Abstract
L’indagine si sofferma sui cd. reati a concorso necessario, ipotesi criminose nelle quali la presenza di più soggetti agenti è elemento costitutivo della stessa fattispecie incriminatrice di parte speciale. L’obiettivo è quello di verificare quali siano gli esatti confini della categoria in questione, anche al fine di regolarne i rapporti con la disciplina generale del concorso di persone nel reato.
I reati a concorso necessario, altrimenti definiti come reati plurisoggettivi necessari, individuano una specifica categoria di illeciti nei quale la presenza di comportamenti di più soggetti viene richiesta dalla stessa norma incriminatrice di parte speciale quale elemento costitutivo del reato. Si pensi, a titolo meramente esemplificativo, alle fattispecie associative o ai reati di bigamia ed incesto (artt. 556 c.p. e 564 c.p.).
Al riguardo, seguendo una classificazione mutuata dalla dottrina tedesca, si suole distinguere tra “reati di incontro” e “reati di convergenza”: nei primi le condotte si muovono l’una verso l’altra ovvero l’una contro l’altra; nei secondi presentano invece un’identità di direzione. Se, però, una simile suddivisione sembra rispondere principalmente ad una funzione di mera descrizione del fenomeno, più utile appare invece differenziare a seconda che alla pluralità dei contributi segua o meno la punibilità di tutti i soggetti previsti nella fattispecie legale.
In questa prospettiva, si parla, infatti, di reati plurisoggettivi in senso stretto (o propri), nei quali tutti i “concorrenti” sono assoggettati a pena, e reati plurisoggettivi in senso ampio (o impropri), nei quali una sola delle condotte descritte nella norma risulta espressamente punibile (come, per esempio, nel caso della rivelazione di segreti di ufficio di cui all’art. 326 c.p., che sancisce la sola punibilità del pubblico ufficiale che rivela la notizia segreta).
Tale ultima sottocategoria è senz’altro quella che ha creato maggiori controversie interpretative, specie per quanto riguarda la possibilità di applicare al concorrente necessario non punibile la normativa generale prevista in tema di concorso di persone nel reato dagli artt. 110 ss. c.p.
Il problema dei rapporti tra illecito plurisoggettivo necessario e concorso di persone nel reato viene risolto dalla dottrina tradizionale nei termini di una radicale incompatibilità, nel senso di ritenere che l’appartenenza al genus dei reati a concorso necessario precluda a priori la possibilità di ricorrere alle norme relative al concorso eventuale. Seguendo tale impostazione, si ritiene, infatti, che la disciplina dettata dagli artt. 110 e ss. c.p. possa applicarsi solo qualora la condotta da incriminare sia originariamente atipica, e quindi non menzionata nella norma incriminatrice di parte speciale; circostanza che non si verificherebbe invece nei casi di plurisoggettività impropria, nei quali il comportamento del concorrente necessario è tipico, perché preso in considerazione dal legislatore che implicitamente lo dichiara non punibile (così Grispigni, F., Diritto penale italiano. La struttura della fattispecie legale oggettiva, I, Milano, 1947, 229 ss.).
In questa prospettiva, il regime della non punibilità si estenderebbe anche alle eventuali condotte del concorrente necessario diverse e ulteriori rispetto a quella tipica (istigazione, determinazione, ausilio), sul presupposto, ispirato ad una logica di sussidiarietà, che il trattamento di favore previsto per la condotta principale non possa che valere a fortiori per condotte dal carattere meramente accidentale, meno qualificate sul piano del disvalore penale perché non essenziali per la lesione del bene tutelato (cfr. Dell’Andro, R., La fattispecie plurisoggettiva in diritto penale, Milano, 1956, 170).
