ha avuto corso uguale in tipi morfologici eterogenei.
Ma ciò per il momento non si può asserire, pur non potendo affermarsi, neppure nelle linee generali, un parallelismo fra i due ordini di fatti.
III. Razze e psiche. - Se si ammette la realtà morfologica delle razze diverse, necessariamente si deve ammettere la singolarità psichica di ogni razza. Ora, siccome negare la realtà morfologica delle razze è un non senso, la logica vuole che si ammetta la specializzazione psichica di esse. L'ammettere che il cane ha un comportamento psichico diverso da quello del gatto, o per fare un paragone più calzante, l'ammettere che le diverse razze canine abbiano qualità psichiche diverse non ripugna a nessuno; ma l'ammettere lo stesso fatto per le razze umane pare difficile a molte persone colte e anche di elevata cultura. È curioso osservare come non siano preconcetti d'ordine religioso, ma soprattutto preconcetti filosofici e in particolare politici, che ostacolano il riconoscimento di una psicologia raziale. Ed è il dogma laico dell'eguaglianza degli uomini, affermato e fatto trionfare dȧlla rivoluzione francese, che, sotto questo rispetto, in certi paesi, soprattutto di cultura latina, è il principale ostacolo ideologico per molti studiosi, anche di formazione naturalistica, ad ammettere l'esistenza di differenze psichiche nelle diverse razze.
Sotto questo rispetto, però, le nostre conoscenze positive, cioè rigorosamente provate, sono forse ancora meno estese che per la fisiologia, sebbene più di un profano possa pensare il contrario. Si può infatti credere da taluno che le trattazioni più o meno esplicitamente dichiarate per tali o gli accenni occasionali, che costituiscono la cosiddetta psicologia dei popoli, a cui sono persino dedicate grosse opere, possano corrispondere a quanto si dice ora psicologia delle razze. Ma questo è ben lungi dal vero. Dato che nei popoli o nei gruppi etnici sono contenute, quasi sempre, più razze, la psicologia dei popoli ha a priori poche probabilità di poterci illuminare sulla psicologia delle razze. Inoltre, a determinare la psicologia dei popoli, entrano troppi fattori, che poco hanno a che fare con l'immediata manifestazione di un tipo raziale. La cosiddetta psicologia dei popoli può fornire al più un materiale grezzo, su cui deve lavorare l'analisi, sulla base della conoscenza delle razze morfologiche, che costituiscono un dato popolo. Ma una giusta osservazione del Fischer complica assai anche simile ricerca. Egli dice che, appunto sotto il rispetto psichico, le qualità che due razze portano non si addizionano semplicemente, in un incrocio, ma possono spiegarsi in direzioni affatto nuove e più importanti per la produzione dei beni intellettuali e materiali. Anche ciò che s'intende oggi per storia della cultura e soprattutto la storia delle più antiche civiltà potrà fornirci in avvenire buoni materiali, per la costruzione veramente scientifica di una psicologia delle razze. Ma, se finora la storia della cultura per sé stessa si può dire abbastanza progredita, ad es., per ciò che riguarda Egitto, Mesopotamia, Egeo, India, non si può dire altrettanto per ciò che riguarda la conoscenza antropologica sicura delle razze o per dir meglio dei popoli, che crearono gli inizî di queste civiltà, a riguardo di cui possiamo solo fare supposizioni più o meno fondate e più o meno verosimili, salvo che per l'Egitto, per cui abbiamo maggiore certezza. Ma se già nei tempi preisiorici si erano verificate, con assoluta sicurezza, mescolanze raziali non indifferenti, anche l'analisi antropologica dei popoli che crearono le culture antiche non darà certo risultati univoci. Di ciò si dirà meglio appresso. Per quello che riguarda l'Europa, abbiamo in realtà già un certo numero di tentativi di fissare le caratteristiche psichiche. Questi tentativi sono stati fatti soprattutto, per non dire esclusivamente, in Germania e sono tutti, più o meno, collegati con i movimenti politici che, dal pangermanismo di prima della guerra mondiale arrivano al nazionalsocialismo contemporaneo. In Germania è sorta, soprattutto negli ultimi anni, una estesissima letteratura sulle razze, in cui naturalmente è fatta una larga parte, e la più bella, alla cosiddetta razza nordica. Molto note sono sotto questo riguardo le opere del Günther, ma esse non sono se non le più rappresentative. Nel suo libro sulle razze del popolo tedesco, il Günther, dopo di aver dato la caratteristica, prevalentemente fisionomica e largamente iconografica, delle razze (caratteristica alla quale sono state fatte, anche in Germania, molte critiche, ma alla quale imparzialmente occorre riconoscere un certo fondamento, anche se il Günther non ha dato esplicitamente una metodica e una trattazione sistematica dei suoi procedimenti tecnici, come gli rimprovera il v. Rohden), fa una larga esposizione delle caratteristiche delle razze nordica, mediterranea, dinarica, alpina, baltica orientale. Non crediamo necessario dare un riassunto di queste caratteristiche, in cui è troppo strettamente confuso l'attendibile con l'ipotetico o addirittura col falso. Sulla consistenza scientifica di queste distinzioni sarà sufficiente ricordare il giudizio di uno studioso tedesco, che non è certo severo nei riguardi del Günther, E. Fischer, la cui competenza nelle materie antropologiche è indiscutibile. Egli dice che noi abbiamo oggi in tutti i popoli europei il risultato di mescolanze millenarie. Appunto l'incrocio di disposizioni psichiche diverse deve aver dato luogo a una tale molteplicità e complicazione di combinazioni, che al giorno d'oggi appare impossibile attribuire alle razze diverse le singole disposizioni. Occorre anche ricordare, per il suo maggiore valore obiettivo, il tentativo di L. F. Clauss. Egli parte dall'osservazione giusta che le razze non si distinguono per qualità, caratteri o doti, che negl'individui di ciascuna razza possono presentarsi in gradi assai diversi, ma per lo stile della loro vita psichica. Per lui ogni stile troverebbe nell'aspetto somatico il campo della propria espressione e non soltanto nella mimica fisionomica, in cui l'espressione è solo più perfetta. Perciò il primario sarebbe l'"idea" in senso platonico, che caratterizza ogni "stile". L'idea determinerebbe anche l'aspetto fisico di ogni tipo raziale. A parte questa opinione che il Clauss si fa dei rapporti fra stile e somatismo, bisogna riconoscere che egli dimostra un fine intuito psicologico, nell'analisi della mimica fisionomica, propria di ogni tipo, e maggiore spregiudicatezza nell'assegnare ad ogni tipo certi valori. Egli denomina i sei tipi di stile con espressioni piuttosto pittoresche e cioè: l'uomo della fattività per la razza nordica; l'uomo della tenacia per la falica; l'uomo dell'esibizione per la mediterranea; l'uomo della rivelazione per l'orientale; l'uomo della redenzione per l'armenoide; l'uomo della liberazione per la razza alpina. Sebbene un critico del Clauss, B.K. Schultz, gli abbia attribuito una spregiudicatezza "alquanto forzata" e il desiderio di "adornare" i suoi tipi, ond'egli avrebbe perduto una "misura apprezzabile", non si può non osservare che alla razza mediterranea viene assegnata una qualità di stile non molto soddisfacente per il legittimo amor proprio di questa. Ciò facendo, il Clauss non si è molto distaccato dal Günther, il quale dà alla razza mediterranea una posizione superiore soltanto all'alpina e alla baltica-orientale, ma inferiore alle altre da lui distinte. Si potrebbe supporre che questa concordanza nei giudizî dei due autori sia dovuta al fatto che la razza mediterranea non entra come un elemento apprezzabile nella costituzione del popolo tedesco. Ma comunque, questi diversi stili sono veramente espressioni di qualcosa di corrispondente alle diverse unità morfologiche? Non vogliamo parlare della consistenza delle unità morfologiche, alle quali il Clauss correlaziona i suoi diversi stili, riguardo alla quale consistenza si possono fare, con anche maggiore fondamento, le obiezioni generali che abbiamo fatte a proposito di altre distinzioni raziali; ma vogliamo dire che la corrispondenza, cui il Clauss accenna, fra "stile" e "paesaggio" ci fa pensare che i detti stili non siano espressioni della razza, ma conseguenze di circostanze geografiche, economiche, sociali, proprie delle diverse zone dei loro habitat. In altre parole siamo noi certi che la stessa razza morfologica posta in circostanze diverse manifesterebbe lo stesso stile? L'esame di alcune almeno delle caratteristiche che il Clauss chiama "stili" ce ne fa dubitare.
