REATO E PENA
(v. pena, XXVI, p. 653; reato, XXVIII, p. 941)
Anche in mancanza di una definizione esplicita del r., nella Costituzione si può pervenire a un'individuazione del suo significato sulla base di una concezione formale, propria di un sistema normativo fondato sull'integrale applicazione del principio di stretta legalità, o di una nozione sostanziale che, pur nella varietà dei suoi elementi definitori, tende ad apparire unitaria. Aderente alla tradizione garantistica, infatti, la Costituzione italiana, compiendo una sintesi delle due concezioni, cioè di quella formale e di quella sostanziale, ha considerato come r. soltanto il fatto delineato dalla legge in quanto tale e lesivo di interessi e valori costituzionalmente protetti o costituzionalmente rilevanti, e ha qualificato la p. a essi connessa come l'extrema ratio dell'intervento legislativo qualora la carica antisociale del fatto sia tale da rendere impossibile il ricorso a una forma di tutela alternativa.
Nel fissare i criteri per la determinazione della rilevanza penalistica di un fatto illecito (cioè l'esistenza del cosiddetto ''titolo di reato'') non si può non fare riferimento a quegli elementi che, affiancandosi alla ratio legis, integrano e modificano la nozione di r. rinviando a fonti definitorie extragiuridiche.
Nell'individuazione e nella classificazione degli elementi costitutivi del r. vanno distinti, oltre agli elementi oggettivi e a quelli soggettivi o psicologici, altri elementi, definiti accidentali, che non incidono sull'esistenza o sul tipo di r. ma ne condizionano l'efficacia o incidono sulla sua gravità (le cosiddette ''circostanze aggravanti o attenuanti del reato'', oggetto di recenti modificazioni apportate al codice penale del 1930 conosciuto come ''codice Rocco''). Nell'individuazione dei r. va ricordato inoltre che gli illeciti penali si distinguono tradizionalmente, secondo la natura della sanzione giuridica prevista in caso di violazione, in ''delitti'' e ''contravvenzioni'', sulla base di un criterio formale di riconoscimento fissato dal legislatore (e connesso alla maggiore o minore gravità degli illeciti penali) che qualifica, talora, come delitti fatti non particolarmente rilevanti e come contravvenzioni illeciti di peso maggiore. Attualmente, però, la dicotomia adottata dal codice Rocco non sembra essere più pienamente rispondente alle mutate condizioni sociali e alla percezione che coloro che appartengono all'ordinamento giudiziario hanno della distinzione delle sanzioni giuridiche ricollegate all'una o all'altra specie di r. (i delitti sono puniti con l'ergastolo, la reclusione, la multa, mentre le contravvenzioni con l'arresto e l'ammenda).
È evidente che per motivi diversi, essenzialmente legati alle carenze strutturali e ai ritardi della macchina della giustizia, la perdita progressiva di questa distinzione ha comportato oggi il venir meno del senso e dell'utilità della differenziazione tra le due specie criminose. Nell'ambito delle sanzioni previste dall'ordinamento al fine di regolare la condotta umana e contenerne i comportamenti criminali, la sanzione penale, o p. in senso stretto, si contraddistingue per il carattere afflittivo e per l'emenda del condannato a cui tende. In essa si sostanziano diverse e complesse esigenze sia retributive (la p. è il corrispettivo del male commesso) sia di prevenzione generale o speciale (la p. intesa come deterrente che distoglie i consociati dall'agire in modo socialmente dannoso e, in senso etico, come correttivo morale diretto a ridurre la probabilità che colui che si sia macchiato di un comportamento criminale possa in futuro compiere un fatto costituente r.), riflesso della tradizionale contrapposizione tra il punitur quia peccatur e il punitur ne peccetur.
Negli ultimi decenni la concezione della p., legata allo schema della retribuzione che è alla base del sistema previsto dal codice penale, è stata sottoposta a numerose critiche che si sono sostanziate nel rigetto di quello schema e nell'introduzione generalizzata del concetto di prevenzione speciale. Si è collegata così prevalentemente la p. non alla sanzione prevista per il fatto criminale ma al trattamento a cui il condannato dev'essere sottoposto, sopravvalutando talora la funzione rieducativa della p. con particolare riferimento al dettato costituzionale: le "pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione" (art. 27); e per la nuova sensibilità acquisita nei confronti dei condannati e del loro riadattamento sociale si è proceduto progressivamente a modifiche dell'ordinamento penitenziario e del sistema penale.
