ENRICO (VII), RE DI SICILIA E DI GERMANIA
Nacque probabilmente nella prima metà del 1211 a Palermo o a Messina. Suo padre Federico II, allora sedicenne, dal dicembre 1208 governava autonomamente il Regno di Sicilia ereditato dalla madre Costanza d'Altavilla. Tuttavia, egli esercitava una sovranità effettiva soltanto sulla Sicilia e rischiò di perdere rapidamente anche l'isola a causa dell'imperatore guelfo Ottone IV, che già aveva conquistato l'Italia meridionale. La madre di E., Costanza d'Aragona, aveva circa dieci anni più di Federico II e all'epoca delle nozze, celebrate nel 1209, era già vedova del primo marito da cinque anni; fu lei, assai più del padre, a dare un'impronta decisa all'infanzia del figlio. Federico, già nell'autunno del 1211, in seguito alle pressioni di papa Innocenzo III era stato scelto come futuro imperatore da un gruppo di principi imperiali tedeschi che si opponevano a Ottone IV. Quest'ultimo abbandonò quindi prontamente il Regno di Sicilia. Ma Federico decise di accettare l'elezione tedesca e nel 1212 si affrettò a dirigersi verso il Nord. Prima di partire, nel marzo 1212, fece incoronare re di Sicilia a Palermo suo figlio E., di appena un anno, e dispose affinché la reggenza del Regno fosse affidata alla moglie Costanza, che svolse positivamente il suo compito almeno per quanto le difficili circostanze glielo consentirono.
Dopo la sua incoronazione a re di Germania, avvenuta ad Aquisgrana nel luglio del 1215, e in seguito alla conferma da parte di Innocenzo III in occasione del IV concilio lateranense, Federico poté considerare definitivamente consolidata la sua posizione in Germania e si fece quindi raggiungere dalla moglie e dal figlio. Ben presto fu chiaro che egli intendeva assicurare a E. la corona tedesca. Nel dicembre 1216 Costanza e il bambino giunsero a corte a Norimberga e subito dopo Federico insignì il figlio del titolo di duca di Svevia: in un documento del febbraio 1217 E. è designato per la prima volta come "dux Suevie". Il suo titolo reale siciliano, che in questo caso appare ancora al primo posto, in futuro sarà soppresso. Probabilmente il ricordo dell'eredità meridionale di E. doveva sbiadire perché non fosse d'ostacolo alla sua ulteriore ascesa in Germania. Di fatto furono compiuti rapidi progressi in questa direzione. Quando Bertoldo V di Zähringen morì, nel 1218, la carica di rector Burgundie, ossia di vicario del re in Borgogna, che si era resa vacante, fu assegnata al bambino che aveva allora sette anni; al più tardi dal gennaio 1220 questa dignità si aggiunse al suo rango ducale. Solo tre mesi dopo in occasione della grande dieta di Francoforte, nell'aprile del 1220, i principi imperiali elessero re E. alla fine di lunghe e complesse trattative che minacciarono più volte di naufragare. La continuità del dominio svevo in Germania sembrava quindi garantita, come pure la sopravvivenza del legame tra Impero e Regno di Sicilia. Naturalmente il sovrano dovette concedere espressamente in cambio ai principi ecclesiastici che nell'amministrazione delle regalie nel loro territorio egli si sarebbe attenuto ai confini già definiti dalla prassi, rigorosamente limitati, e che, inoltre, avrebbe rinunciato ad applicare nei loro confronti elementi essenziali della sua politica territoriale. Papa Onorio III accettò l'elezione reale in considerazione della crociata che attendeva con ansia da Federico, tuttavia negò a E., come avrebbe fatto in seguito anche il suo successore Gregorio IX, il titolo reale; certamente un segno del suo disappunto e al tempo stesso, probabilmente, un tentativo di tenersi aperte altre opzioni future.
