ILDEPRANDO, re dei Longobardi
Nacque presumibilmente verso il 710; non sono note le prime fasi della sua vita. Paolo Diacono gli attribuisce l'appellativo di "nepos regis" (Hist. Langob., VI, 55), ma a oggi non sono chiari i legami di parentela che lo univano come nipote al re Liutprando.
Era probabilmente il 735 quando I., che per il compito cui era chiamato e per i suoi trascorsi militari è lecito supporre avesse circa venticinque anni, pervenne al trono per iniziativa dei grandi del Regnum.
Allarmato dalla grave infermità che aveva colpito Liutprando proprio in un periodo di duro confronto politico e militare con le forze bizantine e filobizantine in territorio italico, l'entourage regio provvide con urgenza a eleggere re suo nipote Ildeprando. La cerimonia di acclamazione - svoltasi presso la chiesa cimiteriale pavese di S. Maria ad Perticas, fuori del tempio, invece che all'interno, seguendo una traditio laica e militare assai importante - non fu priva di aspetti inquietanti: secondo il parere di alcuni saggi (prudentes) presenti all'elezione e turbati da alcuni fatti a loro dire forieri di sventura, il regno di I. non sarebbe stato di alcuna utilità alla gloria del nome longobardo (ibid.).
Il tradizionale, antico cerimoniale prevedeva la consegna all'eletto di un'asta o lancia (contus), simbolo di natura militare e propriamente, per i Longobardi, rappresentativo del potere regio; nel momento in cui l'asta venne consegnata a Ildeprando, un cuculo vi si posò sopra.
Al di là delle considerazioni sulla veridicità o meno dell'episodio, che con ogni probabilità venne anzi concepito successivamente al brevissimo regno di I. annunciato dalla funebre profezia (asta-uccello=sepolcro), appaiono in esso alcuni elementi assai indicativi riguardo al suo regno.
Anzitutto il riferimento alla località e all'ente ecclesiastico presso i quali avvenne l'elezione: Pavia, la capitale, e una chiesa mariana e cimiteriale di fondazione regia. Il testo fa chiaramente intendere che il significato della cerimonia, nella sua indubbia solennità, appare non solo decisamente laico, ma anche fortemente paganeggiante. Gli ecclesiastici sono totalmente ignorati e d'altra parte le funzioni cerimoniali non pare prevedessero la loro presenza; risulta invece evidentissimo l'intento celebrativo dei fasti militari e nazionali longobardi. La consegna di un'arma, o del suo simulacro, in un luogo caro a quel popolo in quanto adibito alla sepoltura dei suoi guerrieri; le pertiche sormontate da colombe lignee infisse nel terreno presso la chiesa di S. Maria erano infatti, com'è noto, il simbolo e il ricordo dei caduti. Le modalità dell'elezione appaiono così altamente indicative del clima politico di quel periodo. I., benché cattolico, rappresentava pienamente e con ogni evidenza, per la sua palese ostilità nei confronti sia della Chiesa di Roma sia di Bisanzio - come si evince anche da talune allarmate osservazioni contenute nell'anonima biografia di papa Zaccaria (Le liber pontificalis) - l'orgoglio di molti Longobardi. Un orgoglio nazionalistico cui pare intrecciarsi un malcelato compiacimento per il proprio passato pagano e per i bellicosi progetti da attuare.
Il regno di I. voleva dunque aprirsi all'insegna di una continuità nella politica antibizantina e forse, soprattutto, anticattolica, che proprio con lo zio Liutprando pareva momentaneamente venuta meno. I., non va sottovalutato, era un valente soldato; era reduce sia dalla conquista di Ravenna sia da un difficile periodo di prigionia dalla quale era stato infine riscattato.
L'episodio, riferibile alla sanguinosa campagna longobarda contro l'Esarcato avviata nel 732, è frettolosamente rammentato nella Historia… (ibid., VI, 54): I. si trovava nell'appena espugnata Ravenna, quando fu catturato durante un improvviso assalto di contingenti veneti alleati ai soldati orientali.
