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Realismo

di Carlo D'Amicis - Enciclopedia Italiana - VII Appendice (2007)
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Realismo

Carlo D'Amicis

In un saggio apparso nel luglio del 2000 sul The New Republic, recensendo il romanzo di Z. Smith (n. 1975) White teeth (2000; trad. it. 2000), il critico letterario inglese J. Wood (n. 1965) coniò l'espressione realismo isterico (hysterical realism). Questa locuzione, con cui l'autore di The irresponsible self: on laughter and the novel (2004) descriveva un romanzo caratterizzato da personaggi border-line, da frequenti digressioni e da una prosa eccessiva e maniacale, appare particolarmente indicata per definire il rapporto tra gli scrittori contemporanei e la realtà.

Se gli ultimi decenni del 20° sec. - gli anni Ottanta soprattutto - furono caratterizzati da quell'approccio prudente, controllato, antieloquente che fu catalogato come minimalismo, il nuovo millennio ha rilanciato l'ambizione a fagocitare la realtà, a esplorarla attraverso le inquietudini linguistiche di personaggi tanto vitali quanto nevrotici.

Così come accadde per il minimalismo, quando la lezione di E. Hemingway fu prima raccolta da R. Carver (1938-1988) e J. Cheever (1912-1982) e poi radicalizzata da autori come D. Leavitt (n. 1961) e B.E. Ellis (v.), la spinta più consistente al r. isterico (definito anche recherché postmodernism) è giunta dalla letteratura americana. Sulla scia di S. Bellow (1915-2005), Ph. Roth (n. 1933), N. Mailer (n. 1923), si sono affermati scrittori dotati di un talento onnivoro, capaci di fondere gli aspetti bassi e popolari del reale con l'aspirazione a coglierne i valori più alti e universali: D. DeLillo (n. 1936), Th. Pynchon (n. 1937), J.C. Oates (n. 1938), D.F. Fallace (n. 1962), J. Franzen (n. 1959), fino a J.S. Foer (n. 1977) hanno convogliato questa tensione su una lingua forsennata e ricca di contaminazioni, nella quale convivono un soggettivismo estremo e un'adesione quasi mimetica al mondo circostante.

In realtà, sia il minimalismo sia il r. isterico appaiono forme di reazione, talvolta scomposte ed esacerbate, all'impossibilità di raccontare in modo diretto e privo di sovrastrutture il mondo circostante. Attraverso una fitta e ormai inestricabile rete di informazioni e di narrazioni, veicolate da un'idolatria dell'immagine che dalla televisione giunge fino a Internet, la postmodernità impone e consegna infatti allo scrittore una realtà già satura di significati, di relazioni, di déjà-vu: una realtà, si potrebbe dire, di secondo grado. Avvicinarsi a essa rimanendo nel solco della tradizione naturalista, con gli intenti impersonali e antiideologici che, specialmente in Italia, furono propri del Verismo e del Neorealismo, significa affidarsi a un'oggettività e a un'innocenza di sguardo che, se in rari casi produce esiti altissimi, come nella scrittura dell'austriaco P. Handke (n. 1942) o dello svizzero P. Bichsel (n. 1935), quasi sempre si traduce in una visione asfittica e miope del reale: la realtà appare sempre più complessa e richiede strumenti narrativi, stili e strutture altrettanto complessi.

Ecco quindi che la letteratura si salda al reportage, come nel caso degli antesignani The 42nd parallel (1930; trad. it. 1940) di J. Dos Passos o In cold blood (1965; trad. it. 1966) di T. Capote, e successivamente con American tabloid (1995; trad. it. 1995) di J. Ellroy, Black water (1992; trad. it. 1993) della Oates, Libra (1988; trad. it. 1989) di DeLillo, che ripercorrono in forma romanzata le vicende della famiglia Kennedy. Oppure attinge a quelli che negli anni Settanta del 20° sec., con profetica intuizione, R. Barthes definì i miti d'oggi: lo sport, con A fan's notes (1968; trad. it. 2005) di F.E. Exley e The universal baseball association, inc. (1968; trad. it. Il gioco di Henry, 2002) di R. Coover; la musica rock, con High fidelity (1995; trad. it. 1996) di N. Hornby; i fumetti, con The amazing adventures of Kavalier and Clay (2000; trad. it. 2001) di M. Chabon; la pornografia, con Porno (2002; trad. it. 2003) di I. Welsh. O ancora irride alla politica (come in The Winshaw legacy: or, what a carve up, 1995, trad. it. La famiglia Winshaw, 1995, di J. Coe, agghiacciante ritratto di una famiglia inglese thatcheriana), al consumismo (come nella saga dei Malaussène di D. Pennac), al materialismo e alla violenza contemporanea (come in Fight club, 1996, trad. it. 1998, di Ch. Palahniuk).