Mentre Federico, dopo l'incoronazione imperiale avvenuta nel novembre 1220, si concentrò sulla riorganizzazione del Regno di Sicilia, il figlio di nove anni rimase da solo in Germania. Non vide più la madre, scomparsa già nel 1222, e incontrò di nuovo il padre solo dopo dodici anni. In un primo tempo E. risiedette quasi esclusivamente nei tradizionali centri del potere staufico in Svevia e in Franconia. Fu attorniato e influenzato da un gruppo di vescovi, nobili e ministeriali fedeli agli Hohenstaufen, ai quali il padre aveva affidato la sua educazione. Di questa cerchia fecero parte Eberardo di Waldburg, Corrado di Winterstetten, Enrico di Neuffen, Guarniero di Bolanden e il conte Gerardo di Diez. Il capo del governo tedesco designato da Federico, l'arcivescovo di Colonia Engelberto (v. Engelberto di Berg, arcivescovo di Colonia, santo), in un primo tempo, sorprendentemente, non acquistò una particolare visibilità in questa funzione. Comunque, su disposizione dell'imperatore, l'8 maggio del 1222 procedette alla solenne incoronazione del giovane sovrano ad Aquisgrana. Solo dalla metà del 1223 questi cominciò ad occuparsi più intensamente degli affari del Regno. Durante la reggenza di Engelberto i provvedimenti adottati dalla corte reale rispecchiarono per lo più gli intenti dell'imperatore, e spesso si ricollegarono addirittura direttamente alle sue precedenti iniziative. Ne è un esempio il tentativo, intrapreso nell'estate del 1224, di giungere finalmente a un accordo con il vescovo Bertoldo di Strasburgo a proposito dei feudi ecclesiastici staufici in Alsazia, o con Egino di Urach in merito all'eredità di Zähringen.
Il sostanziale accordo tra Federico ed Engelberto non subì scosse neppure durante il lungo e arduo confronto con il sovrano danese Valdemaro II. Quest'ultimo, nel maggio 1223, cadde prigioniero del suo vassallo, il conte Enrico di Schwerin. Assecondando i desideri dell'imperatore, la corte reale tedesca si adoperò in ogni modo per sfruttare la situazione nell'interesse dell'Impero: cercò di estorcere al re danese la rinuncia ai territori imperiali a nord dell'Elba che gli erano stati ceduti nel 1214. Alla fine Valdemaro si vide costretto a capitolare, perché non fu in grado di resistere a lungo all'ostinazione e alla combattività del conte di Schwerin e dei suoi alleati settentrionali. Dopo la battaglia risolutiva di Bornhöved (a sud di Kiel), nel luglio 1227 dovette rassegnarsi a perdere le terre a sud del fiume Eider. Né l'Impero, né l'imperatore fornirono una diretta assistenza armata contro il sovrano danese. Forse re E. e il duca di Baviera Ludovico, nell'estate del 1227, con l'attacco sferrato contro Ottone di Luneburgo, alleato di Valdemaro, si prefiggevano l'obiettivo di agevolare gli avversari del re danese, ma arrivarono comunque troppo tardi.
Tensioni tangibili fra il re e l'arcivescovo di Colonia furono causate dalla scelta della moglie da destinare a E., alle cui nozze era infatti strettamente connesso il problema dei rapporti fra l'Impero e le case reali inglese e francese. Mentre Federico nel 1223 aveva rinnovato la tradizionale alleanza svevo-capetingia con Luigi VIII, il nuovo re di Francia, Engelberto cercò di ostacolare una decisione analoga di E. e un accordo sul suo matrimonio con una principessa francese. L'arcivescovo voleva impedire che la Francia acquistasse un peso eccessivo nell'Europa occidentale e desiderava, al contrario, potenziare i tradizionali legami di Colonia con l'Inghilterra. Per questo motivo caldeggiò la proposta inglese di dare in moglie a E. una sorella del re d'Inghilterra, e precisamente Isabella, nata nel 1214, che in seguito sposerà invece Federico. Quest'ultimo risolse il problema in modo inatteso: diede in moglie a E. Margherita, figlia del duca Leopoldo d'Austria, di sette anni maggiore del marito, per vincolare più fortemente alla sua causa il Babenberg, che intratteneva buoni rapporti con la corte inglese. Il 29 novembre 1225 si celebrarono le nozze a Norimberga; Engelberto, che si era piegato al corso degli eventi senza opporre una resistenza esplicita, tre settimane prima era stato ucciso in battaglia dai nobili della Bassa Renania, oppositori della sua rigorosa politica territoriale.
Nel luglio del 1226 Federico incaricò il duca Ludovico di Baviera, fidato sostenitore degli Hohenstaufen, di occuparsi in futuro di re E. e di assumere la direzione degli affari di governo in Germania. Il figlio quindicenne ancora non doveva esercitare autonomamente il suo ufficio regale. Federico prese palesemente questa decisione senza cercare alcun accordo con il giovane re. All'epoca, inoltre, naufragò il progettato incontro a Cremona tra padre e figlio, perché la Lega lombarda sbarrò il passo al re nella valle dell'Adige. Era evidente il rischio che il comportamento rude e unilaterale dell'imperatore, in aggiunta alla persistente separazione fra padre e figlio, avrebbe alimentato una crescente estraneità fra loro, innescando ben presto un profondo conflitto sugli obiettivi e gli strumenti della loro azione politica.
