razzismo
L’idea folle della superiorità di una razza
Si dicono razziste le teorie che si fondano sul presupposto che l’umanità sia divisa in razze biologicamente superiori e inferiori. Il termine si diffuse alla fine del 19° secolo, quando si svilupparono tesi volte a dimostrare la superiorità biologica della razza bianca per giustificare le discriminazioni razziali e lo sfruttamento delle altre razze nelle colonie. Il razzismo si è sviluppato soprattutto nell’età contemporanea e ha avuto i suoi esiti più tragici nella Germania nazista. La scienza contemporanea ha dimostrato la sua infondatezza
Il razzismo in senso proprio è un fenomeno moderno. Per l’antichità è più corretto parlare di xenofobia, cioè «odio per gli stranieri». Prime forme di razzismo si ebbero in Spagna nel 15°-16° secolo, dopo la reconquista del territorio dagli Arabi, con le persecuzioni di musulmani (mori) ed ebrei (marrani) in nome della limpieza de sangre, la «purezza di sangue» degli Spagnoli cristiani. Dopo la scoperta dell’America, gli Spagnoli giustificarono la riduzione in schiavitù degli Indios dichiarandoli homunculi, cioè esseri non pienamente umani. Lo stesso disprezzo razzista fu esteso ai neri africani, poi portati come schiavi nel Nuovo Mondo.
Il termine razza in riferimento agli esseri umani fu usato per la prima volta nel 1563 dallo storico inglese John Foxe, ma solo nel 18° secolo fu utilizzato scientificamente dai biologi. Il medico svedese Carlo Linneo (Systema naturae «Il sistema della natura», 1735) distinse quattro razze in base al colore della pelle (bianca, rossa, gialla, nera), con differenze anche di natura psicologica e culturale. Nel Settecento, la cultura illuministica diffuse l’idea della sostanziale uguaglianza degli uomini e la convinzione che le differenze fossero prodotte dall’ambiente: secondo la teoria monogenista (dal greco mònos «unico, solo» e gènesis «principio, origine»), tutti gli uomini discendono da un ceppo comune.
Il razzismo moderno si sviluppò nel 19° secolo, col tentativo di giustificare la superiorità della razza bianca con argomentazioni scientifiche. Una lettura distorta dell’evoluzionismo di Charles Darwin portò a differenziare le razze in base al diverso grado di evoluzione, testimoniato dalla storia: le razze più evolute, infatti, si adattano meglio all’ambiente, si arricchiscono e si affermano sulle altre, inferiori perché meno evolute. Trovava così una giustificazione scientifica l’imperialismo: il dominio bianco aveva, anzi, la missione di accelerare la civilizzazione dei popoli più arretrati.
Il testo fondamentale del razzismo ottocentesco fu il Saggio sull’ineguaglianza delle razze umane (1853-55) del francese Joseph-Arthur de Gobineau, che ne conteneva le fondamentali asserzioni: la superiorità della razza bianca e soprattutto dei popoli ariani germanici, biondi, alti e dolicocefali (cioè con cranio alto e stretto); la cultura come espressione di qualità razziali e la purezza razziale come condizione per preservarla; il timore che la mescolanza con le razze inferiori (il meticciato) avrebbe determinato un’inevitabile decadenza e mediocrità. In Germania questa teoria fu sviluppata da un circolo di intellettuali che si raccoglieva intorno al compositore Richard Wagner. Tra questi, l’inglese germanizzato Houston Stewart Chamberlain scrisse I fondamenti del 19° secolo (1899), in cui la storia era presentata come un’eterna lotta tra la ‘razza ariana’, creatrice di cultura, e quella ‘ebraica’, grettamente materialista e distruttrice della cultura. L’odio per gli ebrei si trasformò in antisemitismo, cioè disprezzo per una razza considerata biologicamente inferiore. L’antisemitismo ebbe grande diffusione in Europa. In Francia nel 1894 scoppiò l’affaire Dreyfus, cioè la condanna per spionaggio di un innocente capitano, ‘colpevole’ di essere ebreo. Il caso divise per anni la nazione e si concluse con la riabilitazione di Alfred Dreyfus grazie a un grande movimento di solidarietà democratica. In Russia erano frequenti i pogrom, massacri di ebrei compiuti con il silenzio delle autorità.