Altro orientamento, ad oggi prevalente e seguito anche in giurisprudenza, opera invece una netta distinzione tra contributi tipici e atipici del concorrente necessario; mentre, infatti, per i primi si ribadisce la loro non punibilità alla stregua dell’art. 110 c.p., rispetto agli altri, invece, si riconosce la possibilità di un’autonoma incriminazione sulla base della normativa concorsuale; con la precisazione, però, che la configurabilità del concorso eventuale dovrebbe comunque escludersi anche rispetto a quei comportamenti che, pur differenti da quello tipico e non punibile, sarebbero in esso normalmente implicati (così Gallo, M., Lineamenti di una teoria sul concorso di persone nel reato, Milano, 1957, 128, con riferimento alla non punibilità di chi dà o promette interessi o altri vantaggi usurari, anche per le condotte ulteriori di ausilio o incitamento che sono logicamente ricomprese in quella principale dichiarata non punibile dalla norma).
Si tratta di una soluzione che, se da un lato permette di superare le criticità della tesi tradizionale, specie per ciò che riguarda l’incongruenza di attribuire rilevanza penale a condotte di agevolazione o istigazione commesse da terzi estranei e negarla, invece, rispetto alle medesime condotte realizzate dal concorrente necessario, dall’altro si trova però a scontare inevitabili difficoltà interpretative quando si tratta di fissare in concreto i confini della non punibilità, finendo, in definitiva, con il demandarne l’accertamento al potere discrezionale del giudice.
La giurisprudenza si è trovata ad affrontare il tema dell’applicabilità delle norme che disciplinano il concorso di persone ai reati plurisoggettivi soprattutto in relazione alla fattispecie di rivelazione di segreti di ufficio (art. 326 c.p.). L’orientamento pressoché consolidato considera il soggetto che riceve la notizia dal pubblico ufficiale punibile solo qualora la sua condotta vada oltre i limiti di quella tipizzata dalla norma incriminatrice: il che si verificherebbe, ad esempio, in presenza di condotte di istigazione o determinazione nei confronti del pubblico ufficiale per indurlo alla rilevazione della notizia segreta (v. Cass. pen., S.U., 28.11.1981, n. 420, in Foro it., 1982, II, 359).
Più incerta è invece la posizione giurisprudenziale con riferimento al reato previsto dall’art. 3 l. 9.12.1941, n. 1383 che incrimina la condotta del militare della Guardia di finanza che collude con estranei a fini di frode. Secondo un primo orientamento l’estraneo che si accorda con il militare può essere chiamato a rispondere per il semplice fatto dell’accordo «a titolo di concorso nella stessa figura criminosa perché anche egli, con la sua condotta cosciente e volontaria, contribuisce alla lesione dell’interesse protetto dalla norma incriminatrice» (v., ad esempio, Cass. pen., sez. I, 18.11.1996, n. 2645, in CED Cass., n. 207269). In altre pronunce la Corte di cassazione mostra, invece, di uniformarsi all’orientamento consolidato in dottrina, ritenendo necessario che il soggetto non qualificato «con un comportamento atipico (si pensi all’istigazione, alla determinazione, all’agevolazione), vada a incidere causalmente in modo ancora più pregnante e qualificante sulla realizzazione della fattispecie criminosa di parte speciale, la cui punibilità, solo in tale caso, viene estesa anche a lui» (Cass. pen., sez. VI, 17.9.1998, n. 9892, in Riv. pen., 1998, 1138).
Alcune oscillazioni interpretative si sono registrate anche con riferimento alla fattispecie di trasferimento fraudolento di valori, prevista dall’art. 12 quinquies del d.l. 12.8.1992, n. 396, nonché in relazione all’ipotesi della bancarotta preferenziale di cui all’art. 216, co. 3, l. fall., in merito, rispettivamente alla posizione dell’intestatario che accetta di acquisire (apparentemente) la titolarità dei beni trasferiti o del creditore che accetta il pagamento da parte del suo debitore. In alcune sentenze la Corte di cassazione ha infatti riconosciuto punibile il falso intestatario, così come lo stesso creditore, per la ragione che «anche egli con la sua condotta cosciente e volontaria contribuisce chiaramente alla lesione dell’interesse protetto dalla norma incriminatrice» (v., per tutte, Cass. pen., sez. I, 10.2.2005, n. 14626, in CED Cass., n. 231379), in altre si è, invece, ravvisata una responsabilità concorsuale solo in presenza di un contributo determinante sul piano causale alla realizzazione del fatto lesivo (ad esempio mediante istigazione del debitore a effettuare il pagamento a suo favore, e a danno degli altri creditori: così Cass. pen., sez. V, 22.4.1981, n. 9219, in Giust. pen., 1983, II, 25).