A differenza di Engelberto, Ludovico di Baviera si trattenne quasi costantemente a corte. E. per qualche tempo riconobbe evidentemente la preminenza del suo procuratore. L'acquisizione del castello di Kayserberg, nel maggio del 1227, suggerisce una certa autonomia del re, un consapevole richiamo alla politica territoriale del padre in Alsazia. Inoltre, al più tardi dal settembre del 1227, Wolfelin ‒ come già all'inizio degli anni Venti sotto Federico ‒ detenne di nuovo la carica di scultetus di Hagenau. Nel periodo successivo egli continuò a dimostrarsi un patrocinatore straordinariamente attivo degli interessi staufici e imperiali sia in Alsazia che nell'area dell'alto Reno.
Questo nuovo orientamento della politica reale determinò presto tensioni crescenti con il vescovo Bertoldo di Strasburgo, ed E. si schierò apertamente dalla parte dei suoi avversari. Il vescovo si rivolse allora a papa Gregorio IX chiedendo il suo appoggio e l'ottenne senza indugio: in gennaio il pontefice confermò in tutta la loro ampiezza i diritti di Strasburgo. Pochi mesi prima aveva scomunicato l'imperatore, e ora colse l'occasione propizia per conquistarsi un primo alleato in Germania nella sua battaglia contro Federico. La svolta contro Strasburgo rischiò dunque di creare al re inconvenienti con il papa.
Dall'estate del 1228, inoltre, si moltiplicarono le tensioni fra il sovrano, che aspirava ad agire più autonomamente, e i principi suoi consiglieri. A Natale, un ultimo colloquio fra E. e il duca Ludovico di Baviera provocò la rottura definitiva fra i due uomini. Forse E. rimproverava al duca di lavorare di concerto con Gregorio IX contro l'imperatore scomunicato, impegnato in quel periodo nella crociata. In effetti, alcuni elementi inducono a ritenere che Ludovico all'epoca sollecitasse il pontefice ad adottare provvedimenti drastici contro Federico in Germania.
In ogni caso, dall'aprile del 1229 il cardinale Ottone di S. Nicola, in qualità di legato papale, si adoperò per annunciare in Germania la scomunica di Federico e al tempo stesso cercò di esplorare le possibilità per una completa esautorazione degli Hohenstaufen e per l'elezione di un nuovo sovrano. I suoi sforzi per convincere i principi tedeschi non sortirono comunque nessun effetto rilevante, a prescindere da Bertoldo di Strasburgo e dal duca Ludovico di Baviera. Se dobbiamo prestar fede ai cronisti del tempo, in Germania era prevalente l'opinione che fosse un indizio deplorevole e vergognoso della decadenza della Chiesa il fatto che il papa ostacolasse la crociata vittoriosa dell'imperatore e per giunta si adoperasse per sottrarre il Regno e la corona al sovrano lontano.
E. approfittò dello stato d'animo dell'opinione pubblica e nell'estate del 1229 calò in Baviera con un esercito costringendo alla sottomissione il duca Ludovico. Subito dopo si volse contro Strasburgo, dove i cittadini e il vescovo proprio allora avevano accolto il legato papale Ottone ignorando il divieto del sovrano. Le truppe reali circondarono la città e devastarono tutta l'area circostante. Malgrado si trovasse in una posizione assai favorevole, E. inaspettatamente smobilitò il suo esercito. L'anno successivo l'abate Corrado di S. Gallo, che aveva gradualmente consolidato il suo ruolo di consigliere più fidato di E., negoziò la pace con la città. E. spiegò in seguito di essersi allora ritirato dando ascolto ai consigli e alle pressioni di molti principi dell'Impero. Di certo, a chi l'aveva ammonito premeva soprattutto di impedire che la causa sveva s'imponesse completamente nel Meridione tedesco, e il giovane sovrano dovette immediatamente cedere quando i principi si opposero con risolutezza alla sua prima azione autonoma di rilievo.