Nell'ambito sanzionatorio, abolita nel dopoguerra la p. di morte, sostituita per i r. più gravi dall'ergastolo (oggetto anch'esso di importanti modifiche introdotte dalla l. 25 novembre 1962 n. 1634 e dalla l. 10 ottobre 1986 n. 663, e considerato da alcuni in virtù del fine rieducativo previsto dalla Costituzione come p. disumana e diseducativa), alle p. detentive, sulle quali è imperniato il nostro sistema penale e che vengono comminate per determinati delitti, di recente si sono affiancate le cosiddette p. alternative (affidamento in prova, semilibertà, libertà condizionale controllata e assistita) nonché la possibilità di sostituirle, in taluni casi, con la semidetenzione, la libertà controllata o la p. pecuniaria (per il cui ragguaglio con p. detentive la l. 5 ottobre 1993 n. 402 ha modificato l'art. 135 del codice penale).
Innovazioni e modifiche alla disciplina generale delle p. principali, in particolare di quelle pecuniarie, sono state introdotte dalla l. 24 novembre 1981 n. 689 che, fondandosi sul meccanismo previsto dal codice, dopo le misure imposte dalla legislazione speciale ha introdotto nuovamente il procedimento di conversione della p. pecuniaria per insolvibilità del reo o dei responsabili legali (i cosiddetti civilmente obbligati), applicando sanzioni sostitutive della p. detentiva. Per ciò che riguarda, invece, le p. accessorie − che si fondano su un meccanismo automatico di applicazione e, diversamente da quelle principali, a cui offrono un supporto, non sono determinate dal giudice −alcune modificazioni significative sono state introdotte dalla l. 689/1981 che, tra l'altro, ha circoscritto presupposti e limiti dell'applicazione provvisoria di queste p. abrogando l'art. 140 del codice penale; a ciò possono aggiungersi le modifiche relative a singole sanzioni accessorie formulate ex novo o sostitutive delle specie sanzionatorie soppresse (alcune ipotesi di delitti contro la famiglia previste dalla l. 19 maggio 1975 n. 151, l'interdizione temporanea dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese introdotta dalla stessa l. 689/1981, nonché le sanzioni previste dalla legge antimafia e dalla legislazione tributaria in materia di IVA e di imposte sul reddito).
La depenalizzazione. - Negli ultimi decenni, di fronte alla necessità di pervenire a una maggiore speditezza nei giudizi, si è progressivamente sottratta all'ambito del diritto penale una serie di fatti di modesta entità, per i quali sono applicate in via amministrativa delle sanzioni mediante procedimento semplificato. A tale scelta legislativa si è affiancata quella mirante al superamento, mediante misure alternative, delle brevi p. detentive, ritenute inutilmente afflittive e non più rispondenti al principio del riadattamento del reo (cosiddetta ''depenalizzazione impropria'').
Per effetto della depenalizzazione il r. è stato trasformato in illecito amministrativo, che a sua volta è stato ricondotto nell'ambito del principio di legalità (riserva di legge riferita anche alle leggi regionali e irretroattività), mentre l'attribuzione della competenza a conoscere la violazione è passata dal giudice ordinario a un organo amministrativo (prefetto, sindaco, presidente della giunta regionale, ecc.) e la sanzione penale è stata sostituita da una p. pecuniaria (soltanto in alcuni casi può essere comminata anche la confisca o l'interdizione dall'esercizio di certe attività).