Un problema ulteriore riguarda, invece, la riferibilità ai reati plurisoggettivi necessari delle disposizioni concorsuali nella loro funzione di disciplina. L’opinione attualmente prevalente è orientata nel senso di riconoscere la possibilità di applicare la normativa in questione tutte le volte in cui questa sia espressione di principi generali attinenti alla fattispecie plurisoggettiva in quanto tale, sia essa necessaria o eventuale.
In quest’ottica, si afferma, ad esempio, che nel numero minimo di persone richiesto per l’integrazione dei singoli reati plurisoggettivi devono essere computati anche i soggetti non imputabili o punibili, secondo quanto risulta dall’art. 112, ult. co., c.p., salvo che ciò non sia incompatibile con la specifica struttura dei singoli illeciti (come avveniva, ad esempio, nell’ipotesi dell’abrogato abbandono collettivo di pubblici uffici, di cui all’art. 330 c.p., nel quale la consapevolezza dei correi di cooperare nel fatto di reato era elemento costitutivo della fattispecie penale). Le stesse considerazioni si fanno valere anche in relazione agli artt. 118 e 119 c.p., per quanto riguarda il regime giuridico da riservare alle circostanze aggravanti e attenuanti e a quelle di esclusione della pena.
Maggiori incertezze riguardano, invece, l’aggravante prevista dall’art. 112, n. 1., c.p., relativa al numero delle persone. Si ritiene, in linea di massima, che questa possa trovare applicazione ai reati a concorso necessario, salvo nei casi in cui il numero dei concorrenti sia stato già previsto dalla legge come elemento costitutivo o circostanza aggravante speciale: si pensi, ad esempio, all’aggravamento di pena stabilito per l’associazione a delinquere nell’ipotesi di dieci o più associati (art. 416, co. 5, c.p.).
Quanto però alle modalità con cui fare operare la circostanza, secondo un primo orientamento, per dar luogo all’aumento sanzionatorio, nel computo dei concorrenti non devono essere considerate le persone strettamente necessarie per l’integrazione del reato: con la conseguenza, ad esempio, che rispetto alla figura della corruzione l’aggravante potrà applicarsi in presenza di sei persone, due concorrenti necessari e quattro eventuali (così Cass. pen., sez. VI, 17.2.2010, n. 33435, in CED Cass., n. 246687). A conclusioni diverse perviene invece chi, ricollegando la ratio dell’aggravante al maggior allarme sociale provocato da un considerevole numero di persone, a causa della migliore organizzazione dell’impresa criminosa, ritiene che l’aumento di pena debba applicarsi tutte le volte in cui il numero effettivo dei partecipanti al reato abbia raggiunto una simile consistenza numerica, senza alcuna distinzione tra la condotta dei concorrenti necessari e quella degli altri compartecipi (in dottrina, in tal senso, Della Terza, E., Struttura del reato a concorso necessario, Milano, 1971, 84; e in giurisprudenza, Cass. pen., sez. VI, 26.4.1984, n. 7249, Alvau, in Giust. pen., 1985, II, 65).
In maniera pressoché pacifica, si ritiene invece incompatibile con i reati a concorso necessario l’attenuante della minima partecipazione di cui all’art. 114 c.p., sulla base della considerazione per cui, se il contributo è necessario per l’integrazione della fattispecie, la sua rilevanza, sul piano materiale, sarebbe già tipizzata in astratto dallo stesso legislatore (così Di Martino, A., La pluralità soggettiva tipica. Un’introduzione, in Indice pen., 2001, 184).
Uno degli aspetti più delicati nello studio dei reati a concorso necessario riguarda l’esatta individuazione delle ipotesi criminose effettivamente appartenenti alla categoria; problema che si è posto principalmente per i cd. reati commessi con la cooperazione della vittima, e cioè per quegli illeciti la cui realizzazione richiede l’apporto materiale del soggetto che la norma medesima mira a proteggere.