Le vere caratteristiche psichiche di una razza devono esser fissate in disposizioni ereditarie, che abbiano il loro fondamento organico nei genidî (v. genetica). Molte manifestazioni, persino lo "stile", possono essere solo reazioni a certe circostanze ambientali, e manifestarsi nel seguito delle generazioni, press'a poco costanti, senza essere per questo ereditarie. Molte delle caratteristiche psichiche che gli scrittori diversi hanno attribuito alla cosiddetta razza nordica possono benissimo essere semplici reazioni ambientali, non fisse. Si può certo affermare che le condizioni di esistenza, in complesso assai più difficili, del Nord determinino reazioni all'ambiente diverse da quelle che si determinano nel Sud europeo. Bisogna senza dubbio ammettere che la selezione, fissando certe variazioni genetiche, favorevoli all'esistenza in ambiente nordico, abbia accumulato un certo numero di proprietà veramente ereditarie e fisse, in certe razze, ma non è detto con ciò che tutte le reazioni siano da qualità ereditarie. Usando il linguaggio della genetica, non siamo in grado, al giorno d'oggi, di distinguere, soprattutto nella fenomenologia psichica, ciò che è fenotipico e ciò che è genotipico. Ma vi è di più. Delle variazioni genotipiche favorevoli all'esistenza in ambienti nordici, possono essersi realizzate in razze originariamente diverse, che per circostanze della preistoria o della storia si siano fissate nel Nord europeo. Ciò fa pensare che molte delle qualità e dei caratteri psichici, la cui diffusione viene attribuita alla dispersione, allo stato di mescolanza, della razza nordica (in senso stretto), siano in realtà appartenenza diretta di altre razze, da lungo tempo stabilite nel nord. Da ciò che si è detto si vede che, se le difficoltà sono forti per i caratteri morfologici, divengono quasi inestricabili per i caratteri psichici. E la tendenza degli autori tedeschi ad ammettere una sola razza nordica, su tutto il territorio dell'Europa settentrionale, coinciderebbe con la pretesa che certe caratteristiche psichiche siano patrimonio esclusivo e originario di una sola razza.
Il Sera pensa che non sia ancora il tempo di attribuire specifiche doti all'una o all'altra razza europea; che al più, al giorno d'oggi, si può parlare di un aspetto settentrionale e di un aspetto meridionale della psichicità, comprendendo in essi le qualità ereditarie e le semplici reazionali. Al primo il Sera non dà straordinarie facoltà inventive, creatrici, ma piuttosto di perfezionamento nel particolare e di sistematizzazione, al secondo facoltà più inventive e creatrici, ma più inorganiche e frammentarie. Il primo sarebbe più idoneo all'invenzione tecnica, di beneficio materiale, il secondo più idoneo all'invenzione disinteressata, nella sfera intellettuale. Sarebbe una nota del genio meridionale quella dell'inventività e immaginazione come fini a loro stesse. La relativa facilità della vita nei paesi meridionali permise e permette che il risultato dell'immaginazione possa non trasmettersi, non passare ad altri: onde si avrebbe un continuo disperdersi e non organizzarsi dei risultati del pensiero. Al genio nordico è più consono il concetto di utilità e di trasmissione di ciò che viene trovato e immaginato. La vita dura del nord non permise e non permette perdite. L'attività spirituale meridionale perciò ha più l'aspetto di un giuoco, cioè di attività inutilizzate, l'attività nordica più quello di funzione, di prestazione. Ma non è affatto vero che il genio meridionale sia meno creativo, anzi è vero il contrario.
Ma oggi, mentre le nazioni dimostrano pericolose tendenze esclusiviste, si deve dare la massima importanza al fatto che la più elevata produttività intellettuale, rispetto soprattutto al tipo moderno di cultura, può derivare soltanto da una contemperanza di questi due genî, come si dirà meglio più oltre.
IV. Razze e lingue. - Una questione della più alta importanza è quella dei rapporti intercedenti fra razze e lingue. Esiste cioè una correlazione fra queste due entità, in senso generale? Esistono correlazioni concrete, cioè di casi particolari? Una questione preliminare parrebbe dovesse essere questa: se la lingua ha lo stesso grado (o approssimativamente) di permanenza e di stabilità, che è concesso in genere alla razza, a cui gli studiosi in maggioranza assegnano, più o meno, una certa stabilità. Ora su questo punto le opinioni di linguisti sommi divergono sostanzialmente. Mentre A. Trombetti, ad es., dichiara di essere pervenuto alla convinzione del forte grado di permanenza dei linguaggi, A Meillet li ritiene entità in continua evoluzione e trasformazione. Così egli dice: "Anche se delle lingue parlate dagli uomini dell'epoca paleolitica fossero rappresentate oggi da lingue osservabili, il confronto di queste lingue non fornirebbe il mezzo d'intravedere checchessia dell'aspetto delle lingue dell'epoca paleolitica". Dobbiamo pensare che il contrasto delle opinioni di due linguisti così eminenti sia fondato sopra una generalizzazione di esperienze particolari, che in un caso vanno in un verso, nell'altro in un altro? Ovvero a certe tendenze teoretiche e di costituzione mentale, che hanno fatto inclinare l'uno ad una opinione e l'altro all'altra?
È evidentemente difficile per un antropologo farsi un'idea esatta del fondamento e della corrispondenza alla realtà delle due opinioni. Ma non è possibile che entrambe siano vere? Che alcune lingue siano più persistenti e altre meno?
Si comprende che, ove l'opinione del Meillet fosse la più fondata, in generale, l'arrivare a una decisione sui rapporti fra razza e lingua sarebbe, per lo meno, reso assai difficile, se non addirittura interdetto. Giacché, si può ben pensare che l'evoluzione di un linguaggio abbia potuto solo modificarlo nell'aspetto, e che certi elementi possano essere ancora riconoscibili, per farlo attribuire a un determinato tipo; ma bisogna ammettere che tale riconoscimento potrebbe essere abbastanza spesso laborioso e lunghissimo, persino praticamente impossibile allo stato attuale delle ricerche. Ma anche concesso ciò che molti linguisti ritengono concordemente, che cioè per certe categorie di fatti linguistici, stabilite dall'analisi (ad es. suoni, numerali, pronomi, temi indicativi di certi animali o di certe parti del corpo, categorie queste, a cui W. Schmidt ne ha aggiunte altre, come la posizione del genitivo, il sistema di numerazione, ecc.), i linguaggi dimostrino una certa permanenza e supposto che nei primordî i linguaggi si differenziassero per queste categorie, come si distinguevano per i caratteri fisici i loro portatori, permane sempre la possibilità che da tempi remotissimi, primordialî, un gruppo etnico abbia acquistato il linguaggio di un altro, perdendo, in tutto o in parte, il proprio. Onde la difficoltà, quasi insormontabile, di attribuire con sicurezza un dato linguaggio a un certo tipo etnico, come suo proprio. Ma vi è di più. La perdita totale del proprio linguaggio originario, da parte di un gruppo etnico, è forse per la nostra indagine un male minore che la perdita parziale. Questa perdita parziale, subita in contatti etnici primordiali, costituisce un ostacolo enorme per il compito, propriamente e strettamente linguistico, di stabilire i tipi di linguaggio autonomi, veramente originali e indipendenti. Se infatti lo sviluppo attuale dell'indagine permette, abbastanza spesso, di stabilire positivamente contatti recenti (su basi desunte dalla storia, dall'etnografia, dall'archeologia), a mano a mano che si risale nel tempo, non siamo in grado di stabilirli e ciò è tanto più grave, in quanto le emigrazioni remote (qualunque sia il loro punto di partenza) devono essere state assai ampie e quindi i contatti molteplici. Le forti divergenze che passano fra i diversi glottologi per la classificazione delle lingue, oltre che dipendere dal non esservi ancora accordo sulla portata degli strumenti di analisi (le categorie linguistiche più significative, che abbiamo sopra ricordate), onde l'uno dà importanza prevalente alla fonetica, l'altro al vocabolario, l'altro alla sintassi, ecc., oltre all'insufficiente conoscenza di numerosissimi linguaggi, dipendono in buona parte dalla nostra ignoranza dei contatti primitivi.
La sola disciplina, che potrebbe dare qualche testimonianza sicura di questi contatti primitivi è l'antropologia in senso largo, più specificamente la paleoantropologia, ma essa è ancora ben lungi dal poter fornire tali argomenti.