Dopo la l. 3 maggio 1967 n. 317, applicabile soltanto ad alcune contravvenzioni in materia di circolazione stradale e di regolamenti locali, e la l. 24 dicembre 1975 n. 706, che ha esteso la sua applicazione, invece, a tutte le contravvenzioni punibili con l'ammenda (ad esse vanno aggiunte la l. 9 ottobre 1967 n. 950 che ha introdotto delle sanzioni amministrative pecuniarie per la violazione di alcune norme contenute nei regolamenti previsti dalla cosiddetta legge forestale 3267/1923 e la disciplina per tale specie sanzionatoria prevista dalle leggi regionali per illeciti relativi ai rapporti di lavoro e all'inquinamento), l'ambito di applicazione della depenalizzazione è stato notevolmente ampliato dalla l. 24 novembre 1981 n. 689 che, abrogando le precedenti disposizioni e fissando principi generali, sostanziali e processuali, ha assoggettato a sanzione amministrativa mediante pagamento di una somma in denaro tutte le violazioni punibili con la p. della multa o dell'ammenda. La l. 689/1981 (capo i) ha incluso tra gli illeciti amministrativi alcune contravvenzioni che ne sarebbero state altrimenti escluse, poiché la legge prevedeva per esse la p. detentiva in alternativa o in concorrenza alla p. pecuniaria, ma, al contempo, ha escluso dalla depenalizzazione alcuni r. che, invece, avrebbero dovuto esservi compresi perché punibili soltanto con la p. pecuniaria (r. previsti dal codice penale; r. in materia d'interruzione di gravidanza; r. in materia di armi, di sanità, di alimenti, d'inquinamento idrico e atmosferico, di urbanistica ed edilizia, di lavoro; r. in materia elettorale).
Per ciò che riguarda le violazioni finanziarie, con la l. 689/1981 sono stati esclusi dalla depenalizzazione gli illeciti punibili con la sola multa; mentre la sanzione amministrativa in cui viene convertita la sanzione penale, per effetto appunto della depenalizzazione, è stata unificata con la p. pecuniaria prevista originariamente insieme con l'ammenda.
Tra le modifiche apportate al sistema penale da siffatta legge vanno menzionate inoltre quelle relative alle violazioni in materia di previdenza e assistenza obbligatoria che, punibili con l'ammenda, sono state qualificate come semplici illeciti amministrativi.
Recentemente, a seguito della grave situazione politica e istituzionale venutasi a creare per il cosiddetto ''scandalo delle tangenti'', sono state avanzate proposte di depenalizzazione dei r. collegati al finanziamento illecito ai partiti politici per favorirne una soluzione non penale, proposte che hanno suscitato forti reazioni.
La legislazione sui pentiti. - Nell'ambito del sistema sanzionatorio un discorso a parte va fatto per le p. inizialmente comminate per i r. di terrorismo e successivamente estese ai r. commessi dalla criminalità organizzata, oggetto di una disciplina eccezionale. Per entrambi i fenomeni la risposta del legislatore ha provocato conseguenze notevoli nell'ambito del sistema penale sia a livello legislativo sia nella prassi giudiziaria. A partire dalla fine degli anni Settanta, di fronte al dilagare del fenomeno del terrorismo e alla difficoltà di condurre indagini su organizzazioni eversive, clandestine e non facilmente penetrabili nella loro struttura, sono state emanate alcune norme miranti a favorire la dissociazione da esse e a facilitare la collaborazione degli imputati alle indagini condotte dalle forze dell'ordine e dalla magistratura (D.L. 15 dicembre 1979 n. 625, convertito in l. 6 febbraio 1980 n. 15). Tali norme hanno modificato l'entità delle p. detentive comminate ai pentiti per i diversi r., sostituendo all'ergastolo la reclusione da 12 a 20 anni e riducendo le altre p. da un terzo alla metà. Queste norme ''premiali'' hanno sortito degli effetti positivi facilitando l'operato della magistratura grazie alla collaborazione offerta da numerosi esponenti dei gruppi terroristici che hanno permesso, in questo modo, di sgominare interi settori del terrorismo di sinistra. Di fronte a questi risultati ci si è posto da una parte il problema se fosse opportuno estendere la portata di queste norme anche ai casi di semplice dissociazione dai gruppi terroristici, non seguita dalla collaborazione con la giustizia, dall'altra si è avanzato il dubbio sull'ammissibilità che una legge dello stato rendesse legittima la delazione, seppure finalizzata a combattere organizzazioni eversive, e in un certo qualmodo addirittura la premiasse.