L’impostazione della dottrina tradizionale ricollega infatti la natura plurisoggettiva del reato al mero dato naturalistico della presenza di una pluralità di soggetti o di condotte, con la conseguenza che reati come ad esempio l’usura o l’omicidio del consenziente sono pacificamente annoverati tra quelli a tipicità plurisoggettiva impropria. Un simile approccio sembra però tradire un’indebita sovrapposizione tra la dimensione naturalistica e quella normativa della pluralità soggettiva, contribuendo il larga misura alle difficoltà che ancora accompagnano una chiara definizione dell’istituto del concorso necessario.
Più corretto appare, invece, richiedere non solo che la pluralità di persone appaia nella descrizione offerta dal tipo legale, ma che ciascun soggetto svolga un ruolo attivo nella realizzazione del risultato, nell’ottica di una cooperazione alla produzione dell’offesa al bene protetto.
Chiaro come in questa prospettiva tutti i reati nei quali uno dei soggetti essenziali per l’esistenza del fatto rivesta il ruolo di titolare dell’interesse tutelato devono a rigore considerarsi di natura monosoggettiva, per l’evidente rapporto di incompatibilità che sussiste tra la posizione di soggetto attivo e quella di soggetto passivo del reato (così Leoncini, I., Reato e contratto nei loro reciproci rapporti, Milano, 2006, 237).
Si pensi, ad esempio, alla previsione di cui all’ art. 579 c.p. che incrimina il delitto di istigazione al suicidio: la circostanza che la struttura del fatto si incentri su condotte che ricalcano lo schema di quelle concorsuali ha indotto infatti alcuni Autori a qualificare il reato in esame come fattispecie plurisoggettiva “imperfetta”, «avente ad autori necessari il soggetto che tenta o realizza il suicidio e il soggetto che spende una condotta partecipativa, dei quali il primo comunque non punibile e il secondo punibile» (v. Marini, G., Delitti contro la persona, Torino, 1996, 116). Che non si tratti però di una partecipazione in senso tecnico e che la figura in esame non si presti ad essere inquadrata tra quelle plurisoggettive risulta evidente se solo si considera che nel nostro ordinamento gli atti di autolesione sono privi di rilevanza sul piano penale; il bene giuridico, infatti, ancorché indisponibile, non viene tutelato nei confronti di offese che provengono da parte del proprio titolare, con la conseguenza che le condotte incriminate presentano una tipicità autonoma, del tutto svincolata dall’illiceità del comportamento di chi vuole darsi o farsi dare la morte. Le stesse considerazioni possono valere anche con riferimento ad altre figure criminose, come l’istigazione o il favoreggiamento della prostituzione di cui all’art. 3, co. 1, nn. 4 e 5, l. 20.2.1958, n. 75, nelle quali la condotta di agevolazione posta in essere dal soggetto punibile accede ad un comportamento altrui di natura autolesiva, che, essendo realizzato dal soggetto stesso che la norma intende tutelare, in nessun caso può essere considerato un comportamento illecito di autore.
Anche nei casi in cui il soggetto non punibile non è il titolare dell’interesse tutelato dalla norma non sempre è agevole decidere se ci si trovi al cospetto di un illecito plurisoggettivo. La dottrina al riguardo ha fornito criteri tra loro molto diversi, arrivando in alcuni casi a mettere in discussione la stessa categoria della plurisoggettività impropria e concludendo per la natura monosoggettiva delle relative fattispecie (Zanotti, V.M., Profili dogmatici dell’illecito plurisoggettivo, Milano, 1985, 28, per il quale in tutte le ipotesi in esame sarebbe possibile individuare dei “contrassegni di tipicità” in base ai quali distinguere il soggetto che pone in essere la condotta tipica da colui che, pur compiendo un’azione menzionata nella fattispecie legale, non risulterebbe in ogni caso il destinatario del dovere previsto dalla norma incriminatrice).