Paolo Diacono, sia pure solo con un cenno, non manca di rilevare che Liutprando, una volta ristabilitosi dalla malattia e informato dell'elezione di I., sebbene ne avesse riconosciuta la validità associandolo al trono, non pare ne sia stato entusiasta: "non aequo animo accepit" (ibid.). Liutprando era cosciente infatti della mutata situazione politica e la sbrigativa elezione del bellicoso nipote non poteva non preoccuparlo. I., fortemente antibizantino e ancor più antiecclesiastico, era tuttavia l'evidente espressione della volontà dei gruppi dominanti longobardi il cui consenso, in simili emergenze, Liutprando non avrebbe potuto né voluto in alcun modo eludere.
Dopo l'associazione al trono di I. e l'inaspettata guarigione di Liutprando, i Longobardi su esplicita richiesta del maggiordomo austrasiano Carlo Martello parteciparono, forse tra il 737 e il 738, a una campagna militare per arginare le scorrerie musulmane nella Gallia franca meridionale. Dal 739 si aprì un nuovo periodo di crisi nei rapporti con il papa, allora Gregorio III, e con il duca longobardo di Spoleto, Transamondo (II), sempre più autonomo rispetto alla politica liutprandina e ormai alleato del pontefice e dei Bizantini. A Spoleto, fuggito il duca ribelle, venne posto Ilderico, fedele a Liutprando ma, circa sei mesi dopo, il ritorno di Trasamondo portò all'uccisione di Ilderico e al ripristino di una politica centrifuga rispetto a quella pavese. Così pure avvenne a Benevento, con la morte di Gregorio e l'avvento di Godescalco, anch'egli sostenitore di una politica ducale forte e indipendente rispetto a quella regia.
Nonostante le richieste di aiuto formulate dal papa, Carlo Martello non intervenne contro Liutprando e I., che nel 740 ripresero l'offensiva contro i Bizantini in area ravennate e nel Ducato romano. Nel 741, alla morte di papa Gregorio III, la situazione mutò. Il nuovo papa, Zaccaria, temendo l'aggressività e l'intraprendenza longobarde, pensò di scindere la propria linea politica da quella bizantina, offrendo ai sovrani longobardi - in cambio degli importanti centri fortificati di Amelia, Orte, Bomarzo e Blera - il proprio aiuto, anche militare, per il recupero dei Ducati di Spoleto e di Benevento. La proposta fu accolta da Liutprando e da I., i quali in breve riuscirono a riconquistare i due Ducati che rispettivamente diedero da governare ai fedeli Agiprando e Gisulfo (II). La pace con il Papato condusse ben presto sia alla restituzione a papa Zaccaria di altri insediamenti in Sabina e nelle Marche, sia alla liberazione di numerosi prigionieri delle precedenti campagne militari.
La situazione non cambiò invece sul fronte antibizantino. Nel 743 truppe longobarde penetrarono nuovamente nell'Esarcato minacciando un'ennesima volta Ravenna. Tuttavia, grazie all'azione diplomatica esercitata su papa Zaccaria dall'esarca Eutichio e dall'arcivescovo ravennate Giovanni, il pontefice seppe convincere Liutprando e I. a desistere dall'assedio nell'estate 743.
Liutprando morì poco più tardi, nel gennaio 744, e I. rimase sul trono solo per pochi mesi, sette (Hist. Langob. Cod. Gothani; Catalogus regum Langob. et Ital.) o forse otto (cfr. Chronicon S. Benedicti Casinensis; Catalogus regum Langob. et ducum) o nove (Catalogus regum Langob. et Ital. Lomb.). Il primo documento emanato con certezza dal solo I. risale al 22 marzo 744 (Codice diplomatico longob.), ma di lì a poco, ormai in balia di lotte tra fazioni aristocratiche, I. - che nella Vita Zachariae viene bollato quale "rex malivolus" - venne deposto o ucciso da Ratchis, figlio di Pemmo, della dinastia ducale friulana.