A conclusione di un lungo e burrascoso iter parlamentare è stata approvata la l. 29 maggio 1982 n. 304 che ha previsto l'ipotesi di non punibilità in determinati casi: per chi si sia dissociato dalle organizzazioni clandestine a condizione che non abbia commesso alcun r. oppure abbia commesso soltanto alcuni r. relativi all'organizzazione della banda armata o dell'associazione terroristica; per chi abbia fornito informazioni sulla struttura e sull'organizzazione della banda o dell'associazione sovversiva. Per quanto riguarda, invece, l'irrogazione delle p. detentive la l. 304/1982 ha previsto la riduzione di un terzo della p. per chi si sia dissociato e abbia confessato i r. di terrorismo commessi, e ''sconti'' maggiori per chi, oltre a ciò, abbia collaborato con le forze di polizia o con la magistratura (qualora la collaborazione abbia assunto particolare rilevanza per la condotta delle indagini, alla p. dell'ergastolo viene sostituita la reclusione per un periodo minimo di sei anni e otto mesi, e riduzioni consistenti vengono applicate anche alle altre pene). Il carattere eccezionale di queste norme ha spinto il legislatore a delimitarne l'efficacia nel tempo, limitandole soltanto ai r. commessi entro il 31 dicembre 1982.
Nel solco della normativa premiale la legge ha concesso notevoli riduzioni di p. introducendo benefici speciali per i pentiti dissociatisi: tali benefici non vengono applicati in modo indiscriminato ma soltanto in presenza di determinate condizioni (comportamento oggettivamente incompatibile con il permanere del vincolo associativo; ripudio della violenza come strumento di lotta; ammissione di azioni e attività realmente effettuate). Le riduzioni di p. sono previste soltanto per i r. di terrorismo commessi entro il 1983, esclusi quelli di strage, e sono applicabili sia ai condannati sia a coloro che non sono stati ancora definitivamente giudicati: la p. dell'ergastolo è commutata in trent'anni di reclusione; le p. per i r. di sangue (omicidio e lesioni personali), sono ridotte di un quarto; per i r. di associazione e quelli ad essi connessi (banda armata, associazione sovversiva, porto e detenzione d'armi, favoreggiamento) e per altri (come furto, rapina, ecc.) la p. viene invece ridotta di un terzo. Per condanne riportate in diversi processi la legge prevede che il cumulo delle p. non possa superare i ventidue anni e sei mesi. Naturalmente, dal punto di vista sostanziale, questo provvedimento non ha mancato di suscitare ampie critiche, giacché la riduzione delle p. per chi sia stato già condannato in via definitiva costituisce un vero e proprio atto di clemenza e, in quanto tale, di spettanza del presidente della Repubblica.
A partire dalla seconda metà degli anni Ottanta il muro di silenzio che circondava la criminalità organizzata ha cominciato a essere incrinato dall'aiuto fornito agli inquirenti anche in questo caso dai pentiti delle varie cosche mafiose e camorristiche. Attualmente i collaboratori di giustizia, circa settecento, sono sottoposti a speciali ''programmi di protezione'' che vengono estesi anche ai loro familiari, secondo quanto prevede la vigente legge sul pentitismo mutuata in gran parte dalla legislazione emanata per i terroristi che decisero di collaborare con le forze dell'ordine e la magistratura.
La gestione dei pentiti, la cui effettiva collaborazione è accertata dal Tribunale di sorveglianza, acquisite le informazioni necessarie e sentito il pubblico ministero competente per i r. per i quali viene prestata, è disciplinata dalla l. 12 luglio 1991 n. 203 (che ha convertito con modificazioni il D.L. 13 maggio 1991 n. 152) e dalla l. 7 agosto 1992 n. 356 (che ha convertito con modificazioni il D.L. 8 giugno n. 306), nonché da norme aggiuntive contenute nel decreto legisl. 29 marzo 1993 n. 119, disciplinanti "il cambiamento delle generalità per la protezione di coloro che collaborano con la giustizia".