Perciò il Sera pensa persino che una più stabile classificazione linguistica, dei grandi aggruppamenti, si possa pensare solo quando l'antropologia fisica abbia fatto progressi più vasti e abbia superato le attuali incertezze, in cui essa stessa si trova. In realtà, il progresso di ognuna e di tutte le scienze antropologiche è strettamente connesso. Se ciascuna di esse deve lavorare con i proprî mezzi, a certe determinate questioni non si potranno dare soluzioni più soddisfacenti, se non quando l'antropologia fisica avrà raggiunto maggiori risultati, anche per il fatto che ai caratteri fisici delle razze compete la massima permanenza che si può avere in fatti umani. Certamente i parallelismi stabiliti da F. Müller, con la sua classificazione antropologico-linguistica, appaiono al giorno d'oggi semplicistici; ma essi partivano da un'intuizione essenzialmente giusta, che trovò una sistemazione erronea, anche perché le conoscenze antropologiche del tempo non erano molto avanzate. Certamente le corrispondenze della classificazione del Müller sono troppo precise e troppo particolareggiate, ma il concetto fondamentale, quello di trovare il punto di appoggio nell'antropologia fisica, è giusto e del resto è continuamente applicato dai più diversi linguisti. Lo stesso Trombetti, così avverso alla sistemazione poligenica di F. Müller, evidentemente, in tutte le sue opere, dimostra la preoccupazione di trovare appoggio nei dati antropologici, se non di averli per guida nella propria costruzione linguistica. La corrispondenza da lui affermata fra la sua bipartizione delle lingue in un gruppo boreale ed uno australe con la bipartizione analoga delle razze umane del Giuffrida-Ruggeri è tuttavia, bisogna dirlo, alquanto vaga e generica, a parte il valore di detta divisione, per la parte antropologica.
I nove gruppi linguistici stabiliti dal Trombetti non dimostrano, in particolare, aderenze evidenti con gruppi antropologici. Ma per certe regioni soprattutto è chiaro, anche a non linguisti di professione, che la sistemazione del Trombetti tende troppo ad unificare, in vista della tesi monogenistica; ciò, per es., è evidente per l'Africa, ove egli ammette due soli gruppi principali, il camito-semitico e il bantu-sudanese, negando persino l'indipendenza al boscimano-ottentotto, pur così bene differenziato, per i suoi singolari suoni e per altri caratteri, nell'opinione della gran parte dei linguisti. Pare al Sera che, per l'Africa, la sistemazione linguistica del Drexel si adatti meglio alla molteplicità dei tipi raziali, che ormai bisogna ammettere, e, ciò che è più interessante, alla loro localizzazione. Forse più concordante con i fatti antropologici è il gruppo dravida-australiano del Trombetti, ma questo nesso linguistico pare, viceversa, uno dei più discutibili e non è ammesso dall'altissima competenza specifica, nelle lingue australiane, di W. Schmidt.
Uno dei risultati più interessanti della linguistica pare al Sera di una grande importanza per la questione che qui c'interessa: l'affermazione fatta da F. Hommel dell'affinità del sumero, la lingua estinta della regione del basso Eufrate, con lingue del gruppo uraloaltaico, cioè con lingue cui appartengono quelle del gruppo antropologico mongolico propriamente detto. Giacché certamente i Sumeri non erano del tipo mongolico, occorre ammettere che i Mongolici abbiano ricevuto la loro lingua, almeno in parte, da genti del tipo cui appartennero i Sumeri. È infatti assai meno probabile l'ipotesi inversa, che questi ultimi cioè ricevessero la loro lingua da una popolazione del gruppo mongolico. Ciò dunque indicherebbe come un grande agguppamento raziale possa aver ricevuto, in parte o in tutto, la lingua che possiede da genti di altro tipo fondamentale. Il Meillet dice che l'area occupata da lingue dello stesso tipo non dipende da fatti di razza, ma da fatti storici. Così il francese è una lingua neolatina, non per il fatto dei pochi coloni che Roma mandò nella Gallia, dopo la conquista, ma perché i Galli adottarono il latino, per ragioni politiche e di civilizzazione. E lo stesso avvenne per l'arabo, nel territorio dell'islamismo. L'osservazione, giusta per ciò che riguarda il francese e l'arabo, è già meno giusta, quando, come fa il Meillet, si applica al complesso delle lingue indoeuropee. In fasi avanzate dello sviluppo civile è possibile che ragioni d'ordine politico-culturale determinino il diffondersi di una lingua, al di fuori dell'espansione di un nuovo tipo etnico, ma la cosa è già più che dubbia per la diffusione delle lingue indoeuropee ed è ancora meno probabile per i tempi anteriori, come anche per gli attuali, quando si tratti di etni a cultura di media elevazione o bassa addirittura. Così, nell'America Meridionale, il diffondersi delle lingue arawak, caribica e tupi appare legato, come ha dimostrato il Sera, all'espansione di un tipo, probabilmente di provenienza andina, distinto da platicefalia e da altri caratteri.
Dato che ora possediamo carte di distribuzione dei diversi gruppi linguistici e persino delle lingue singole, come quelle di W. Schmidt, e anche carte di distribuzione dei tipi etnici, come quelle dell'Eickstedt, parrebbe un compito relativamente semplice il confronto delle carte, allo scopo di rischiarare la questione. Ma anche ammettendo che un tale metodo permetta una prima approssimazione, esso ci dà ben poche indicazioni di una certa sicurezza. Per l'America evidentemente, come è riconosciuto dalla grande parte dei linguisti, non si è ancora raggiunta un'elaborazione dei dati, avendosi finora pochi studî di valore comparativo, da permettere la formazione di gruppi. In altri termini, e in ciò si può essere d'accordo col Trombetti, la molteplicità delle lingue dell'America è, in buona misura, una conseguenza dello stato arretrato in cui si trova l'analisi dei dati di fatto. La sola concordanza che, forse, si potrebbe stabilire, è quella relativa ai gruppi di lingua ge con la razza lagida dell'Eickstedt. Ma bisogna fare presente che il gruppo linguistico ge è, più che altro, anch'esso un raggruppamento, le cui relazioni interne sono pochissimo conosciute finora. Per l'Oceania vediamo come il gruppo linguistico austronesico di W. Schmidt (indonesiano, melanesiano, polinesiano) non presenti nessuna corrispondenza antropologica, essendo questo proprio il luogo ove s'incontrano tipi antropologici assai diversi, che perfino i raggruppamenti, necessariamente relativi a territorî piuttosto ampî, dell'Eickstedt non pongono bene in evidenza. Viceversa per l'Australia alla relativa unità raziale fa contrasto la molteplicità linguistica, affermata da W. Schmidt. Per l'Asia continentale una certa corrispondenza sembra risultare fra l'estensione del gruppo altaico delle lingue e quella del gruppo raziale tungida. L'attuale estensione eurasica dei linguaggi indoeuropei ricopre una notevole quantità di tipi raziali e cioè le seguenti razze dell'Eickstedt: nordica, europidaorientale, alpina, mediterranea, dinarida, parte dell'orientalida, indida. Anche per l'Africa le corrispondenze fra razze e lingue, nelle due carte, si fanno assai oscure, con la sola eccezione del gruppo boscimano-ottentotto, ove si ha forse il parallelismo più evidente, che lo stato attuale dell'analisi scientifica consenta per tutta la superficie terrestre. Ma, come per le razze serologiche, così in questo caso non dobbiamo dimenticare che le difficoltà di stabilire rapporti tra fatti linguistici e antropologici non sono soltanto nel grado dell'analisi linguistica, ma anche in quello dell'analisi raziale e che non possiamo considerare la sistemazione dell'Eickstedt neppure come approssimativamente stabile. In conclusione, occorrerà ancora molto lavoro da una parte e dall'altra, prima che i rapporti fra razze e lingue possano essere definiti su conoscenze sicure e stabili. Le opinioni in proposito sono attualmente piuttosto presunzioni, più o meno fondate, che constatazioni.
V. Razze e caratteri etnografici. - Ancora meno evidenti, se possibile, sono le concordanze di distribuzione geografica tra fatti raziali e fatti etnografici. Ciò perché i fatti linguistici, come fatti in essenza psicologici, sono più strettamente connessi alla specializzazione raziale, mentre i fatti etnografici, per lo più, per la loro estrinsecazione materiale (se si fa astrazione dai costumi) sono più soggetti all'imitazione e al trasferimento. A ogni modo le diverse carte di distribuzione che si possiedono, relative ai caratteri etnografici, non dànno nessuna indicazione precisa di correlazioni, ciò che del resto era da attendersi.
VI. Razze e civiltà. Razze e storia. - Il primo pieno riconoscimento dei rapporti che passano fra le razze e la civiltà e, in particolare, gli avvenimenti massimi della storia, è dovuto allo storico francese A. Thierry. È degno di essere ricordato che questo evento, della massima importanza culturale, non ancora ben compreso da tutti gli studiosi, soprattutto nella sfera delle scienze morali, è quello che segna, cronologicamente anche, per così dire, la dichiarazione di maggiorità dell'antropologia, come scienza autonoma (v. antropologia).