Fonti e Bibl.: Paulus Diaconus, Historia Langobardorum, a cura di G. Waitz - L. Bethmann, in Mon. Germ. Hist., Scriptores rerum Langob. et Ital. saec. VI-IX, Hannoverae 1878, pp. 156, 183 s. (V, 34; VI, 54 s.); Andreas Bergomas, Historia, ibid., p. 223; Chronicon S. Benedicti Casinensis, ibid., p. 487; Catalogus regum Langob. et ducum, ibid., p. 492; Catalogus regum Langob. et Ital., ibid., p. 502; Catalogus regum Langob. et Italic. Lomb., ibid., p. 508; Codex Carolinus, a cura di W. Gundlach, ibid., Epistolae, III, 1, Epistolae Merowingici et Karolini aevi, Berolini 1892, n. 1, pp. 476 s.; n. 2, pp. 477 s. (cfr. Ph. Jaffé, Regesta pontificum Romanorum, a cura di G. Wattenbach et al., Leipzig 1885, n. 2244); Gregorius III papa, Epistolae, in J.-P. Migne, Patr. Lat., XCIX, n. 5, col. 582; Le liber pontificalis, a cura di L. Duchesne, I, Paris 1886, p. 431; Codice diplomatico longobardo, III, a cura di C. Brühl, in Fonti per la storia d'Italia [Medio Evo], LXIV, Roma 1973, n. 18, pp. 80 ss.; Hist. Langob. Cod. Gothani, in Le leggi dei Longobardi, a cura di C. Azzara - S. Gasparri, Milano 1992, p. 286 (c. 8); Iohannes Diaconus, Istoria Veneticorum, a cura di L.A. Berto, Bologna 1999, pp. 98-100 (II, 12); O. Bertolini, I papi e le relazioni politiche di Roma con i Ducati longobardi di Spoleto e di Benevento, in Riv. di storia della Chiesa in Italia, VI (1952), p. 44; R. Cessi, Venezia ducale, I, Duca e popolo, Venezia 1963, p. 105; O. Bertolini, Le relazioni politiche di Roma con i Ducati di Spoleto e di Benevento nel periodo del dominio longobardo, in Id., Scritti scelti di storia medievale, a cura di O. Banti, II, Livorno 1968, pp. 686-688; P. Llewellyn, Roma nei secoli oscuri, Roma-Bari 1975, pp. 161-164 (pur senza cit.); S. Gasparri, I duchi longobardi, Roma 1978, pp. 70, 80; P. Delogu, Il Regno longobardo, in P. Delogu - A. Guillou - G. Ortalli, Longobardi e Bizantini, Torino 1980, pp. 156-161; H. Fröhlich, Studien zur langobardischen Thronfolge von den Anfängen bis zur Eroberung des italienischen Reiches durch Karl den Grossen, I, Tübingen 1980, pp. 197 s.; P.M. Conti, Il Ducato di Spoleto e la storia istituzionale dei Longobardi, Spoleto 1982, pp. 135, 311, 313; S. Gasparri, La cultura tradizionale dei Longobardi, Spoleto 1983, pp. 24 s., 55, 61-66, 91, 140; C. Brühl, Storia dei Longobardi, in Magistra barbaritas, Milano 1984, p. 109; G. Arnaldi, Le origini dello Stato della Chiesa, Torino 1987, p. 107; A.P. Anthropos, L'età longobarda a Pavia, a Benevento, in Puglia, II, Fasano di Puglia 1989, p. 24; C. Azzara, L'ideologia del potere regio nel Papato altomedievale (secoli VI-VIII), Spoleto 1997, p. 258; T.F.X. Noble, La Repubblica di S. Pietro. Nascita dello Stato pontificio (680-825), Genova 1998, pp. 65, 76, 80; A. Bedina, Gisulfo (II), in Diz. biogr. degli Italiani, LVI, Roma 2001, pp. 635-638; Id., Godescalco, ibid., LVII, ibid. 2001, pp. 508-510; Lexikon des Mittelalters, V, col. 16.