Perfino quando, quasi in presa diretta, elabora lutti collettivi come quello dell'11 settembre 2001 - per es., in The writing on the wall (2005; trad. it. Giochi d'infanzia, 2005) di L.S. Schwartz (n. 1939) e in Extremely loud & incredibly close (2005; trad. it. 2005) di Foer - la letteratura sembra misurarsi, più che con l'oggettività del reale, con l'orizzonte simbolico e mitologico che la realtà, in tempi rapidissimi, è in grado di creare.

Risulta in tal senso ancora di insuperata attualità la lezione di P.P. Pasolini, sempre attento a sottolineare la presenza del mito nella realtà quotidiana. Non a caso nel suo film Medea (1969) fa pronunciare al centauro Giasone la frase "Solo chi è realistico è mitico e solo chi è mitico è realistico", efficace sintesi del suo pensiero. Anche la narrativa italiana più recente sembra infatti partire da questa premessa. Prima, negli anni Ottanta del Novecento, con autori come P.V. Tondelli (n. 1955), C. Piersanti (n. 1954), E. Calandri (n. 1956), A. De Carlo (n. 1952), pionieri di una generazione in grado di scardinare gli angusti confini della provincia italiana attraverso il mito americano della libertà e della frontiera. Poi, nel nuovo millennio, con scrittori così consapevoli della componente rituale, allegorica e metalinguistica che esprime il mondo contemporaneo, da tornare a misurarsi con un catalogo sentimentale, in cui l'amore è soprattutto un marchio registrato (AmoreR, 1998, di T. Scarpa; Amore mio infinito, 2000, di A. Nove; L'amore contro, 2001, di M. Covacich), l'infanzia un patrimonio generazionale (Tu, sanguinosa infanzia, 1996, di M. Mari; Storie di primogeniti e figli unici, 1996, di F. Piccolo), la violenza un effetto speciale (Fango, 1996, di N. Ammaniti; ma anche l'intero filone pulp, o cosiddetto cannibale, che ha connotato la nuova narrativa italiana tra la fine del 20° e l'inizio del 21° sec.). Se pure si propone come rottura di un discorso troppo condiviso, di un'iconografia troppo stereotipata, come è accaduto alla giovane letteratura napoletana di questi ultimi anni (P. Lanzetta, G. Montesano, A. Cilento, M. Braucci, V. Parrella), la mitografia prende il sopravvento, sostituendo in pochi anni al vecchio folklore una nuova galleria di modelli esemplari, di punti di riferimento, di suggestioni comuni.

Non è un caso che le sole letterature in grado di offrire un rapporto diretto e immediato con la realtà siano quelle cosiddette marginali, come l'africana o parte dell'asiatica, laddove la minore influenza dei media e della globalizzazione consente a scrittori come il premio Nobel sudafricano J.M. Coetzee (v.) o l'indiana A. Desai (n. 1937) di affrontare l'esistente per ciò che è, e non per quello che - peraltro altrettanto realisticamente - la collettività sente e considera che sia.

bibliografia

E. Auerbach, Mimesis. Dargestellte Wirklichkeit in der abendländischen Literatur, Bern 1946 (trad. it. Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, Torino 1956).

R. Barthes, Mythologies, Paris 1957 (trad. it. Miti d'oggi, Torino 1974).

M. Sinibaldi, Pulp. La letteratura nell'era della simultaneità, Roma 1997.

R. Luperini, Controtempo. Critica e letteratura tra moderno e postmoderno: proposte, polemiche e bilanci di fine secolo, Napoli 1999.

S. Calabrese, www.letteratura.global. Il romanzo dopo il postmoderno, Torino 2005.

Vedi anche
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