REATTORE NUCLEARE
(v. pila atomica, App. II, II, p. 548; reattore nucleare, App. III, II, p. 583; IV, III, p. 156)
Nel 1994, 415 unità elettronucleari di potenza superiore a 30 MWe erano in funzione nel mondo, con una potenza complessiva netta di oltre 326 GWe. Oltre tre quarti di questi r.n. sono del tipo ad acqua leggera. L'esperienza totale di esercizio dei reattori di potenza per uso civile ammontava, a fine 1994, a oltre 7300 reattori × anno. La tab. 1 riporta la situazione generale a fine 1994 con riferimento sia alle unità in esercizio commerciale che a quelle in costruzione nei vari paesi, inclusa l'incidenza dell'elettricità di origine nucleare sul totale e l'esperienza di esercizio espressa in reattori × anno. La ripartizione per tipo di reattore (v. App. IV, iii, p. 156) è illustrata dalla tab. 2. In Italia è scaduta nel dicembre 1992 la moratoria di 5 anni che ha portato alla chiusura degli impianti in esercizio e alla cancellazione di quelli in costruzione.
Principi di sicurezza dei reattori nucleari. - Lo stesso principio di funzionamento dei r.n., con le reazioni a catena, richiede che alcuni aspetti siano sempre tenuti ben presenti: a) le radiazioni ionizzanti impongono un adeguato schermaggio; b) i prodotti di fissione devono essere ben confinati; c) il processo è dinamico in natura e richiede un adeguato controllo; d) il calore generato non può essere fermato istantaneamente e un'adeguata refrigerazione è richiesta per molto tempo. Queste condizioni connaturate al processo possono essere soddisfatte in diversi modi, tanto che diversi tipi di reattore sono stati realizzati, seguendo però criteri comuni. Il primo obiettivo è quello di evitare rilasci di radioattività durante il normale esercizio e durante i transitori, sia previsti sia ipotizzabili.
Anzitutto bisogna prevenire gli incidenti e poi prevedere, nell'ipotesi che essi comunque accadano, le misure per mitigarne le conseguenze. Questo richiede il più alto grado di garanzia di qualità e di controllo applicato a tutti i componenti e sistemi, alla loro costruzione e prova, al loro funzionamento normale e anormale. In particolare, i sistemi di controllo e di refrigerazione sono critici per prevenire il surriscaldamento del nocciolo del reattore. Il sistema di controllo deve garantire l'interruzione della reazione nucleare a catena e intervenire per fermarla con inserzioni di reattività negativa prima che, in condizioni incidentali, la potenza del reattore possa raggiungere livelli pericolosi, com'è accaduto il 28 aprile 1986 a Černobyl, in URSS. Questo si può ottenere con diversi accorgimenti di progetto che prevedono, per es., controreazioni negative di reattività anche legate alla stessa fisica del processo, impiegando l'effetto Doppler dell'isotopo 238 dell'uranio, che al crescere della temperatura assorbe più neutroni di quelli prodotti nella fissione.
In condizioni di normale esercizio la potenza termica prodotta nei noccioli è rilevante e la capacità di refrigerazione dev'essere adeguata. Se si verificano perdite di refrigerazione (per rottura delle tubazioni, delle pompe o dei loro motori o del circuito secondario di assorbimento del calore) il combustibile potrebbe surriscaldarsi rapidamente e fondere, disseminando entro il recipiente a pressione del reattore i prodotti radioattivi. Ciò è impedito da un rapido spegnimento del reattore per inserimento delle barre di controllo (o da un sistema alternativo che inietta veleni neutronici) e dall'attivazione di un sistema di refrigerazione di emergenza.
Anche quando il reattore è stato spento bisogna, come si è visto, rimuovere il calore di decadimento radioattivo. Vi sono appositi sistemi che intervengono per garantire l'asportazione del calore di decadimento e impedire la fusione del nocciolo.