Questo evento ancora non ha portato sul tipo della nostra cultura le conseguenze rivoluzionarie che deve portare, ma esse verranno ineluttabilmente, perché sono nell'interesse della conoscenza. Gli studiosi germanici attribuiscono il merito di questa rivoluzione culturale al Gobineau, ma l'affermazione non è esatta, anzi può dirsi tendenziosa e dovuta al fatto che il Gobineau arrivò all'estremo di attribuire alla razza nordica la massima importanza nella genesi di alcune civiltà dell'Europa e dell'Asia. A. Thierry, che visse molti anni prima del Gobineau, spirito molto più acuto e soprattutto vero storico, si mantenne lontano da ogni esagerazione di questo genere. Ma, in proposito, occorre osservare che disgraziatamente non vi è materia, come questa dei rapporti fra civiltà e razze, che sia così soggetta a tutte le alterazioni e deformazioni, provenienti da ogni specie di partiti presi. Pregiudizî religiosi, politici, scientifici, filosofici, nazionalistici, si accumulano intorno al soggetto, in guisa da togliere l'imparzialità all'osservatore più cauto e rigoroso nelle sue constatazioni. Purtroppo, inoltre, l'argomento dei rapporti fra razze e civiltà è stato affrontato in primo tempo per l'Europa, dove esso era più difficile a risolvere per le difficoltà intrinseche e per le passioni che suscitava. Vero è che ormai a mala pena potrebbe sottrarsi a queste influenze solo uno studio delle civiltà americane antiche (Messico, Perù), giacché sulle civiltà antiche dell'Asia si sono avanzate già pretese più o meno fondate. Certamente uno studio delle civiltà americane, con relazione alle razze, potrebbe portare a risultati più utili e chiari sui meccanismi delle azioni e reazioni delle razze (azioni e reazioni di natura diversa) di quello che sia stato e sarà forse possibile fare in avvenire per l'Europa.
Il terreno del metodo rigoroso e dell'imparzialità veniva affatto abbandonato da L. Woltmann, con i suoi studî sul periodo della Rinascenza nei paesi neolatini, in cui le più grandi personalità di questo periodo erano senz'altro attribuite alla razza germanica in base a pochi caratteri e alla completa trascuranza di tutti gli altri. Degli stessi difetti pecca l'opera che, a suo tempo, prima della guerra mondiale, ebbe grande risonanza, di H.S. Chamberlain, opera che aveva scopi più vasti ed organici di quelle del Woltmann (I fondamenti del secolo XIX). Le cause dello sviluppo del mondo antico e della sua rovina vennero in tempi a noi prossimi ricercate da O. Seeck in fattori raziali, teoria poi ripresa da altri fra cui il Günther, che più esplicitamente le ha volute riconoscere nell'intervento, nella decrescenza e successiva eliminazione dell'elemento nordico. L. Schemann poi, in un'opera certamente notevole, per l'enorme dottrina storica, ma animata da spirito gobiniano non soltanto per le idee generali ma anche per la persistenza in concezioni raziali che già al tempo del Gobineau potevano dirsi oltrepassate, raccolse tutti gli accenni che scrittori di ogni tempo in generale, o storici in particolare, avevano fatto di differenze raziali nei popoli, dai più antichi ai moderni.
È questa certo un'opera utile per gli studiosi, ma redatta con un così evidente entusiasmo "nordico", che lascia trasparire troppo chiaramente la tendenziosità e l'inaccettabilità dei risultati. Una prova di quanto il nuovo indirizzo antropologico sia penetrato nella concezione di alcuni storici ci è fornita dal libro di uno storico professionale F. Kern, in cui la parte antropologica è forse più sviluppata di quella propriamente culturale e storica sulle razze e sulla civiltà dei Tedeschi. Naturalmente anche in quest'opera è evidente la deformazione nazionalistica. Sull'altra sponda del Reno, un atteggiamento più guardingo mantiene E. Pittard, nel suo libro sui rapporti tra le razze e la storia; ma invano vi si cercherebbero molti risultati concreti sull'argomento: abbondano invece i punti interrogativi e i dubbî, mentre d'altra parte le caratteristiche antropologiche descrittive delle diverse razze si prestano a obiezioni.
Una considerazione particolare meritano certi studî di apparenza metodologicamente più rigorosa e che consistono essenzialmente nel ricercare la provenienza geografica, in un determinato paese, degli uomini più rappresentativi della civiltà di detto paese. Questo metodo fa evidentemente assegnamento sulla constatazione di certe differenze antropologiche, fra le diverse regioni di un paese. Unito al metodo morfologico della determinazione del tipo individuale di ogni personalità, tale procedimento acquista un certo grado di attendibilità. È opportuno ricordare che in Italia questo metodo fu applicato or è molto tempo dal Lombroso e L.F. Pullè. In Germania recentemente K. Gerlach lo ha applicato su larghissima scala, determinando, sopra oltre venti carte di distribuzione, i paesi di nascita dei poeti, pittori, musicisti, medici, matematici tedeschi, fino a date diverse del secolo scorso ed infine dei generali morti principalmente nel sec. XIX. Furono prese in considerazione molte centinaia di persone notevoli delle dette categorie (3490 individui in tutto) e ogni categoria venne distinta in più carte secondo l'ordine cronologico. Risulta chiaramente da queste carte (ciò che del resto si sapeva) come le manifestazioni culturali relative s'iniziarono in genere dal sud-ovest del territorio di lingua tedesca e che solo successivamente si estesero verso il nord e verso l'est. Per quanto tale lavoro sia interessante e sarebbe desiderabile avere carte simili per tutti i paesi europei, è certo che l'interpretazione dei risultati è quanto mai difficile e richiederebbe una larghissima analisi, cosa alla quale l'autore stesso ha rinunziato. Ad ogni modo il Gerlach è costretto alla constatazione che "non si può affermare che sia la razza nordica pura che porta la parte principale di ciò che si dice cultura tedesca", e infatti la constatazione di natura cronologica anzidetta vieta assolutamente una simile asserzione.
In complesso possiamo dire che il rapporto che c'interessa è stato oggetto d'investigazioni soprattutto da parte di studiosi di lingua o nazionalità germanica ed è stato studiato nel campo specifico della storia europea dei due millennî dopo Cristo e del millennio a. C. La considerazione di questi due fatti ci spiega la unilateralità dei risultati della maggior parte di questi studî: cioè l'affermata prevalenza dell'elemento nordico nella genesi della civiltà europea. Tale prevalenza sarebbe determinata da una maggiore "creatività" della razza nordica, in confronto di tutte le altre, stando agli autori suddetti. Ciò senza dubbio non corrisponde alla realtà.
Nell'apprezzamento infatti di codesta "creatività" noi c'incontriamo con la massima difficoltà, consistente nella necessità di fornire una scala dei valori delle idee o meglio delle prestazioni (Leistungen) intellettuali. È chiaro che esistono prestazioni intellettuali, che si potrebbero chiamare potenziali, di alto potere produttivo e capaci di grandi svolgimenti e di perfezionamenti. Sono le idee nuove, le vittorie contro l'ignoto, i germi più capaci di fecondazione. Prima che queste idee passino alla loro applicazione pratica hanno bisogno di svolgimenti, di perfezionamenti e di sistematizzazione. Esiste certamente tutta una serie di stadî, attraverso cui passano i principî nuovi scoperti, una scala, si direbbe, che è data dal grado della loro dimostrazione, della loro capacità di originare altre ricerche e altri studî, dalla manifestazione delle possibilità esplicative che contengono: infine, eventualmente, dalla loro applicabilità pratica. Ora la storia delle scienze ci ha dimostrato che esistono differenze individuali nella capacità di creazione d'idee: è dimostrato che il genio che crea le idee nuove spesso non è quello che le svolge, le matura, che quello che le porta a maturazione non è ancora quello che le applica. Ma errerebbe chi credesse che l'una individualità possa sostituire l'altra. Esistono certo mentalità più favorite delle altre, più intuitive, che hanno il potere di vedere nell'ignoto, di compiere i primi passi. Queste mentalità, al contrario, hanno spesso una vera cecità per le applicazioni pratiche. Ora, come gli uomini capaci di maturare e portare all'applicazione sono di mentalità diversa dai veri creatori delle nuove idee, così esistono certe razze, come certe culture, più disposte alla maturazione e alla applicazione che alla vera creazione del nuovo. La storia delle due più grandi teorie del secolo XIX, la dottrina dell'evoluzione e la dottrina dell'elettricità, sono significative sotto questo rispetto.
