RE
. Diritto pubblico italiano. - Il re, alla cui sola persona, insieme con la regina, spetta il trattamento di maestà (r. decr. 1 gennaio 1890 n. 251) e il titolo di re d'Italia (legge 17 marzo 1861 n. 4671) ascende al trono ed entra nella pienezza delle sue funzioni nel momento stesso in cui si attua la vacanza del trono. Non può avere effetto un'eventuale rinuncia preventiva, per il principio generale che non ammette rinuncia di un diritto di cui non si ha la disposizione; mentre non può trovare applicazione il principio privatistico che nega la possibilità di rinuncia a successioni non ancora aperte, in quanto l'avvento al trono non ha alcun carattere di successione, ma è immissione, nell'ufficio regio, ope legis, della persona in cui ricorrono i requisiti richiesti dall'art. 2 dello statuto. La rinuncia espressa all'atto della successione è valida. La successione al trono è regolata dalla legge salica, ossia da quel complesso di norme che si conviene di denominare con tale locuzione. Essa consta di due principî fondamentali: esclusione delle donne dalla successione al trono, prevalenza della linea discendente sulla collaterale. Dal primo principio risulta che anche la discendenza delle femmine è esclusa dal trono; dal secondo, la prevalenza del primogenito sugli ultrageniti. Il diritto di salire al trono è così fondato unicamente sullo status familiae. Legalmente capace di tutti i diritti è la successione legittima proveniente da nozze riconosciute principesche (reali patenti 13 settembre 1780), e non già quindi la discendenza da matrimonî morganatici, da quelle reali patenti contemplati. La successione avviene secondo la linea discendente; e, poiché si tratta del riconoscimento di una posizione giuridica definita dal diritto obiettivo e non già di trasmissione ereditaria, non può trovare applicazione l'art. 48 del cod. civ., che esclude il vincolo di parentela oltre il decimo grado e gli effetti giuridici che ne conseguono. Non ha rilevanza, dato che il titolo è fornito dallo status familiae, la capacità giuridica di diritto pubblico della persona chiamata a succedere al trono né ha rilevanza la capacità fisica e intellettuale; ipotesi, prevista e regolata dallo statuto, ma che tuttavia non esclude l'accessione al trono.
Così si applica nell'ordinamento italiano il principio: "il re non muore mai"; "morto il re, viva il re"; a differenza, ad es., dell'ordinamento belga, in cui il re entra in funzione dopo aver prestato giuramento dinnanzi alle camere (art. 80 della costituzione del 7 febbraio 1831), riunite senza convocazione nei dieci giorni dopo la vacanza del trono.
Si può tuttavia prospettare un singolare caso di vacanza del trono quando al momento della successione la regina risultasse incinta e non esistessero figli maschi del re cessante. Poiché il sesso del nascituro è incerto, si dovrebbe fare luogo a una reggenza senza re; alla nascita, quando si trattasse di un maschio, si addiverrebbe alla proclamazione del re mantenendosi la reggenza e applicandosi la massima rex conceptus pro iam nato habetur; se si trattasse di femmina, si addiverrebbe alla successione normale.
Il re deve giurare lo statuto dinnanzi alle camere riunite (articolo 22 stat.), ma questa non è condizione per l'esercizio delle funzioni, di cui il re ha pienezza di competenza al momento dell'accessione al trono.
Il re può abdicare, ma senza apporvi alcuna condizione. Si tratta di un atto assolutamente personale che il re può perciò validamente compiere solo quando sia maggiorenne. L'abdicazione è produttiva senz'altro dei suoi effetti.
Il re, organo supremo dello stato, gode di un particolare status che si risolve in una serie di prerogative, cioè di deroghe al diritto comune, di cui alcune trovano il loro fondamento nella tradizione storica, altre sono poste a guarentigia dell'alta posizione e dell'ufficio regio. Così il re è maggiorenne a 18 anni, secondo la disposizione accolta nella costituzione francese del 3 settembre 1791, con che s'innovava sull'antico diritto monarchico che fissava la maggiore età ai 14 anni, ossia all'età pubere del diritto romano e del diritto canonico.
Il re non è soggetto ad alcuna modificazione della capacità giuridica, all'infuori della minore età, e questa sua posizione sussiste piena sia per i rapporti di diritto privato sia per quelli di diritto pubblico. Il re, quindi, non può essere né interdetto né inabilitato. Può sussistere un'incapacità di fatto all'esercizio delle sue funzioni quando il re si trovi nella fisica impossibilità di regnare (art. 16 stat.) e in tal caso si addiverrà alla reggenza.
Il re è sacro e inviolabile. La prima attribuzione non ha vero e proprio contenuto giuridico, mentre la seconda significa l'immunità del re di fronte alla legge penale e per alcuni rapporti di diritto privato. Sotto l'aspetto giuridico essa è distinta dall'irresponsabilità, qualità giuridica inerente alla funzione regia. Il re è protetto, non solamente per gli atti che egli compie, ma pure da atti altrui lesivi della sua posizione storica e morale. Così il far risalire al re il biasimo o la responsabilità degli atti del governo costituisce reato (art. 279 cod. pen.), è punita l'offesa all'onore e al prestigio del re e dei principi e pure alla memoria di un ascendente o di un discendente (art. 278 cod. pen.). La protezione della vita, dell'incolumità della libertà personale è prevista dall'art. 276 cod. pen.: chi attenta ad esse è punito con la morte.