In base alla normativa surriferita sono previste agevolazioni di tipo processuale, penitenziario e sanzionatorio per i pentiti che confessano non soltanto i fatti in cui sono direttamente coinvolti ma quanto sanno circa l'organizzazione criminale di cui hanno fatto parte. Le misure più importanti sono, comunque, quelle che riguardano la salvaguardia personale e dei familiari che sono sottoposti a particolare sorveglianza e assistenza. Per alcuni pentiti, considerati ''ad altissimo rischio'' per il grave pericolo derivante dalla collaborazione prestata e che si trovano in stato di detenzione, è previsto un regime di trattamento extracarcerario mediante custodia in luoghi diversi dagli istituti penitenziari (ospitalità, per motivi di sicurezza, all'interno delle strutture delle forze di polizia, e per molti di quelli che escono dal carcere sono a disposizione case prese in affitto da prestanomi in località dell'Italia centro-settentrionale). Sono previste inoltre modalità specifiche di esecuzione delle misure alternative autorizzate dal procuratore generale e l'accesso a queste misure e a quelle premiali attraverso provvedimenti adottati anche in deroga alle disposizioni relative ai limiti di pena. Nella maggior parte dei casi è prevista, inoltre, una retribuzione mensile che lo stato elargisce a chi collabora e vive nascosto e protetto. Oltre a ciò, nell'ambito processuale, numerosi sono i vantaggi di cui godono i pentiti come, per es., la possibilità di essere ascoltati a distanza mediante un ''telecollegamento'', senza quindi l'obbligo di essere presenti nelle aule dei tribunali per testimoniare.
Per ciò che concerne il regime penitenziario i collaboratori di giustizia godono di un trattamento più favorevole rispetto agli altri detenuti reclusi per r. di mafia, potendo accedere ai benefici penitenziari contemplati dai menzionati provvedimenti di emergenza. È prevista, infatti, tutta una serie di misure alternative applicabili a seconda dei casi. I recenti interventi legislativi di carattere emergenziale, concepiti nel tentativo di porre un freno al dilagare della criminalità organizzata, in particolare di quella mafiosa, hanno, infatti, fortemente inciso sulla materia penale non soltanto con specifico riferimento ad alcune tipologie di r. e di condannati ma anche delineando una disciplina che sembra discostarsi appieno, per le sue peculiarità, da quella ordinaria.
Dal punto di vista delle sanzioni, invece, la vigente legislazione prevede degli ''sconti'' riguardanti l'attenuazione della p. da un terzo alla metà, a seconda del grado di collaborazione prestato dai pentiti.
Di fronte all'enorme crescita del numero dei pentiti, non sempre del tutto attendibili e talora devianti, si è aperto un vivace dibattito sulla normativa che ne regola la collaborazione con la giustizia considerando che, nel riconoscere l'importante contributo da essi apportato nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l'individuazione o la cattura degli autori dei r., sia necessario utilizzare al meglio i mezzi già previsti in tale normativa, "quali supporti tecnici audiovisivi per la registrazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia", come richiesto in una recentissima circolare del ministro di Grazia e Giustizia. Ciò per evitare strumentalizzazioni e inquinamenti delle prove, come talvolta si è verificato, e per garantire la genuinità delle dichiarazioni, anche per il rischio rappresentato dal crescente numero dei pentiti che la criminalità organizzata ha cercato in diversi modi di delegittimare e che in qualche caso sono stati accusati di essere stati utilizzati per distruggere lo stato di diritto.
Bibl.: Data la vastità della letteratura sul r. sia nella sua globalità che nelle diverse fattispecie, si rimanda a scritti di carattere generale come: F. Antolisei, Scritti di diritto penale, Milano 1955; R. Pannain, La struttura del reato, ivi 1958; C.F. Grosso, Responsabilità penale, in Nuovissimo Digesto Italiano, 15 (1968), pp. 707 ss.; F. Bricola, Teoria generale del reato, ibid., 19 (1973), pp. 7 ss.; G. Delitala, Diritto penale. Raccolta degli scritti, i, Milano 1976; A. Fiorella, Reato in generale, in Enciclopedia del diritto, 38 (1987), pp. 770 ss.; A. Pagliaro, Principi di diritto penale. Parte generale, Milano 1987; G. Marini, Reato, in Enciclopedia Giuridica, 26 (1991).
Sulla p. in generale cfr.: G. Marini, Pena (diritto penale), in Novissimo Digesto Italiano, Appendice v (1980), pp. 792 ss.; P. Nuvolone, Pena (diritto penale), in Enciclopedia del diritto, 32 (1982), pp. 787 ss.; G. Devero, Circostanze del reato e commisurazione della pena, Milano 1983; F. D'Agostino, La sanzione nell'esperienza giuridica, Torino 1989; L. Eusebi, La pena "in crisi". Il dibattito sulla funzione della pena, Brescia 1990; A. Pagliaro, Sanzione. II) Sanzione penale, in Enciclopedia Giuridica, 28 (1992); L. Pepino, V. Accattatis, La riforma del diritto penale: garanzia ed effettività delle tecniche di tutela, Milano 1992.