In generale, si può dire che la sicurezza è garantita da caratteristiche fisiche intrinseche al processo e da appositi sistemi preposti, di natura sia passiva che attiva, organizzati in varie combinazioni. Le caratteristiche fisiche intrinseche fanno ricorso a leggi di natura: per es., l'effetto Doppler in precedenza ricordato fa sì che l'eccesso di temperatura conseguente a un indesiderato aumento di potenza sia seguito da una diminuzione di potenza almeno pari all'aumento iniziale stesso, oppure la circolazione del refrigerante per convezione naturale, senza pompe, asporta dal nocciolo il calore residuo di decadimento. Tra i sistemi di sicurezza di natura passiva si devono annoverare le molte barriere interposte per prevenire il rilascio all'esterno di radioattività. Altri esempi di tale tipo di sistemi sono costituiti dalle barre di controllo immerse per gravità nel nocciolo e dagli accumulatori di refrigerante di emergenza (acqua) entro recipienti pressurizzati con gas, che possono scaricare entro il nocciolo tale refrigerante senza l'ausilio di alcuna pompa, ma semplicemente per l'energia precedentemente accumulata nel gas compresso.
I sistemi di sicurezza attivi, infine, rispondono a un segnale d'innesco e richiedono una sorgente di energia. Non è affatto detto che i sistemi intrinseci e passivi siano necessariamente da preferirsi ai sistemi attivi (questi ultimi hanno un intervallo di applicazione più vasto e possono essere verificati più facilmente). La sicurezza è meglio garantita da una combinazione ottimale dei tre tipi di sistemi, che non da una scelta fra di essi.
L'adozione, inoltre, di caratteristiche di auto-controllo dei vari sistemi mitiga l'effetto di errori o incidenti esentando gli operatori dell'impianto dalla necessità di prendere tempestive decisioni in condizioni di stress. Un concetto diffusamente impiegato in diverse filiere di reattori è quello delle barriere multiple contro il rilascio di radioattività. La barriera più interna è il combustibile stesso a struttura ceramica che trattiene la maggior parte dei prodotti di fissione in esso presenti. La seconda barriera è costituita dalla guaina metallica del combustibile, a tenuta e resistente alla corrosione. La terza è costituita dalle pareti metalliche del circuito pressurizzato che contiene il nocciolo e il suo refrigerante primario. La quarta barriera è costituita dall'edificio esterno di contenimento, a tenuta, e resistente alla pressione e alla temperatura, che è capace d'indurre un rilascio accidentale del refrigerante primario. Va notato, al riguardo, che la presenza di questa barriera ha costituito la fondamentale differenza fra le conseguenze esterne dell'incidente di Three Miles Island (praticamente nulle) e quelle assai gravi di Černobyl.
Per ostacolare il passaggio di prodotti radioattivi, fra le diverse barriere sono inoltre interposti sistemi di filtraggio e purificazione, per cui il rilascio di radioattività all'esterno, in condizioni di normale funzionamento, è estremamente ridotto.
L'integrità delle diverse barriere, tenuta costantemente sotto controllo, è messa alla prova da diversi agenti sia interni (sollecitazioni meccaniche, termiche, attacchi chimici, radiazioni, ecc.) che esterni (terremoti, inondazioni, esplosioni, ecc.). Uno scopo fondamentale è dunque quello di preservare l'integrità delle barriere da tutti questi attacchi che possono manifestarsi in condizioni incidentali; esso viene perseguito con l'approccio della cosiddetta ''difesa in profondità'', consistente in tre livelli di misure di sicurezza: preventive le prime, protettive le seconde, mitigative le terze.
Le misure preventive, di primo livello, devono far sì che tutte le cause che possono portare a incidenti (i cosiddetti ''eventi iniziatori'') siano evitate e i loro effetti vanificati. Esempi di misure preventive sono i seguenti: a) sfruttamento di caratteristiche di sicurezza intrinseca (leggi di natura per stabilizzare e limitare la potenza del reattore); b) componenti e strutture realizzati con materiali dalle caratteristiche e dal comportamento ben noti; c) componenti e sistemi verificati e ispezionati durante la costruzione e a intervalli regolari durante l'esercizio per constatarne il mantenimento dell'efficienza; d) strumentazione e controlli tali da consentire agli operatori la conoscenza completa e costante dello stato dell'impianto; e) analisi completa della sicurezza dell'impianto per condizioni normali, transitorie e incidentali, rivista indipendentemente dai progettisti e dagli organismi di sicurezza (in Italia l'ENEA-DISP e la Commissione tecnica per la sicurezza nucleare e la protezione sanitaria); f) registrazione e comunicazione di tutti gli inconvenienti registrati in fase di costruzione e di esercizio, per evitarli in futuro, con tempestivo e costante scambio internazionale delle informazioni; g) metodologie di garanzia di qualità nelle varie fasi di progetto, costruzione ed esercizio dell'impianto, con ispezioni indipendenti, documentazione costante e verifiche incrociate.