Più convincente sembra invece la strada percorsa da chi, evidenziando il collegamento con la disciplina generale del concorso di persone nel reato, indica il dato qualificante della plurisoggettività nell’esistenza di una relazione di carattere strumentale tra le condotte di partecipazione e la realizzazione di una determinata offesa tipica; a differenza del concorso eventuale, in cui la strumentalità risulta strettamente connessa con le modalità dell’accadimento concreto, nei reati a concorso necessario acquisterebbe invece una valenza normativa, incardinandosi su «un giudizio astratto, legislativamente formulato» che «cristallizza il modo in cui le condotte sono l’un l’altra strumentali» (Di Martino, A., La pluralità soggettiva, cit., 157 ss. che argomenta, ad esempio, con riferimento al rapporto di strumentalità che si instaura nelle fattispecie di cui agli artt. 244 e 288 c.p., che incriminano gli arruolamenti contro o a servizio dello straniero, tra la condotta dell’arruolante punibile e quella dei singoli arruolati che va esente da pena).
La stretta relazione con l’istituto del concorso eventuale è stata valorizzata anche da chi ha ravvisato nei reati plurisoggettivi necessari delle “ipotesi tipiche di concorso di persone nel reato”, rispetto alle quali il legislatore avrebbe determinato, già sul piano astratto, le modalità, lo svolgimento, le articolazioni e le possibili conseguenze (Brunelli, D., Il diritto penale delle fattispecie criminose, Torino, 2013, 162). Su questa via, si è affermato, (Merenda, I., I reati a concorso necessario tra coautoria e partecipazione, Roma, 2016,) che mentre alcune figure criminose ricalcherebbero lo schema della “coautoria”, perché la struttura delle relative fattispecie ruota attorno all’esistenza di una pluralità di condotte tipiche che cooperano volontariamente alla produzione dell’offesa (si pensi ad esempio alle ipotesi di corruzione), altre richiamerebbero, invece, il modello “partecipativo”, per la presenza di un fatto principale a cui “accede” la condotta del concorrente necessario (come nel caso della procurata evasione di cui all’art. 386 c.p.). Schema che sembrerebbe valido, ad esempio, anche nei confronti della nuova fattispecie plurisoggettiva di cui all’art. 319 quater c.p. («Induzione indebita a dare o promettere utilità» ) che ben può essere letta come un’ipotesi di determinazione al reato da parte del pubblico ufficiale nei confronti del privato. (Donini, M., Il corr (eo) indotto tra passato e futuro. Note critiche SS.UU., 24 ottobre-14 marzo 2014, n. 29180, Cifarelli, Maldera e a., e alla l. n. 190 del 2012, in Cass. pen., 2014, 1482).
È possibile che la condotta di un terzo acceda al fatto commesso dai concorrenti necessari; in questi casi, nessun problema si pone rispetto alla generale applicabilità dell’art. 110 c.p., perché le condotte in esame non sono già tipizzate nella fattispecie incriminatrice di parte speciale. Si tratta, tra l’altro, di ipotesi tutt’altro che infrequenti nella prassi: basti pensare, ad esempio, nei reati che consistono nella stipula di un contratto (cd. reati-contratto), al comportamento di un terzo che mette a disposizione i locali oppure offre la disponibilità o i mezzi per l’esecuzione della prestazione; o al caso del soggetto che convinca il pubblico ufficiale ad accettare la retribuzione non dovuta, o il privato ad offrire il danaro o l’altra utilità, realizzando così un concorso nel delitto di corruzione. Con riferimento a tale ultima fattispecie, la giurisprudenza ha ritenuto, infatti, «ben possibile il concorso eventuale di terzi, sia nel caso in cui il contributo si realizzi nella forma della determinazione o del suggerimento fornito all’uno o all’altro dei concorrenti necessari, sia nell’ipotesi in cui si risolva in un’attività di intermediazione finalizzata a realizzare il collegamento tra gli autori necessari» (così, recentemente, Cass. pen., sez. VI, 10.4.2015, n. 24535, in CED Cass., n. 264124); del resto, la natura unitaria del delitto di corruzione e la sottoposizione dei correi al medesimo trattamento sanzionatorio rende superfluo distinguere a seconda che il terzo partecipi con il pubblico ufficiale o con il privato alla realizzazione dell’offesa tipica.