Il re non può, di regola, partecipare, come persona soggetta al diritto comune, all'esercizio di quelle funzioni alle quali egli, anche formalmente, partecipi come organo supremo. Il re non può essere sottoposto né a interrogatorio né a giuramento, non può rendere deposizioni sia in sede civile sia in sede penale. Per i beni soggetti al diritto comune (art. 20 stat.) il re non può agire né stare in giudizio se non a mezzo di un rappresentante, che è il ministro della real casa, o chi ne fa le veci (art. 138 cod. proc. civ.).
Il diritto privato del re è pure regolato in maniera particolare. Il re minorenne è soggetto alla tutela della madre, quand'essa sia la regina madre (art. 17 stat.) sino all'età di sette anni, quindi a quella del reggente. Il re non è soggetto alla patria potestà, ma alla sola tutela; opinione, questa, suffragata dal fatto che il codice albertino, vigente al tempo della concessione dello statuto, non ammetteva la patria potestà per la madre. Si opina pure da alcuni che la tutela sino ai sette anni spetti sempre alla madre, ancorché questa non sia la regina madre.
Il matrimonio del re secondo il rito civile non è soggetto agli impedimenti relativi all'età (art. 55 cod. civ. e art. 1 legge 27 maggio 1929 n. 847), alla parentela e affinità (art. 59 cod. civ.). Il re minorenne deve avere il consenso del reggente. Non si applicano nei suoi confronti le disposizioni sulle opposizioni al matrimonio (art. 82 segg. cod. civ.), che può avvenire per procura (art. 99 codice civile).
Quando il matrimonio segue, com'è naturale, il rito cattolico, vigono il diritto canonico e le norme stabilite dalla legge 27 maggio 1929 n. 847. Le funzioni di ufficiale dello stato civile sono adempiute dal presidente del senato assistito dal notaio della Corona che è il capo del governo (art. 5 legge 24 dicembre 1925 n. 2263). Gli atti relativi inscritti in un doppio registro originale sono depositati negli archivî del senato e negli archivî generali del regno (art. 38 statuto; e 99, 369, 370 cod. civ.; r. decr. 30 dicembre 1875 n. 605 art. 2). Il re può disporre liberamente del patrimonio privato sia per atti tra vivi sia per atto di ultima volontà (art. 20 stat.).
Famiglia reale.
La famiglia reale comprende tutti i membri legati da parentela col re e le rispettive consorti, esclusi i discendenti in linea femminile.
La famiglia reale non è limitata al decimo grado. Ai termini del r. decr. 1 gennaio 1890, i membri della famiglia reale hanno la qualità di principi reali e il trattamento di altezza reale, se discendenti diretti del re, la qualità di principi del sangue e di altezza serenissima se nipoti o discendenti di nipoti. Il titolo di altezza reale è stato tuttavia esteso personalmente al duca e alla duchessa d'Aosta, alla duchessa d'Aosta madre, al duca di Spoleto, al conte di Torino e ai principi reali di Savoia Genova.
Il re è il capo della famiglia reale; al re spetta di disciplinare la tutela e la cura delle persone della famiglia reale nei casi nei quali a termini del cod. civ. esse siano in stato di tutela e di cura (art. 1 legge 2 luglio 1890 n. 6917). Il re prescrive l'indirizzo e le condizioni dell'educazione dei minorenni della famiglia reale, ancorché il padre sia in vita e nell'esercizio della patria potestà (art. 6 legge citata), provvede in ogni caso di volontaria giurisdizione, dà l'assenso per il matrimonio dei membri della famiglia reale (rr. pp. 1780 cit.; art. 69 cod. civ.).
Anche ai membri della famiglia reale si estendono le protezioni penali (art. 276 e segg. cod. pen.). Se testimonî in un procedimento penale, l'esame avverrà a domicilio; possono tuttavia rinunciare alla prerogativa (art. 356 cod. proc. pen.). I principi reali fanno di diritto parte del senato all'età di 21 anno e hanno voto a 25. Competono loro appannaggi; un assegno al principe ereditario alla maggiore età, o anche prima in caso di matrimonio; doti alle principesse; donario alle regine (art. 21 stat.), insequestrabili ed esenti da imposte (legge 24 agosto 1877 n. 4621).
V. inoltre: corona: La corona come potere sovrano; lista civile; monarchia; regno.
Bibl.: M. Mancini e U. Galeotti, Norme ed usi del parlamento italiano, Roma 1887; A. Morelli, Il re, Bologna 1899; F. Raccioppi e I. Brunelli, Commento allo statuto del regno, Torino 1909, I; E. Crosa, La monarchia nel diritto pubblico italiano, ivi 1922: id., Corso di diritto costituzionale, ivi 1933; S. Romano, Corso di diritto costituzionale, Padova 1932; E. Avet, I precedenti dell'articolo 20 dello statuto, in Il Consiglio di Stato, Roma 1932, I; O. Ranelletti, Istituzioni di diritto pubblico, Padova 1934.