Le misure protettive, di secondo livello, devono prevedere il verificarsi di falle nel primo livello e predisporre appunto un secondo livello di difesa per correggere e fermare l'evoluzione di eventuali incidenti che dovessero innescarsi. Tipiche, tra queste misure, sono le seguenti: a) sistemi di spegnimento rapido del reattore se le condizioni di sicurezza non sono completamente soddisfatte; b) valvole di sfioro e di sicurezza per proteggere gli impianti contro gli eccessi di pressione; c) circuiti di verifica per prevenire gli errori degli operatori; d) monitoraggio costante delle funzioni di sicurezza in maniera completamente automatica per garantire l'attuazione delle procedure di emergenza e per minimizzare la possibilità di errore umano.
Le misure mitigative, di terzo livello, sono previste per limitare le conseguenze degli incidenti che, nonostante gli interventi del secondo livello, dovessero innescarsi. Alcuni sistemi intervengono sia nel secondo sia nel terzo livello; esempi di tali misure sono: a) sistemi di refrigerazione di emergenza del nocciolo in caso di perdita dei sistemi di refrigerazione principali (per es., per rottura della barriera di pressione e perdita del refrigerante); b) sistemi di emergenza per provvedere l'acqua di alimento e garantire la presenza del pozzo termico; c) sistemi di emergenza per la fornitura di energia, diversificati e ridondanti, se il sistema di alimentazione elettrica principale viene a mancare; d) sistema di contenimento del reattore, a tenuta, con tutti i suoi sistemi ausiliari; esso è progettato per resistere all'effetto di incidenti interni ed esterni (terremoti, uragani, cadute di aerei).
Le misure di sicurezza sono attuate con l'impiego di principi di progetto che possono rientrare, schematicamente, entro tre categorie: ridondanza, diversità e separazione fisica. La ridondanza assicura la presenza di più componenti o sottosistemi, in genere da due a quattro, di un sistema di sicurezza, così che la sicurezza non dipenda dal funzionamento di una singola unità. La diversità riguarda l'impiego di due o più sistemi di sicurezza, basati su principi fisici diversi, ma che garantiscano la stessa funzione (lo spegnimento di un reattore, per es., può essere contemporaneamente garantito per caduta delle barre di controllo e per iniezione di veleno liquido). La separazione fisica impone che componenti e sistemi preposti alla stessa funzione non siano esposti alla stessa causa comune di guasto (per es., incendio o allagamento), ma siano posti in ambienti separati da barriere fisiche adeguatamente resistenti.
Si può ricordare, infine, l'applicazione del principio secondo cui, se un sistema di sicurezza si guasta, esso deve rimanere guasto in condizioni sicure e non viceversa. Se viene a mancare l'energia elettrica, le barre di controllo cadono per gravità perché non sono più trattenute in alto da un campo elettromagnetico, e non occorre corrente per farle cadere, e così via. L'alimentazione elettrica è peraltro garantita da parecchi elettrogeneratori diesel in parallelo e da sistemi di batterie per le funzioni essenziali.
