LIUTPRANDO, re dei Longobardi
Nacque in data ignota da Ansprando e da Teoderada. In base a un'osservazione di Paolo Diacono, secondo il quale verso il 701 L. fu ritenuto troppo giovane dagli avversari di suo padre per costituire un pericolo (Historia Langobardorum, VI, 22), si può dedurre che fosse nato verso la fine degli anni Ottanta o agli inizi dei Novanta del VII secolo. L. ebbe un'adolescenza molto movimentata: alla morte del re longobardo Cuniperto (700) il padre di L. fu nominato tutore del figlio minorenne del re, Liutperto, e si scontrò con i discendenti della famiglia reale longobarda (denominata dai contemporanei bavarese); dopo alterne vicende, Ansprando fu sconfitto e obbligato a riparare in Baviera. I suoi avversari catturarono i membri della sua famiglia e infierirono su di loro: il figlio Sigiprando fu accecato, mentre alla moglie e alla figlia Aurona furono tagliati il naso e le orecchie. Come già ricordato, L., in virtù della sua giovane età, fu lasciato illeso e gli fu persino permesso di raggiungere il padre.
Trascorsi nove anni in Baviera, Ansprando tornò in Italia e riuscì a impadronirsi del Regno longobardo. Nel 712, dopo soltanto tre mesi di governo, morì in seguito a malattia. Poco prima della morte di Ansprando, L. fu eletto re. La sua ascesa al trono non fu però accettata da tutti i Longobardi e numerose congiure furono ordite contro di lui. La prima e probabilmente la più grave fu organizzata da Rotari, un parente di L., per assassinare il re durante un banchetto nella propria casa.
Il complotto fu represso con grande durezza: Rotari e i suoi quattro figli furono uccisi per avere opposto resistenza all'arresto. In seguito il sovrano si dimostrò più clemente e risparmiò chi aveva immediatamente ammesso di avere partecipato al complotto. Paolo Diacono sottolinea che in tali occasioni il re manifestò sempre grande coraggio e non temette mai di affrontare personalmente i cospiratori. Lo storico longobardo lo definisce uomo di grandi qualità belliche, ma non riporta alcun episodio in cui diede prova di particolari doti guerriere, anche se in numerose occasioni L. guidò personalmente le sue truppe sul campo di battaglia.
Nei primi anni di regno L., probabilmente alla ricerca della stabilità interna, non si avventurò in alcuna campagna e condusse una politica di buoni rapporti sia con i Bizantini sia con Roma. In quest'ottica deve essere interpretato l'ordine impartito verso il 713 al duca di Spoleto Faroaldo (II) di restituire ai Bizantini il porto di Classe, da poco conquistato dal governante spoletino.
Nel 717 L. si mosse invece contro i Bizantini e, approfittando dell'assedio musulmano di Costantinopoli, saccheggiò Classe e assediò Ravenna; nel frattempo Faroaldo conquistava Narni e Romualdo (II), duca di Benevento, occupava Cuma. I risultati di questa offensiva non furono però durevoli, perché L. tolse l'assedio a Ravenna dopo pochi giorni e i Beneventani furono costretti ad abbandonare Cuma. Il re riscosse maggiori successi nelle successive campagne, durante le quali si erse a difensore del papa e dell'ortodossia cattolica. Verso il 724 le truppe longobarde, schierate a protezione di Roma, fecero fallire la spedizione punitiva dell'esarca bizantino Paolo contro il pontefice Gregorio II, oppostosi all'autorità imperiale. Poco dopo, L. trasse vantaggio dalla confusione e dalle rivolte scoppiate nell'Italia bizantina in seguito all'editto iconoclasta emanato nel 726 dall'imperatore d'Oriente Leone III Isaurico, per attaccare chi era rimasto fedele a Costantinopoli ed era stato dichiarato eretico dal papa, sottomettendo così al proprio dominio Bologna e alcuni centri fortificati dell'Emilia e della Pentapoli. Per non perderne il favore, restituì però al pontefice il castello di Sutri, che faceva parte del Ducato di Roma.