Più complessa si fa, invece, la questione rispetto alle cd. fattispecie plurisoggettive improprie, che non stabiliscono un’analoga previsione di punibilità per entrambi i concorrenti necessari: si pensi alla già esaminata collusione con il militare della Guardia di Finanza (art. 3 l. n. 1383/1941) o all’ipotesi (ora abrogata) della corruzione impropria. In tali casi si tratta, infatti, di verificare se la non punibilità disposta per uno dei concorrenti necessari si estenda anche al concorrente eventuale. Il problema viene generalmente risolto seguendo un duplice approccio che, da un lato, è volto ad accertare che il contributo sia prestato dal lato esclusivo del soggetto non punibile e sia “strumentale” alla condotta di quest’ultimo, dall’altro, che le ragioni della non punibilità si possano estendere anche al concorrente eventuale e non siano disposte solo riguardo alla persona del concorrente necessario. Si pensi, soprattutto, alla non punibilità nelle fattispecie che prevedono reati propri (come la collusione o le stesse intelligenze con lo straniero di cui agli artt. 243 e 245 c.p.): in questi casi il ricorso allo strumento sanzionatorio concerne il solo soggetto titolare della qualifica soggettiva, perché la sua condotta è espressiva di un disvalore, connesso all’esercizio di determinati compiti funzionali, del quale è sprovvisto il comportamento del soggetto non qualificato. In quest’ottica, le ragioni della non punibilità sembrano atteggiarsi come cause oggettive di esclusione della pena, previste implicitamente nel tipo legale, con la conseguenza che, ai sensi dell’art. 119, co. 2, c.p., potranno estendersi anche al comportamento del soggetto terzo che presenti le medesime caratteristiche sul piano del disvalore (Di Martino, A., op. cit., 176; Merenda, I., I reati a concorso necessario, cit., 180).
Il tema del concorso eventuale nei reati plurisoggettivi viene affrontato da dottrina e giurisprudenza soprattutto con riguardo alla fattispecie di associazione di tipo mafioso di cui all’art. 416 bis c.p. La particolare attenzione prestata al fenomeno è dovuta in primo luogo alla preoccupazione politico criminale di colpire tutta una serie di attività di sostegno alle organizzazioni criminali, commesse da soggetti estranei ma che si trovano in una posizione di contiguità al sodalizio (ampiamente, Visconti, C., Contiguità alla mafia e responsabilità penale, Torino, 2003; sul punto, si rinvia a Dinacci, E., Concorso esterno nel reato di associazione di tipo mafioso, in “Diritto on line Treccani, 2014). L’ampio dibattito potrà essere, in questa sede, ricostruito solo parzialmente; si può però osservare come le generali criticità legate all’indeterminatezza del nostro sistema concorsuale risultino accentuate quando si tratta di estendere l’ambito applicativo di fattispecie che, come l’associazione di stampo mafioso, scontano già in partenza un’indeterminatezza di tipo strutturale. L’assenza, infatti, di chiari criteri definitori relativi alla condotta stessa di partecipazione interna porta con sé il rischio di una sovrapposizione con le condotte di concorso esterno, al punto che non è mancata l’opinione di chi ha considerato il concorso eventuale nel reato associativo un istituto superfluo, ritenendo tutte le condotte di contiguità originariamente tipiche già ai sensi dell’art. 416 bis c.p.
La giurisprudenza, invece, a partire dal 1994 con la sentenza Demitry (Cass. pen., S.U., 5.10.1994, n. 16) ha proceduto all’elaborazione di un vero e proprio “statuto di tipicità” della condotta del concorrente esterno, attraverso una determinazione puntuale dei suoi requisiti costitutivi, al fine di differenziarla dalla condotta partecipativa (v. Maiello, V., Il concorso esterno tra indeterminatezza legislativa e tipizzazione giurisprudenziale, Torino, 2014).