Premesso che la sicurezza nucleare è assicurata non tanto da leggi e regolamenti, ma da ingegneri responsabili, non si può non rimarcare che i due più gravi incidenti accaduti nella storia dell'energia nucleare sono stati dovuti a procedimenti operativi e al comportamento degli operatori. Vi è una crescente attenzione a considerare il fattore umano come uno dei più delicati e importanti per la sicurezza, e perciò si tiene conto delle limitazioni e delle capacità dei singoli operatori, per mettersi al riparo da manovre improprie e trarre vantaggio dalle caratteristiche positive di ciascuno. Nonostante che gli operatori siano grandemente adattabili a circostanze impreviste, si è perciò preferito concentrare i loro sforzi su funzioni che rispondano alle loro specifiche capacità e non mettano alla prova i loro limiti (come prendere decisioni immediate sotto stress, controllare un eccessivo numero di strumenti, discriminare prontamente fra segnali coerenti e incoerenti, ecc.). Nelle moderne centrali nucleari dell'Occidente il ruolo dell'operatore è quello di comandare la raccolta delle informazioni, di pianificare e di prendere decisioni, e solo occasionalmente di essere coinvolto in più tempestive azioni di controllo quando l'impianto fuoriesce dalle normali condizioni di esercizio (transitori operazionali, eventi anormali, ecc.). L'impianto è protetto da sistemi di controllo automatici e altamente affidabili, cui l'operatore non si deve sostituire. Il controllo delle molte variabili interattive d'impianto è fatto più agevolmente da calcolatori programmati allo scopo, i quali mostrano sui terminali una situazione semplificata, indicando la presenza di eventuali inconvenienti e la maniera migliore per correggerli. L'operatore può in ogni caso spegnere il reattore quasi istantaneamente e rappresenta, con la sua professionalità, un'ulteriore garanzia per fronteggiare eventi imprevisti in sede di progetto.
Reattori a sicurezza intrinseca. - I r.n. della seconda generazione, detti anche ''a sicurezza intrinseca'', hanno le funzioni essenziali di sicurezza basate su leggi di natura. Vale a dire quel bilanciamento di sistemi attivi e passivi che caratterizza i reattori della prima generazione, è sostituito da caratteristiche intrinseche che, basate su leggi naturali, garantiscono lo spegnimento della reazione a catena (prima funzione) e la rimozione del calore residuo di decadimento (seconda funzione) indipendentemente dall'attivazione di sistemi, dalla disponibilità di fonti energetiche e, soprattutto, dall'intervento dell'uomo. Dallo spegnimento del reattore, che deve avvenire non appena flusso neutronico, temperature o pressioni superano nel nocciolo soglie di sicurezza prefissate, la rimozione del calore di decadimento si deve realizzare in un tempo sufficientemente lungo, dell'ordine di alcuni giorni. Questa condizione di solito è quella che limita la potenza unitaria all'ordine di poche centinaia di MWe. I progetti sinora predisposti riguardano reattori ad acqua pressurizzata (PIUS e MARS), a elio (HTR 100), a sodio (PRISM e SAFR) e altri ancora. La taglia più ridotta giuoca sfavorevolmente sul costo di produzione dell'energia, anche se eventuali semplificazioni di progetto possono addirittura invertire l'"effetto di taglia''.
Dei progetti citati si può illustrare brevemente l'unico italiano, il MARS (Multiscopo Avanzato Reattore Supersicuro), della taglia di 200 MWe. Con riferimento alla fig., il MARS è fondamentalmente un reattore ad acqua pressurizzata Westinghouse, a un solo circuito, dotato di un circuito di refrigerazione di emergenza per l'asportazione del calore di decadimento. Utilizza quindi l'esperienza di oltre vent'anni di sviluppo della filiera dei reattori ad acqua pressurizzata, modificandone e semplificando l'insieme. Al normale sistema di controllo si aggiunge un sistema di spegnimento automatico che opera per dilatazione differenziale di coppie bimetalliche inserite negli elementi di combustibile. Per eliminare la principale causa di incidenti, la perdita di refrigerante attraverso rotture di varie dimensioni nel circuito primario, si è pressurizzato l'esterno del circuito primario allo stesso valore di pressione (circa 70 atm) dell'interno mediante acqua a bassa entalpia. Anche l'incidente di espulsione di barre di controllo è in tal modo scongiurato; l'annullamento della differenza di pressione consente inoltre di collegare con flangiature tutti i componenti e quindi di facilitare la loro manutenzione estendendo la loro vita. Cosa ancor più importante, consente la prefabbricazione del reattore in officina e il suo trasporto in blocchi pre-montati sul sito dell'impianto, unitamente ai sistemi ausiliari pre-montati in appositi insiemi.