Le prime fasi della storia di questi due grandi principî si sono realizzate in paesi, presso i quali domina o è largamente rappresentato il genio meridionale, Italia, Francia, Inghilterra. I paesi di lingua germanica hanno portato ampliamenti, svolgimenti, applicazioni. Ma ai sostenitori delle qualità creatrici proprie ed esclusive della razza nordica si potrebbe domandare perché la civiltà più elevata del mondo nordico ha tanto tardato a manifestarsi, se proprio il Nord europeo era, come pretendono molti antropologi tedeschi, la patria originaria della razza nordica. Perché al tempo di Cesare i Germani erano ancora in uno stato così arretrato? Perché l'incendio della civiltà, di cui parla il Gerlach, ha fiammeggiato dal sud verso il nord e non viceversa? Molti scrittori tedeschi si compiacciono nell'affermazione che, alla fine dell'impero e dopo, il mondo romano subì una forte germanizzazione. Ma perché questa germanizzazione diede luogo al Medioevo, che è certo, per quanto si voglia riabilitare, il periodo meno splendido della civiltà occidentale e che, se oscuro non fu completamente, ciò si deve alla superstite cultura classica, cioè meridionale? Perché sarebbero occorsi tanti secoli, prima che si arrivasse agli splendori del Rinascimento, se la razza nordica fosse la portatrice della creatività? Il periodo d'"incubazione", che alcuni antropologi tedeschi portano avanti, a giustificare questo ritardo, non è durato un po' troppo? Sono domande queste a cui è difficile dare risposte soddisfacenti, da parte di una scienza partigiana.
Ma ormai si possono portare contro quelle affermazioni elementi di fatto positivi e non soltanto deduzioni. Il progresso delle scoperte sulle antiche civiltà dell'Egitto, della Mesopotamia, dell'Egeo, ha dimostrato l'esistenza di civiltà sviluppatissime iniziatesi in tempi che risalgono a parecchi millennî prima di Cristo, in regioni assai meridionali. I documenti antropologici abbondano per l'Egitto e per quanto i resti umani relativi possano essere attribuiti a più di una razza, onde sicuramente si hanno incertezze, quello che si può affermare è che l'elemento detto nordico non vi ha parte, almeno praticamente apprezzabile, e ciò soprattutto per le prime dinastie. Per la Mesopotamia e per l'Egeo non possiamo affermare la cosa con altrettanta sicurezza, ma essa ha un alto grado di verosimiglianza. Ormai risulta chiarissimamente come queste antiche grandi civiltà, e soprattutto l'egea, siano alla base di quella stessa civiltà europea che è detta ellenica, nella quale, per la prima volta, è dimostrata veramente (nel territorio mediterraneo) la presenza di un elemento etnico nordico. Ma, cosa singolare, si può anche ormai fondatamente pensare che il primo intervento di questo elemento nordico abbia proprio segnato (nello stesso tempo che la sua penetrazione ne era un indice), la decadenza di una civiltà autoctona, un vero e proprio Medioevo, nel senso di un'oscurarsi della luce della civiltà. Si può pensare bene che questa risorgesse poi, quando un nuovo equilibrio biologico, fra gli elementi raziali, si ricostituì e che, per questo nuovo equilibrio, la civiltà prendesse anche un colorito, un aspetto differente dal precedente. Ciò anche naturalmente ha la sua importanza, ma l'essenziale è che le più grandi scoperte dell'incivilimento, la casa, la navigazione, la scrittura, la previsione astronomica, col calendario solare, erano state fatte, mentre gli Elleni invasori, nei loro diversi rami, non possedevano tutte queste cose, ed erano forse soltanto rozzi pastori. È certo però che la civiltà ellenica segnò la prima civiltà di tipo moderno, per la sua ricchezza di contenuto la sua molteplicità di direzioni e soprattutto il primo affermarsi del pensiero scientifico e filosofico, che pose le basi di tutta la nostra vita occidentale. È naturale pensare perciò che in realtà, la civiltà europea e moderna, nonché esser l'opera di una razza qualsiasi, sia il risultato d'incroci più o meno felici, più o meno fecondi intellettualmente, e che forse nessuna razza, per sé sola, possa produrre grandi fioriture di civiltà. La moderna genetica ha messo in chiaro che l'incrocio, per sé, non significa degenerazione dei discendenti, come un tempo si credeva; possono esservi incroci in cui si sommano, anzi reciprocamente si avvantaggiano, le qualità diverse dei due genitori e possono sorgere capacità e possibilità, che non erano possedute da nessuno dei due. A questa opinione inclina anche l'antropologo più in vista della Germania attuale, il Fischer, il quale, ponendo in luce l'importanza dell'incrocio, ammonisce contro i "fanatici" della razza nordica, pur dando a questa una importanza, nella storia dell'incivilimento, che non è giustificata. È probabile che alcuni incroci siano più fecondi di altri e tale è forse l'incrocio mediterraneo-nordico. Già W. Z. Ripley spiegava, con un simile incrocio, la presenza di focolai di produttività civile e intellettuale più intensa, in molti paesi d'Europa. Ma certamente altri incroci sono favorevoli, magari per altre direzioni dell'attività civile. Certo si è, concludendo, che come la storia della civiltà non autorizza esclusivismi di popoli nell'opera creativa della civiltà umana, così l'antropologia non autorizza esclusivismi di razza.
Da questa trattazione della dottrina delle razze umane, sotto il triplice riguardo del loro aspetto fisico, della loro fisiologia, della loro psiche, risulta chiaramente che la costruzione di tale dottrina, se è soddisfacentemente avanzata per il primo, lo è molto meno per il secondo e ancora meno per l'aspetto psichico. Ma, anche per ciò che riguarda i caratteri fisici, non bisogna credere che siamo arrivati a sistemazioni stabili. Vero è che ciò vale per ogni sistemazione, in qualsiasi scienza; ogni sistemazione è, per ogni vero uomo di scienza, più o meno provvisoria, per la natura stessa della conoscenza scientifica. Ma, qui, tale provvisorio appare anche più evidente a uno sguardo moderatamente critico. Tuttavia bisogna opporsi risolutameme alle negazioni, che partono anche da persone colte, la cui formazione mentale non è idonea alla comprensione dei problemi biologici. Quella delle razze umane è appunto una delle questioni, che più si sono prestate e si prestano a certe negazioni. La dottrina morfologica delle razze umane progredisce lentamente, ma sicuramente. In proposito, occorre ricordare che l'antropologia scientifica non ha ancora un secolo di vita. Per le condizioni di sviluppo della dottrina delle razze, si devono osservare due fatti interessanti: da un lato molti studiosi, se non tutti, delle scienze morali intorno all'uomo e cioè linguisti, etnografi, paletnologi, storici, sociologi, guardano alla dottrina delle razze, come ad un punto di appoggio, nella loro specifica ricerca. Ciò è una necessità della natura delle cose, ma non deve portare a confusioni nei metodi di ogni ricerca, confusione che non produrrebbe che ritardi in quel progresso delle scienze relative, che si desidera. Comunque, il suddetto orientamento degli studiosi, in quanto riconosce il valore esplicativo della dottrina delle razze, dimostra la necessità di un più intenso sforzo da applicare nel terreno antropologico. Molte incertezze nei risultati delle scienze morali sull'uomo potrebbero forse essere eliminate col progredire degli studî sulla morfologia delle razze.
Il secondo dei due fatti è che molti biologi in questi ultimi anni avevano fondato grandi speranze sopra certi indirizzi di ricerca, come quelli dell'eredità, quello dei gruppi sanguigni, per superare l'indirizzo prevalentemente morfologico, nella ricerca sopra le razze. Queste speranze si sono dimostrate, e sempre più si dimostrano, eccessive. La ricerca morfologica e filogenetica (comprendendovi lo studio dei fossili) ha ancora un'importanza fondamentale, essenziale, per l'antropologia in generale e per la dottrina delle razze in particolare, procurando essa la conoscenza più positiva e più utile, per la ricostruzione del nesso che passa tra forma e funzione. Concludendo, il progresso delle scienze diverse, morali e fisiche, riguardanti l'uomo e quello delle loro applicazioni, si avvantaggerà per il progresso dell'antropologia.