Per l'intero corso del 1230 E. mantenne all'apparenza un atteggiamento più passivo, soggiornando soprattutto nell'area sudoccidentale della Germania. Egli approvò l'unione dei cittadini delle principali città del vescovato di Liegi e giunse a riconciliarsi con la casa ducale di Baviera, ma ebbe scarsi contatti con i principi imperiali. A corte la sola presenza assidua fu quella dell'abate Corrado di S. Gallo, talvolta del duca Ottone di Andechs-Merania e di alcuni vescovi. Proprio allora la posizione e l'importanza dei principi si fece molto tangibile nell'Impero, quando sei di loro tra la primavera e l'estate del 1230 diedero un contributo determinante alla rappacificazione fra il pontefice e l'imperatore.
Nel periodo seguente i principi imperiali si opposero al sovrano in modo più consapevole e risoluto. Nel gennaio del 1231 a Worms lo costrinsero a ritirare il suo appoggio alle città situate sulla Mosa e a rafforzare il ruolo dominante dei principi nell'esercizio della sovranità sulle città. In occasione di una seconda dieta che si riunì nuovamente a Worms, dalla fine di aprile all'inizio di maggio del 1231, i principi imperiali ottennero in complesso quanto Federico nel 1220 aveva garantito ai principi ecclesiastici: la conferma della loro posizione come domini terrae sulla base di un privilegio reale. Il re assicurò ai principi nei loro territori l'esercizio illimitato di tutti i diritti di sovranità fondamentali e, soprattutto, si impegnò a frenare lo sviluppo, prima molto intenso, delle città reali, che agli occhi dei principi appariva estremamente molesto.
Come il privilegio in favore dei principi del 1220, anche quello rilasciato nel 1231 non ebbe conseguenze pratiche eccessivamente rilevanti. Tuttavia chiarì di nuovo la posizione forte che i principi di Germania detenevano di fatto nei confronti del sovrano. Diversamente dal 1220, i principi imperiali laici ed ecclesiastici rappresentarono congiuntamente, come un ceto unitario, i loro interessi e ‒ questo può essere un elemento importante per il giudizio su E. ‒ a differenza da allora nel 1231 il re non ebbe da parte loro alcuna contropartita per il suo riconoscimento ufficiale della reale evoluzione in loro favore.
L'insoddisfazione di Federico nei confronti del sistema di governo del figlio si accentuò allora tangibilmente. Naturalmente l'imperatore non ignorava che i consiglieri di E. riuscivano sempre più a fatica a dissuadere il giovane sovrano dal prendere provvedimenti avventati e irragionevoli. Fu senz'altro contrariato dall'intenzione espressa da E. di separarsi dalla moglie Margherita e con lo stesso disappunto seguì la controversia di E. in merito alla dote che non gli era stata ancora interamente versata. Alla fine Federico risolse lui stesso il conflitto, allo scopo di vincolare saldamente a sé, come un tempo il padre, il cognato di E., nuovo duca d'Austria e signore delle terre strategicamente importanti dell'area sudorientale tedesca.
A prescindere da queste singole crisi l'imperatore disapprovava profondamente l'atteggiamento tenuto dal figlio nei confronti dei principi tedeschi. Mentre allora a Federico premeva più che mai instaurare un rapporto di collaborazione con i principi, il giovane sovrano tendeva a sottrarsi progressivamente alla loro influenza e rinfocolava le tensioni con loro. Secondo la valutazione del padre, la prassi di governo di E. infliggeva al potere regio sempre nuovi contraccolpi, senza procurargli in cambio alcun vantaggio; e per quanto riguardava personalmente Federico, minacciava di irritare i sostenitori più importanti della sua politica imperiale.
Nel maggio del 1231 E. ottenne un significativo successo politico-territoriale: acquistò all'Impero dal conte d'Asburgo terre e abitanti di Uri, assicurandosi così l'accesso al passo del S. Gottardo aperto presumibilmente a partire dal 1200 circa. Per il resto la sua attività in quei mesi mostra un basso profilo; non si nota né un atteggiamento particolarmente cordiale nei confronti delle città, né un avvicinamento ai principi. Tuttavia i rapporti con il padre si guastarono ulteriormente allorché l'imperatore invitò il re e i principi di Germania alla dieta convocata in novembre a Ravenna. Malgrado le misure di blocco messe in atto dalle città lombarde, molti principi riuscirono a raggiungere ugualmente Federico. E., al contrario, non intraprese palesemente alcun preparativo per mettersi in viaggio: secondo quanto riferisce una fonte, cercò effettivamente di evitare l'incontro con il padre.