La sostituzione delle costruzioni in sito con le costruzioni in officina è la caratteristica più marcata del MARS, unitamente alla modularità (200 MWe) delle soluzioni che consente un graduale adeguamento alle esigenze locali di potenza. Lo smaltimento del calore residuo di decadimento avviene mediante un condensatore refrigerato a circolazione naturale di aria, che consente un tempo illimitato di tolleranza senza che alcun intervento umano sia richiesto. In questo senso il MARS rappresenta un concreto approccio agli impianti nucleari della seconda generazione, non solo e non tanto per i requisiti di sicurezza intrinseca, quanto per la sostituzione della costruzione in sito con la prefabbricazione integrale (con tempi e costi molto più affidabili).
Reattori a fusione. - Le reazioni nucleari di fusione rappresentano il processo con cui viene generata la potenza termica nel sole e nelle stelle. Reazioni di fusione sono possibili fra diversi isotopi di idrogeno, elio e litio. Le più interessanti sono le seguenti:
L'energia che può venire estratta da un litro di acqua naturale, in seguito alla fusione dei nuclei di deuterio in essa contenuti, equivale all'energia sviluppata nella combustione di 300 litri di benzina. L'energia liberata dalle reazioni di fusione corrisponde a una ''perdita'' di massa dei prodotti di fusione rispetto agli isotopi reagenti. Il ciclo D-T ha la più elevata energia di reazione (17,6 MeV) e quindi la più grande densità di potenza per una data densità di plasma; per unità di massa coinvolta, la fusione D-T fornisce un'energia otto volte superiore a quella della fissione.
Anche se l'energia rilasciata per singolo evento di fusione è tipicamente 10 volte minore di quella corrispondente a un singolo evento di fissione, i neutroni sono rilasciati con un'energia 5 volte maggiore. Inoltre la reazione D-T richiede la più bassa temperatura d'ignizione. Per questo si ritiene che i primi reattori a fusione opereranno sul ciclo D-T. In App. IV, iii, p. 163, sono descritti i principi concettuali su cui sono basati i reattori a confinamento magnetico. Un secondo tipo di reattori a fusione, attualmente in fase di studio, è basato sul principio del confinamento inerziale. Il principio di base è la compressione di piccole sfere d'idrogeno (D-T o D-D) tramite un intenso fascio laser (o di elettroni o di ioni). Il plasma generato in tale maniera tende a espandersi in un tempo τ, chiamato tempo di confinamento inerziale. La reazione di fusione deve svilupparsi, ovviamente, in un tempo inferiore a τ. Calcoli dettagliati hanno mostrato che occorre raggiungere densità superiori a 102 g cm−3 al centro di microsfere di 60 μm di diametro dopo la compressione e che i tempi di confinamento sono dell'ordine del nanosecondo (10−9 s). Occorre pertanto una densità ionica media tra 1023 e 1024 particelle/cm3: ancora una volta, quindi, il prodotto n·τ dev'essere pari almeno a 1014 s cm−3 (criterio di Lawson).
Più in dettaglio, il processo di compressione si realizza in questo modo: un insieme di fasci laser (in numero sufficiente affinché le forze sulla superficie della microsfera siano uniformemente distribuite e non si provochino, quindi, deformazioni durante la compressione) colpisce una microsfera senza penetrarla, lo strato esterno volatilizza, provocando una compressione (di reazione) della parte centrale, che è accompagnata da un aumento della temperatura. Si realizza in tal modo un'implosione. La susseguente reazione di fusione provoca una microesplosione simile a quella che avviene in una bomba H. Ripetendo il processo si può ottenere una produzione praticamente continua di energia, analogamente a quanto accade per i motori a combustione interna. Supponendo che ogni microesplosione liberi un'energia di 200 MJ, nel caso di un reattore commerciale un'iniezione di 10 microsfere/secondo porterà a una potenza pari a 2000 MWt. Uno dei potenziali vantaggi dei reattori a confinamento inerziale è l'assenza del problema delle instabilità presenti nei reattori a confinamento magnetico.