Sulla depenalizzazione cfr. tra gli altri: P. Nuvolone, Depenalizzazione apparente e norme penali sostanziali, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1968, pp. 60 ss.; A. Lagostena-Bassi, L. Rubini, La depenalizzazione. Commento teorico-pratico della legge 3 maggio 1967 n. 317 e delle singole norme penalizzate, Milano 1969; V. Bachelet, Problemi e prospettive della "penalizzazione" delle infrazioni in materia di circolazione stradale, in Studi in memoria di Carlo Esposito, iv, Padova 1974, pp. 2233 ss.; F. Pezzotti, Depenalizzazione delle contravvenzioni punibili con l'ammenda (note di commento alla l. 24 dicembre 1975, n. 706), in Giustizia penale, 2 (1977), pp. 525 ss.; P. Nuvolone, Reati (Depenalizzazione di), in Novissimo Digesto Italiano, Appendice vi (1980), pp. 295 ss.; R. Bertoni, G. Lattanzi, E. Lupo, L. Violante, Modifiche al sistema penale. Legge 24 novembre 1981, n. 689, i, Depenalizzazione e illecito amministrativo, Milano 1982; L. Di Nanni, G. Fusco, G. Vacca, Depenalizzazione e sanzione amministrativa: commento teorico pratico della l. 24 novembre 1981, n. 689 (Capo I), Napoli 1982; S. Vinciguerra, La riforma del sistema punitivo nella legge 24 novembre 1981, n. 689. Infrazione amministrativa e reato, Padova 1983; C.E. Pallero, Minima non curat praetor: ipertrofia del diritto penale e decriminalizzazione dei reati bagatellari, ivi 1985; F. Vinci, Depenalizzazione e illeciti amministrativi: il diritto sanzionatorio amministrativo, Firenze 1986; M. Siniscalco, Depenalizzazione, in Enciclopedia Giuridica, 10 (1988); A. Rossi Vannini, Illecito depenalizzato amministrativo: ambito di applicazione, Milano 1990; G. Severini, Codice dell'illecito amministrativo depenalizzato, ivi 1994.
Per la legislazione sui pentiti si rimanda tra gli altri a: G. Conso, I collaboratori del giudice, in Dialectica, 1971, pp. 213 ss.; Id., Tribunali al buio, in Archivio Penale, 1974, pp. 117 ss.; G. Flora, Il ravvedimento del concorrente, Padova 1984; M. Mellini, Il giudice e il pentito. Dalla giustizia dell'emergenza all'emergenza della giustizia, Milano 1986; D. Pulitanò, Tecniche premiali fra diritto e processo penale, in Rivista di diritto e procedura penale, 1986, pp. 1005 ss.; Pentitismo e garanzie nell'attuale realtà giudiziaria, in Atti del Convegno dell'Associazione nazionale magistrati e Consiglio regionale Piemonte, Torino 1986; M. Mellini, La notte della giustizia, Roma 1990; B. Guazzaloca, Differenziazione esecutiva e legislazione d'emergenza in materia penitenziaria, in Dei delitti e delle pene, 1992, pp. 123 ss.; D. Manzione, Una normativa "d'emergenza" per la lotta alla criminalità organizzata e la trasparenza e il buon andamento dell'attività amministrativa (D.L. 152/1991 e L. 203/1991): uno sguardo d'insieme, in La legislazione penale, 1992, pp. 841 ss.; M. Landi, Imputati pentiti (sistema di protezione), in Digesto discipline penalistiche, 6 (1992), pp. 272 ss.; R. Marino, Il nuovo decreto antimafia, Napoli 1992; P. Magri, Le dichiarazioni dei "pentiti" e la lotta alla criminalità, in Aggiornamenti sociali, 1993, pp. 625 ss.; V. Musacchio, Rilievi sulla recente legislazione in materia di pentitismo, in Rivista penale, 1993, pp. 989 ss.; A. Tencati, Le mendaci informazioni dei collaboratori della giustizia fonti di responsabilità penale, ibid., pp. 403 ss.