L. tuttavia desiderava anche riaffermare la propria autorità sui Ducati di Spoleto e di Benevento, sui quali i re longobardi avevano sovente avuto poco potere e che negli ultimi anni avevano instaurato rapporti sempre più stabili con il Papato. Nel 729 si alleò perciò con l'esarca di Ravenna Eutichio, che concepiva tale legame in funzione antipapale, poiché il pontefice, per avere dichiarato eretico l'imperatore, era considerato a Costantinopoli come un ribelle. L. invece, dopo avere ottenuto la sottomissione, senza colpo ferire, degli Spoletini e dei Beneventani, si recò con il suo esercito a Roma e costrinse il pontefice e l'esarca a giungere a un accordo di pace. In tale maniera riuscì ad assumere in Italia un'autorità superiore a quella avuta da qualsiasi suo predecessore. L'instaurazione di un più stretto controllo regio sui Ducati di Spoleto e di Benevento fu tuttavia soltanto temporanea e L. fu costretto a intervenire a più riprese nel Centro e nel Sud d'Italia.
Il duca di Benevento Romualdo (II), che aveva sposato una nipote di L., era da poco morto lasciando un figlio minorenne, Gisulfo (II). Contro quest'ultimo si era formato un partito autonomistico guidato da Audelahis, il quale assunse la guida del Ducato. Nel 732 L. intervenne, deponendo Audelahis dalla carica di duca e sostituendolo con un altro suo nipote, Gregorio. Nel 739 fu la volta del Ducato di Spoleto, il cui duca, Transamondo, si era ribellato apertamente a Liutprando. All'arrivo del re, Transamondo fuggì a Roma e L. fece eleggere duca un uomo di sua fiducia; si recò quindi a Roma per farsi consegnare il ribelle ma, nonostante le devastazioni compiute dai Longobardi, il papa Gregorio III rifiutò di concedere il proprio alleato ai suoi avversari. La situazione cambiò nuovamente appena il sovrano tornò a Pavia. Con l'aiuto di truppe fornite dal pontefice, Transamondo tornò infatti in possesso di Spoleto. Nel frattempo a Benevento era morto il duca Gregorio, che fu sostituito da Godescalco, un esponente della fazione autonomistica.
La morte, nel 741, di papa Gregorio III e l'elezione al soglio pontificio di Zaccaria portarono a un mutamento dei rapporti tra Roma e Spoleto. Il nuovo pontefice si dichiarò infatti disposto ad abbandonare l'alleato spoletino in cambio della restituzione di alcuni centri fortificati, in precedenza occupati dal re. Forte di questo accordo, L. si recò a Spoleto con un esercito, sconfisse Transamondo e in seguito fece duca di Spoleto suo nipote Agiprando. Il sovrano prese quindi possesso di Benevento senza combattere, perché il fronte avversario si sfaldò al suo arrivo e Godescalco fu eliminato dai sostenitori di L., il quale impose poi come duca Gisulfo, ormai maggiorenne. L'indecisione dimostrata in seguito da L. nel restituire i castelli al papa provocò l'intervento di Zaccaria, che si recò nell'accampamento del re e lo convinse a rispettare i patti. Secondo il Liber pontificalis, L. fu commosso a tal punto dalle parole del papa che restituì immediatamente le fortificazioni e stabilì una pace ventennale. Nel 743 L. tentò quindi di completare la conquista dell'Esarcato; occupò Cesena e pose sotto assedio Ravenna. L'esarca e l'arcivescovo della città chiesero l'intervento del papa il quale, temendo l'eccessivo potere dei Longobardi, si recò da L. convincendolo a desistere dalla conquista di Ravenna.
I Ducati di Spoleto e di Benevento non furono le uniche giurisdizioni del Regno in cui intervenne L.: negli anni Trenta egli approfittò della contesa tra il patriarca di Aquileia Callisto e il duca di Cividale Pemmone per rafforzare l'autorità regia in Friuli. L. sostituì il troppo potente e indipendente Pemmone con il figlio di questo, Ratchis, ritenuto meno pericoloso del padre. Il cambiamento al vertice non fu facile, poiché Pemmone, saputo di avere perso il titolo di duca, aveva progettato di fuggire con i suoi seguaci presso gli Slavi. In questa occasione fu fondamentale l'intervento di Ratchis, che riuscì a ottenere dal re il perdono per il padre e a impedire che suo fratello Astolfo attaccasse Liutprando. Quest'ultimo decise però di intervenire, ordinando di arrestare tutti coloro che si erano schierati con Pemmone. Successivamente i rapporti tra il sovrano e i Friulani migliorarono notevolmente, al punto che questi ultimi diedero un importante contributo alla lotta contro i ribelli del Ducato di Spoleto.