Bibl.: Morfologia delle razze: E. v. Eickstedt, Rassenkunde und Rassengeschichte der Menschheit, Stoccarda 1933, con particolareggiata descrizione e buona iconografia delle razze, e con abbondantissima bibliografia, non limitata solo alla parte strettamente morfologica; G. Montandon, La race, les races (Mise au point d'anthropologie somatique), Parigi 1933. L'ampia materia della cosiddetta biologia delle razze è tratteggiata in succinto ma istruttivo schizzo da E. Fischer nell'articolo: Rassen und Rassenbildung, in Handwörterbuch der Naturwissenschaften, Jena 1932, con abbondante bibliografia. Molti articoli sul soggetto sono contenuti nelle annate dell'Archiv für Rassen- und Gesellschaftbiologie, dal 1904.
Fisiologia delle razze: Una recente trattazione generale dei gruppi sanguigni è in: P. Steffan, Handbuch der Blutgruppenkunde, Monaco 1932, con bibliografia completa. Articoli staccati in Zeitschrift für Rassenphysiologie, dal 1927, e in: Ukrainisches Zentralblatt für Blutgruppenforschung und Bluttransfusion, dal 1926 (in tedesco e in russo). Inoltre, per certi reperti recenti: R. R. Gates e G. G. Darby, Blood groups and physiognomy of British Columbia Coastal Indians, in Journ. Roy. anthrop. Institute, ecc., 1934.
Psicologia delle razze: H. F. K. Günther, Rassenkunde d. deutschen Volkes, 13ª ed., Monaco 1929; L. F. Clauss, Rasse und Seele, 3ª ed., ivi 1933: id., Die nordische Seele, ivi 1934. Citazione di altri lavori si troverà nell'articolo Sozial-anthropologie di E. Fischer, citato più oltre.
Razze e lingua: O. Reche, Rasse und Sprache, in Archiv f. Anthropologie, 1921; A. Trombetti, Elementi di glottologia, Bologna 1923; A. Meillet, Linguistique et anthropologie, in L'anthropologie, 1933.
Razze e civiltà. Razze e storia: A. Thierry, Hist. de la conquête de l'Angleterre par les Normands, Parigi 1825; J.-A. de Gobineau, Essai sur l'inégalité des races humaines, voll. 4, ivi 1855; E. Pittard, Les races et l'histoire, ivi 1924; F. L. Pullè, Italia. Genti e favelle, voll. 3 e atlante, Torino 1927; F. Kern, Stammbaum und Artbild der Deutschen und ihrer Verwandten, ivi 1927; H. F. K. Günther, Rassenkunde Europas, 3ª ed., Monaco 1929; K. Gerlach, Begabung und Stammesherkunft im deutschen Volke, ivi 1929; L. Schemann, Die Rasse in den Geisteswissenschaften, Studien zur Gesch. des Rassengedanken, voll. 3, ivi 1931. Nell'articolo di E. Fischer, Sozialanthropologie, in Handwörterbuch der Naturwissenschaften si troverà la citazione di molti lavori di minore importanza.
Zootecnia.
Nel campo della zootecnia la nozione di razza assume un'importanza speciale giacché questa scienza si occupa, fra l'altro, dello studio delle razze di animali domestici (etnologia zootecnica). Gli zootecnici hanno dato diverse definizioni della razza. H. Settegast l'ha definita "un insieme d'individui della stessa specie che si distinguono dagli altri per determinati caratteri (caratteri di razza) che si conservano nella discendenza fin tanto che non intervengano fattori speciali capaci di modificarli". Più recentemente C. Kronacher ha definito razza "un gruppo d'individui della stessa specie i quali, per la loro genealogia, per le loro caratteristiche morfologiche e fisiologiche e per le loro funzioni economiche, dimostrano una grande omogeneità, si distinguono da altri gruppi della stessa specie, e riproducendosi generano, nello stesso ambiente, individui uguali o simili sia come aspetto esteriore sia come attitudini funzionali". Una definizione più semplice, sebbene meno precisa, della razza qual è intesa in zootecnia è la seguente: "razza è un insieme d'individui della stessa specie che presentano un complesso di caratteri simili, morfologici e fisiologici, trasmissibili ereditariamente".
Queste definizioni concordano in due concetti essenziali dai quali scaturisce la nozione di razza come viene intesa dagli zootecnici e dagli allevatori: il concetto della presenza, in tutti gli animali di una stessa razza, di caratteri morfologici e fisiologici uguali o simili (caratteri etnici) e il concetto della trasmissione ereditaria di questi caratteri. La genetica ha portato alla differenziazione del vecchio concetto di una razza nei due concetti di "razza pura" e di "popolazione". Per razza geneticamente pura s'intende, infatti, "un gruppo d'individui omozigoti rispetto a un certo numero di caratteri, cioè costituito dagli stessi biotipi"; per "popolazione" s'intende, invece, "un insieme di biotipi diversi". Gl'individui di razza geneticamente pura, riproducendosi, generano figli che posseggono potenzialmente gli stessi caratteri dei genitori; gl'individui di una "popolazione", invece, generano figli che presentano una certa variazione di caratteri per le possibilità di nuove combinazioni di fattori ereditarî. Le cosiddette razze di animali domestici non sono razze pure in senso genetico o per lo meno sono razze pure soltanto nei riguardi di un numero esiguo di caratteri esteriori (per es., per il mantello o per particolarità di questo) mentre nei riguardi della maggior parte dei caratteri morfologici e fisiologici sono da considerare mescolanze di biotipi più o meno simili.
È logico, perciò, considerare le razze stesse come "razze-popolazioni" in quanto possono essere ritenute come "razze" per certi caratteri e come "popolazioni" per altri caratteri. Quanto più una razza è selezionata, tanto minore è la varietà dei biotipi che la costituiscono.
Un errore nel quale spesso si cade è quello di confondere la razza con il tipo, mentre si tratta di due concetti assolutamente diversi. Il tipo, infatti, sta a indicare l'architettura dell'individuo e in modo particolare il rapporto che passa tra i diametri longitudinali e i diametri trasversali, per cui si distinguono animali di tipo longilineo o dolicomorfo (per es., i cavalli puro sangue, arabi, trottatori; i bovini di razza chianina; i polli di razza livornese, ecc.), animali di tipo brevilineo o brachimorfo (per es., i cavalli di razza Belga, Shire-horse, Clydesdale; i bovini di razza maremmana; i cani bassotti; i polli di razza Brahma, ecc.) e animali di tipo mediolineo o mesomorfo (per es., i cavalli di razza percese e bolonese; i bovini chianino-maremmani; i cani lupi; i polli di razza Orpington, ecc.). Generalmente gli animali di una stessa razza sono anche dello stesso tipo mentre animali dello stesso tipo possono appartenere a razze diverse.
L'insieme dei caratteri che definiscono una razza costituisce il cosiddetto standard della razza, parola che potrebbe essere sostituita dall'espressione "caratteri tipici" della razza.
I caratteri di razza o caratteri etnici degli animali domestici si distinguono in caratteri morfologici e caratteri fisiologici. I primi sono quelli che si riferiscono al mantello e alla pigmentazione della cute e delle mucose apparenti, alla struttura e spessore della pelle e dei peli, alla statura, al peso, al rapporto tra diametri di lunghezza, larghezza e profondità, alla forma e profilo della testa, agl'indici cefalici e facciali, alle particolarità di singole parti della testa (sincipite, corna, orecchie, fronte, occhi, naso, ecc.), alla forma e particolarità del collo, alla forma e particolarità delle singole regioni del tronco e degli arti. Si deve però rilevare che mentre determinate particolarità costituiscono dei caratteri etnici in una specie animale, le stesse particolarità costituiscono semplicemente caratteri individuali in altre specie. Così, per es., il mantello costituisce un carattere di razza per la maggior parte delle razze bovine, mentre per la maggior parte delle razze cavalline costituisce un carattere individuale.
I caratteri etnici fisiologici possono essere dati dalla costituzione, del temperamento, dalle sensitivo-motricità (cosiddetto "sangue"), dalla resistenza alla fatica (cosiddetto "fondo"), dalla precocità, dalla prolificità, dalla resistenza alle malattie, ma soprattutto dalle cosiddette "funzioni economiche", cioè dalle attitudini produttive (attitudine al lavoro nelle sue diverse forme, attitudini alla produzione della carne, del grasso, del latte, del burro, della lana, delle uova, delle pellicce). Data la finalità essenzialmente economica che ha l'allevamento degli animali domestici, si comprende come i caratteri etnici fisiologici e funzionali abbiano una maggiore importanza di quelli morfologici nella valutazione delle razze.
Accanto al termine "razza" si usano largamente, in zootecnia, i termini "sottorazza" e "varietà". Per sottorazza s'intende un insieme di individui della stessa razza i quali presentano uno o pochi caratteri secondarî comuni trasmissibili ereditariamente. Così, per es., nella razza bovina olandese si distinguono tre sottorazze che si differenziano fra loro essenzialmente per il colore del mantello: la sottorazza pezzata nera, la pezzata rossa e quella a testa bianca.