È da segnalare che sono state condotte le prime esperienze con fasci laser (da 2 a 4 TW), provando la validità del concetto. In tali esperienze i valori raggiunti per il prodotto n·τ sono di quattro ordini di grandezza inferiori al valore minimo, quindi ancora inferiori a quelli ottenuti nelle esperienze di confinamento magnetico. I due filoni, reattori a confinamento magnetico e reattori a confinamento inerziale, appaiono in qualche modo complementari e dovrebbero portare a reattori aventi dimensioni e potenze unitarie molto diverse: grandi potenze (5000÷6000 MWt) con il confinamento magnetico, piccole potenze (50÷1000 MWt) con il confinamento inerziale.
Qualunque sia il metodo di confinamento l'energia di fusione è generata in un plasma e recuperata sotto forma di calore da un rivestimento esterno: tutta l'energia prodotta attraversa quindi la cosiddetta ''prima parete''. Da questo punto di vista i reattori a fusione presentano problemi molto più gravi che non i reattori a fissione, nei quali il calore è asportato direttamente dagli elementi di combustibile, ove è generato, tramite un refrigerante. Il flusso di neutroni che attraversa la ''prima parete'' in un reattore a fusione dovrà essere pari a circa 1015 n/cm2 s, da 100 a 1000 volte superiore a quello sul vessel di un reattore a fissione. Inoltre, i neutroni generati dal processo di fusione provocano danni molto maggiori, perché forniti di energia maggiore (14 MeV contro 2 MeV per i neutroni a fissione).
I problemi tecnologici legati ai reattori a fusione sono, pertanto, molto gravi; il loro studio deve procedere di pari passo con i tentativi per soddisfare il criterio di Lawson affinché possa essere possibile la realizzazione di un reattore commerciale a fusione.
La ''prima parete'' sotto il bombardamento ionico è sottoposta a un'intensa erosione, dovuta essenzialmente a tre processi.
a) Strappamento di atomi (sputtering): fenomeno che può aver luogo anche a basse temperature; le particelle che penetrano nella parete solida, entrando in collisione con gli atomi di questa, cedono a essa una parte della loro energia. Questo fenomeno, che è alla base del processo di trasferimento di calore alla parete, può avere, però, anche un effetto secondario decisamente negativo. Gli atomi situati nella superficie interna della prima parete possono infatti essere strappati, con conseguente contaminazione del plasma, aumento delle perdite per irraggiamento (con più difficile innesco dell'ignizione) ed erosione della parete.
b) Evaporazione: quando la parete è sottoposta a un brusco e intenso scambio di calore, un gran numero di atomi acquista energia termica sufficiente per evaporare. Il tasso di evaporazione è proporzionale alla pressione di sublimazione del vapore (nota per diversi tipi di metalli). Tale fenomeno assume dimensioni considerevoli al disopra dei 1500°C.
c) Formazione di bolle di gas (blistering): gli atomi della parete che, a causa dei due fenomeni precedentemente illustrati, lasciano la parete, provocano delle lacune all'interno del solido. Queste possono intrappolare le particelle incidenti, soprattutto se esse sono poco solubili (per es. gas inerti nei metalli). Possono così formarsi delle bolle gassose che danneggiano la parete.
È necessario pertanto condurre a termine un intenso programma sperimentale per lo studio dettagliato del fenomeno di erosione della prima parete.
Nei futuri reattori a fusione saranno presenti circuiti di asportazione del calore analoghi a quelli degli attuali reattori a fissione, con i medesimi problemi di attivazione. Una particolare cura dovrà essere rivolta al contenimento del trizio, in quanto passa facilmente nell'acqua e di lì nel ciclo biologico. Occorre infatti ricordare che in un reattore di potenza i quantitativi di trizio in gioco, che sono dell'ordine delle decine di kg/anno, hanno radioattività indotte dell'ordine di 108 Curie, accumulate in vari componenti. I reattori a fusione possono essere visti con interesse anche come sorgenti di calore industriale ad alta temperatura. Vedi tav. f.t.
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