Così l'imperatore e i principi dell'Impero deliberarono a Ravenna in sua assenza. Fra l'altro, Federico, in conformità alle decisioni prese a Worms nel gennaio 1231, confermò i poteri di governo dei vescovi sulle città che rientravano nella loro sfera di dominio. Durante il suo successivo soggiorno nella contea del Friuli, fra la metà di marzo e la metà di maggio del 1232, l'imperatore rilasciò a suo nome, ancora una volta, quel privilegio in favore della sovranità territoriale dei principi che proprio un anno prima suo figlio E. aveva già dovuto concedere.
Soprattutto fu qui, ad Aquileia e a Cividale, che nell'aprile del 1232 avvenne l'incontro tra Federico e suo figlio. Alla fine di febbraio l'imperatore aveva mandato personalmente in Germania il cancelliere imperiale, il vescovo Sigfrido di Ratisbona, per indurre E. a partire, e finalmente il re si convinse a mettersi in viaggio verso il Sud. Prima di lasciare la Germania confermò ai cittadini di Worms le loro libertà e il loro consiglio ‒ in contrasto con le sue stesse di-sposizioni, appena ribadite solennemente dall'imperatore, in merito al mantenimento della sovranità vescovile sulle città. Tra l'inizio e la metà di aprile, ancora prima che Verona cadesse in mano all'imperatore, E. vide il padre ad Aquileia per la prima volta dopo dodici anni.
Le notizie sull'andamento dell'incontro sono scarse. È evidente che Federico in questa circostanza riconobbe formalmente il potere regio del figlio, ma al tempo stesso provvide ad assicurare l'assoluto predominio della propria posizione, esigendo da E. un giuramento di fedeltà che lo vincolava, in una forma addirittura umiliante, a una rigida subordinazione alle direttive imperiali e alla stretta osservanza dei princìpi stabiliti dal padre e delle disposizioni da lui emanate. I principi dell'Impero giurarono di ritenersi sciolti dal vincolo di fedeltà al re e di prestare il loro appoggio all'imperatore contro suo figlio, non appena Federico avesse denunciato una violazione del giuramento da parte di Enrico. In tal modo era già stabilita la deposizione del sovrano, nel caso che questi non avesse mantenuto fede alla promessa. E. si vide costretto ad acconsentire a questo nuovo ordinamento, e perfino ad adoperarsi per il consenso dei principi; probabilmente, in caso contrario, non avrebbe potuto salvare la corona.
La regolamentazione deliberata nell'aprile 1232 fece finalmente la necessaria chiarezza sulla suddivisione delle responsabilità di governo fra padre e figlio. Non arrecò danno al prestigio della dignità reale tedesca, che come prima era rappresentata da Federico, l'imperatore, con particolare forza ed efficacia. Tuttavia era molto problematico che E., così rigidamente e pubblicamente subordinato alla volontà del padre, potesse esercitare ancora in maniera adeguata la sua sovranità dopo questa infelice esperienza personale.
E. rientrò di certo in Germania profondamente ferito e ben presto si manifestò tutta la sua insicurezza. A Ratisbona cercò di spezzare la massiccia resistenza dei cittadini contro le sue disposizioni con punizioni drastiche; in altre città decise ugualmente di favorire i principi ecclesiastici. Si notano, inoltre, tentativi estremamente contraddittori di appoggiare i cittadini contro il loro vescovo, come accadde sia a Metz che a Worms. In quest'ultimo caso però E. si scontrò con la violenta opposizione del vescovo e, in conseguenza di ciò, si vide rapidamente costretto a cedere e a vietare il consiglio dei cittadini.
Ben presto il sistema di governo ambivalente di E. ridestò nuovamente i pregiudizi e i timori del padre. Federico chiese all'arcivescovo di Treviri Teodorico di ricordare personalmente al figlio il giuramento di obbedienza prestato a Cividale e il prelato esaudì la richiesta dell'imperatore. E., a seguito di quest'ammonimento, compì un passo insolito a dimostrazione del suo fermo proposito di tenere un buon comportamento in futuro: chiese anche al papa, nel caso avesse violato il suo giuramento, di scomunicarlo senza indugio su richiesta dell'imperatore.