La scienza cercò altre giustificazioni del razzismo negli studi antropometrici, cioè nelle misurazioni dei tratti somatici, soprattutto del cranio.
Il razzismo raggiunse i suoi esiti più tragici nella Germania nazista, dove diventò ideologia ufficiale dello Stato. Adolf Hitler (Mein Kampf «La mia battaglia», 1925) e Alfred Rosenberg (Il mito del 20° secolo, 1930) ripresero le teorie di Gobineau e Chamberlain, sostenendo la superiorità della razza ariana e l’antisemitismo. Nella Germania nazista gli Ebrei, dichiarati esseri subumani (Untermenschen), furono oggetto di comportamenti discriminatori – espulsione da scuole e professioni, boicottaggi, violenze – e di leggi razziali (come quelle di Norimberga del 1935, che li privarono dei diritti civili e proibirono i matrimoni misti), fino allo sterminio (shoah) nei Lager come soluzione finale durante la Seconda guerra mondiale.
Sei milioni di Ebrei morirono nelle camere a gas o assassinati con crudeltà e solo la sconfitta impedì a Hitler di ultimare il genocidio. Il nazismo adottò anche pratiche di sterilizzazione o di eliminazione dei malati e progettò la riduzione in schiavitù degli Slavi, altra ‘razza’ considerata inferiore, nei territori occupati durante la guerra. L’Italia fascista aderì nel 1938 alla politica razzista di Hitler. La Carta della razza e le leggi razziali stabilirono la superiorità della razza ariana e decretarono le discriminazioni degli Ebrei.
Negli Stati Uniti il razzismo si manifestò nella discriminazione dei neri. L’abolizione della schiavitù con la guerra di Secessione (1865) non migliorò le condizioni di vita della popolazione di colore negli Stati del Sud, per la persistenza dei sentimenti razzisti. I neri continuarono a essere emarginati nella vita sociale e la società segreta del Ku-Klux Klan usò il terrore e la violenza per impedire loro il godimento dei diritti civili. Solamente dagli anni Sessanta, grazie all’esplosione di movimenti antirazzisti nel paese (Martin Luther King) e nel mondo, la discriminazione legale ebbe fine, senza però scomparire del tutto in via di fatto.
Un regime di segregazione razziale, l’apartheid, fu istituito nel 1948 in Sudafrica, dove la minoranza bianca costrinse la maggioranza nera a vivere in quartieri separati. L’apartheid fu abolito negli anni Novanta, quando il movimento antisegregazionista di Nelson Mandela e dell’African national congress riuscì a trionfare, col sostegno dell’onu e della solidarietà mondiale.
Forme di discriminazione razziale sono tuttora presenti in vari paesi, per esempio nei confronti degli Indios del Chiapas in Messico o degli aborigeni in Australia. Episodi di razzismo e movimenti xenofobi si sono manifestati, dagli anni Ottanta del Novecento, anche nei paesi europei interessati da migrazioni di massa dai paesi poveri. L’Italia ha conosciuto il fenomeno alla fine del secolo, quando è diventata la principale ‘porta’ per l’Europa per gli immigrati provenienti dal Mediterraneo.
Alla fine del secolo si sono ripresentate anche orrende pratiche di ‘pulizia etnica’. Le più gravi sono state quelle perpetrate nella ex Iugoslavia dai Serbi nei confronti dei Croati e degli Albanesi del Kosovo e i massacri di Tutsi e Hutu in Ruanda del 1994. I progressi della scienza genetica hanno tolto ogni fondamento alle teorie razziste. L’umanità deriva da un unico ceppo che dall’Africa si diffuse nei vari continenti: la selezione naturale rafforzò i caratteri più adatti a ogni ambiente e l’isolamento che divise per millenni le popolazioni dei diversi continenti determinò la formazione di differenti tipi umani. La capacità di apprendimento è uguale in tutti i tipi umani, e non ce ne sono alcuni biologicamente più dotati di altri.
L’ONU e l’UNESCO hanno condannato il razzismo in numerosi documenti, i più importanti dei quali sono la Dichiarazione sulla razza (1950) e la Dichiarazione sulla razza e i pregiudizi razziali (1978).