Per varietà s'intende, invece, un insieme d'individui della stessa razza che presentano uno o più caratteri differenziali comuni non trasmissibili ereditariamente. La differenza che passa fra sottorazza e varietà sta dunque nel fatto che nella prima le caratteristiche differenziali hanno la loro base nei fattori ereditarî (variazioni germinali), mentre nella seconda sono dovute esclusivamente ai fattori di ambiente, alimentazione e ginnastica funzionale (variazioni somatiche). Così, per es., in parecchie razze bovine italiane si distingue una varietà di collina e una varietà di montagna le quali differiscono tra loro essenzialmente per alcuni caratteri - come statura, peso, proporzioni, ecc. - che sono dovuti alla diversità dell'ambiente di allevamento. Trattandosi di variazioni somatiche è evidente come gli animali di una varietà di montagna, trasportati e riprodotti al piano, tendano ad assumere i caratteri della varietà del piano e viceversa.
Le attuali razze di animali domestici hanno avuto un'origine diversa. Alcune sono derivate direttamente da forme selvatiche (viventi o scomparse) e non hanno subito se non l'influenza dell'ambiente naturale più o meno modificato dall'opera dell'uomo e l'eventuale azione selettiva di questo. Altre razze - e sono le più numerose - si sono formate per l'azione combinata dell'ambiente naturale e artificiale, d'incroci e meticciamenti, avvenuti casualmente o per opera dell'uomo, e della successiva selezione zootecnica. Altre razze, ancora, hanno avuto origine da mutazioni o variazioni brusche comparse nelle razze primitive e fissate dall'uomo, in tanto in quanto erano variazioni utili, mediante l'ausilio della consanguineità e della selezione.
Rispetto alla loro origine, le razze di animali domestici si potrebbero, pertanto, distinguere in tre categorie: razze primitive; razze derivate da incroci e meticciamenti; razze derivate da mutazioni. La distinzione, peraltro, mentre è razionale dal punto di vista teorico, non è sempre praticamente fattibile poiché per parecchie razze di origine remota è difficile stabilire se esse derivino direttamente da forme primitive selvatiche ovvero da incroci avvenuti in epoche lontane.
Rispetto all'area occupata dalle diverse razze si suole distinguere l'area d'origine o culla delle razze stesse e l'area di espansione o di diffusione. Le razze che hanno dimostrato un grande potere di adattamento ad ambienti molto diversi e che perciò hanno avuto una grande diffusione si chiamano razze cosmopolite in contrapposto alle razze che, possedendo scarso potere di adattamento, non si sono diffuse fuori della loro area di origine o hanno avuto un'area di diffusione molto ristretta e che sono, perciò, designate come razze topolite.
La denominazione delle razze di animali domestici non risponde a una unicità e razionalità di criterî. Essa è fatta con termini ed espressioni che da tempo sono entrate nell'uso corrente e che, nella maggior parte dei casi, si riferiscono all'area di origine o alla regione o zona o centro principale di allevamento (per es., razza bovina piemontese, razza bovina valdostana, razza bovina di Svitto, razza bovina garfagnina, razza bovina pontremolese, razza bovina di Salers; razza cavallina araba, razza puro sangue inglese, razza cavallina belga, razza cavallina oldemburghese, ecc.) oppure al colore del mantello e all'area di allevamento (per es., razza bovina bruna alpina, razza bovina grigia di Val d'Adige, razza grigia delle steppe, razza bovina pezzata nera olandese) oppure alla funzione economica caratteristica della razza (per es., razze cavalline: trottatore americano e trottatore russo) oppure all'origine meticcia (per es., razza cavallina anglo-normanna, razza ovina Dishley-merinos).
Le razze di animali domestici possono essere classificate in modo diverso a seconda del criterio o dei criterî che si assumono a base della classificazione. Una classificazione può essere quella, già accennata, che si basa sul criterio dell'origine delle razze; ma si è visto quali difficoltà essa presenti.
Un'altra classificazione, adottata specialmente dagli autori tedeschi, è quella che si fonda sui due criterî dell'origine e del grado di miglioramento delle razze stesse. In base a tali criterî, le razze sono raggruppate in tre categorie: 1. razze primitive o razze indigene non migliorate; 2. razze indigene in via di miglioramento o razze di transizione; 3. razze migliorate.
Le razze primitive o razze indigene non migliorate sono parenti strette delle forme selvatiche da cui sono derivate per addomesticamento. Esse sono l'espressione dell'ambiente (suolo e clima in modo particolare) in cui si sono formate e nel quale vivono, nonché della selezione naturale più che della selezione zootecnica. Tali razze sono caratterizzate da grande potere di adattamento all'ambiente più o meno sfavorevole nel quale vivono, da costituzione robusta che le rende atte a resistere alle avversità naturali e alle malattie dominanti nell'area di allevamento, da grande sobrietà, da tardività di sviluppo e da limitata capacità produttiva.
Le razze indigene in via di miglioramento hanno un'origine comune alle precedenti ma hanno subito, in modo più o meno spiccato e continuato, l'azione miglioratrice dell'uomo esplicatasi sia direttamente, attraverso i metodi zootecnici (selezione, alimentazione), sia indirettamente, attraverso il miglioramento delle condizioni ambientali (pascoli, ricoveri, igiene, ecc.). Queste razze, pur essendo meno rustiche delle precedenti, conservano una grande adattabilità all'ambiente dell'area di origine e di ambienti similari, hanno maggiore statura e maggiore mole, forme zootecnicamente migliori, discreto grado di precocità e funzioni economiche più sviluppate senza raggiungere, peraltro, gradi notevoli di specializzazione e quindi elevate produzioni zootecniche.
Le razze migliorate sono, in generale, razze formatesi originariamente per incrocio e meticciamento semplice o consanguineo e successivamente perfezionate mediante una selezione metodica, morfologica e funzionale, con l'efficace ausilio degli altri metodi zootecnici quali l'alimentazione intensiva, la ginnastica funzionale, la difesa contro le cause nemiche (avversità climatiche e malattie). Queste razze sono caratterizzate da forme zootecnicamente corrette e sono l'espressione di un grado più o meno spiccato di specializzazione funzionale. Sono, in generale, razze più o meno precoci, dotate di grande potere di trasformazione dei foraggi in prodotti animali e di grande capacità produttiva, ma nello stesso tempo più o meno esigenti soprattutto nei riguardi dell'alimentazione, dei ricoveri e dell'igiene, tanto meno capaci di lottare contro le avversità naturali quanto più spiccata è la loro specializzazione funzionale.
Un'altra classificazione delle razze di animali domestici è quella basata sulle attitudini o funzioni economiche possedute dalle razze stesse. Questa classificazione meglio risponde alle finalità pratiche ed è perciò la più comunemente adottata. Poiché le funzioni economiche variano con le diverse specie di animali, la classificazione delle razze dev'essere fatta nell'ambito delle singole specie.
Nella specie cavallina è sfruttata un'unica funzione economica, quella del lavoro; ma questo, nelle diverse razze, si esplica o con prevalenza del fattore intensità di contrazione muscolare e lentezza di movimenti, oppure con prevalenza del fattore ampiezza e rapidità di movimenti e limitata intensità di contrazione muscolare, oppure ancora con relativo equilibrio tra intensità e ampiezza di contrazione e rapidità di movimento. Ne consegue che le singole razze cavalline possono presentare un'attitudine più o meno spiccata per il lavoro che implica intensità di sforzo e andatura lenta, o per il lavoro che implica andatura rapida e minore intensità di sforzo o per il lavoro che implica contemporaneamente intensità di sforzo e andatura piuttosto rapida. Epperò in base al criterio delle attitudini, le razze cavalline possono essere così classificate: 1. razze cavalline da tiro pesante lento (per es., razza Shire-horse, Clydesdale, belga, ardennese, ecc.); 2. razze cavalline da tiro rapido (per es., Percheronne, bolonese, Pinzgauer, avelignese, oldemburghese, ecc.); 3. razze cavalline da tiro leggiero (per es., razze anglo-normanna, Hackney, della Frisia orientale, di Lipica, ecc.); 4. razze cavalline da tiro leggiero e da sella (razza araba, berbera, sarda, anglo-araba, del Holstein, del Hannover, della Prussia orientale, ecc.); 5. razze cavalline da corse al trotto (trottatore americano, trottatore russo); 6. razze cavalline da corse al galoppo (razza puro sangue inglese).