Non mancarono comunque nuovi motivi di attrito. In Germania aumentarono in quegli anni sia le critiche alla Chiesa sia l'adesione a concezioni religiose eretiche. Quindi papa Gregorio IX intensificò anche in questo paese la lotta contro gli eretici. Fra gli uomini da lui incaricati dell'Inquisizione nell'autunno del 1231, Corrado di Marburgo acquistò nei due anni successivi una fama assai dubbia di giudice implacabile. Anche i contemporanei fedeli alla Chiesa deplorarono che il suo zelo eccessivo non concedesse alcuno spazio alla difesa o anche solo alla riflessione; probabilmente degli innocenti furono bruciati sul rogo a causa sua.
Quindi E., nel luglio 1233, ritenne necessario di-scutere in una dieta convocata a Magonza la prassi da tenere nella persecuzione contro gli eretici. Anche Corrado di Marburgo presenziò all'assemblea. Tuttavia il processo da lui intentato contro l'illustre conte di Sayn (località a nord di Coblenza) fallì, perché i suoi testimoni ritrattarono le dichiarazioni rese in precedenza in quanto estorte. Inoltre, lungo il viaggio di ritorno a casa da quest'incontro per lui insoddisfacente, Corrado di Marburgo fu assassinato. I partecipanti della dieta di Francoforte, nel febbraio del 1234, si accordarono su un'ampia tregua (Landfrieden) per dare nuovamente un saldo ordinamento all'amministrazione della giustizia nel Regno. Ingiunsero espressamente al potere giudiziario di dare priorità alla giustizia legittima nei confronti degli eretici rispetto a una persecuzione ingiusta.
La maggioranza del clero tedesco, al pari di E., aveva tenuto un atteggiamento assai critico nei confronti dei metodi duri e spietati praticati da Corrado di Marburgo. Papa Gregorio, tuttavia, aveva rafforzato ulteriormente il suo fervore nella lotta contro l'eresia ancora nel giugno del 1233 e reagì con profondo rammarico alla notizia della morte di Corrado. Nemmeno l'imperatore, comunque, gradì che suo figlio E. si fosse distinto come avversario dell'inquisitore. Infatti Federico aveva appoggiato per calcolo politico i provvedimenti contro gli eretici disposti dal papa in Germania, in quanto sperava che un'azione risoluta contro di loro avrebbe rafforzato la fiducia di Gregorio nelle sue intenzioni, favorendo al contempo l'accondiscendenza del pontefice nella questione lombarda. In questa prospettiva qualsiasi esitazione in campo tedesco nell'ambito della lotta contro l'eresia appariva una minaccia ai superiori progetti dell'imperatore.
Altri incidenti guastarono ulteriormente i rapporti di Federico con il figlio. Nell'agosto del 1233 E., alla testa di un consistente esercito, accompagnato stranamente dal vescovo di Strasburgo, ma anche dall'arcivescovo Sigfrido di Magonza e dal vescovo Ermanno di Würzburg, si mosse contro Ottone, nuovo duca di Baviera. Ottone fu costretto a sottomettersi rapidamente, a promettere obbedienza e a dare il proprio figlio in ostaggio. I motivi di questa spedizione restano oscuri; in ogni caso non si riscontrano da parte del duca colpe gravi, che abbiano potuto giustificare una campagna vera e propria contro di lui. Forse il re progettava di inglobare nei territori di diretto dominio svevo la Baviera (e così pure la Renania-Palatinato). Così facendo, E. avrebbe perseguito con la forza militare l'annientamento di un principe dell'Impero, senza un sufficiente fondamento giuridico e guidato solo dagli scopi della sua politica di potenza. Ma egli si astenne dal compiere altri passi espliciti in questa direzione. I compagni principeschi del duca di Baviera non sarebbero senz'altro rimasti inattivi di fronte ad analoghe iniziative del re, meno che mai i suoi diretti sostenitori: il vescovo di Magonza e quello di Strasburgo, che dall'alleanza con E. speravano in primo luogo di ottenere per se stessi conquiste territoriali nel Palatinato.
In un primo tempo questo successo parve dare ragione a Enrico. Alla dieta di Francoforte, già menzionata, del febbraio 1234, nella disputa fra il conte Egino di Urach e il margravio Ermanno di Baden il re si schierò a favore del primo, che all'epoca era un suo sostenitore. Non solo, in seguito al verdetto dei principi, gli infeudò i beni e i diritti contesi, ma costrinse anche Ermanno a dargli in ostaggio il figlio e a ridurre la somma pattuita per il riscatto di alcune città. Sempre a Francoforte, il re deliberò in merito alla lite ereditaria per il castello e la città di Langenburg (situata a nord di Schwäbisch Hall) contro Goffredo di Hohenlohe e a favore di un altro aspirante ‒ forse si trattava del figlio del suo fedele collaboratore Walter di Schüpf-Limpurg. Su incarico del re, Enrico di Neuffen mosse contro Goffredo, accusato di aver violato la tregua, e distrusse alcuni dei suoi castelli. Malgrado la situazione insoddisfacente delle fonti, anche in questo caso è lecito dubitare che tutti i passi intrapresi dal sovrano fossero inequivocabilmente al riparo del diritto.