Nei confronti di Avari e Franchi, che nel passato erano stati tra i più pericolosi avversari dei Longobardi, L. condusse una politica di pace. Particolarmente amichevoli furono i rapporti con il maggiordomo di palazzo Carlo Martello, che deteneva l'effettivo potere nel Regno franco. I rapporti tra i due furono formalizzati, quando nel 737 Carlo Martello inviò suo figlio Pipino il Breve da L., che ne diventò il padre adottivo mediante il tradizionale rito del taglio dei capelli. Nel 738 L. dimostrò in modo ancora più concreto la sua amicizia con il governante franco, soddisfacendo la sua richiesta d'aiuto contro i musulmani, che in quel periodo stavano cercando di invadere la Francia meridionale.
Fin dagli inizi del suo regno, L. si dimostrò estremamente attivo in campo legislativo, al punto da diventare, dopo Rotari (che nel 643 aveva posto per scritto le leggi del suo popolo), il più prolifico legislatore tra i sovrani longobardi. Le 153 norme giuridiche da lui emanate riguardano varie aree del campo del diritto. A differenza dell'editto di Rotari, che si occupa prevalentemente della sfera penale, i provvedimenti di L. sono soprattutto indirizzati al diritto civile e familiare. In modo particolare la sua attività legislativa mirò a limitare i soprusi e lo scoppio di conflitti, enfatizzando l'importanza degli atti scritti e la necessità di giungere in tempi rapidi a sentenze che rispettassero la legge. Degno di nota è anche l'impegno di L. in difesa dei più deboli e degli indifesi. A tale proposito egli non si limitò a una mera dichiarazione di principî, ma creò nuove norme che proteggessero dagli abusi coloro che erano socialmente sfavoriti. Per esempio, fece sì che i possedimenti e i diritti dei minorenni e delle vedove fossero garantiti, che l'onorabilità e l'integrità delle donne fossero difese, che il matrimonio di aldi e schiavi fosse rispettato dagli uomini liberi e che i creditori non trattassero troppo brutalmente i loro debitori. In tale opera L. non ebbe sempre successo: in alcune occasioni si scontrò infatti con interessi e pratiche talmente radicate che dovette rinunciare ad attuare radicali riforme legislative e procedurali. Famoso è il caso riguardante il duello giudiziario, una pratica di risoluzione di cause tramite un duello fra i campioni scelti dalle parti. L. espresse il proprio rincrescimento per non essere riuscito a mutare tale tradizione, che spesso concedeva la vittoria a coloro che avevano torto.
Come si è già sottolineato, L. si erse in varie occasioni come campione della fede cattolica e difensore del papa. Tale atteggiamento non sembra essere stato soltanto un espediente politico, ma pare rivelare un autentico sentimento religioso e il desiderio di proteggere e di tutelare la Chiesa. Nel prologo delle sue leggi egli definisce se stesso re cattolico e i Longobardi popolo cattolico, ed enfatizza il fatto che tramite le norme desidera adempiere alla volontà divina. Proibì i riti d'ispirazione pagana; incluse nel diritto longobardo una normativa matrimoniale ispirata agli insegnamenti della Chiesa (in una norma riguardante i vari casi di divieto del matrimonio L. sottolinea che il papa stesso lo aveva sollecitato a non consentire certi tipi di unione); pose le monache sotto la sua diretta protezione e stabilì l'inviolabilità delle chiese, considerate luoghi di rifugio. Nella sua cappella di corte la messa era celebrata ogni giorno; fondò numerose chiese e monasteri - tra i quali quello pavese di S. Pietro assunse una notevole importanza - e rinnovò il culto di vari santi, effettuando diverse traslazioni di reliquie. Tra queste, particolarmente apprezzato fu il trasferimento dei resti di s. Agostino dalla Sardegna - dove erano in pericolo per le scorrerie dei musulmani - a Pavia.
L. morì nel gennaio del 744, dopo aver lasciato la guida del Regno a suo nipote Ildeprando; fu sepolto, a Pavia, in S. Adriano (oggi S. Pietro in Ciel d'Oro). L. aveva sposato Guntrut, figlia del duca dei Bavari Teutperto, presso il quale aveva trascorso in esilio l'adolescenza; da lei ebbe soltanto una figlia.
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