La specie asinina, come quella cavallina, compie la funzione economica della produzione del lavoro, ma tale funzione non ha dato luogo, in questa specie, a una vera e propria specializzazione com'è avvenuto nei cavalli. L'asino, qualunque sia la razza alla quale appartiene, è atto a compiere il lavoro sia da tiro sia da basto a un'andatura lenta (passo o ambio). Il trotto, e meno ancora il galoppo, è un'andatura non confacenti a questa specie. Una classificazione delle razze asinine può essere fatta, quindi, più che in base al criterio dell'attitudine, in base al criterio della statura e della mole.
La specie bovina disimpegna tre funzioni economiche: produzione della carne, produzione del latte e produzione del lavoro. Queste tre funzioni sono diversamente associate e sviluppate nelle singole razze per cui la classificazione in base al criterio dell'attitudine o funzione economica porta a raggruppare le razze bovine nelle seguenti categorie: 1. razze bovine ad attitudine specializzata: a) per la produzione della carne (per es., razze Shorthorn o Durham da carne, Hereford, Devon, Aberdeen Angus); b) per la produzione del latte e con attitudine subordinata per la carne (per es., razza olandese, Ayrshire, Jersey, Guernsey, Kerry, bretone, valdostana, ecc.); c) per la produzione del lavoro, con subordinata attitudine per la carne (p. es., razza maremmana, pugliese, ungherese, ecc.); 2. razze bovine a duplice attitudine: a) lavoro e carne (p. es., razza romagnola, chianina, marchigiana, ecc.); b) carne e latte (per es., razza Dairy Shorthorn); 3. razze bovine a triplice attitudine: a) con predominio della produzione del latte (per es., razza bruna alpina); b) con predominio della produzione del latte e della carne (per es., razza Simmenthal, friburghese, Mölthal); c) con predominio dell'attitudine al lavoro (per es., razza piemontese, bigia alpina, grigia di Val d'Adige, reggiana, siciliana).
Nella specie zebù si hanno le stesse funzioni economiche dei bovini - produzione della carne, del latte e del lavoro - ma nelle relative razze non si riscontrano specializzazioni così marcate come quelle che si è visto esistere in alcune razze bovine. Ciò premesso, le razze zebù si possono così classificare: 1. razze con prevalente attitudine al lavoro (per es., razze Gugerat e Mysore dell'India, razza Aradò dell'Eritrea); 2. razze con prevalente attitudine alla produzione del latte (per es., razza Nellore dell'India razza Begait dell'Eritrea).
Nella specie bufalina si hanno egualmente tre funzioni economiche - latte, came e lavoro - le quali però non dànno luogo a notevoli differenziazioni fra razza e razza. Tuttavia si possono distinguere razze bufaline con prevalente attitudine al latte e razze bufaline con prevalente attitudine al lavoro. L'attitudine alla carne costituisce sempre, in questa specie, una funzione economica subordinata.
La specie ovina disimpegna quattro funzioni economiche e cioè: produzione della lana, produzime della carne, produzione del latte, produzione di pellicce. Queste funzioni economiche sono diversamente associate e sviluppate nelle singole razze le quali, in base a questo criterio, possono essere così classificate: 1. razze ovine con prevalente attitudine alla produzione della lana e subordinata attitudine alla produzione della carne (razze merinos); 2. razze ovine a duplice attitudine: a) lana e carne (per es., razza Dishley-merinos); b) carne e latte (per es., razza sudanica); 3. razze ovine a triplice attitudine: a) con prevalente attitudine al latte (per es., razza della Frisia, razza sarda, razza di Larzac); b) con prevalente attitudine alla produzione della lana (p. es., razza gentile di Puglia); c) con prevalente attitudine alla produzione della carne (p. es., razza bergamasca); d) con relativo equilibrio fra le tre attitudini (per es., razza sopravissana); 4. razze ovine con prevalente attitudine alla produzione di pellicce (razza Karakul). Nella specie caprina si possono avere tre attitudini: al latte, alla carne, alla produzione del pelo. La prima attitudine è però sempre predominante, per cui le razze caprine si possono classificare in:1. razze da latte e subordinatamente da carne (in cui rientra la grande maggioranza delle razze caprine); 2. razza da latte, carne e pelo (per es., razza Angora).
Le funzioni economiche della specie suina sono quelle della produzione della carne e del grasso e le razze di questa specie si possono classificare in: 1. razze suine con prevalente attitudine alla carne (per es., razza Large White); 2. razze suine con prevalente attitudine al grasso (per es., razza Poland China).
Nella specie cunicolina le razze si possono classificare in:1. razze di conigli con prevalente attitudine alla produzione della carne (per es., razza gigante di Fiandra); 2. razze di conigli con prevalente attitudine alla produzione del pelo o di pellicce (per es., razza Angora, razza Castorrex); 3. razze a duplice attitudine (per es., razza blu di Vienna).
Le razze di polli alla loro volta si possono così classificare in base al criterio dell'attitudine: 1. razze con prevalente attitudine alla produzione delle uova (per es., razza Livorno, razza Ancona, razza Campine, ecc.); 2. razze con prevalente attitudine alla produzione della carne (per es., razza Brahma, razza Cocincina); 3. razze a duplice attitudine (p. es., razza Wyandotte, razza Orpington, razza Rodhe Island Red, ecc.).
Bibl.: H. Settegast, Die Tierzucht, Breslavia 1888; J. Hansen, Pusch's Lehrbuch der allgemeinen Tierzucht, Stoccarda 1920; C. Kronacher, Allgemeine Tierzucht, Berlino 1921; E. Marchi e E. Mascheroni, Zootecnia speciale, I: Equini e bovini, Torino 1925; P. Dechambre, Zoot. generale, ivi 1925; B. Giuliani, Genetica animale, Firenze 1928; id., Le basi scientifiche della selezione, ivi 1931.
La razza nei vegetali.
Col nome di razza, molto adoperato in orticoltura, cerealicoltura, ecc., si designano le forme insorte con la coltivazione o presunte tali, come adattamento allo speciale ambiente e, più ancora, come prodotto della manipolazione del selezionatore, ibridatore, genetista teorico o pratico. È degno di nota che, a volte, questi prodotti corrispondono perfettamente a quelli che si riscontrano in natura e siccome anche in questa v'è una cernita e vi hanno largo giuoco l'ibridismo e la mutazione (quest'ultima specialmente sotto forma di piccole variazioni brusche), C. Darwin ha spesso assimilato il concetto di razza e particolarmente di razza geografica a quello di sottospecie e qualche volta a quello di forma locale. La differenza è forse solo di grado, nel senso che l'ambiente colturale accentua la variabilita insita nel ceppo selvatico, l'uomo dirige la selezione verso scopi utilitarî, ne fa più rigorosa la protezione contro le influenze ibridiche, fa cadere la scelta anche sulle mostruosità e su forme che, per la loro debolezza, non potrebbero sussistere allo stato naturale. La parola razza è adoperata da H. De Vries indifferentemente per varietà e viceversa, e a questi risale la distinzione fra varietà povere o mezze razze e varietà ricche o razze di mezzo, occupanti, cioè, una posizione intermedia fra una mezza razza e una varietà che l'autore, del resto, preferisce chiamare varietà sempre variabili. Ma in genere, al concetto di razza va tacitamente annesso un certo grado di costanza e talune, specialmente quelle insorte per mutazione, lo sono di fatto. In qualche opera sistematica, come nella fondamentale Flore de France del Rouy e collaboratori, il nome di razza è sostituito con quello di "forma" che è considerata distinta dalla sottospecie: quello di razza (o specie) geografica ha per alcuni botanici il significato, non solo di forma locale, ma anche di forma rappresentativa o vicaria.
Nessun ramo della botanica applicata ha prodotto un così grande numero di razze, spesso a genealogia oscura, quanto l'orticoltura, per poco che si rifletta a ciò che c'è in commercio in fatto di rose, garofani, tulipani, dalie, papaveri, crisantemi, barbabietole, cavoli, lattughe, ecc. La cerealicoltura e specialmente la granicoltura, con tecnica sempre più progredita, hanno ottenuto un cospicuo numero di razze elette sia per l'alto rendimento, sia per la resistenza alle malattie, all'allettamento, all'aridità o piovosità del clima, ecc. Va aggiunto che, nel giardinaggio, molte razze rappresentano mostruosità o deviazioni dal normale, quali quelle fondate sulla laciniatura e increspatura delle foglie, sull'appiattimento e torsione del fusto, sull'indoppimento dei petali che porta spesso a una completa castrazione, o anche sull'aumento degli organi pistilliferi (pistillodia del papavero da oppio), ecc.