Come il ducato di Baviera, i possedimenti dei Baden e degli Hohenlohe ponevano alla politica territoriale staufica dei limiti, che E. forse si riprometteva di annullare con le sue azioni. Tuttavia, egli si appoggiò nuovamente ad alleati che fino ad allora si erano segnalati come fieri avversari dell'espansione sveva nella Germania meridionale e che anche in futuro sarebbero rimasti i suoi più accaniti concorrenti. Questo vale sia per Egino di Urach che per il vescovo Ermanno di Würzburg.
L'imperatore, che di certo osservava con occhio assai critico gli eventi, si trovò ben presto a doverli affrontare in prima persona. Infatti gli avversari di E. si rivolsero direttamente a Federico con le loro lagnanze e trovarono subito ascolto in quanto suoi comprovati seguaci. L'imperatore revocò i provvedimenti contestati di suo figlio e lo minacciò di una completa rottura nel caso che avesse compiuto il minimo ulteriore passo falso. Nel luglio del 1234 preannunciò inoltre il suo arrivo in Germania per l'estate del 1235.
E., ancora all'inizio di settembre, giustificò il suo comportamento in un lungo scritto indirizzato al vescovo Corrado di Hildesheim. Ma già allora non credeva più seriamente alla possibilità di trovare un'intesa con il padre, infatti poco dopo fece i primi passi in direzione di un'aperta ribellione contro di lui: durante una dieta a Boppard (situata a sud di Coblenza) cercò alleati per attuare i suoi piani. Riuscì a schierare dalla sua parte soltanto pochi principi; della nobiltà meridionale lo seguirono il conte Egino di Urach-Friburgo, Enrico di Neuffen e Anselmo di Justingen.
Le trattative di Anselmo con la Lega lombarda portarono nel mese di dicembre a un patto difensivo e di appoggio stipulato fra E. e le città alleate. Probabilmente il sovrano tedesco si augurava che grazie a quest'accordo al padre sarebbe stato impedito l'ingresso in Germania. Ma agli occhi dell'imperatore dovette apparire come un crimine inaudito, la prova sconvolgente dell'alto tradimento che il figlio intendeva perpetrare contro di lui.
I conflitti che scoppiarono in novembre si concentrarono in un primo tempo nell'area di dominio degli Hohenlohe; anche E. saltuariamente vi fece la sua comparsa. Appena rientrato dalla corte imperiale, il margravio Ermanno di Baden si era dovuto difendere dagli attacchi di Enrico di Neuffen. Per assicurarsi il possesso integrale della valle del Reno, alla fine di aprile del 1235 re E. si mosse contro Worms con un imponente esercito. Ma assediò invano la città che gli oppose un'accanita resistenza, e dopo quest'insuccesso si ritirò evitando altre azioni militari verso Oppenheim e Francoforte.
A metà aprile del 1235 Federico si mise in viaggio alla volta della Germania. Mentre avanzava in direzione del Reno attraversando l'Austria, la Baviera, la Franconia, i principi accorsero ovunque senza esitazioni per andare incontro all'imperatore. Erano persuasi che Federico fosse nel giusto e che sarebbe uscito senz'altro vittorioso dal conflitto con il figlio. A ciò si aggiunsero la netta presa di posizione del pontefice a favore dell'imperatore, la fiducia nella sua capacità di dare nuovamente stabilità all'Impero e, non da ultimo, l'ovvia speranza di ricavarne vantaggi personali. Il passaggio del corteo imperiale, così insolito ed esotico, non deve aver esercitato comunque un fascino particolare, infatti un solo contemporaneo trovò che valesse la pena di menzionare anche gli elefanti, i dromedari, i leopardi e i saraceni che accompagnavano Federico.
