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razzismo

Dizionario di Storia (2011)
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razzismo


Ideologia fondata sull’arbitrario presupposto dell’esistenza di razze umane, stabilendo al loro interno una gerarchia che vede «razze» biologicamente e storicamente superiori destinate al comando, e altre inferiori, destinate alla sottomissione; il r. è anche alla base di una prassi politica volta, con discriminazioni e persecuzioni, a garantire la «purezza» e il predominio della «razza superiore».  Sebbene come atteggiamento il r. risalga per lo meno al Medioevo, le prime teorizzazioni razziste in senso proprio sono nate con la scoperta dell’America, quando l’interesse ad assoggettare gli amerindi al dominio europeo favorì l’emergere di dottrine razziste. La sottomissione e lo sterminio degli indigeni furono così legittimati dalla tesi della loro inferiorità, non di rado giustificata anche su basi religiose, nonostante l’azione di uomini come B. de las Casas, i pronunciamenti dei papi fin dalla Sublimis Deus (2 giugno 1537) di Paolo III e la teorizzazione dell’uguaglianza di tutti gli uomini (F. de Vitoria e F. Suárez). In America la tratta degli schiavi fu legittimata sia sulla base di interpretazioni fondamentaliste della maledizione di Cam (Genesi 9, 20-27) sia considerando le differenze biologiche e comportamentali degli africani come caratteristiche di esseri inferiori assoggettabili al dominio. Il r. e le dottrine razziste vengono pertanto a basarsi sull’uso strumentale e mistificatorio del concetto di razza, definito, in senso biologico, fra il 17° e il 18° sec. (innanzitutto per opera di G.-L. Buffon) per indicare una tipologia fisica delle varie stirpi animali e umane fondata prevalentemente sulle loro forme e caratteristiche esteriori ed ereditarie, in particolare sul colore della pelle per quanto riguarda gli uomini. Una volta trasferita dall’ambito zoologico a quello umano, la nozione di razza acquista connotazioni altamente valutative e discriminatorie, a mala pena giustificate, quando lo sono, dalla pretesa neutralità e scientificità delle descrizioni basate su quella nozione. Nell’Ottocento questa pretesa scientificità raggiunse il suo culmine. Valgano come esempi la teoria poligenetistica di L. Agassiz, che basava l’ineguaglianza tra le razze e l’inferiorità di neri e asiatici sulla presunta esistenza di specie separate e distinte, ordinate secondo una gerarchia che vede al sommo la razza bianca; oppure gli studi craniometrici di G. Morton e P.-P. Broca, che facevano dipendere l’inferiorità delle razze diverse dalla bianca dal minor volume dei cervelli (e quindi dalla presunta conseguente limitata facoltà mentale) degli appartenenti a tali razze. La craniometria, spesso fondata su omissioni e manipolazioni, sarebbe stata affiancata, dopo la pubblicazione delle opere di Darwin, da teorie pseudo-evoluzionistiche in cui la «sopravvivenza del migliore» diventa un argomento a favore della superiorità della razza bianca nei confronti di quelle «selvagge» o «primitive». All’autovalorizzazione della propria razza di appartenenza fondata su un uso arbitrario del concetto di selezione naturale sono poi da connettere le prime proposte eugeniche, volte a sconsigliare una totale libertà di scelta sessuale al fine di mantenere incontaminate le caratteristiche superiori della razza. Queste idee, di cui fu strenuo sostenitore F. Galton, avrebbero suscitato particolare interesse soprattutto in Germania, dove avrebbero trionfato con gli esperimenti eugenici del nazismo. Accanto alle legittimazioni di tipo pseudoscientifico, esistono altre forme ideologiche con cui il r. è stato teorizzato e giustificato, in parte connesse al concetto romantico di popolo (Volk). Una nuova configurazione della razza, su basi linguistiche, era maturata infatti verso la metà dell’Ottocento, allorché gli studi orientalistici portarono alla scoperta delle lingue del cosiddetto gruppo indogermanico e all’ipotesi connessa, discutibile e incerta, che alla loro origine fosse esistita una popolazione «aria» o indogermanica dalla quale sarebbero derivate, in combinazioni più o meno miste, le attuali popolazioni europee. A queste ipotesi linguistiche ed etniche si ispirò il nobile francese A. de Gobineau, che nel suo Essai sur l’inégalité des races humaines (1853-55) teorizzò la superiorità della razza «ariana», tesi che avrebbe poi trovato grande adesione soprattutto in Germania, dove si mescolò con l’ e con la pretesa purezza razziale del popolo germanico. Il sistematizzatore di questo r. fu H.S. Chamberlain, inglese germanizzato e genero di R. Wagner, nel cui Die Grundlagen des XIX. Jahrhunderts (1899) gli stereotipi biologistici, etnici e linguistici si fondono in una dottrina dai toni pseudomistici e profetici destinata a confluire, soprattutto attraverso la mediazione del Mein Kampf (1925-27) di A. Hitler, nel nazismo, favorendo il disegno della cosiddetta soluzione finale che sterminò milioni di ebrei, ma che prevedeva una più ampia eliminazione di tutte le stirpi europee che non fossero conformi al modello ariano e dalla cui contaminazione doveva essere salvaguardata la razza germanica. Anche l’Italia fascista adottò leggi razziali (1938) e contribuì alla deportazione nei Lager degli ebrei italiani. Nel periodo successivo alla Seconda guerra mondiale, anche alla luce delle tragedie prodotte dal r., molti studiosi passarono a una dura critica della stessa nozione di razza, negando completamente la possibilità di un suo fondamento scientifico. Inoltre, la presunzione dell’esistenza di «razze pure» di cui una, la cosiddetta razza ariana, sarebbe superiore alle altre per qualità geneticamente determinate è stata esplicitamente smentita da una dichiarazione dell’UNESCO (8 giugno 1951, rielaborata nel luglio 1962) sulla natura delle razze e sulle differenze razziali, redatta da un gruppo internazionale di genetisti e di antropologi. Ciò non ha impedito l’affermazione di regimi segregazionisti, come l’ in Sudafrica revocato solo nel 1990. Negli Stati Uniti, nonostante l’abolizione della schiavitù (1865), i neri continuarono a essere discriminati, nonché perseguitati dal terrorismo del Ku-Klux Klan, fino al 1964, quando un’ondata di manifestazioni antirazziste ottenne il divieto di ogni legge discriminatoria. Ciononostante l’emarginazione sociale, dei neri come degli ispanici, non è ancora del tutto scomparsa. A partire dagli anni Ottanta le condizioni storiche ed economiche hanno visto risorgere l’esplosione di nuove forme di r. più o meno violento anche nei Paesi europei (non esclusa l’Italia), soprattutto in seguito alle immigrazioni dal Terzo mondo, con pericolose posizioni, assai esplicite nelle formazioni di destra, caratterizzate da un brutale r. nei confronti di immigrati comunitari ed extracomunitari. In Europa orientale e nell’ex URSS, invece, si è assistito alla ricomposizione di entità statuali su base etnica, che ha provocato in taluni casi (in particolare nella ex Iugoslavia) violenze e migrazioni di massa. Gravissime violenze tra gruppi etnici e tribali diversi si sono verificate anche in Africa, in particolare in Ruanda, Burundi, Zaire. Nel 2000 il 21 marzo è stato proclamato giornata mondiale contro il r., in memoria dell’eccidio di 69 neri nel 1960 a Sharpeville (Sudafrica). Organizzazioni umanitarie non governative, come SOS Razzismo, nata in Francia ma operante in tutto il mondo, anche in Italia (dal 1989), si battono per sconfiggere il r. e ogni forma di discriminazione. Da anni l’Unione Europea invita con direttive gli Stati membri a dotarsi di leggi antidiscriminazione.

Si veda anche Il razzismo

Vedi anche
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Vocabolario
razzismo
razzismo s. m. [der. di razza, sull’esempio del fr. racisme]. – Ideologia, teoria e prassi politica e sociale fondata sull’arbitrario presupposto dell’esistenza di razze umane biologicamente e storicamente «superiori», destinate al comando,...
antirazzismo
antirazzismo s. m. [comp. di anti-1 e razzismo]. – Atteggiamento di chi contrasta le dottrine e le pratiche del razzismo.
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