Sul punto, risulta fondamentale la cd. sentenza Mannino (Cass. pen., S.U., 27.9.2005, n. 33748) nella quale la Corte di cassazione ha precisato che la condotta dell’extraneus, per acquisire rilevanza penale, deve contribuire alla «conservazione» o «rafforzamento» dell’associazione criminale; effetto da accertarsi alla stregua di un giudizio contro fattuale ex post, fondato su «massime di esperienza dotate di empirica plausibilità». Si tratta di un accertamento di tipo causale/condizionalistico che presenta indubbi margini di criticità, sia per le difficoltà di individuare sicuri parametri di giudizio utili per la prova processuale di tale collegamento, sia per l’evidente «proporzione di scala tra una singola condotta e il “gigantismo” di un esito quale il consolidamento di strutture criminali a vasta diffusione territoriale» (cfr. De Francesco, G.V., Il concorso esterno nell’associazione mafiosa torna alla ribalta del sindacato di legittimità, in Cass. pen., 2012, 2554).
Né minori problematicità si registrano in tema di accertamento del dolo, rispetto al quale la Cassazione, a partire dalla sentenza Carnevale (Cass. pen., S.U., 30.10.2002, n. 22327) ha adottato un orientamento di tipo restrittivo, richiedendo non solo la consapevolezza da parte del concorrente di arrecare vantaggio al mantenimento/rafforzamento dell’organizzazione criminale, ma anche la coscienza e volontà di contribuire alla realizzazione (seppur parziale) del programma criminoso del sodalizio, escludendo, quindi, il dolo eventuale dai criteri di imputazione della responsabilità concorsuale (per l’abbandono del riferimento alla “volontà di contribuire alla realizzazione del programma criminoso”, a favore della mera consapevolezza da parte dell’extraneus dei metodi e dei fini perseguiti dall’associazione e dell’efficacia causale dell’attività di sostegno prestata per la conservazione e il mantenimento dell’associazione medesima v., recentemente Cass. pen., S.U., 9.5.2014, n. 28225).
Il quadro complessivo è ulteriormente complicato dalla pronuncia della C. eur. dir. uomo nella nota vicenda Contrada c. Italia, nella quale il nostro Paese è stato condannato per violazione dell’art. 7 della Convenzione (nulla poena sine lege), sul presupposto che la figura del concorso esterno in associazione mafiosa rappresenta il frutto di un’elaborazione creativa della giurisprudenza successiva all’epoca dei fatti contestati al ricorrente; circostanza che impedirebbe la cd. “prevedibilità dell’esito giudiziario” e quindi la possibilità per il consociato di orientare la propria condotta, nella consapevolezza delle eventuali conseguenze sanzionatorie (C. eur. dir. uomo, 14.4.2015, Contrada c. Italia ).
Artt. 110-119, 243, 245, 317, 319, 319 quater, 326, 416 bis, 556, 564 c.p.; art. 3 l. 9.12.1941, n. 1385.
Brunelli, D., Il diritto penale delle fattispecie criminose, Torino, 2013; Della Terza, E., Struttura del reato a concorso necessario, Milano, 1971; Dell’Andro, R., La fattispecie plurisoggettiva in diritto penale, Milano, 1956; Di Martino, A., La pluralità soggettiva tipica. Un’introduzione, in Indice pen., 2001, 101; Gallo, M., Lineamenti di una teoria sul concorso di persone nel reato, Milano, 1957; Grispigni, F., Diritto penale italiano. La struttura della fattispecie legale oggettiva, I, Milano, 1947, 229 ss.; Leoncini, I., Reato e contratto nei loro reciproci rapporti, Milano, 2006; Maiello, V., Il concorso esterno tra indeterminatezza legislativa e tipizzazione giurisprudenziale, Torino, 2014; Merenda, I., I reati a concorso necessario tra coautoria e partecipazione, Roma, 2016; Zanotti, M., Profili dogmatici dell’illecito plurisoggettivo, Milano, 1985; Visconti, C., Contiguità alla mafia e responsabilità penale, Torino, 2003.