E., che in un primo tempo sembrava intenzionato a difendersi sul Trifels, impressionato dal trionfo paterno rinunciò rapidamente ai suoi piani. Cercò di implorare il perdono dell'imperatore, quando questi il 2 luglio fece una sosta con i numerosi principi del suo seguito nella residenza imperiale di Wimpfen, lungo la strada per raggiungere il Reno. Ma Federico, dopo aver rifiutato di ricevere il figlio, lo fece condurre a Worms. Solo in questa città accettò la sottomissione incondizionata di E. e gli concesse la grazia. Tuttavia, per Federico e per i principi dell'Impero era ormai incontrovertibile che E., con la violazione del giuramento di obbedienza dell'aprile 1232, aveva sciolto i principi dal loro giuramento di fedeltà in ottemperanza ai patti stretti all'epoca, perdendo di conseguenza la dignità reale; gli elettori di re Corrado, nel febbraio del 1237, si richiamarono espressamente a questa situazione giuridica. Sembra che E. si sia rifiutato di rinunciare alla sua sovranità, e per questo Federico ordinò che fosse imprigionato. L'opposizione sveva, che si era raccolta intorno ai signori di Neuffen e Justingen, non costituiva più una minaccia già da quando alla fine di giugno era stata sconfitta dalle truppe del vescovo Enrico di Costanza; tuttavia l'imperatore temeva evidentemente un riaccendersi dei disordini e all'inizio del 1236 fece tradurre il figlio nel castello di S. Fele presso Melfi, poi nel 1240 a Nicastro (a sud di Cosenza). Durante il trasferimento nel castello di S. Marco, nel febbraio del 1242, E. probabilmente si diede la morte presso Martiriano. Per ordine del padre fu sepolto nel duomo di Cosenza.
I contemporanei di E. espressero giudizi contrastanti sul giovane sovrano. Parole positive sulle sue virtù e il suo impegno per la pace nell'Impero furono pronunciate dalla cerchia dei poeti con i quali E. coltivò stretti rapporti, sebbene non fosse egli stesso autore di versi. Minnesänger della statura di Goffredo di Neuffen, Ulrico di Singenberg o Ulrico di Winterstetten, ma anche esponenti di spicco dell'epica cortese come Rodolfo di Ems o Ulrico di Türheim frequentarono, almeno in certi periodi, la corte del sovrano. Tuttavia alcuni di loro ammonirono E. a guardarsi dai cattivi consiglieri e dall'irrequietezza, mentre altri criticarono con sdegno e disapprovazione la sua ribellione contro il padre.
È un indizio grave che Walther von der Vogelweide, uomo di grande esperienza, abbia dipinto E. come un sovrano mal preparato e inadatto alla sua alta carica. Induce ugualmente a riflettere che l'abate Corrado di S. Gallo, consigliere fidato e ben disposto di E., abbia confermato l'opinione del poeta esprimendo preoccupazione per certe attitudini e inclinazioni dannose del sovrano. La ribellione di E., del resto, sembra aver suscitato quasi unanimemente incomprensione e rifiuto, proprio perché si trattava della rivolta di un figlio contro il proprio padre. Questa circostanza fu sempre insistentemente sottolineata, non da ultimo da papa Gregorio IX e dallo stesso imperatore.
Anche oggi appare difficile dare un giudizio equilibrato su Enrico. Il controllo diffidente e la dura ingiunzione di obbedienza del padre imperatore nei confronti del re rappresentarono senz'altro un aggravio straordinariamente pesante e un impedimento nell'esercizio del suo ufficio, tanto più che conosceva a malapena il padre e non aveva ricevuto da lui né incoraggiamento né consigli. Ciò nonostante E. poté considerare a buon diritto la sua politica territoriale come il proseguimento immutato degli sforzi messi in atto dal padre. Ma egli valutò le possibilità d'azione del potere regio tedesco, che gli era noto solo nella situazione relativamente stabile degli anni Venti, in modo più ottimistico di quanto non apparisse alla luce delle esperienze del padre e anche nella realtà dei fatti. Inoltre, il suo governo è segnato da un elemento d'instabilità e d'incongruenza. Neppure la borghesia cittadina, per esempio, tanto spesso privilegiata, riuscì mai a sentirsi pienamente al sicuro da decisioni sfavorevoli da parte del sovrano. Fra i principi dell'Impero, E. venne spesso a patti proprio con coloro che prima o poi sarebbero diventati i suoi avversari per motivi politico-territoriali, mentre viceversa provocò l'opposizione di molti sostenitori di provata fede della causa sveva. E così facendo, rappresentò una minaccia per un punto cruciale della politica imperiale di Federico.
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Traduzione di Maria Paola Arena